Heptachord, la chitarra di Alessandro Blanco, il sax soprano di Nicola Mogavero

HEPTACHORD
Heptachord (Alessandro Blanco | Nicola Mogavero)
5 tracce | 30.00 min.
Almendra Music (AM0017)
distr. digitale (iTunes, Spotify, Amazon, etc): The Orchard

Ancora una “strana coppia” per Almendra Music. Dopo il violoncello di Giovanni Sollima imbevuto di elettronica in Sonate di Terra e di Mare, dopo la felice anomalia fagotto-pianoforte tra jazz, classica e canzone di An Italian Tale, la factory siciliana pubblica il debutto di un inedito progetto artistico: Heptachord, con la chitarra di Alessandro Blanco e il sassofono soprano di Nicola Mogavero. Questo nuovo album conferma per Almendra il sostegno ad artisti che esplorano percorsi inconsueti, ritenuti difficilmente praticabili, come la composizione per chitarra e sax soprano. Heptachord nasce nel 2009 per volontà dei due solisti siciliani (messinese Blanco, palermitano Mogavero), desiderosi di condividere un nuovo repertorio per due strumenti poco o quasi mai ascoltati insieme, immaginando un progetto aperto anche sperimentazioni di tipo elettronico e strumenti amplificati. Tale singolarità ha fatto scaturire velocemente un ampio corpus di riscritture e “traduzioni” (dalle Six Melodies di John Cage all’area iberica e latino-americana con Assad, Gismonti, Bellinati, Piazzolla) ma soprattutto ha stimolato la curiosità di compositori che hanno deciso di comporre pagine originali per Heptachord, come Carlo Francesco Defranceschi, Victor Kioulaphides, Alessio Fabra, Dimitri Nicolau e Melo Mafali. Sono proprio questi ultimi due gli autori protagonisti del debutto del progetto di Blanco e Mogavero.

Alessandro Blanco ricorda: “Heptachord nasce da un’estrema sintonia umana tra noi due e da un’innata curiosità e ricerca del ‘nuovo’, a maggior ragione per la pressoché totale assenza di musica originale per questo insolito duo. L’oggettiva difficoltà di accostare una chitarra non amplificata al sax soprano, così presente dal punto di vista della pressione sonora, ha scoraggiato i compositori, ma come spesso è accaduto nella storia della musica, l’interprete può essere punto di partenza per nuove strade prima impraticabili. Iniziammo a testare trascrizioni varie, scoprendo che l’equilibrio era in realtà possibile: il chitarrista doveva avere un buon “forte”, il sassofonista un buon “piano”, oltre ai normali parametri utili a qualsiasi insieme da camera. Non ci volle molto per capire che Heptachord poteva partire”. Nicola Mogavero: “Gli equilibri su cui si regge Heptachord, in modo del tutto istintivo, non sono mai stati un problema su cui soffermarci. Ci siamo infatti incontrati e scelti proprio perché c’era un’affinità in tutti gli ambiti, primo tra tutti quello della performance: Alessandro è un chitarrista con una presenza sonora pari a pochi altri, io col sax provo semplicemente a non dargli troppo fastidio”. (altro…)

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Foto di CARLO MOGAVERO

Intervista raccolta da Daniela Floris


-Come stai vivendo queste giornate?

Ogni giornata fa storia a sé, non sono mai uguali. Capita che mi alzi veramente girato male, e quindi ci sta pure che non parli per tutto il giorno, e allora mi rifugio un po’ in me stesso. Altri giorni riesco a trovare un po’ di luce, un leggero velo di speranza, quindi penso positivo e faccio più cose. Ondeggio tra questi due stati d’animo .

 

-Come ha influito questa emergenza sul tuo lavoro?

Sicuramente ha influito molto, perché non sono mai stato abituato a stare a casa più di tre o quattro giorni di fila. E’ una nuova vita, praticamente. Spero sia solo una parentesi, perché mi manca il contatto con la gente, come credo manchi a tutti. Oltretutto, cercare di studiare e di tenersi in forma con lo strumento senza avere un obiettivo imminente è molto faticoso.

 

-Pensi che nel prossimo futuro sarà lo stesso?

Non so dire cosa cambierà quando ritorneremo a fare la vita di prima. Sicuramente non sarà facile riavviare tutto. La mia unica paura è che quando riapriranno i teatri e i club la gente sarà ancora talmente spaventata da non venire ai concerti.  Poi però vedo la reazione positiva dei nostri fan e del pubblico in generale ai nostri video, che registriamo per tenerci in contatto con loro: mi sembra che il desiderio di tutti sia ritornare prima possibile ad ascoltarci dal vivo, e quindi alla fine ritorno fiducioso.

