Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Enrico Rava, trombettista

Intervista raccolta da Gerlando Gatto

Enrico Rava, trombettista – ph Luca d’Agostino

-Come stai vivendo queste giornate?
“Poiché non posso uscire, perché data l’età sono un bersaglio favorito del virus…”
-A chi lo dici…
“Ecco, sto in casa, non metto neanche il naso fuori e cerco di passare le giornate nel modo più piacevole possibile: improvviso sui dischi di Miles, di Chet… leggo moltissimo, ascolto un sacco di musica e così riscopro delle cose che magari non ascoltavo da 30 anni. Ad esempio sto ascoltando molti dischi di Armstrong… molta vecchia roba mia che non ricordavo nemmeno di aver fatto. Insomma, come ti dicevo, cerco di trascorrere il tempo nel modo più piacevole possibile e quindi, in casa, questo periodo lo sto vivendo bene anche se questa situazione mi preoccupa immensamente. Il fatto più grave è l’incertezza: non si sa niente, non si capisce nulla e questo tende a darti una grossa depressione che cerco di vincere facendo delle cose, rimanendo attivo. Su questo problema si innesta il fatto che io a marzo avrei dovuto essere operato ad un’anca, che mi fa molto male; ti assicuro che soprattutto quando cammino il dolore è davvero tanto; invece hanno bloccato tutto e ancora oggi non so quando sarà possibile operarmi, cosa che ovviamente non mi rende particolarmente felice”.

Come ha influito tutto ciò sul tuo lavoro? Pensi che in futuro sarà lo stesso?
“Ho dovuto cancellare tutto; avevo un sacco di cose da fare incluso un tour con Joe Lovano in Italia e all’estero. Teoricamente tutti questi concerti sono stati rimandati, ma fino a quando? Come ti dicevo l’incertezza è la cosa peggiore di questo momento: non si sa nulla, non si riesce a prevedere quando e come tutto potrà ricominciare, navighiamo a vista. Se si ricomincerà entro un tempo ragionevole ma non ci sarà ancora il vaccino i concerti non si svolgeranno come in passato, si dovrà rispettare la distanza di sicurezza, teatri da mille persone ne potranno contenere trecento, i viaggi… non so. Io ho già detto al mio agente che fino a quando il virus non verrà debellato definitivamente grazie al vaccino, io andrò a suonare solo nei luoghi che potrò raggiungere in macchina senza dover prendere treni, aerei… non voglio rischiare”.

-Quindi in questo periodo stai vivendo attingendo alle tue riserve…
“Sì, per fortuna questo è l’ultimo dei problemi in quanto se alla mia età dovessi avere dei problemi economici significherebbe che avrei sprecato la mia vita. Invece non l’ho sprecata. Quindi, a meno che non affondi il Paese tutto, da questo punto di vista sono tranquillo. Ma, scherzi a parte, il problema c’è ed è grave; bisognerà vedere cosa succederà in quanto la botta all’economia sarà fortissima”.

-Vivi da solo o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante?
“Io vivo con mia moglie e siamo una coppia di quelle che stanno bene insieme; lei mi coccola, mi fa dei pranzetti buonissimi…certo ci soffre anche un po’ perché lei ha una ventina di anni meno di me, quindi avrebbe voglia di uscire, di correre, di camminare ma non lo può fare perché ha paura, rientrando, di portare in casa il virus. Quindi non esce neanche lei, ma per fortuna siamo in due, come ti dicevo e stiamo bene assieme… In questo momento mia moglie mi sta guardando dicendo “non è vero” e invece sì che è vero. La spesa ce la portano… si tira avanti”.

Pensi che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?
“Non te lo so proprio dire. Sicuramente cambieranno molte cose. Tra parentesi non è che prima fosse il “Nirvana”, però era sicuramente meglio di adesso. Io penso, anzi sono sicurissimo di questo per esperienza, che gli uomini non cambiano, uno è come è e rimane tale qualunque cosa succeda. Non penso che si uscirà da questa storia con tutti che ci vogliamo più bene, che ci capiamo di più, manco per niente. Una cosa assurda, ad esempio, è che proprio adesso c’è qualcuno che truffa sulle mascherine. In un momento in cui il senso comune vorrebbe che tutti cercassimo di non danneggiarci a vicenda, c’è gente che pensa solo al proprio tornaconto personale. Quindi non credo che possa migliorare qualcosa”.

