I nostri CD. Collezione autunno/inverno

a proposito di jazz - i nostri cd

L’Autunno, tempo di feuilles mortes che anticipa di poco l’inverno, è periodo prolifico per il jazz “di stagione”.
Coi primi, e i secondi, freddi, niente di meglio che sentire un disco a qualunque ora della giornata, compresi aperitivi e post prandium, e magari singing in the rain.
Abbiamo provato, come di consueto, a selezionare alcuni album di un certo appeal e a farli “sfilare” a mò di “collezione autunno-inverno” come consigli per gli acquisti in occasione delle festività o per semplice uso privato da parte del lettore.
I brand delle label sono di ottimo livello e così dicasi dei musicisti in “passerella”. L’ultima parola come sempre resta comunque affidata, uno per uno, ai componenti il pubblico.

THREE LOWER COLOURS, RED EARLY RECORDINGS (CALIGOLA)

L’album Red. Early Recordings (Caligola) ci restituisce la musica di Marco Tamburini nel trio “bassless” con Stefano Onorati alle tastiere e Stefano Paolini alla batteria (e tutti e tre ai live electronics).
Che dire davanti a questo lavoro del compianto trombettista cesenate? Sarà forse scontato ma il primo pensiero è come la musica, un cer- to tipo di musica così reattiva, riesca ancora oggi, a poco più di una dozzina d’anni dalla registrazione, a comunicare una freschezza che
contrasta con il destino che ha spento anzitempo uno degli artisti più ispirati della scena jazz. In tale formazione, il jazz-rock di stampo davisiano è riverniciato a nuovo con impasti tech che lo rendono ancorato più al futuro che al passato.
Negli otto brani, con “Naima”, “Blue in Green”, “Knives Out” ed il resto originali, Marco and partners, i Three Lower Colours, intingono il tutto di Red, colore fondamentale, secondo Lüscher, nelle sue diverse varianti.
Nel disco l’anima musicale di Tamburini pare trasmigrare, rigenerando energia espansiva allo stato puro. Cosa che al jazz, al suo jazz rosso rubino, riesce ancora una volta.

DINO BETTI VAN DER NOOT, THE SILENCE OF THE BROKEN LUTE (AUDISSEA)

The Silence of the broken Lute, il nuovo album di Dino Betti van der Noot prodotto da Audissea, si apre con un brano così intitolato ed è già in primis un segnale di riconquista di uno Spazio da parte del Suono, occupato nei mesi della pandemia dal Silenzio qui simboleggiato da un liuto rotto.
Immagine pittorica, questa, con richiami ad altre arti secondo un ap- proccio umanistico a cui il compositore ci ha da tempo abituati.
Ancor più stavolta Betti è homo orchestralis, scrive partiture pensate come un articolato siste- ma nervoso con diversi gangli periferici le cui arterie sono irrorate dagli apporti dei musicisti
che le eseguono (LoBello, Mandarini, Mariotti, De Ceglie, Begonia, Calcagno, Allavena, Marchesi, Cerino, Ciceri, Visibelli, Manzoli, Tarocco, Gusella, Parrini, Cattaneo, Rinaldo, Zitello, Alberti, Bertoli, Tononi, Sanesi).
Anche il successivo “Listen for the Sea-Surge” si rifà ad un verso di Ezra Pound nel presuppo- sto che la sua Musica non abbia “distanziamento” con le altre culture e non lo abbia neanche all’interno del progetto in questione tant’è che vi possono coesistere, in un organico di stampo jazzistico, sitar e tablas, arpa celtica e viola così come neroamericanità e classicità, poesia e figurazione.
E mentre “Here Comes Springtime”, datato 1985, si presta benissimo alla improvvisazione grazie alla struttura di blues che ne è alla base, in “Our Nostos” è il mito greco del ritorno (odisseico) a far da filo d’Arianna nello snodo armonico che si affastella e si frattaglia prima di schiudersi ad arcaici quadri bucolici.
Infine “Souriante èpanouie ravie”, citazione da Prevert, è permeata come tutto il disco da sen- so corale e afflato di speranza e curiosità verso quanto ci circonda ancora oggi, nel day after. Betti è l’artigiano che ha tolto il liuto rotto dal Vuoto Sonoro che lo circondava, riportando la vita, come la Musica, ad libitum…

CLAUDIO FASOLI 4et, NEXT (ABEAT)

