Intervista raccolta da Gerlando Gatto

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Intervista raccolta da Gerlando Gatto

Antonella Vitale, vocalist – foto Víctor Sokolowicz

-Come stai vivendo queste giornate?
“Non è stato facile accettare una condizione così “surreale”. Ricordo che dopo il primo Decreto restrittivo dell’8 Marzo sono stata sopraffatta dall’ansia, dall’incredulità, poi come tutti mi sono dovuta adattare alla nuova condizione cercando di mettere a fuoco l’unico aspetto positivo e anche anomalo della quarantena, cioè il “tempo libero”, pare assurdo ma la sensazione di avere 12 ore libere a disposizione senza nessun impegno mi ha spiazzata!  Il grande silenzio per le strade completamente svuotate dalla routine giornaliera, che magari in altri momenti sarebbe   stato un fantastico generatore di creatività, questa volta suonava strano e un po’ inquietante, così la capacità di concentrazione è venuta meno anche solo per leggere la pagina di un libro. Adesso va meglio, riesco a ritagliarmi i miei spazi, non vedo i TG, ho la giornata scandita da incombenze familiari e domestiche, dipingo, canto e registro video con amici musicisti (ognuno rigorosamente a casa propria) e cerco di non pensare. L’amara consapevolezza di quanto il famoso delirio di onnipotenza dell’uomo in circostanze come questa esca di scena per lasciare posto al sentimento della paura che forse è più pandemica di ogni altro virus,  mi passa nella testa come insidiose interferenze radio”.

-Come ha influito tutto ciò sul tuo lavoro? Pensi che in futuro sarà lo stesso?
“Non credo che tutto ritorni come prima, per un buon periodo le misure restrittive impediranno sicuramente che le nostre abitudini tornino alla normalità. L’allontanamento sociale cui siamo sottoposti avrà delle conseguenze future e per tutto il settore artistico rappresenterà un problema serio. Proprio giorni fa in una conversazione telefonica io e te caro Gerlando, ci chiedevamo come potranno in futuro riempirsi nuovamente le platee dei teatri, dei cinema, dei Festival… saremo tutti condizionati dal “contagio” dal mantenimento delle distanze almeno fino a che non troveranno delle cure mirate… e che questo virus non scompaia del tutto.
I social come FB, Instagram,  in giornate così particolari, permettono a tutti, specie a chi è costretto a vivere questi giorni in solitudine, di sentirsi in compagnia. Il musicista poi ha  bisogno di quel pizzico di visibilità che rappresenta un nutrimento necessario per vivere, vedo molte dirette FB in cui chi può organizza delle piccole session o delle brevi interviste… insomma cerchiamo tutti  di mantenere alto lo stato vitale e per il momento ci adattiamo  così. Io stessa ogni tanto pubblico dei video “#ai tempi del coronavirus” registrati a casa con mezzi rudimentali, insieme ad  amici musicisti,  è un modo per sentirsi  in una collettività dove come sempre la Musica fa da collante e panacea per l’anima”.

-Come riesci a sbarcare il lunario?
“Io fortunatamente ho un impiego part-time che mi permette un minimo garantito, i concerti rappresentavano un piccolo incentivo in più (l’esiguo cachet degli ultimi anni,  non permette certo un’agiatezza economica) ma il punto è che noi  musicisti  abbiamo la sindrome da “palco”, e questo non perché siamo malati, anzi! Le esibizioni live rappresentano l’unico momento di contatto reale con il pubblico con il quale  dialoghi attraverso la tua musica le tue emozioni, la tua espressività. Questa è la vera magia”.

-Vivi da solo o con qualcuno. E quanto ciò risulta importante?
“Vivo con mio marito e mio figlio. Ho dato sempre alla famiglia la priorità assoluta. Ho costruito qualcosa di importante cui non posso prescindere. Mio marito è un uomo che stimo molto anche per le sue qualità professionali, Oltre ad essere un docente di Storia dell’arte è anche un eccellente fonico con il quale ho realizzato praticamente tutti i miei lavori discografici. La musica ti accende, ti nutre ma spesso può anche spegnerti e interferire nei tuoi stati d’animo, la famiglia è il mio angolo protetto dove trovare rifugio nella routine quotidiana e dove ritrovare un po’ di me stessa”.

