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Jon Balke – “Discourses”- ECM
Jon Balke è artista che mai delude ed anche questa sua ultima fatica discografica si mantiene su livelli di classe elevata. More solito, l'artista lascia prevalere l'espressività, i contenuti di ciò che si vuole comunicare, rispetto a qualsivoglia muscolare dimostrazione di tecnica strumentale Di qui un pianismo scarno, elegante, assai curato nel suono e integrato da interventi di elaborazione elettronica, quali «riverberi e riflessi del mondo che vengono distorti». Prima accennavo ai contenuti: in questo album il musicista nordeuropeo ha voluto altresì trasmettere un messaggio ben preciso, da lui stesso esplicitato con le seguenti parole: “Mentre nel 2019 il clima politico si inaspriva, con discorsi sempre più polarizzati, la mancanza di dialogo mi ha indirizzato verso i termini che costituiscono i titoli delle singole tracce”. Ma al di là degli enunciati e dei singoli titoli, la musica riesce a rispecchiare quanto dichiarato? A mio avviso sì: la musica di Balke accoglie in sé una serie di spunti, di idee anche contraddittorie così come avviene nel mondo reale. Ecco quindi espliciti riferimenti ad un certo romanticismo (“The facilitator”, “The container”) mescolarsi con influssi impressionisti (“The how”) senza dimenticare da un lato il grande J.S.Bach dall'altro il jazz nelle sue forme più attuali. Insomma una sorta di moderno caleidoscopio a riflettere in maniera perfetta il mondo interiore di un artista che nel corso di una lunga carriera ha sempre guardato al futuro, mai soffermandosi sui traguardi raggiunti.

Paolo Benedettini – “Re: Connections” – Double Record
Il contrabbassista Paolo Benedettini può vantare un ricchissimo e significativo curriculum a cominciare dal lungo periodo trascorso a New York dove è stato membro stabile del trio del compianto batterista Jimmy Cobb insieme al pianista Tadataka Unno; sempre negli States ha collaborato con molti altri artisti tra cui Harold Mabern, Joe Magnarelli, Joe Farnsworth, Eric Reed, e per le tournée europee Joe Farnsworth, Eric Alexander e David Hazeltine. Rientrato da poco in Italia ha firmato questo “Re: Connections” che sta ad indicare proprio il ritorno e quindi la riconnessione con il passato. Passato che si avverte pure nella scelta dei compagni d'avventura dal momento che il chitarrista Marco Bovi e il pianista Nico Menci hanno accompagnato spesso Benedettini nelle fasi iniziali della sua carriera. L'album è notevole; d'altro canto un artista del calibro di Ron Carter non si sarebbe speso a scriverne le liner notes se non fosse stato assolutamente convinto della musica proposta dal contrabbassista, e non si sarebbe spinto a dichiarare, cito testualmente, “La sua versione del mio brano “For Toddlers Only” vi stenderà, così come ha fatto con me”. Tra gli altri brani degni di menzione “Chovendo Na Roseira”, uno standard brasiliano di Jobim presentato in modo allo stesso tempo pertinente e originale, e “Il “Coro a bocca chiusa” della “Madama Butterfly di Puccini, uno dei due espliciti riferimenti alla musica lirica (l'altro è “Entr'acte I”, derivato dalla Carmen di Bizet).

Mauro Bottini – “By Night” – ACP
In “By night”, il sassofonista Mauro Bottini si presenta in compagnia di Cristiano Coraggio alla batteria, Marco Massimi al basso e Antonino Zappulla alle tastiere (pianoforte, Fender Rhodes e Organo), cui si aggiunge in un solo brano – “Rome by Night” scritto da Bottini – la pregevole chitarra di Rocco Zifarelli. L'album è dedicato alla notte, un momento particolare nella vita di tutti noi, ma ancora più particolare per i musicisti che di notte spesso vivono, suonano e quindi evidenziano la propria personalità. Personalità, nel caso di Bottini, delineata da tempo a disegnare un artista maturo, perfettamente conscio delle proprie possibilità e che, proprio per questo, non esita ad esibirsi nella triplice veste di sassofonista, leader e compositore. Insomma, già dall'ascolto di questo album, si può avere una visione chiara della bravura di Bottini che ci restituisce un quadro della “notte” a tinte variegate così come deve essere, in cui ad atmosfere fusion (si ascolti Rocco Zifarelli nel brano d'apertura), a tratti anche funk si alternano dolci ballad, il tutto caratterizzato da una fruttuosa ricerca sulle linee melodiche. Al riguardo da segnalare soprattutto “My Princess”, composta ancora da Bottini mentre sotto il profilo ritmico da ascoltare con particolare attenzione “If” di Antonino Zappulla.