-Sono assolutamente d’accordo con te. Credi che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
“Assolutamente sì. A chi la ama sicuramente, ma non a tutto il mondo in quanto c’è gente che è refrattaria alla musica. Anche se tu vedi un teatro pieno, o un festival con quarantamila persone in realtà la percentuale di quanti ricevono qualcosa da ciò che ascoltano è molto, molto bassa. C’è moltissima gente a cui la musica dice poco o nulla. Ripeto: a chi la ama, la musica rappresenta un fattore importantissimo. Ad esempio, per quanto mi riguarda, la musica mi aiuta moltissimo a superare questi momenti: come ti dicevo sto ascoltando tantissima roba, mi fa bene; in più sto ascoltando cose che non sentivo da tempo, come Stravinsky, che non rientra tra le mie attività più frequenti…intendiamoci, mi piace molto la musica classica ma di solito ascolto altre cose. Invece, in questi giorni, dato il molto tempo a disposizione, mi sto dedicando anche ad altri tipi di ascolto. Poi vedo moltissimi film, ho una buona collezione di DVD con film meravigliosi dagli anni trenta ad oggi quindi con il proiettore o con il computer me li guardo. Tra l’altro ho preso i DVD di questa serie televisiva che si chiama “L’amica geniale” – a proposito io non ho la televisione oramai da trent’anni – che ho trovato veramente eccellente, un lavoro ben fatto… sto leggendo un libro sull’analisi critica di tutto il lavoro di Visconti. Ho riletto Zola dopo circa trent’anni… insomma è tempo di fare cose che normalmente non fai”.

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
“A sé stessi, a quello che ci interessa, che ci piace. Noi che amiamo profondamente qualcosa, ad esempio la musica, ma anche altre cose come la letteratura, il cinema, siamo dei privilegiati, in quanto da tutto ciò ricaviamo un piacere reale, che ci aiuta a vivere. Ma tu pensa a quelli che sono costretti a stare in casa, senza alcuno di questi interessi, sicuramente daranno fuori di testa. Certo, poi, anche noi “privilegiati”, se per un attimo ci assentiamo da questi “piaceri” e torniamo alla realtà, c’è davvero da angustiarsi perché la situazione è grave, drammatica in quanto, come ho detto più volte, non si sa bene come e quando ne usciremo. Io ho due case, una a Milano e una qui a mare; per fortuna quando è scoppiato il fattaccio, io ero al mare e quindi sono stato costretto a fermarmi qui, altrimenti a Milano la situazione sarebbe stata molto ma molto più pesante. Questa è una cittadina di 30.000 abitanti quindi tutto è più facile”.

-Dove stai esattamente?
“A Chiavari. In realtà mentre ero qui stavo aspettando una telefonata per il pre-ricovero legato all’operazione di cui ti ho parlato, ma poi tutto si è bloccato e quindi sono rimasto qui”.

-Secondo te quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?
“Ad onor del vero non capisco cosa vuol dire nella pratica. Cosa dobbiamo fare? Uscire e cantare tutti assieme…non lo so. Ripeto, in termini pratici non so cosa voglia dire ‘restiamo uniti’. Sì, c’è molto di retorica. Invece sarebbe importante che ci fosse maggiore condivisione tra chi ci governa e l’opposizione; tutti approfittano del Coronavirus per fare campagna elettorale”.

-Sei soddisfatto di come si stanno muovendo i V/si organismi di rappresentanza?
“Non so risponderti. Nel mio campo stanno cercando di dare una mano, ma non so se ci riescono; una cosa che mi preoccupa onestamente è la situazione dei musicisti giovani, ad esempio quelli del mio gruppo. Mi chiedo come facciano a sopravvivere perché non hanno avuto una vita per mettersi nelle condizioni di sicurezza e quindi se non suonano non guadagnano. Questi provvedimenti che hanno varato, ad esempio i 600 euro che fanno ridere i polli anche se sono sempre meglio di un calcio in faccia, non ho capito bene se sono mensili o una tantum. In ogni caso sono solo per chi l’anno scorso ha avuto trenta giorni lavorativi ma per chi conosce il mondo del jazz sa che si tratta di un traguardo molto ma molto difficile da raggiungere. Vorrebbe dire all’incirca tre concerti al mese, regolarmente retribuiti con i relativi contributi, ma non esiste. Questi giovani spesso suonano nei club dove le cose non è che siano particolarmente regolari. Poi, una volta che nei hai diritto, ci si mette di mezzo la burocrazia: io ho un amico, un musicista giovane, che ha passato 24 di fila sul portale INPS prima di riuscire ad avanzare la richiesta. Capisci che così diventa una roba impossibile. Non so se è così dappertutto. Mi risulta, ad esempio, che in Germania è tutto più semplice, i soldi sono già arrivati mentre da noi non si sa bene quando questi soldi arriveranno. D’altro canto bisogna anche dire che mentre il musicista professionista lavora con i turni, le registrazioni e quindi è tutta un’altra cosa, è un lavoratore come gli altri, ha i sindacati e via discorrendo, noi musicisti di jazz siamo su un piano diverso, siamo degli artisti… ad esempio i poeti, non c’è un sindacato dei poeti, non è che facciamo un lavoro di routine, ognuno è diverso dall’altro, uno lavora perché c’è gente che lo vuol sentire… questo per dire che non si può avere una cosa eguale per tutti”.