 

– Come riesci a cavartela senza poter suonare?

Continuo a suonare a casa. Devo dire che in parte anche il dover registrare delle tracce e dei video mi costringe a stare in forma. In questo momento come stimolo mi tengo questo, ma non so quanto possa durare.
Sicuramente c’è il grande desiderio di tornare a suonare: non solo per una questione economica, ma perché noi musicisti ci nutriamo dell’energia del pubblico. Questa è una cosa che mi sta mancando tanto. Ho avuto molte proposte di fare lezione online, c’è anche chi vuole organizzare dei master, ma io non ho mai creduto granché alle lezioni online, anche perché con la tromba non è così semplice: è uno strumento molto fisico, per il quale è importante il contatto con l’allievo, ed è importante che chi approccia lo strumento possa vedere come si respira, e come tu sei impostato. Poi c’è anche il grande limite, per il Jazz, che non si può suonare insieme. Io durante le lezioni lavoro molto con le basi, anche pre-registrate, per improvvisare, e questa cosa non è possibile. Parlando invece dal punto di vista strettamente economico, dato che sono quasi trent’anni che lavoro tantissimo, almeno da quel punto di vista sono “tranquillo”, tra virgolette, appunto.

 

-Vivi da solo o con qualcuno?

Vivo con la mia compagna, Stefania, e mio figlio, Mathias, che ha dieci anni.

 

-E quanto ciò risulta importante?

Il fatto che io sono a casa, e che anche la mia compagna stia sta lavorando in casa è una cosa che ovviamente diventa un po’ pesante, più che altro anche per il tipo di lavoro che fa lei: è giornalista e praticamente sta sul coronavirus per sette o otto ore di fila. Ascoltiamo tutti i notiziari, lei deve speakerare, preparare i servizi, parlando sempre di questo argomento: devo dire che ci sono giorni che si arriva a fine giornata che si è abbastanza esauriti. Però cerchiamo di prenderci i nostri piccoli spazi e riusciamo sempre a superare i momenti più stancanti.

 

-Pensi che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?
Spero tanto che questa brutta esperienza non ci allontanerà troppo nei rapporti umani, anche perché, come già dicevo prima, noi musicisti viviamo di questo, ed è tutto uno scambio di energia tra noi e pubblico. Se la gente sarà più lontana, anche la musica si allontanerà. Incrocio le dita e spero che questo non accada.

 

-Credi che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?

Sono convinto che un aiuto, piccolo o grande che sia, la musica lo può dare. Stiamo vedendo ad esempio la reazione della gente ai video, alle varie iniziative che pubblichiamo online: anche questa cosa bella che abbiamo fatto con Tosca, Joe Barbieri, Sergio Cammariere, Luca Bulgarelli (Il singolo Tu io e domani, i cui proventi sono andati alla Protezione civile, n.d.r. ).  Quando un brano, pubblicato i primi due giorni praticamente solo sulle nostre rispettive pagine facebook, riesce a raccogliere con i download quasi diecimila euro, vuol dire che la gente è attenta e ricettiva. E quindi vuol dire che la musica viene considerata come veicolo importante, anche per superare questo brutto momento.

 

-Se non alla musica a cosa ci si può affidare?

Penso che ognuno si debba affidare a qualcosa in cui crede veramente. Nel mio caso quel qualcosa sono la famiglia e la musica. Purtroppo in questo caso anche io sono semplice spettatore, e quindi dobbiamo solo aspettare e vedere cosa accadrà.

 

-Quale tuo progetto è rimasto incastrato in questa emergenza e vuoi segnalare?

Sono tanti i progetti rimasti incastrati, non mi va di parlare di nessuno in particolare, erano tante cose importanti: concerti, preparazione del disco in quartetto, uscita di due tre dischi sia come leader che come side man. Sotto questo punto di vista è un grande disastro, quindi teniamo duro e speriamo siano progetti soltanto posticipati.


-Mi racconti una tua giornata tipo?

Mi alzo la mattina, preparo la colazione e sto dietro un po’ a mio figlio con le lezioni online, si deve collegare 4 volte al giorno!
Poi studio e cerco di mantenermi in forma con lo strumento. Questo durerà fino a che non mi alzerò una mattina e dirò basta, perché di tenermi in forma non avrò più voglia,  fino a quando non mi diranno quando potrò tornare a suonare.
A parte questo,  sto facendo molti video e registrando un po’ di brani che stiamo montando anche con lo Spiritual Trio (con Alberto Marsico all’organo e Alessandro Minetto, n.d.r.):  registro qualche traccia, devo dire con mille difficoltà. Poi si gioca al mini ping pong che ho comprato proprio per superare questo periodo di clausura forzata.  Alterno queste cose, un po’ sto dietro a Mathias, e quando si può si esce a fare due passi intorno al palazzo.