Abeat Records pubblica Next, nuovo album di Claudio Fasoli in 4et. Per l’occasione il sassofonista si avvale della partnership del chitarrista Simone Massaron, del contrabbassista Tito Mangialajo Rantzer e del batterista Stefano Grasso nel proporre un lavoro articolato in dieci steps, il primo dei quali offre subito un assaggio della sua/sue musica/musiche. A volerla definire per negazione non si tratta di musica d’uso eppure è ben fruibile specie quando
la si ascolta nei momenti di tensione ritmica e pulsazione: non fa filtrare tout court sentimen- talismi eppure ha sincere modulazioni espressive, è coerente a sé stessa e nonostante tutto appare molteplice, divagante, diffratta. La voce del sax, riconoscibile a distanza, pare affac- ciarsi ogni volta su una distesa inventiva… next… protesa-sospesa (i latini usavano il costrutto sintattico della “perifrastica attiva” per indicare lo “stare per”) in un accavallarsi di strutture, skylines melodiche, guglie improvvisative, pause silenzi adagi. La sezione ritmica, fonda- mentale, e la chitarra, trattata con mano sapiente alla Goodrick, sistemano i suoni in modo che quello del leader possa meglio svilupparsi e così rappresentare al meglio la propria Identità.

LORENA FONTANA, TANGO FOR IDA (KOINÈ, DODICILUNE)

Il tango-cancion è la risultante di più strati sedimentati approdati alla forma musicale compiuta di Carlos Gardel a seguire fino a Piazzolla ed al suo Nuevo tango.
Per questo motivo album come Tango for Ida della cantante Lorena Fontana (Koinè-Dodicilune) sono più che mai benvenuti perché raccordano diversi filoni entro cui trovano accoglienza De Moraes e Toquinho oltre ai vari Solanas, Discepolo, Canaro, Blasquez… Il cd contiene tredici brani che nel loro insieme, per
come la Fontana li ha saputi inanellare, con il giusto spirito interpretativo, costituiscono un carillon di echi sparsi di un pianeta, quello argentino, che ha maglie larghe quanto l’orbita terrestre.
Vi si trovano classici come “Torno al Sud (Vuelvo al Sur)”, “Oblivion”, “La fiera delle Pulci (Calambache)”, “Volesse il cielo (Quem me Dera)”.
I particolari adattamenti in lingua italiana rendono questo disco a suo modo unico anche per la assimilazione del linguaggio del tango da parte della Fontana, essa stessa autrice di “Dubi- tango” e “Chorinho da Boa Sorte”.
E c’è anche in scaletta “Youkali” di Weill e Bertrand quasi a rimarcare la circolarità dell’ab- braccio della Fontana a questa musica sempre “nueva”.
Una cultura, quella tanguera, ancor più di un genere capace di infondere poesia, varietà e mestizia nella propria musica chiaroscura. Nel lavoro in questione, è pennellata a misura la scelta dell’organico di base con Fabrizio Mocata al piano ed Enrico Guerzoni al cello arric- chito dagli ospiti Geoff Warren (fl), Roberto Rossi (per), Gianluigi Giannatempo (string arr.), Eugjien Gargiola e Massimiliano Brutti (v.), Eva Impellizzeri (viola) Silvia Dal Paos (cello).

GIUSEPPINA CIARLA, A TICKET HOME, AUTOPRODUZIONE

Arpa e voce. Si può descrivere così in pillole A Ticket Home, l’album di Giuseppina Ciarla uscito in questo 2021 discografico? Certamente no. La domanda retorica cela comunque una verità di base e cioè che molta musica può essere ricondotta a degli elementi primari quali il canto sulla trama di un accompagnamento come quello degli antichi citarioti con il risultato, tramite la “spoliazione” di ornamenti e sovrap- posizioni, di riscoprire l’essenziale ricchezza che lo compone. L’artista, statunitense d’adozione, “torna a casa” rimanendo cittadina
del mondo operando in tale guisa sia che maneggi Piazzolla o Michael Jackson ovvero una canzone napoletana come “Maria Marì” o uno standard come “Nature Boy” od anche un latin come “Que Sera” o una ballad come quella di Sacco e Vanzetti di Morricone: va al fondo me- lodico e, con l’arpa, armonico delle cose… musicali. In questo caso ci consegna undici brani in cui figura, oltre a un paio di propria scrittura, un arrangiamento originale di “Bella Ciao”. E non era facile per una partitura che le tante versioni in circolazione tendono a logorare ma la abilità della Ciarla, detto fatto, l’ha elegantemente ristrutturata.