Max De Aloe – “Just For One Day – The music around David Bowie” – barnum
Armonicista di grande sensibilità e dotato di un sound affatto personale, Max De Aloe si ripresenta alla testa del suo quartetto, stabile oramai da più di dieci anni, con Roberto Olzer al pianoforte, Marco Mistrangelo al contrabbasso e Nicola Stranieri alla batteria.
In repertorio tredici brani che rappresentano un viaggio attorno alla musica di David Bowie, una vera e propria icona del rock internazionale, con l'aggiunta di cinque pezzi composti dallo stesso armonicista. De Aloe affronta il non facile repertorio alla sua maniera, ovvero con sensibilità, eccellente senso melodico, grandi capacità architettoniche e quel suono che, come accennato in precedenza, costituisce la specialità della casa. Di qui una musica sorprendente che lungi dal caratterizzarsi come semplice riproposizione di brani già noti, tende a reinventarli secondo la personalissima visione del leader, in un momento particolare come l'attuale. In effetti è lo stesso Max, nelle note di copertina, ad informarci di come nei giorni in cui avrebbero dovuto essere in studio di registrazione, si è ritrovato vittima del Covid 19, allettato per più di un mese. La convalescenza è stata lunga e non senza problematiche cosicché sarebbe stato meglio attendere ancora un po' prima di registrare. Ma De Aloe voleva registrare il prima possibile in quanto ciò che l'affascina nella musica “non è l'idea di perfezione ma la sua visceralità, autenticità e urgenza espressiva” Così il 20 luglio scorso è entrato in studio di registrazione e i risultati stanno lì a dimostrare quanto avesse ragione! Particolarmente toccante l'interpretazione di “Lazarus”, considerata a ben ragione la canzone simbolo del testamento musicale di Bowie

Massimiliano Génot, Emanuele Sartoris – “Totentanz – Evocazioni Lisztiane” – Dodicilune
Un duo pianistico impegnato in un repertorio originale ma esplicitamente ispirato alla musica di Franz Liszt, ad eccezione dei brani di apertura e chiusura dovuti rispettivamente a Génot e Sartoris, e al già citato Listz. Come si evidenzia da quanto detto, un esperimento già tentato nel mondo del jazz con esiti alterni in quanto collegare jazzisti al mondo classico è impresa certo non facilissima. Questa volta la sfida presenta due incognite in più: innanzitutto l'eterogeneità del duo in quanto mentre Massimiliano Génot è artista ben affermato nel mondo della musica classica, Emanuele Sartoris è pianista jazz; in secondo luogo “Totentanz”, opera non molto conosciuta, è stata scritta per pianoforte e orchestra. I due pianisti affrontano le complesse partiture con l'intento non di riprodurle sic et simpliciter, ma di fornirne una propria originale visione che si appalesa, particolarmente in due brani: “Toten-Rag” in cui il pensiero di Liszt viene declinato in termini di ragtime mentre in “Hispanic Barbarian Fantasy” i due pianisti tendono a sottolineare come la musica colta europea dell'ottocento e del novecento sia stata fortemente influenzata dalle musiche ispaniche a loro volta debitrici delle tradizioni arabe. Insomma come acutamente osserva Paolo Fresu nelle note di copertina, “un'opera senza confini capace di abbattere le tante barriere che il macabro mondo odierno edifica”.

