Intervista raccolta da Gerlando Gatto

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Intervista raccolta da Gerlando Gatto

Francesco Cusa, batterista, scrittore – ph Paolo Soriani

-Come sta vivendo queste giornate.
“Con la consapevolezza di chi attende una catarsi da ogni scenario distopico. In un certo senso posso dire di esser pronto a un evento del genere, avendo avuto una formazione che di simili scenari si è nutrita fin dall'adolescenza: dai fumetti, ai libri, al cinema. Ne ho scritto molto anche nei miei libri, ne parlo in vari miei racconti, come ne “I mille volti di Ingrid”. Dunque, questa “reclusione” per me significa ancora produrre: mi ritrovo con più cose da fare di “prima”, a tal punto che mi risulta difficile comprendere come riuscirò a realizzare tutti i miei progetti una volta finita questa emergenza”.

-Come ha influito tutto ciò sul suo lavoro? Pensa che in futuro sarà lo stesso?
“Naturalmente ho subito un grave danno con la cancellazione di molti e di presentazioni dei miei libri. La mia proverbiale fortuna ha fatto sì che uscissero, poco prima dell'esplosione della pandemia, sia il libro “Il Surrealismo della Pianta Grassa” sia il cd doppio “The Uncle” dedicato all'amico recentemente scomparso Gianni Lenoci, con conseguenze facili da immaginare. Sono molto affranto perché avevo organizzato un tour pugliese in memoria di Gianni… speriamo di poter recuperare in futuro. A tal proposito ritengo che sarà molto difficile ripartire. Occorrerà approfittare di questo stallo per rivedere la politica dell'organizzazione musicale in Italia, liberarla dai gangli che la congestionano in clan e cordate, per una gestione e selezione più armoniche e meno elitarie. La parola d'ordine è comunque defiscalizzare”.

-Come riesce a sbarcare il lunario?
“Da quest'anno, e dopo quasi 15 anni di precariato in giro per l'Italia, a 53 anni suonati ho il mio primo contratto a tempo determinato al conservatorio di Reggio Calabria, dove insegno “Batteria Jazz”. Altrimenti l'avrei vista davvero dura. C'è da dire che ancora però non ho visto una lira… ops! Un euro”.

-Vive da solo o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante?
“Vivo da solo, molto felicemente e per scelta. Per me è una dimensione straordinaria il poter gestire il mio tempo e il mio spazio. C'è un sottile canto che viene intessuto nei reami del domestico. Certo, occorre avere antenne molto potenti e non sentire il bisogno di avere necessariamente qualcuno a fianco. Dico sempre che il vero si riconosce dal fatto che quando rientra a casa alla sera e si chiude la porta alle spalle prova uno straordinario senso di pace”.

-Pensa che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?
“Fortunatamente, penso proprio di sì. Siamo di fronte a un fatto epocale che genererà un importante (ma non ancora decisivo) cambiamento bioenergetico in una grande parte della popolazione mondiale. I rapporti umani e professionali saranno caratterizzati da una prima naturale fase di formale diffidenza e straniamento, per poi tornare in una nuova dimensione di fascinazione. Simbolicamente, questa nuova modalità relazionale rappresenta lo zenit del processo di distanziazione fra sapiens, processo cominciato millenni fa e relativo all'alfabetizzazione”.

-Crede che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
“Senza ombra di dubbio. La musica come tutto il resto, ossia la meravigliosa opera creativa dell'uomo nel suo contesto ambientale, è l'antidoto sublime contro l'entropia. Nessun momento in cui ci è dato vivere è “terribile”. Nel dolore, nella sofferenza c'è sempre, a saper bene ascoltare, ciò che il filosofo indiano Abhinavagupta definiva il “Tremendo”, ossia quello stadio supremo che non è più conoscenza concettuale ma conoscenza- vita, il canto terrificante e suadente del mistero del campare. Siamo fortunati”.

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
“Affidarsi a qualcosa è già essere nella dipendenza. Occorre vivere il proprio tempo e le necessità che esso impone con la consapevolezza di essere nel posto giusto e al momento giusto. Sempre, anche nei momenti più difficili e umilianti della vita. Ci si può affidare a stento alla nostra coscienza e poi, semmai, donare per ricevere. Ma sempre con molta parsimonia, diffidando alquanto. Affidarsi a qualcosa di esterno è abbandonarsi al flusso delle maree. Da naufraghi, scegliere una fascinosa esistenza romantica nell'illusione dell'approdo”.

-Quanto c'è di retorica in questi continui richiami all'unità?
“C'è tutta la banalità necessaria a generare una buona dose di salutare nausea. Naturalmente la paura ha la grande capacità di rimuovere ostacoli, ma è semplicemente un riflesso dell'angoscia. Non si produce nulla di bello se si è nella paura. L'emergenza è lo stato prediletto dallo speculatore”.

-È soddisfatto di come si stanno muovendo i V/si organismi di rappresentanza?
“No. Anche perché non ho e non riconosco alcun organo che possa rappresentarmi. E poi rappresentare chi, quale me? Chi sono io? Un musicista? Uno scrittore? Un giullare? Un critico? Un impostore? Poco importa. Anche qui torna comoda la domanda precedente: ci si sarebbe dovuti muovere per tempo sulle cose da fare, su tutte assicurare un'intermittenza agli artisti, perché l'arte è il vero pane del mondo… non voto da decenni, non voglio essere rappresentato né politicamente, né tantomeno artisticamente. Posso scegliere di partecipare e condividere ciò che in me risuona e che ritengo utile alla causa comune. Ma dopo quasi trent'anni di vita spesa in collettivi artistici come Bassesfere e Improvvisatore Involontario, adesso preferisco seguire una mia via ‘ascetica' “.

-Se avesse la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederebbe?

“Nulla. Attenderei che mi si chiedesse cosa posso offrire in base alle mie competenze”.

-Ha qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
“Oramai ascolto prevalentemente colonne sonore di film, dunque, non volendo fare l'ipocrita, consiglierei l'ascolto di due cd appena usciti e che vedono protagonista il mio caro amico Gianni Lenoci, recentemente scomparso: “The Whole Thing” con Gianni Lenoci al piano e Gianni Mimmo al soprano, appena uscito per Amirani, e il mio ultimo “The Uncle (Giano Bifronte)”, doppio cd appena sfornato da Improvvisatore involontario e Kutmusic”.

Gerlando Gatto

 

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