FALOMI-TURCHET-TRABUCCO, feat DI BONAVENTURA, NAVIGANTI E SOGNATORI (ABEAT)

Meditare erraneo. Mediterraneo, in quanto termine, potrebbe essere visto così, con la caduta di are, come un grande lago che “ai naviganti intenerisce il core” nel solcarlo pensierosi. Una distesa di (m)are a cui l’album Naviganti e Sognatori (Abeat) si ispira come si evince già dai titoli dei brani iniziali, “Terra e mare”, “Rotte mediterranee”, “Le vie del mondo”… In tale multiverso si sono incrociati percorsi salma- stri di musicisti provenienti da due repubbliche marinare, genovese e
veneziana, con propaggini nordadriatiche. Rispondono ai nomi di Luca Falomi alla chitarra, Alessandro Turchet al contrabbasso, Max Trabucco a batteria e percussioni, ospite Daniele Di Bonaventura al bandoneon.
Fra le nove tracce sono inserite due arie popolari – “La nova gelosia”, “Lanterna de Zena” – arrangiate da Falomi che firma gran parte dei brani (l’altro autore è Trabucco nei primi due) mentre Turchet ha rielaborato il traditional “Voi che son dos stelis”.
È una musica che veleggia, come sospinta da moto poco increspato dei flutti, con motivi che schiudono orizzonti inediti all’ascolto.

MARCO SINOPOLI EXTRADICTION, CHROMATIC LANDSCAPES (PARCO DELLA MUSICA)

L’estradizione è figura giuridica. Metaforicamente la si può però “estradare” in altri ambiti lessicali così come succede in musica con il Marco Sinopoli Extradiction.
Il chitarrista, nel nuovo album Chromatic Landscape inciso per Parco della Musica Records, in effetti vi opera delle traslazioni di timbri ed immagini che si rincorrono l’un l’altra, in un effluvio
di impressioni e suggestioni in movimento.
Sono nove tracce in tutto nelle quali il chitarrista e compositore “mette a servizio” il proprio strumento allo sviluppo dell’insieme sonoro imbastito dagli apporti al flauto da Bruno Paolo Lombardi e dell’ospite Nicola Stilo, al clarinetto di Luca Cipriano, al bassoon di Fabio Gia- nolla, al piano di Alessandro Gwis, al basso di Toto Giornelli e alla batteria di Alessandro Marzi. L’ensemble funziona perfettamente da… ensemble nel senso che la musica procede con coralità costante creando e ricreando colori cangianti e tonalità variopinte, su cui si (e) stendono melodie esternate tramite quella (extra)dizione che è propria del jazz in quanto arte dell’extra – dire dell’esprimere “oltre”, verso i paesaggi cromatici di possibili Altrove.

MASSIMO DONÀ ENSEMBLE, IPERBOLICHE DISTANZE. LE PAROLE DI ANDREA EMO (CALIGOLA)

“L’eco è lo specchio dei suoni come lo specchio è l’eco delle immagi- ni”.
È uno degli aforismi di Andrea Emo, forse fra i più sintetici ed illumi- nanti.
A voler leggere altri scritti del filosofo veneto, oltre l’ “Aforismario”, egli appare, un po’ come Jackson Pollock, rifuggire dal sistematico, “macchiare” il foglio quasi fosse una tavolozza, esprimendo concetti
sparsi che hanno un fil rouge sottile non sempre, a primo acchito, facile da individuare. Il jazz per certi versi è così, può apparire sfilacciato per poi vedersi i fili riannodati.
L’album Iperboliche Distanze. Le parole di Andrea Emo (Caligola Records) del Massimo Donà Ensemble è prova del nove di come i testi di Emo possano diventare materiale da leggìo per musicisti che su quella base esercitano il loro pensiero in note.
“La musica è una plenitudine che sorge da un vuoto” recita David Riondino, anche se “vi è una parentela fra il vuoto e la sonorità” interconnesse dallo Special Ensemble (Baldan, Gne- sutta, Olivato, Polga, Ponchiroli, Trionfo, Ragazzoni feat. Calgaro, Damiani, Fasoli, Mirra, Rava) che avvolge con telo ritmico/armonico parole che Emo scrisse in prosa parapoetica e che ora rivestono la propria voce di un nuovo fraseggio.