Maurizio Giammarco – “Only Human” – PMR
Conosco Maurizio Giammarco da oltre quarant'anni per cui posso affermare, senza tema di smentita, che si tratta di una delle persone – al di là della statura artistica – intellettualmente più oneste che mi sia capitato di conoscere. Ed è in questo solco che si inscrive anche “Only Human” inciso con “Halfplugged Syncotribe” vale a dire la nuova versione espansa a quintetto del trio Syncotribe, già attivo da un quinquennio; il gruppo risulta quindi formato, oltre che dal leader, da Luca Mannutza il quale affianca all'organo anche il piano acustico e quello elettrico, da Paolo Zou, giovane chitarrista romano, dal bassista Matteo Bortone e dal batterista Enrico Morello. In repertorio nuove composizioni appositamente pensate per questo gruppo da Giammarco e presentate a gennaio scorso nell'ambito della rassegna Recording Studio. Il concerto è diventato per l'appunto questo “Only Human” che, come dichiara lo stesso Giammarco, “viene incontro a un sentimento d'insofferenza, ovvero quella che provo di fronte all'uso generalizzato e irresponsabile degli strumenti di comunicazione di massa”. Il titolo “Only Human” fa riferimento quindi al “risveglio di un nuovo umanesimo”. Di qui una musica non sempre facile, alle volte sghemba, caratterizzata come sempre da una indiscussa originalità, da un notevole equilibrio fra tradizione e sperimentalismo e da una ricca tavolozza sonora e timbrica dovuta soprattutto a Luca Mannutza e Paolo Zou che – dichiara ancora Giammarco – “suona la chitarra in modo differente da come solitamente la suonano i chitarristi di jazz, usando gli effetti e tutto il potenziale dello strumento”.

Bruno Marini – “4” – Arte Sonora
“Love Me or Leave Me” – Arte Sonora
Due gli album del baritonista veronese Bruno Marini in scaletta questa volta. In “4” il leader è accompagnato da Marcello Tonolo al piano, Marc Abrams al contrabbasso e Valeri Abeni alla batteria. In repertorio sei brani composti dallo stesso Marini (quattro) e da Tonolo (due), registrati a Verona nel luglio del 1985, già comparsi su LP e ora ripubblicati, dopo 35 anni, su CD. Si tratta, insomma, come sottolineato nella stessa copertina dell'album, di “historical tapes”. In realtà queste sono le prime tracce incise dal quartetto dopo un certo lasso di tempo speso a suonare in club e festival. Già allora il gruppo appariva ben rodato, in grado di produrre musica di eccellente livello, sempre in bilico tra pagina scritta e improvvisazione, grazie sia all'intesa tra i musicisti, sia alla bravura dei singoli; non a caso l'album venne registrato in soli cinque giorni.
Anche “Love me or leave me” contiene “historical tapes” dal momento che è stato registrato e pubblicato su LP solo due anni dopo il già citato “4” vale a dire nel 1987. Il sassofonista questa volta è in trio con Charlie Cinelli al contrabbasso e Alberto Olivieri alla batteria, quindi senza uno strumento armonico. In repertorio oltre agli otto brani contenuti nell'LP, “The Lady Is A Tramp” di Rodgers e Hart come bonus track. Alle prese con brani che fanno parte del song-book jazzistico come “Thelonious” di Monk, la title track di Donaldson e Kahn e “Bye Bye Blackbird” di Henderson e Dixon, Marini se la cava egregiamente denotando, già all'epoca, una raggiunta maturità suffragata da una grande padronanza tecnica e una buona capacità improvvisativa. Tra i brani da segnalare i due original di Marini, “Blue Mob” e “All the Things You Could Be”, che si rifanno piuttosto apertamente alle atmosfere disegnate da Gerry Mulligan nei primissimi anni '50.