Se avessi la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederesti?

Solo di avere tanto buon senso prima di diffondere varie ordinanze, e non solo. Sicuramente lo stanno facendo già, ma chiederei però di pensare bene a tutte, proprio tutte le conseguenze che queste decisioni comportano.


-Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?

E’ una cosa troppo soggettiva: consiglio a tutti di ascoltare la musica che ci fa stare più in pace.
Nel mio caso è spesso musica brasiliana. Quando ho bisogno di evadere, di rilassarmi, ascolto musica brasiliana, anche perché le sfumature della musica brasiliana sono tante. Nella maggior parte delle composizioni io trovo malinconia, anche tristezza, ma sempre con un velo di speranza, c’è sempre un ritornello che va in maggiore, o cambia ritmo, e ti dà, appunto, speranza: questo penso sia molto vicino al mio stato d’animo attuale.

Foto di CARLO MOGAVERO

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Foto di CARLO MOGAVERO

Intervista raccolta da Daniela Floris

 

-Come stai vivendo queste giornate?

Come tanti immagino, ma siamo tutti diversi ed è facile scadere in qualche luogo comune da talk televisivo pieno di buoni sentimenti che però si interrompono quando deve essere mandata la pubblicità.

 

-Come ha influito sul tuo lavoro?

Il lavoro ovviamente non c’è più, zero lezioni essendo tutto sospeso, la nostra è una scuola privata quindi l’applicazione delle lezioni online non è obbligatoria e francamente ci credo poco o nulla in quello strumento la didattica è fatta di rapporti umani.
Poi ci sono i concerti tutti saltati, come è saltato il festival d’Ivrea che organizziamo quest’anno era la 40° edizione ed il materiale era già tutto stampato… speriamo per l’estate ma la vedo complicata.

 

-Pensi che nel prossimo futuro sarà lo stesso?

Si dobbiamo dircelo, so che la maggior parte della gente non lo vuol sentire, ma meglio una dura verità che una pietosa bugia, in rete si vedono cose imbarazzanti, anche del nostro ambiente. Vorrei almeno non perdere la mia dignità. Quando cominci a mentirti poi comini a crederci davvero e dopo il risveglio è ancora più duro.

 

Come riesci a cavartela senza poter suonare?

Economicamente ? qualche risparmio… finché durano, comunque ho pochi vizi… non bevo, non fumo…mangio pochissimo…un asceta…

 

-Vivi da solo o con qualcuno?

Solo, con la mia gatta Morgana.


-E quanto ciò risulta importante?

Vivere solo ? per me non è poi così difficile. Ho perso mia madre a 14 anni e mio padre a 24… per me in un certo senso è la normalità. Non sto dicendo sia bello, né che sono così forte…è un dato oggettivo, forse mi manca il rapporto con gli allievi, quello sì.

 

-Pensi che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?

Dovrebbe, ma l’uomo difficilmente impara dai suoi errori: basta guardare la storia. In rete vedo tutti con stratagemmi vari provare a tirar su qualcosa ai danni di altri…mi piacerebbe che ci fosse tutto questo altruismo e questa ondata di buoni sentimenti. Si venderanno più colombe e uova Pasquali….ma non è così, lo vorrei …ma non è così, e dopo sarà sicuramente peggio, dobbiamo dircelo, prepararsi. Cercare almeno di non cedere con noi stessi.

 

-Credi che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?

A molti certamente, a me di sicuro,  è  per me è così da sempre. Il resto del mondo non so, sono 30 anni che la gente  deambula tra aperitivi, finte presentazioni di libri, tv spazzatura, una politica di gente senza Dei.  Se penso che Pasolini aveva visto tutto questo già negli anni Settanta, la cosa fa paura.

 

Se non alla musica a cosa ci si può affidare?

La scienza, la religione, la politica, l’arte erano le quattro ipotesi che Pasolini proponeva in Salò…ma alla fine morivano tutti.
Ma non voglio sembrarti troppo pessimista: c’è l’istinto, ti alzi e “fai le cose”, perché quella è l’unica risposta esistere, lasciare tracce, dare un senso anche alla propria sofferenza. Perché non è detto che sia inutile, anzi…

 

-Quale tuo progetto è rimasto incastrato in questa emergenza e vuoi segnalare?

