Romolo Grano, un grande musicista per il piccolo schermo

Con “La grande magia”, scritta nel 1948, Eduardo De Filippo opera una frattura nel proprio repertorio passando ad una drammaturgia di solco pirandelliano. Rai 5 ne ha trasmesso, lo scorso 15 agosto per la serie “Stardust Memories”, la produzione TV del 1964, interpreti, fra gli altri, Giancarlo Sbragia, Antonio Casagrande, Lando Buzzanca, Enzo Cannavale.

La messinscena, ripresa con successo da Strehler nel 1985, è di taglio psicologico/psicoanalitico e si snoda su un intreccio in cui si guarda, fra pulsioni e cervello “indipendente”, alle varie forme di percezione del reale. La stessa offre anche una lettura più interna, quella musicale, che è opera di Romolo Grano, compositore e direttore d’orchestra nato a Cosenza alla vigilia del ferragosto 1929, noto per colonne sonore cinematografiche (“Ça ira”, “Il fiume della rivolta”, il documentaristico diario africano “Le montagne della luce” con Gianni Oddi, il cui album è stato ristampato nel 2019 da Four Flies), dischi per oltre 30 titoli fra cui “Messico” e “Tropical” del ’72, “Musica elettronica” del 1973, con effetti sonori ascoltabili anche nel suo famoso tema “Killimangiaro”, del 1975, stesso anno di “Sweet Dream” inciso con Oddi al sax per la RCA, nonché autore di sigle per trasmissioni come “Telefono giallo” e soprattutto di soundtrack per sceneggiati TV.

Non era semplice adattare suoni ad una rappresentazione eduardiana così amaramente dedicata all’illusione, dalla trama noire incentrata sulla sparizione, nel pieno dello spettacolo di un giocoliere, di una donna, con relative rimostranze del di lei marito, il geloso Calogero Di Spelta, destinato allo stralunamento per lo choc derivante dall’aver appreso della fuga dell’amata con l’amante. L’illusionista Otto Marvuglia (Eduardo) tratta le sue cavie con esperimenti dilettanteschi che mescolano verità e finzione, addentrandosi peraltro in questioni filosofiche come quella inconoscibilità del reale, adombrata da Pirandello in “Cosi è se vi pare”. Grano, all’inizio della pièce, utilizza una partitura che si può ascrivere alla musica contemporanea. La diretta conoscenza di Luigi Nono e la frequentazione della Scuola di Darmstadt, la padronanza esecutiva di brani di Bruno Maderna ma anche il rapporto con Diego Carpitella per le ricerche etno-musicali fanno parte del suo versatile curriculum artistico. Nel successivo sviluppo della commedia il musicista adopera toni bandistici dotati di andamento nostalgico alla Nino Rota, alternandone altri festosi, onirici o misterici, a seconda della situazione scenica da chiosare. Un musicista, Grano, che De Filippo ha modo d’includere nello staff dell’allestimento – giocato su due piani, realtà e magia illusoria di teatro e vita – riservandogli spazi che la prosa non sempre lascia alla musica. Successivamente Grano verrà chiamato a musicare sceneggiati come alcuni episodi di “Sheridan” (1967) e “Maigret” (1968), “Nero Wolfe” (1969), “Joe Petrosino”(1972), “L’amaro caso della baronessa di Carini” (1975), “Madame Bovary” (1978), Punto d’osservazione” (1981), “Buio nella valle” (1984) …

Un maestro del ramo, un Morricone delle colonne sonore televisive, alcune delle quali raccolte in un prezioso LP RCA del 1976 che il database Discogs cataloga nei generi “electronic, jazz, classical, stage & screen” con apertura stilistica a 360 gradi fra sperimentale ed “easy listening”.

E il binomio De Filippo/Grano – replicato nel ’64 in “Chi è cchiù felice ‘e me” – rende ancora più visibile la poliedricità di un musicista la cui opera andrebbe maggiormente valutata e rivalutata.

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Amedeo Furfaro