-Partendo da queste premesse, se avessi la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederesti?
“Non lo so. Se io fossi in grado di avere delle idee in questo campo mi sarei dedicato alla politica. Per chiedere qualcosa bisognerebbe avere innanzitutto contezza che si tratti di qualcosa realizzabile, almeno una infarinatura di come funziona la macchina pubblica”.

-Un’ultima domanda. Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
“Ne ho tantissimi e qualche volta sul mio Facebook avanzo qualche suggerimento. Ad esempio ho riascoltato un disco di cui non ricordavo l’esistenza, ovvero Dizzy Gillespie che suona Duke Ellington con arrangiamenti di Claire Fisher (“A Portrait of Duke Ellington” – Verve MG-VS-68386 n.d.r.) con un Gillespie in grande spolvero, in uno dei momenti più brillanti della sua carriera, ho riascoltato un paio di dischi che amo moltissimo e che consiglio a tutti, “Armstrong e Ella Fitzgerald”, i tre capolavori di Miles con Gil Evans, e volendo anche il quarto che non è male, “Quiet Night”, poi bisognerebbe risentire Monk…senza trascurare la musica classica… “Il concerto per pianoforte e orchestra in sol maggiore” di Ravel, il cui secondo movimento è a mio avviso una delle cose più belle della storia della musica. Poi c’è una cantante brasiliana meravigliosa, che si chiama Rosa Passos; è fantastica, è una sorta di Joao Gilberto al femminile, veramente molto, molto brava, emozionante. Per quanto riguarda le nostre io consiglierei a tutti di ascoltare i dischi di Barbara Casini che è una cantante strepitosa di musica brasiliana. Barbara, che io ho definito una Mina con gusto, pur avendo tutte le carte in regola, questa straordinaria capacità di colpire direttamente al cuore, in più suona bene la chitarra e compone altrettanto bene, ha però questa incredibile capacità di perdere tutti i treni, non ha mai saputo cogliere l’occasione giusta, occasioni che si presentano se sei fortunato una volta nella vita, difatti non ha minimamente lo spazio che meriterebbe. In questi giorni ho poi il piacere di sentirmi quasi giornalmente con Dino Piana, con il quale siamo amici da circa 60 anni e in quest’ultimo periodo ci siamo ancor più avvicinati, mi sto sentendo spesso anche con Ambrosetti, Franco, che mi ha appena mandato una copia del suo libro, la sua autobiografia con, tra l’altro, bellissime foto; io l’ho consigliato sull’acquisto di uno strumento, lo strumento che io ho adesso e di cui sono molto felice. Poi, ovviamente, ogni tanto sento i ragazzi del gruppo, Morello, Diodati, Giovanni Guidi…”

Gerlando Gatto

 

Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Enzo Favata, sassofonista

Intervista raccolta da Gerlando Gatto

Enzo Favata, sassofonista

-Come stai vivendo queste giornate?
“Potrei dirti come tutte le persone di questo mondo, vivo le giornate con apprensione e sospensione, paura non solo del nemico invisibile, ma soprattutto del futuro incerto. Detto questo, cerco di usare questo periodo sospeso in maniera differente dal solito e di darmi un organizzazione rigida del tempo e delle cose da fare nell’immediato. Naturalmente un po’ spaventato dal fatto che alla ripresa dei “ giochi”, data la mia condizione di musicista geograficamente lontano dai centri di diffusione della musica, sarà molto difficile che tutto ritorni alla normalità in tempi brevi, ho deciso di riorganizzare il mio tempo, dandomi uno schema rigido alle mie lunghe giornate, suddivise con orari ed impegni precisi: la mattina la passo in studio cercando di fare come tutti i musicisti, pratica con lo strumento, la composizione di nuove idee ecc… ho anche preso in mano il mio archivio con 30 anni di lavori, registrazioni live, colonne sonore, lavori per cinema teatro, album mai usciti, performance e concerti live, un lavoro davvero imponente dato che ci saranno più di 400 ore di registrazione, non voglio lasciarle in un cassetto e le cose più interessanti le sto rimasterizzando e mettendo online, sarà un lavoro che continuerò anche finiti i tempi del coronavirus, per ora ci sono 22 album digitali già pubblicati https://enzofavata.bandcamp.com/  La seconda parte della giornata, dato che per scelta di vita da dodici anni ho deciso di abitare in campagna, il pomeriggio lo dedico alla terra che ho intorno a casa e cerco di fare seriamente un lavoro completamente diverso che richiede devozione e cura come la musica, lavoro a volte sin quando è buio. So che avere queste possibilità di poter non essere incollati ad un divano o reclusi in una piccola casa di 40 mq, di questi tempi può essere una grande fortuna, quindi porto grande rispetto alla condizione degli altri e spero che l’emergenza finisca presto”.