Mos Trio – “Metamorfosi” – Emme Record
Disco d'esordio per il “mOs trio” pubblicato il 10 aprile 2020 dall'etichetta Emme Record Label. Protagonisti Giuseppe Santelli al pianoforte, altresì autore di tutti i brani eccezion fatta per il celeberrimo “Take Five” di Dave Brubeck, Renzo Genovese al basso elettrico e Simone Ritacca alla batteria. A mio avviso la forza del trio si basa su due pilastri: da un canto il sapersi muovere tra diversi stili ma con un occhio sempre attento alla tradizione, dall'altro la profonda intesa che si è instaurata fra i tre e che li porta ad improvvisare ben sapendo che i compagni d'avventura non si perderanno per strada. Di qui una musica variegata che passa con disinvoltura, ma senza sbavature, dal jazz propriamente detto (si ascolti ad esempio il brano d'apertura “La strada del ritorno” con un Ritacca in evidenza) ad atmosfere latin-jazz come quelle disegnate in “Nostalgia” con una dolce linea melodica; dai suadenti ritmi dispari di ”Flowing” alla title track che, dopo un assolo di batteria, si apre ad una dolce melodia espressa dal pianoforte di Santelli ben sostenuto soprattutto da Renzo Genovese, il tutto con un occhio rivolto a certe forme della musica classica; dalla spagnoleggiante “A Toledo” al clima onirico di “My Thoughts” fino alla conclusiva “Take Five” la cui esecuzione è corretta…anche perché dire qualcosa di nuovo nell'interpretazione di questo pezzo è impresa molto, ma molto difficile, al limite dell' impossibile.

Benjamin Moussay – “Promontoire” – Ecm
Novità in casa Ecm, l'incisione per piano solo del francese Benjamin Moussay che avevamo imparato a conoscere grazie alle registrazioni con il conclamato clarinettista Louis Sclavis (“Sources” 2012, “Salt and Silk melodies” 2014, “Characters On A Wall” pubblicato nel settembre del 2019, tutti e tre targati ECM) e con il nostro Francesco Bearzatti (“Dear John“ maggio 2019). Con “Promontoire” Moussay offre la sua più intima e personale proposta, caratterizzata da un profondo lirismo e da una non comune intensità espressiva. Registrato tra il gennaio e l'agosto del 2019, l'album presenta dodici composizioni originali dello stesso pianista, tutti di durata inferiore ai 5 minuti, e tre addirittura al di sotto dei due minuti. Quindi da un lato l'intenzione dell'artista di non battere vie conosciute, avventurandosi nella creazione dell'intero repertorio; dall'altro l'esposizione di un pianismo fatto di brevi frasi, essenziale, a tratti quasi minimalista e purtuttavia con due sostanziali punti di riferimento: Bill Evans e Keith Jarrett. Moussay si mantiene sempre in un difficile equilibrio tra l'improvvisazione propria del linguaggio jazzistico ed un occhio attento alle più moderne espressioni della musica colta. In questo senso vanno lette alcune sue composizioni quali, ad esempio, “Théa” che forse non a caso chiude l'album. Tra gli altri brani di particolare interesse “L'oiseau d'or” probabilmente il brano più prettamente jazzistico dell'intero album.

Francesca Naibo – “Namatoulee” – Aut records
Tanto straniante quanto interessante questo album d'esordio della chitarrista veneta, milanese d'adozione, Francesca Naibo, che si esprime in assoluta solitudine. L'artista è giunta a questa prima fatica discografica dopo essersi fatta conoscere grazie alle collaborazioni con personaggi quali Marc Ribot e George Lewis. Straniante, dicevo, perché qui siamo davvero nell'apoteosi del sound. In effetti trovare in questa musica una qualsivoglia traccia melodica è impresa quanto mai difficile; si trascurano le parole e si va al di là di qualsivoglia schema predefinito. In compenso l'ascoltatore è immerso in un'orgia di suoni in cui la Naibo appare come una sorta di deus ex machina capace di padroneggiare questa materia incandescente in cui la libera improvvisazione di chiara matrice jazzistica e propria soprattutto delle avanguardie afroamericane si confronta e dialoga con le più acute sperimentazioni in campo sonoro proprie della colta musica contemporanea. In buona sostanza si tratta di una sfida aperta che la Naibo affronta forte di una solidissima preparazione tecnica e, probabilmente quel che più conta, con una straordinaria lucidità che le consente di andare avanti per la sua strada alla ricerca di forme espressive assolutamente nuove ed originali. Qualcuno ha voluto paragonare la Naibo alla Mary Halvorson, parallelismo a mio avviso forse un po' troppo frettoloso: aspettiamo e vediamo quel che succede!