-Pensi che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa? 

“Credo proprio di sì. Abbiamo bisogno delle relazioni senza di cui la vita non avrebbe senso. Attraverso gli altri abbiamo modo di conoscere meglio noi stessi e credo che un evento come questo ci stia facendo riflettere. Vedo i segnali ovunque… ci telefoniamo… ci video-chiamiamo… ci scriviamo… abbiamo bisogno di conforto reciproco e di sapere che non siamo soli. Non saprei se i rapporti professionali subiranno dei cambiamenti, al momento c’è un grande spirito di collaborazione che speriamo continui anche in futuro con lo stesso entusiasmo”.

-Credi che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
“Come ogni forma d’arte la musica è molto importante perché lavora sulle emozioni attraverso i suoni, smuove l’immaginazione, attiva la corteccia cerebrale, il pensiero, insomma è terapeutica, universale e non lo affermo io ma lo hanno  da sempre dichiarato filosofi, musicologi  e scienziati. Cosa potrei dire di più? È evidente che se oggi la musica nel nostro Paese venisse considerata un elemento di alto valore educativo e culturale per la nostra società, probabilmente sarebbe di grande aiuto sotto tanti aspetti primo tra tutti quello di fungere da supporto psicologico in un momento così particolare in cui il nostro stato d’animo è stato messo a dura prova”.

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?

“Ci si può affidare a noi stessi, alla nostra umana capacità di resistere ai cambiamenti. È sempre stato cosi, abbiamo risorse infinite, i nostri antenati vivevano nelle caverne e si trovavano in un habitat sconosciuto in balia di ogni pericolo. Ne è passato del tempo, tra glaciazioni, carestie guerre… insomma la specie umana è ancora qui e siamo miliardi di persone, forse un motivo ci sarà”.

Quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?
“La retorica è diventata d’uso comune, si parla per stereotipi, c’è l’appello continuo rivolto ai cittadini di restare uniti, compatti, si tira spesso in ballo il termine “resilienza”. Va tutto bene, in Italia vivono circa 60 milioni di persone ed è giusto uniformarsi a delle direttive prese dal governo per arginare la pandemia, ma l’unità fino a quando? Cosa accadrà dopo questo lockdown? E soprattutto quanto durerà?”.

Sei soddisfatta di come si stanno muovendo i Vostri organismi di rappresentanza?
“Al momento quello che noto è una grande confusione. La quarantena dura da più di un mese e la mancanza a tutt’oggi di terapie per sconfiggere il virus ci lasciano timorosi, preoccupati, stanchi del distanziamento imposto. La politica dovrebbe essere coesa a garantire a tutti un sostegno immediato veloce, lasciando da parte la burocrazia farraginosa. Il governo manterrà l’impegno di tutelare tutte le classi lavorative più fragili e colpite, nessuna esclusa? Il settore “Cultura e spettacolo” per il quale la conta dei danni è una voragine enorme, lascia sospesi nel vuoto della precarietà artisti di ogni categoria e purtroppo sento sollevare pochissimo il problema da parte dei vari ministri. Questo mi spiace, perché siamo un paese che ha insegnato l’arte al mondo e non dovremmo dimenticarlo mai”

Se avessi la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederesti?
“È partita una petizione  #velesuoniamo, diretta al Governo proprio per chiedere un tavolo interministeriale tra MiBACT, Inps e Ministero del Lavoro per la tutela previdenziale e la protezione per tutto il settore dei lavoratori dello spettacolo promossa da Paolo Fresu, Ada Montellanico e Simone  Graziano e sono state già raggiunte quasi 60.000, firme… speriamo bene. Chiederei a questo al Governo di prendere in seria considerazione gli incentivi e gli aiuti alla Cultura e al mondo dello Spettacolo e siccome sono una musicista lo farei citando una bellissima frase di Nietzsche che recita…”Senza la musica la vita sarebbe un errore” “.

 

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