-Come ha influito tutto ciò sul tuo lavoro? Pensi che in futuro sarà lo stesso
“Il lavoro stava avendo un profondo cambiamento anche prima di questo sconvolgimento, vivo la scena musicale da davvero tanto tempo e la situazione per i musicisti è precipitata già da tempo, sin dall’avvento di alcune mode digitali che ne ha sconvolto il mercato, appiattendolo su di un concetto davvero restrittivo rispetto al ruolo della musica e del musicista. Personalmente lavoro molto e soprattutto all’estero e non sto a dire quanti concerti e tournée ho perso. Credo che il futuro non sarà più  lo stesso, ma lo vedo in positivo, dopo le grandi tragedie ci sono stati sempre epocali cambiamenti, credo che questa esperienza farà nascere  collaborazioni, nuovi network ed  una maggior coscienza anche da parte dei musicisti e della filiera dello spettacolo, compreso il pubblico: ci sono segnali già evidenti di una consapevolezza e riorganizzazione nel nostro mondo, basta iniziare ad avere più coraggio, a mettersi in gioco anche nella vita associativa, dare qualcosa anche agli altri per ottenere di più tutti e su questo la filiera del jazz italiano ha ancora da lavorare molto”.

-Come riesci a sbarcare il lunario?
“Sto riprendendo con più costanza la mia attività di colonne sonore, dove ho fatto molto negli anni, alternandola all’attività concertistica; non nascondo che è un momento difficile, ma vedendo il bicchiere mezzo pieno ho deciso di utilizzare i materiali  risorti dal mio archivio e li sto mettendo online. Credo  che  promuovere la tua musica su piattaforme come bandcamp stia iniziando a dare risultati non solo per me, all’estero è uno standard usato ed ha successo, in Italia impera Spotifly che, con tutto il rispetto per la musica per tutti, a noi del jazz fa arrivare qualche euro, per questo lancio un’idea alla stampa specializzata: sarebbe una bella cosa che anche la critica musicale, i media internet i blog e riviste, si dedicassero con più convinzione a questo modo di concepire la produzione musicale diretta tra musicista e fruitore della musica, per semplificare è un po’ come fa la Coldiretti in Italia, che promuove i prodotti  a chilometro zero”.

-Vivi da solo o con qualcuno. E quanto ciò risulta importante?
“Vivo con la mia famiglia e naturalmente in questo momento è importate, ma lo è sempre stato”.

-Pensi che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e   professionali sotto una luce diversa?
“Credo che l’isolamento aiuti a capire meglio il valore dei rapporti umani di una volta anche con i contatti diretti, chi non è della mia generazione non conosce il valore di una cartolina di una telefonata, di andare a far visita ad un conoscente, l’era degli sms e poi delle chat hanno appiattito tutto ad un messaggio uguale per tutti da spedire alla tua rubrica telefonica. Meno male che la tecnologia oggi, con le video-chiamate, ci aiuta a ridurre la distanza tra le persone che conosciamo e spesso riduce il noioso susseguirsi di messaggi, in questo periodo le video-chiamate sono aumentate visibilmente e questo modo visivo di dedicare più tempo, a mio parere cambierà notevolmente in meglio il rapporto tra le persone. Io lo sto sperimentando questo trend, conosco persone in tutto il mondo, ma mai come ora ne ricevo segnali e comunicazioni da tutti, credo che sia il leitmotiv che accompagna l’umanità tecnologica   ed è una bella cosa che tutti vogliono sapere degli altri. Anche nel lavoro si usano sempre più video-chiamate anche in gruppo per condividere qualche minuto insieme, guardarsi in faccia, oppure chiedere consigli su certe cose, parlare di problematiche comuni. Tutto questo prima di febbraio era molto più raro, oggi anche se distanti siamo più vicini perché ci accomuna un dramma e la voglia di superarlo”.