Chiara Pastò – “The Other Girl” – Velut Luna
Devo onestamente ammettere che questo album mi ha molto stupito: mi era stato presentato quasi come un disco di musica leggera ed ho invece scoperto un CD raffinato, concepito molto bene, registrato in maniera superlativa (così com'è consolidato costume della Velut Luna e del produttore Marco Lincetto) e che sfugge a qualsivoglia criterio di classificazione …certo escludendo la musica colta e quella contemporanea. Protagonista una vocalist di sicuro spessore quale Chiara Pastò, che può vantare una solida preparazione di base: canto, violino, pianoforte imparati appena adolescente, quindi il conservatorio di Vicenza dove studia con importanti personalità del jazz italiano quali Francesca Bertazzo, Salvatore Maiore, Piero Tonolo, Mauro Beggio, Paolo Birro. I primi passi professionali nel 2018 quando firma un contratto di esclusiva con la casa discografica Velut Luna con cui nel 2019 incide il suo primo disco. Ed ecco ora questo “The Other Girl” in cui la vocalist mette sul tappeto tutto il suo patrimonio musicale in cui è facile individuare echi di Joni Mitchell, Pearl Jam, Fred Bongusto, Mango, Luigi Tenco, Milva, Ornella Vanoni, Francesco De Gregori, Steve Wonder e Dee Dee Bridgewater. Una ricchezza di orizzonti che le consente di affrontare un repertorio non facilissimo composto in massima parte da brani originali con l'eccezione di “Lontano, lontano” di Luigi Tenco e “Cry Me A River” di Arthur Hamilton. Ben coadiuvata da un ensemble di eccellenti professionisti e da un'orchestra d'archi e da ottimi arrangiamenti curati in massima parte da Fabrizio Castania, la Pastò si esprime con grande coerenza lungo tutto l'album, evidenziando una timbrica originale e una grande capacità di interpretare i testi (per altro notevoli) in lingua italiana.

Oscar Pettiford – “Baden-Baden 1959, Karlsruhe 1958” – Jazz Haus
Oscar Pettiford fu uno dei più influenti contrabbassisti della storia del jazz tanto da definire uno stile esecutivo preso a modello da molti strumentisti, senza contare che fu tra i primi ad introdurre il violoncello nel jazz quando i postumi di una frattura al braccio non gli consentivano di suonare il contrabbasso. Questo album lo coglie in un momento particolare della sua carriera. Siamo negli ultimi anni '50 quando Joachim-Ernst Berendt lo convince a recarsi in uno studio di registrazione di Baden-Baden alla testa di una band che comprende alcuni dei migliori jazzisti europei dell'epoca, come il chitarrista Attila Zoller, il trombettista Dusko Goykovich, il pianista Hans Hammerschmid, il clarinettista Rolf Kühn, mentre da Parigi arrivano il batterista Kenny Clarke e il sassofonista Lucky Thompson. Questa straordinaria formazione incide una decina di brani che sono puntualmente riprodotti in questo album unitamente ad altri sei brani registrati con una formazione leggermente modificata. La musica è davvero di alta qualità: vi consiglio di ascoltare soprattutto “But Not For Me” di George Gershwin impreziosito dal duetto di Pettiford con Goykovich, “The Nearness of You” in cui Hans Koller al sax tenore illustra il tema per poi lasciare campo libero al contrabbasso mentre in “All the Things You Are” Pettiford dimostra la sua straordinaria abilità di violoncellista in veste solistica.

