Parla il musicista approdato al suo primo in solitaria

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Chitarrista tra i più originali della scena jazzistica nazionale, il romano Nicola Puglielli approda alla “Guitar Solo” con il bell'album che verrà presentato il 15 ottobre prossimo alla Casa del Jazz. Lo abbiamo intervistato alla vigilia di questo importante appuntamento ripercorrendo alcune significative tappe della sua carriera.

Molta acqua è passata sotto i classici ponti da quel lontano 1994 quando hai ottenuto un bel successo al “Carrefour Mondial de la Guitar” alla Martinica. Da allora come è cambiata la tua vita di musicista e di uomo?
“Ricordo benissimo che sei stato proprio tu a consigliarmi di partecipare a quel concorso. Da allora sono cambiate molte cose per me. Grazie a quest'esperienza, cui facevi cenno, sì è rinforzato il mio interesse per la e ho proseguito un'esplorazione iniziata anni prima della chitarra classica, sud americana, folk, spagnola, Django, antica e via dicendo e questo ha ampliato i miei orizzonti. Gli album che ho realizzato negli anni a seguire sono andati in questa direzione. Per essere ancora più chiaro, in tutti i miei progetti – anche quelli più squisitamente jazzistici – ho cercato di mettere a fuoco le possibilità timbriche e musicali di questo strumento. Dal punto di vista della vita privata, pochi anni dopo ho conosciuto ad una fermata dell'autobus quella che sarebbe divenuta la mia compagna,  con la quale divido ogni giorno della mia vita, allietata dalla presenza di una splendida figlia.”

-In questo periodo hai realizzato anche vari progetti musicali. Quali?
“Ho registrato nel 1999 il primo CD a mio nome che si chiama “In The Middle”, prodotto dall'etichetta tedesca Jardis con Elvio Ghigliordini, flauti, Andrea Beneventano, piano, Gerardo Bartoccini, basso e Armando Sciommeri, batteria, ripubblicato tre anni fa da “Terre Sommerse”. Nel 2004, “Viaggio ConCorde”, pubblicato dalla III Millennio, con la stessa formazione di prima eccezione fatta per la presenza di Adriano Ancarani violoncello che sostituisce Andrea Beneventano. Nel 2014, in occasione del bicentenario della nascita di Verdi, ho provato a misurarmi con la musica di questo straordinario compositore e così sono nati due lavori, “I Trovatori” con l'Hot Club de Zazz vale a dire Xavier Rigaut all'armonica cromatica, Luca Pagliani alla chitarra classica, Roberto Nicoletti alla chitarra acustica e Pino Sallusti, che purtroppo non c'è più, al contrabbasso cui si aggiunge in due brani Paolo Montin al clarinetto. Seguito da “Play Verdi”, un'interpretazione jazzistica dei preludi delle opere di Verdi, con Andrea Pace, sax tenore, Piero Simoncini, basso e Massimo D'Agostino, batteria. Adesso, dopo tanti anni di esperienze, sono approdato a questo lavoro in solitaria e sono tornato alla chitarra semi-acustica tipica del jazz”.

-In tutti questi anni, dacché ti conosco, sei sempre rimasto un personaggio atipico nel mondo del jazz nostrano. Una persona discreta, quasi un gentiluomo di altri tempi. In che misura tutto ciò ti ha nuociuto o agevolato nel corso della tua carriera musicale?

“Non saprei dire se ciò mi ha nuociuto o agevolato, forse in certe occasioni avrei dovuto insistere di più sulle mie proposte ma comunque ho sempre cercato di seguire la mia indole, di essere coerente anche se c'era qualche prezzo da pagare. E mi sto sempre più convincendo che, specie nel nostro mondo, non bisogna solo prendere ma anche dare nel senso che se si hanno delle idee è bello condividerle, sperimentarle con altri sempre che, alla base, ci sia un sentire comune e non solo artistico. Ricordo quando agli inizi Massimo Urbani mi portò a suonare con lui, ecco credo che questa inclusività sia la chiave di volta per crescere e vivere bene la nostra musica. Oggi come ieri è sempre bello sentirsi parte attiva della collettività del jazz. Anche se devo ammettere che negli ultimi anni ho provato ad andare oltre il jazz e a trovare nuove esperienze musicali come nel progetto Play Verdi.”

-Nella tua vita professionale c'è anche un altro elemento di non secondaria importanza. Come tanti altri musicisti sei anche insegnante.
“Si, ho sempre dovuto insegnare per vivere ma ne sono contento. Devo dire che il lavoro di insegnante mi piace molto, mi appassiona; le due cose – insegnare e suonare – per me sono in stretta relazione. Da anni insegno Chitarra in una Scuola ad Indirizzo Musicale. Grazie ai giovani la chitarra avrà un grande futuro perché è sempre uno degli strumenti che amano di più.”

-Veniamo adesso a questo tuo ultimo disco, “Guitar solo”. Come nasce?
“Nasce dall'esigenza di fissare questo progetto per sola chitarra che va avanti da anni. Mi ha sempre interessato questo aspetto dello strumento che non è molto visitato nel mondo del jazz. Mi interessava soprattutto intrattenere, vedere che effetto fa sul pubblico un concerto, un disco di chitarra solo senza fare cose troppo “populistiche” se mi passi il termine. Sulla base delle esperienze dal vivo mi è parso che la cosa potesse funzionare. Tieni presente che la chiave ritmica è fondamentale. Insomma ho constatato che anche tramite il solo riuscivo a far passare delle emozioni, soprattutto nelle improvvisazioni. Di qui alla decisione di fissare il tutto su CD il passo è stato breve. Devo dire che anche il produttore Fabio Furnari di Terre Sommerse, mi ha incoraggiato e gliene sono grato, come a Fabio Fraschini dello Studio PlayRec per il suono”.

-Venendo all'esame dell'album, devo dire che l'ascolto mi ha convinto. Si tratta di un album innanzitutto ben suonato, con una scelta di repertorio variegata e intelligente, con la voglia di trasmettere emozioni come tu stesso hai appena detto…
“Il repertorio è variegato perché la chitarra include molti mondi. Con questo album cerco escursioni fuori dal jazz e la sperimentazione di nuovi suoni e ritmi. In “Guitar Solo” ci sono 14 brani molto diversi fra di loro, sette dei quali sono mie composizioni. Ci convivono previsto e imprevisto, stabilito e improvvisato, acustico ed elettrico, tecnica classica e jazz. Il carattere dei brani si rivela nelle improvvisazioni. L'album rappresenta la chiusura del cerchio delle mie ricerche ed esperienze che ho fatto da quel lontano 1994 di cui abbiamo parlato prima”.

-Un'ultima domanda: che cos'è per te la musica?
“Bella domanda. Per me la musica è condivisione, è uno stato di elevazione che si fa insieme, di gioia collettiva di grandissima importanza in quanto ci riporta sulla giusta lunghezza d'onda. La musica è il linguaggio del mondo, non conosce barriere, è un filo rosso profondo dell'umanità che è una ed una sola. Il jazz ci è stato regalato da discendenti di schiavi e non dobbiamo mai dimenticarlo nel guardare all'oggi”.

Gerlando Gatto

 

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