-Credi che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
“La musica aiuterà tutti ad affrontare questo momento, mai come al giorno d’oggi la musica è facilmente raggiungibile ed è facilmente fruibile. La musica influisce molto sul modo in cui pensiamo, in cui ci comportiamo, in cui sentiamo. La musica è un mezzo davvero molto potente che lavora direttamente sulle emozioni. Per noi che la produciamo è una ragione di vita e non da oggi. Per me ora è un momento di grande immersione interiore, come ho detto prima sia nel passato con oltre 30 anni di  archivio dentro cui scavare e riscoprire, sia nel futuro con una  grande la voglia di creare a cui ho iniziato a dedicare più tempo proprio in questi giorni. Il lavoro della riscoperta di mie radici musicali ed anche il lavoro in campagna mi stanno dando la forza non solo di superare, ma anche di creare qualcosa di nuovo, come finalmente la realizzazione di un mio album in solo e la composizione di nuovi materiali per la realizzazione e registrazione del nuovo album con il mio attuale gruppo “The Crossing” con Pasquale Mirra, Rosa Brunello e Marco Frattini di cui esiste un album live recording su bandcamp  https://enzofavata.bandcamp.com/album/enzo-favata-the-crossing-live”.

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
“Chi ama la musica e la crea difficilmente pensa ad altro, ma nel concreto a mio avviso la forza per superare questo momento è l’unione il non sentirsi soli anche nel nostro mondo artistico, partecipare socialmente come ho detto prima, essere presenti , non solo con il dito sulla tastiera di un social, ma sentirsi parte di una comunità, far valere i propri diritti, ma anche i nostri doveri” .

-Quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?
“Devo dire che se da un punto di vista bisogna essere assolutamente ottimisti nonostante la banale, ma necessaria retorica di: “ce la faremo, andrà tutto bene, gli italiani sono un grande popolo… ecc…”, bisogna comunque iniziare a raccontare un po’ di verità su cosa è la nostra nazione, non dimentichiamo che l’Italia era già un paese scassato da prima con sei milioni di disoccupati, nove milioni di sommerso (tra cui anche molti musicisti danno il loro piccolo contributo lavorando in nero) cinque milioni di poveri. Insomma l’unità va bene ma anche la coscienza di essere sull’orlo di un baratro e che le risorse che verranno impiegate per la ripresa saranno dei conti salatissimi che dovremo pagare, non dimenticandoci che gli Italiani complessivamente evadono per 150 miliardi all’anno e questo non è un esempio di unità. Su questa domanda vorrei divagare un poco prendendo ad esempio dei post che in questi giorni vedo sul mondo dello spettacolo a proposito di iniziative virtuose come quelle del governo tedesco. Secondo voi possiamo paragonarci? Oppure post “l’Italia è il paese della cultura e dell’arte”.  Ma si ha in mente quanto i governi “cattivi” del Nord investano in cultura? Chi ha frequentato i palcoscenici della Germania, Norvegia, Svezia ma anche dell’Olanda si rende conto di quanto i governi spendono e di quanto il pubblico sia presente e spenda i soldi di un biglietto, anche per andare a vedere musicisti non conosciuti; esiste insomma più senso di unità nel vedere la gente che conduce una vita sociale legata alla cultura, al ritrovarsi per un evento che non sia di natura commerciale o nazional-popolare; speriamo che cambi qualcosa che non sia l’unità dei flashmob dai balconi, e di tante altre iniziative che lasciano il tempo che trovano. Finisco il concetto dicendo che il mondo della musica ha sempre risposto al concetto di unità andando in aiuto sempre per le cause dei più deboli”.

-Sei soddisfatto di come si stanno muovendo i V/si organismi di rappresentanza?
“Il mondo del jazz, come è noto, per una parte si è associato in Federazione del Jazz Italiano, che riunisce l’associazione dei Musicisti, quella dei Festival ecc… (conoscete già chi ne fa parte) si tratta comunque di un buon inizio e credo siano stati fatti passi importanti, dato che prima non esisteva nulla; detto questo si ha la necessità di dare un’accelerazione vista la situazione contingente, lasciando da parte certi atteggiamenti garantisti solo per una piccola parte del jazz italiano, siamo una filiera e se una parte soffre, ne soffre l’intera catena. La mia non vuole essere una critica bensì un suggerimento attivo: AMJ, di cui faccio parte e che riunisce i musicisti di jazz, per avere più massa critica deve riuscire ad accogliere più musicisti non solo della fascia “giovanile” e per far questo deve riuscire a dare più fiducia a chi sarebbe intenzionato ad aggregarsi, ma non lo fa perché comunque non si sente rappresentato; è un duro lavoro, credo che l’attuale dirigenza stia facendo anche oltre il possibile, ma bisogna superare questo stallo e gli strumenti necessari si hanno basta metterli in atto. I-Jazz in questo momento, almeno per la fine del 2020 e credo per buona parte del 2021, dovrà essere cosciente del “capitale artistico“ che sono i musicisti di jazz Italiani ed imparare a valorizzarlo maggiormente, anche con importanti azioni di promozione, sviluppare azioni comuni per quanto riguarda il fundraising e mettere in campo, anche aiutati dal Governo, tutte quelle azioni che permettano di promuovere i Festival, Teatri, Rassegne, per riportare a loro il pubblico anche con una visone diversa,  prendendo spunto, come ho spiegato prima, dal pubblico dell’Europa del Nord”.