Ferdinando Romano – “Totem” – Losen Records
Il contrabbassista Ferdinando Romano, al suo esordio discografico da leader, è presente da tempo sulla scena jazzistica (in particolare lo ricordiamo con la Rainbow Jazz Orchestra e l'Arcadia Trio assieme a Leonardo Radicchi sax e clarinetto e Giovanni Paolo Liguori batteria). Accanto a questa attività di strumentista jazz Romano affianca una solida formazione classica maturata con il diploma presso il Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze e il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano. Proprio grazie a questa preparazione ha avuto modo di segnalarsi anche come compositore in ambito classico-contemporaneo. Tutto ciò si avverte in questo album sia sul repertorio (otto composizioni tutte di Romano) sia sulla prassi esecutiva che vede all'opera un settetto completato da Ralph Alessi alla tromba, Tommaso Iacoviello al flicorno, Simone Alessandrini ai sax (alto e soprano), Nazareno Caputo al vibrafono e , Manuel Magrini al piano e Giovanni Paolo Liguori alla batteria. Tutte le composizioni appaiono ben strutturate, caratterizzate da una intensa ricerca sul piano contrappuntistico e corredate da originali impianti ritmo-armonici e da una tavolozza timbrica di assoluta pertinenza. Ovviamente l'ottima riuscita dell'album è dovuta anche alla presenza di ottimi solisti tra cui, ancora una volta, si segnala Ralph Alessi la cui tromba disegna alcuni dei passaggi più interessanti dell'intero album. Tutto ciò senza dimenticare il fondamentale apporto del leader che si mette in luce già a partire dal brano d'apertura “The Gecko” in un trascinante dialogo con la marimba di Nazareno Caputo, mentre nel successivo “Evocation” il contrabbassista si esprime in splendida solitudine.

John Scofield – “Swallow Tales” – ECM
Come enunciato chiaramente nel titolo, questo album è un esplicito omaggio che il chitarrista di Dayton dedica all'amico e mentore Steve Swallow, con la riproposizione di nove brani del bassista. L'incisione, effettuata in uno studio di New York, risale al marzo del 2019 e Scofield suona in trio con Bill Stewart alla batteria e lo stesso Steve Swallow al basso. Insomma un incontro al vertice tra alcuni dei massimi esponenti del jazz di oggi, dal batterista Bill Stewart già compagno di Scofield in quella prestigiosa band che tanti successi ottenne tra il '90 e il '95, a Swallow prestigioso strumentista e compositore già compagno d'avventura di nomi assai prestigiosi come Carla Bley, Jimmy Giuffre, João Gilberto, Chick Corea, Gary Burton, Jack DeJohnette…per finire con Scofield unanimemente considerato uno dei massimi esponenti della chitarra jazz. Che tra Scofield e Swallow ci sia una profonda amicizia e una reciproca profonda stima non c'è alcun dubbio e questo legame, profondo, si avverte nell'album in oggetto. I due dialogano perfettamente, alternando improvvisazione e scrittura, con una levità non comune sicché la musica scorre fluida tanto da poter apparire, ad un ascolto superficiale, semplice. Citare qualche brano, particolarmente meritevole, è impresa impossibile dato che tutti meritano un ascolto attento…tuttavia se proprio devo farlo, mi piacerebbe che ascoltaste con mente e cuore aperto “Away” un vero e proprio gioiellino di grazia e capacità esecutiva.

