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Mauro Ottolini feat. Fabrizio Bosso – “Storyville Story” – Parco della Musica Records.
La città del jazz, come da titolo del film di Arthur Lubin del 1947, è New Orleans, primo angolo del quadrilatero che la vedrà affiancata a Chicago, New York e Kansas City. Località che, nello specifico, avrebbero coniato un proprio “sottolinguaggio”, una sorta di slang jazzistico. Nel quartiere di Storyville a N. O. il verbo dei musicisti era dialogo corale ed incroci improvvisativi fra fiati con la tromba/cornetta spesso nel ruolo di ottone primo. Stiamo parlando dei primordi della storia del jazz, di vicende che spesso si potrebbero dare per assodate se non ci fossero progetti come quello del trombonista Mauro Ottolini a rispolverarle e rilanciarle, forti di ospitate di prestigio come quella del trombettista Fabrizio Bosso.
Ed è allora che ci si accorge di quale fascino possano avere autori come William Cristopher Handy e che attrattiva conservino blues come “Atlanta Blues” o “Hesitating Blues”, già cavalli di battaglia di Armstrong; ed ancora “ircocervi” blues-swing tipo “New Orleans”, french ballad quali “Si Tu Vois Ma Mère”, ed echi jungle in “Swing Brother Swing” così come nelle rese esecutive di Ottolini and partners. Che rispondono ai nomi di Vanessa Tagliabue Yorke al canto, Paolo Birro al pianoforte, Glauco Benedetti al sousaphone e Paolo Mappa alla batteria, interpreti chiamati a far da odierni “translators” di quel “microclima” musicale, attenti a non uscire fuori dal solco storico assegnato loro. Cosa non facile sapendo quanto, anche nella musica jazz, stili e “idioletti” siano mutabili nel tempo e quanto risulti sempre più difficile riprodurne lo spirito. Il che avviene, in questo disco, con rispettosa inventiva per cui il classico “Saint Louis Blues” viene riarrangiato su ritmo di beguine prima del trapianto di swing; ciò perché, evidentemente, anche N.O. aveva subìto, dopo l’esodo da Storyville, l’influsso della swing-era e del latin tinge che avanzava in direzione jazz (pre)moderno.
Altra chicca “The Crave” resa famosa da Jelly Roll Morton e, su ritmo di charleston, “Bleeding Hearted Blues” di James J. Johnson con vocalità nerofona della Tagliabue. Ma i brani sono ben quattordici e vanno ascoltati attentamente magari immaginandoli trasmessi da un 78 giri che ruota su un vecchio grammofono. Roba d’altri tempi? No, perché il jazz può “reincarnarsi”, ed è quanto avvenuto con questo album di “traduzione della tradizione”.