-Se avessi la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederesti?
“Il Governo ha iniziato un piccolo dialogo con la Federazione del Jazz ed “a bellu a bellu” ( traduzione dal sardo: a piccoli passi) sta iniziando un percorso. Nella Fase 3 post Coronavirus e con la riapertura delle frontiere chiederei: una disposizione finanziaria maggiore sia nelle attuali risorse per il Fus, sia meccanismi di avvicinamento per quei Festival e realtà importanti (e ce ne sono) che non hanno avuto la fortuna di aver accesso al Fondo Unico per lo Spettacolo; creare incentivi almeno per un quinquennio  per I Festival ed i Palinsesti che ospitino musicisti Italiani di Jazz (di qualsiasi età); creare una campagna di promozione di riavvicinamento del pubblico, anche reintroducendo e incentivando le iniziative statali e private, la programmazione della musica jazz e dei concerti com’era una volta. Infine, ma non meno importante, attivare l’Export Office, una Istituzione di promozione governativa, attiva con successo in tantissime nazioni, che in Italia deve dipendere dal MIBACT , con un modello a struttura aperta ed a sportello, con due call annuali che finanzino i viaggi dei musicisti che ne abbiano diritto, ovvero con dei contratti firmati da Festival ed Organizzazioni straniere, lo stesso Export  Office che andrà a promuovere il jazz Italiano nelle Fiere”.

-Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
“Diciamo che dopo quello che ho detto, consiglio a tutti di andare a scoprire la musica su Bandcamp, è un buon modo per essere uniti e solidali con i musicisti che non stanno lavorando in questo momento e naturalmente, una volta ascoltati i brani, scaricate gli album; trovate anche le più importanti etichette, digitate un genere ed andate a scoprire. Libri? “Logo Land” di Max Barry, per capire in un romanzo del 2003 la società attuale. “In Patagonia” di Bruce Chatwin, per comprendere un mondo in cui la distanza sociale è usuale. “Peggio di un Bastardo” autobiografia di Charles Mingus. Ed infine per chi volesse angosciarsi di più, ma con un libro straordinario “La Peste” di Albert Camus.

Gerlando Gatto

Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Francesco Cusa, batterista e scrittore

Intervista raccolta da Gerlando Gatto

Francesco Cusa, batterista, scrittore – ph Paolo Soriani

-Come sta vivendo queste giornate.
“Con la consapevolezza di chi attende una catarsi da ogni scenario distopico. In un certo senso posso dire di esser pronto a un evento del genere, avendo avuto una formazione che di simili scenari si è nutrita fin dall’adolescenza: dai fumetti, ai libri, al cinema. Ne ho scritto molto anche nei miei libri, ne parlo in vari miei racconti, come ne “I mille volti di Ingrid”. Dunque, questa “reclusione” per me significa ancora produrre: mi ritrovo con più cose da fare di “prima”, a tal punto che mi risulta difficile comprendere come riuscirò a realizzare tutti i miei progetti una volta finita questa emergenza”.

-Come ha influito tutto ciò sul suo lavoro? Pensa che in futuro sarà lo stesso?
“Naturalmente ho subito un grave danno con la cancellazione di molti concerti e di presentazioni dei miei libri. La mia proverbiale fortuna ha fatto sì che uscissero, poco prima dell’esplosione della pandemia, sia il libro “Il Surrealismo della Pianta Grassa” sia il cd doppio “The Uncle” dedicato all’amico recentemente scomparso Gianni Lenoci, con conseguenze facili da immaginare. Sono molto affranto perché avevo organizzato un tour pugliese in memoria di Gianni… speriamo di poter recuperare in futuro. A tal proposito ritengo che sarà molto difficile ripartire. Occorrerà approfittare di questo stallo per rivedere la politica dell’organizzazione musicale in Italia, liberarla dai gangli che la congestionano in clan e cordate, per una gestione e selezione più armoniche e meno elitarie. La parola d’ordine è comunque defiscalizzare”.