Ermanno Maria Signorelli – “Silence” –
Accade, alle volte, che ammirato un artista sulla scena ce ne facciamo un' idea che poi viene smentita quando il personaggio lo conosciamo da vicino, nella vita reale. Ecco, con Ermanno Maria Signorelli ciò non può accadere. Lo conosco da molti anni e nonostante ci siamo visti poche volte, lo sento particolarmente vicino in quanto la sua musica è lo specchio del suo essere. Lui è una persona gentile, colta, misurata, mai sopra le righe e mai banale…così la sua musica è fresca, originale, misurata, sempre rivolta ad esprimere l'animo dell'artista piuttosto che la sua preparazione tecnica, scevra da qualsivoglia esercizio muscolare. A questa sorta di regola non fa eccezione «Silence», secondo album di un trio nato nel 2004 e completato da Ares Tavolazzi al contrabbasso e Lele Barbieri alla batteria. Il CD esce sei anni dopo «3» (Blue Serge) e presenta sette composizioni originali del leader, uno standard (“Nardis” di Miles Davis) e la rivisitazione, assolutamente straordinaria, della celeberrima “Arietta” di Edvard Grieg. Ascoltando l'album si ha la netta sensazione di essere trasportati in un altrove dove il sussurrare, il non alzare i volumi, l'intimità la fanno da padroni, clima determinato anche dal fatto che, come loro consuetudine, i tre suonano rigorosamente acustico. Non a caso lo stesso leader, napoletano di nascita ma padovano d'adozione, scrive nelle note di copertina: “Dove tutti urlano non c'è voce che basti per farsi sentire; nella valle solitaria un usignolo è concerto”. E' una musica, quindi, assolutamente originale che denota quanto tutti e tre gli artisti siano attenti a ciò che li circonda dandone un'interpretazione assolutamente personale.

Giannicola Spezzigu – “Voices of the Stones” – Caligola
Il batterista Marcello Molinari è leader di un quartetto attivo oramai da qualche tempo e dalla sua posizione ha lanciato il progetto di realizzare un disco a nome di ciascuno dei suoi componenti, che possono così esprimere le proprie potenzialità sia come leader, sia come compositori, Questa volta tocca al contrabbassista sardo, ma bolognese d'adozione, Giannicola Spezzigu, con Claudio Vignali al pianoforte e Andrea Ferrario al sax tenore a completare il quartetto, cui si aggiunge come special guest il trombettista Arne Hiorth in “Dimension of Emptiness”. In repertorio otto brani di cui sei composti dallo stesso Spezzigu e due da Andrea Ferrario. Il clima prevalente è quello di un ricercato lirismo che pervade tutti i pezzi ad eccezione del blues di “Souls Around”, di Andrea Ferrario, giocato su ritmi più accesi. Notevole “A Short Story” che evidenzia la bravura del leader che privilegia la bellezza e pienezza del suono al fraseggio molto articolato mentre nel già citato “Dimension of Emptiness” la tromba del norvegese Arne Hiorth (già accanto ad artisti di fama mondiale come Mari Boine, Anja Garbarek e Bjørn Eidsvåg) dà al tutto un tocco di preziosa struggente malinconia; notevole in questo brano anche l'assolo del leader.

Antonella Vitale – “Segni Invisibili” – Filibusta
Una Vitale inedita quella che si ascolta in questa nuova produzione. Dopo aver cantato jazz senza se e senza ma per lungo tempo, la vocalist romana si è concessa una sorta di evasione ma con esiti che non esito a definire più che positivi. Quindi cambio di organico: non più il quartetto di sole donne ma un quintetto completato da Gianluca Massetti piano e tastiere, Andrea Colella contrabbasso, Francesco De Rubeis batteria e percussioni e Danielle Di Majo sax soprano, alto e flauto. Mutamenti sostanziali anche nel repertorio: niente più standard jazzistici ma una serie di composizioni della stessa Vitale tenuti per lungo tempo nel cassetto con l'aggiunta di due splendidi brani tratti dal repertorio pop italiano, “Tu non mi basti mai” di Lucio Dalla e “Per me è importante” di Zampaglione, Triolo, Pesce, portato al successo da Tiromancino; quest'ultimo pezzo è stato registrato nel periodo del lockdown insieme a Massetti nelle rispettive case. Al cospetto di un repertorio per lei inedito, la Vitale ha scelto di immergersi totalmente nell'universo musicale che l'ha accompagnata nel corso della sua vita, quindi non solo jazz, ma anche rock, pop di qualità, musica d'autore, musica classica… servendosi di una vocalità sempre al servizio di una sincera espressività. Bisogna aggiungere che un tale risultato non sarebbe stato possibile senza gli ottimi arrangiamenti di Gianluca Massetti e senza la bravura dei singoli musicisti che hanno trovato, tutti, il giusto spazio. Così da apprezzare Colella in “Amara” chiuso da una pertinente citazione dall'Adagietto della Sinfonia n.5 di Mahler, la Di Majo superlativa nella title track mentre l'apporto ritmico di De Rubeis è stato preciso e spesso trascinante. Comunque in primo piano resta la Vitale particolarmente brava, a mio avviso, nel rendere bene un piccolo capolavoro quale “Tu non mi basti mai” e perfettamente in palla in tutte le altre esecuzioni.