Dario Savino Doronzo, Pietro Gallo feat. Michel Godard – “Reimagining Opera” – Digressione Music
Per introdurre un album che rivisita tappe di storia dell’opera meglio scegliere una … Ouverture. Prevedibilmente ma non troppo Dario Savino Doronzo col suo flicorno e Pietro Gallo al pianoforte lo hanno fatto scegliendo l'”Ouverture” dell’Otello di Verdi. Impresa da vertigini se uno pensa ad una formazione così minima specie alle prese col flusso drammaturgico-musicale messo in moto sin dall’inizio della messinscena in questione. Che viene peraltro risolta con disinvoltura dal duo tramite la messa a nudo del suo cuore lirico – pare un brano alla Chet Baker con Phil Markovitz – con in trasparenza quei moderni segni di quest’opera verdiana che, secondo Piero Mioli, preannunciano l’espressionismo “con una sensibilità psicologica che s’informa al decadentismo europeo”.
Un salto indietro di secoli nel tempo et voila i due musicisti, con l’apporto di Michel Godard al serpentone, intonare “Sì Dolce èl tormento” di Monteverdi. L’immersione del trio nell’atmosfera poetica del madrigale è piena così come nel “Se tu m’ami”, antica aria a firma di Alessandro Parisotti, in una riproposizione che suona anche quale invito a riscoprire la figura del compositore. Innegabile, leggendo in scaletta il “Nessun Dorma” dalla “Turandot” pucciniana, la curiosità di scoprire che tipo di rielaborazione sia stata operata su una partitura nata per il trionfo della vocalità maschile anche per come è giunta alle orecchie di noi contemporanei dalle ugole di Pavarotti, Carreras, Bocelli.
Ed è qui che avviene un’operazione di ribaltamento della convenzione col pianoforte che si prende la scena e in “solo” si adopera per un lavorio cesellato sull’armonizzazione, stemperante al minimo il tema, ben ripiegato fra gli accordi dell’archetipo originale ed avvolto in estesa gamma di colori e registri timbrici. Nel successivo Intermezzo da “Cavalleria Rusticana”, col “rientro” di Doronzo nell’esecuzione, ci si cala in strutture di tipo più squisitamente jazzistico, con un discreto spazio alla improvvisazione vellutata del flicorno che, c’è da giurarci, Mascagni avrebbe certamente gradito aperto com’era alle innovazioni. “Caro mio ben” di Tommaso Giordani (o dell’omonimo Giuseppe Giordani secondo alcune tesi) ci porta in un contesto storico settecentesco ma molto sfumato in cui la galanteria diventa garbo e raffinatezza Il successivo “Nel cor più non mi sento (La Molinara)” di Giovanni Paisiello, da tuffo nella napoletanitá che ci si poteva aspettare, subisce un mutamento dovuto all’arrangiamento, firmato anche da G. Giannatempo (in altri compare la firma di M. Paternoster), quasi da ballad. Finale con “Freccia d’ali”, ispirato a “Pur Ti Miro” di Godard, esperto di musicamorfosi nutrita di musica antica, a distanze storico-temporali azzerate.

Ludovico Peroni – “Il Sognatoio. Experimental Opera in 9 Scenes” – Da Vinci Publishing
Il Sognatoio, di Ludovico Peroni, “Experimental Opera in 9 Scenes”, è album basato su un poema di Filippo Davoli, voce narrante, lavoro che ha vinto nel 2017 il “Teatro Musica e Shoah”.
Il disco, su edizioni Da Vinci, assume pertanto a base un testo teatrale come del resto suggerisce la stessa foto di copertina, una sedia bianca su uno sfondo minimale, scranno che fa da “posto dei sogni”.
L’elemento onirico è dunque fondante nello sviluppo delle varie sequenze scenico-musicali, peraltro spezzato di frequente, oltre che dal parlato, da voci storiche registrate o da canti femminili con impurità e inceppi del nastro volutamente lasciati tali. Gli spezzoni dal documentario sulla Shoah “Nuit et brouillard” (1955) di Alain Resnais conferiscono all’insieme un ulteriore elemento filmico che arricchisce la “rappresentazione” in musica.
L’Autore vi si cimenta nel ruolo di direttore della QRO, la Quick Response Orchestra, con la partecipazione aggiuntiva di José Daniel Cirigliano (clarinetto), al secolo Alessandro Bolsieri (alto sax), Francesco Briotti (keyboard), Riccardo Chinni (chitarra basso ed elettronica), Daniele Gherrino (chitarra elettrica) e Federico Chiarofonte (batteria e percussioni).
Peroni è musicista non lineare da definire. Nato nel 1990 a Montappone nelle Marche, ha completato gli studi musicologici e musicali a Roma dedicando la propria ricerca alla musica improvvisata e di sperimentazione. I componenti la formazione che lo accompagna nel disco ne condividono il curriculum sfaccettato diviso fra jazz, rock e avanguardia.
A voler catalogare questo compact grondante di storia contemporanea, è utile focalizzare questo trifoglio concettuale: l’improvvisazione “guidata” dal composer-conductor verso canali jazzistici di libertà, la arrovellata ed arroventata pulsazione rock di alcuni movimenti, l’approccio “concreto” ed audacemente innovativo di certe fasi dell’esecuzione. Con “Il Sognatoio” il vocabolario si arricchisce di un neologismo con relativi sinonimi irreale, surreale, fiabesco… sempre che il sogno non sfoci in incubo da cui si potrà uscire solo grazie al risveglio cosciente ed alla consapevolezza storica.

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