-Come riesce a sbarcare il lunario?
“Da quest’anno, e dopo quasi 15 anni di precariato in giro per l’Italia, a 53 anni suonati ho il mio primo contratto a tempo determinato al conservatorio di Reggio Calabria, dove insegno “Batteria Jazz”. Altrimenti l’avrei vista davvero dura. C’è da dire che ancora però non ho visto una lira… ops! Un euro”.

-Vive da solo o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante?
“Vivo da solo, molto felicemente e per scelta. Per me è una dimensione straordinaria il poter gestire il mio tempo e il mio spazio. C’è un sottile canto che viene intessuto nei reami del domestico. Certo, occorre avere antenne molto potenti e non sentire il bisogno di avere necessariamente qualcuno a fianco. Dico sempre che il vero single si riconosce dal fatto che quando rientra a casa alla sera e si chiude la porta alle spalle prova uno straordinario senso di pace”.

-Pensa che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?
“Fortunatamente, penso proprio di sì. Siamo di fronte a un fatto epocale che genererà un importante (ma non ancora decisivo) cambiamento bioenergetico in una grande parte della popolazione mondiale. I rapporti umani e professionali saranno caratterizzati da una prima naturale fase di formale diffidenza e straniamento, per poi tornare in una nuova dimensione di fascinazione. Simbolicamente, questa nuova modalità relazionale rappresenta lo zenit del processo di distanziazione fra sapiens, processo cominciato millenni fa e relativo all’alfabetizzazione”.

-Crede che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
“Senza ombra di dubbio. La musica come tutto il resto, ossia la meravigliosa opera creativa dell’uomo nel suo contesto ambientale, è l’antidoto sublime contro l’entropia. Nessun momento in cui ci è dato vivere è “terribile”. Nel dolore, nella sofferenza c’è sempre, a saper bene ascoltare, ciò che il filosofo indiano Abhinavagupta definiva il “Tremendo”, ossia quello stadio supremo che non è più conoscenza concettuale ma conoscenza- vita, il canto terrificante e suadente del mistero del campare. Siamo fortunati”.

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
“Affidarsi a qualcosa è già essere nella dipendenza. Occorre vivere il proprio tempo e le necessità che esso impone con la consapevolezza di essere nel posto giusto e al momento giusto. Sempre, anche nei momenti più difficili e umilianti della vita. Ci si può affidare a stento alla nostra coscienza e poi, semmai, donare per ricevere. Ma sempre con molta parsimonia, diffidando alquanto. Affidarsi a qualcosa di esterno è abbandonarsi al flusso delle maree. Da naufraghi, scegliere una fascinosa esistenza romantica nell’illusione dell’approdo”.

-Quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?
“C’è tutta la banalità necessaria a generare una buona dose di salutare nausea. Naturalmente la paura ha la grande capacità di rimuovere ostacoli, ma è semplicemente un riflesso dell’angoscia. Non si produce nulla di bello se si è nella paura. L’emergenza è lo stato prediletto dallo speculatore”.

-È soddisfatto di come si stanno muovendo i V/si organismi di rappresentanza?
“No. Anche perché non ho e non riconosco alcun organo che possa rappresentarmi. E poi rappresentare chi, quale me? Chi sono io? Un musicista? Uno scrittore? Un giullare? Un critico? Un impostore? Poco importa. Anche qui torna comoda la domanda precedente: ci si sarebbe dovuti muovere per tempo sulle cose da fare, su tutte assicurare un’intermittenza agli artisti, perché l’arte è il vero pane del mondo… non voto da decenni, non voglio essere rappresentato né politicamente, né tantomeno artisticamente. Posso scegliere di partecipare e condividere ciò che in me risuona e che ritengo utile alla causa comune. Ma dopo quasi trent’anni di vita spesa in collettivi artistici come Bassesfere e Improvvisatore Involontario, adesso preferisco seguire una mia via ‘ascetica’ “.

-Se avesse la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederebbe?

“Nulla. Attenderei che mi si chiedesse cosa posso offrire in base alle mie competenze”.

-Ha qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
“Oramai ascolto prevalentemente colonne sonore di film, dunque, non volendo fare l’ipocrita, consiglierei l’ascolto di due cd appena usciti e che vedono protagonista il mio caro amico Gianni Lenoci, recentemente scomparso: “The Whole Thing” con Gianni Lenoci al piano e Gianni Mimmo al soprano, appena uscito per Amirani, e il mio ultimo “The Uncle (Giano Bifronte)”, doppio cd appena sfornato da Improvvisatore involontario e Kutmusic”.