We Kids Quintet – “We Kids Quintet” – abeat
I “Kids” del ‘patriarca' Stefano Bagnoli cambiano ancora volto ma questo non ha influito sul livello qualitativo della famiglia. E così anche quest'ultimo CD si iscrive di diritto tra le tante belle cose realizzate dal batterista, nell'occasione affiancato da Giuseppe Vitale (pianoforte), Stefano Zambon (contrabbasso), e da due indiscussi talenti da lui scoperti di recente, i fratelli siciliani, Matteo Cutello (tromba) e Giovanni Cutello (sax), particolarmente efficace quest'ultimo in “Work 3”. In repertorio dieci brani, più un bonus track, tutti scritti dai componenti il gruppo. Realizzato con il sostegno di MiBACT e SIAE nell'ambito del programma “Per chi crea”, l'album è stato registrato presso Il Pollaio Studio (Ronco Biellese) nei primi giorni del gennaio di questo 2020. Le tracce del disco si ascoltano tutte d'un fiato, in quanto la musica ti cattura sin dal primo istante tale e tanta è l'energia che il gruppo riesce a sprigionare. La tecnica esecutiva è impeccabile, la bravura dei singoli manifesta in ognuno degli assolo che si ascoltano, ottimo il materiale su cui il quintetto si misura: composizioni originali, ben studiate in cui pagina scritta e improvvisazione si bilanciano correttamente. Tra tutti continua a spiccare il leader, Stefano “Brushman” Bagnoli, efficace sia dietro i tamburi, sia nel dirigere il gruppo, sia nel fornire allo stesso due dei migliori brani del disco, “Epigrafe” in apertura e “Salieri” in chiusura prima del bonus track.
Senza dimenticare, come si accennava in precedenza, la scoperta dei fratelli siciliani che conferma le sue doti anche di eccellente talent scout.

Martin Wind – “White Noise” – Laika Records
E' uscito il 28 agosto l'undicesimo album del contrabbassista e compositore tedesco, Martin Wind, da 25 anni sulla scena newyorkese. Edito dalla Laika Records, “White Noise” vede accanto al contrabbassista due grandi personaggi del jazz europeo quali il chitarrista Philip Catherine ed il flicornista e trombettista olandese Ack van Rooyen. In repertorio otto brani composti in prevalenza da Wind e van Rooyen cui si aggiungono alcuni standard di Kenny Wheeler, Cole Porter, Jimmy Van Heusen e Jule Styne. Il trio, orfano di uno strumento armonico, si muove lungo una direttrice ben chiara: eliminare qualsivoglia esibizione di mero tecnicismo, suonare quasi per sottrazione a enfatizzare un concetto che viene esplicitato dallo stesso leader: “Il silenzio è diventato sempre più un lusso, con “White Noise” ho voluto creare un polo acustico opposto. Una sorta di oasi sonora in cui il pubblico può rilassarsi e godere la musica fino alla sua massima espressione”. Obiettivo raggiunto? Direi proprio di sì. Intendiamoci: nulla di particolarmente nuovo sotto il sole, ma una musica “melodica” eseguita con sincera partecipazione dai tre artisti i cui strumenti si fondono in un unicum spesso di rara bellezza. Si ascolti, ad esempio, la title track caratterizzato da un clima di soffusa malinconia in cui spicca una superba prestazione di Philip Catherine che fa cantare la sua chitarra con effetti di riverbero e distorsione.

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