Gerlando Gatto

 

Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Claudio Angeleri, pianista

Intervista raccolta da Gerlando Gatto

Claudio Angeleri, pianista – ph: Dario Guerini

-Come sta vivendo queste giornate?
“Io sto a Bergamo. Il centro purtroppo di questa terribile epidemia. Ho cercato subito di essere vicino ai giovani facendo quello che so fare meglio. Cioè insegnando e suonando. Sono stato inoltre impegnato ad organizzare il Jazz Day on Line con l’Associazione Il Jazz va a scuola e il MIUR Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica. Le mie giornate sono davvero piene”.

-Come ha influito tutto ciò sul suo lavoro? Pensa che in futuro sarà lo stesso?

“Dall’inizio di questa triste avventura ho già perso una ventina di concerti. Il futuro non sarà assolutamente lo stesso. Cambieremo modo di essere e anche di fruire della musica per almeno i prossimi due / tre anni. Per questo motivo occorre rimodulare completamente il nostro lavoro. In tal senso il web mi ha dato la possibilità di aggiornare e ripensare le possibilità offerte dalla musica in rete. Sto registrando ad esempio diversi video didattici in cui suono anche molto”.

-Come riesce a sbarcare il lunario?
“Sono docente di ruolo nella scuola, dirigo e insegno pianoforte jazz al CDpM di Bergamo. Sono fortunato e così come me ci sono tanti musicisti che insegnano nelle scuole e nei conservatori. Il mio pensiero però ora va soprattutto a chi vive solo di concerti. Occorre un sostegno economico pubblico anche per questa categoria di lavoratori”.

-Vive da solo o con qualcuno. E quanto ciò risulta importante?
“La famiglia, gli affetti, l’amicizia sono un sostegno fondamentale in questo momento”.

-Pensa che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?
“I rapporti umani sono già cambiati. Credo però che in Italia non si capisca ancora cosa significhi vivere in una città come Bergamo dove, nel mese di marzo, moriva una persona ogni 10 minuti. Se si provasse a vivere solo un giorno qui da noi credo si cambierebbero tanti comportamenti irresponsabili che purtroppo avvengono in tutta Italia. Devo dire però che in questa situazione terribile ho sperimentato una straordinaria vicinanza di tante persone, amici che non sentivo da tempo, studenti. Sento di avere delle responsabilità per il ruolo che rivesto, quindi faccio del mio meglio per essere un esempio attraverso l’impegno, lo studio quotidiano, il lavoro”.

-Crede che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?

“La musica costituisce uno straordinario riferimento per tutti anche per chi non la pratica professionalmente come noi. Ci dà equilibrio, forza e speranza. È il futuro”.

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
“È difficile per un musicista rispondere a questa domanda. La musica è totalizzante e mettiamo tutti noi stessi anche nelle nostre componenti spirituali ed etiche oltre che artistiche. Per Coltrane la musica era innanzitutto preghiera, elevazione dell’anima”.

-Quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?
“Non lo trovo retorico. Siamo in guerra e dobbiamo essere uniti per vincere. Ne sono davvero convinto. Poi cercheremo le responsabilità e occorrerà essere molto severi. Ma ora bisogna andare oltre anche se capisco non sia facile”.

-È soddisfatto di come si stanno muovendo i V/si organismi di rappresentanza?
“I musicisti non hanno un vero sindacato di rappresentanza. L’associazione MIDJ, di cui sono referente regionale per la Lombardia, si è data molto da fare attraverso diverse iniziative di supporto all’emergenza economica. Oltre alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica e della politica sul “mestiere del musicista” però non si può fare molto di più. Certo che più siamo più contiamo. Quindi occorre esserci e mettersi in gioco”.

-Se avesse la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederebbe?
“È un discorso delicato. È facile sparare a zero sulla classe politica attuale, viste le competenze che esprime. Tuttavia ora non è il momento di cercare responsabilità su cui sarà necessario indagare molto approfonditamente dopo. Ora bisogna uscire dall’emergenza e quindi chiederei innanzitutto di agire in fretta nelle forniture dei materiali che servono ai medici e al personale sanitario riducendo la burocrazia e ascoltando solo gli scienziati più autorevoli. Poi sarà il momento della ricostruzione e saremo tutti chiamati a reinventarci. Serviranno idee, competenze e professionalità nuove. Ho molta fiducia nei giovani. Può essere una grande occasione”.

-Ha qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
Il jazz italiano oggi è molto variegato, ricco di stimoli ed eccellenti musicisti. Il panorama discografico riserva quindi delle piacevoli sorprese e comprando i dischi di jazz italiano si può inoltre sostenere concretamente il nostro settore. La rivista JazzIt, ad esempio, ha proposto i migliori 100 dischi del 2019. A Proposito di Jazz suggerisce già diversi ascolti. Fidiamoci e non resteremo pentiti”.

Gerlando Gatto