C’è un nuovo solo, una registrazione con Enten Eller ma anche con Odwalla volevamo registrare, il cd appena uscito Woland…i progetti non mancano, ci sono fondamenta solide. E confido che saper portare, in quei progetti, questi momenti sarà fondamentale.

 

-Mi racconti una tua giornata tipo?

Ore 7 colazione, poi cyclette e ginnastica varia sino alle 9.45, un tè, poi scendo a studiare marimba. Alle 12 doccia pranzo , poi leggo, e alle 16 riprendo a studiare sino alle 19.  Cena e cyclette sino alle 22…quasi da monaco zen. Tutti i giorni.

 

-Se avessi la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederesti?

Niente, né a questo né a nessun governo. Mi conosci:  sai che sono d’Ivrea, che lavorai in Olivetti, che ero nel sindacato,  che ho assistito allo smantellamento di quell’azienda per fini politici (il secondo gruppo industriale italiano ancora oggi studiato nel mondo)…. conosco la politica.  Non c’è niente di buono, anche quando chi la fa crede alla propria buona fede. E’ un mondo che corrode, corrompe, avvelena.  Non c’è nulla, e io ho smesso di crederci da tempo, tanto tempo. Poi, la seguo, perché come si dice ”interessati di politica altrimenti la politica si interesserà di te”: si deve imparare a difendersi.
Forse si potrebbe chiedere a Franceschini se crede che la Cultura abbia ancora un senso in questo paese….e sempre se riesce a rimanere serio prima di rispondere.

 

-Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?

Me lo hanno chiesto in molti, ma credo che la musica sia una questione molto intima.  Io passo dai mottetti di Bach diretti da Nikolas Harnoncourt, a John Coltrane,  dai Genesis a Joni Mitchell, da Art Ensemble of Chicago a Hindemith…

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Foto di Carlo Mogavero

Intervista raccolta da Daniela Floris

Foto di CARLO MOGAVERO

-Come stai vivendo queste giornate?

Sto vivendo con ansia per quel che riguarda lo sviluppo dell’epidemia, soprattutto per mio figlio che è molto delicato, una volta era proprio autoimmune. Oggi va meglio ma comunque questo momento mi fa paura. Di contro, sono abituato alle emergenze e a vivere nell’oggi, pur pianificando un domani, per cui la “detenzione” che tutti stiamo vivendo non mi disturba più di tanto. Insieme a Francesco abbiamo passato mesi in stanze ospedaliere in isolamento, in condizioni davvero difficili e in regioni in cui non avevamo nessuno. Stare a casa per qualche settimana, con tutti i comfort e la mia musica, sarà più che altro una “vacanza forzata”.

 

-Come ha influito sul tuo lavoro?

Il lavoro ovviamente è un punto critico un po’ per tutti i professionisti che vivono della propria professione, fatta di prestazioni, di progetti. Nel caso mio, sul fronte dei concerti ho perso tutto al momento. Per quel che riguarda invece il lavoro didattico, nel mio caso legato ai due conservatori in cui sto insegnando, stiamo tutti cercando di tamponare con la didattica online, che se sul fronte pratico è sicuramente un surrogato, sul fronte emotivo e relazionale è uno strumento di grande aiuto. È bellissimo potersi collegare e vedere le facce sorridenti dei propri allievi, fare qualche battuta e comunque lavorare. L’essere umano è estremamente adattabile.

 

-Pensi che nel prossimo futuro sarà lo stesso?

Io sono un grandissimo ottimista e chi mi conosce lo sa. Ma sono anche realista. Secondo me ne usciremo del tutto non prima di Natale prossimo. Il che vuol dire che dovremo tutti stringere la cinghia e reinventarci nei limiti del possibile. Hanno paragonato questo momento ad una guerra. Non è proprio così, se pensiamo a tante zone disastrate nel mondo, dove la guerra c’è davvero. Ma che siamo già caduti in crisi che diverrà sempre più profonda è evidente. Io spero che il governo riesca a mantenere salda la nazione, perché il rischio di insorgenza sociale c’è e si fa sempre più evidente.

 

-Come riesci a cavartela senza poter suonare?

Non poter suonare per me è come respirare male, come quando ho il raffreddore allergico e mi viene una specie di asma. In realtà suono moltissimo, ma da solo. Più che altro studio tanto la batteria che è il mio strumento e sto sperimentando alcune possibilità con l’elettronica.

 

-Vivi da solo o con qualcuno?

Vivo con la mia famiglia. Mia moglie Teresa, il mio secondogenito Gianmarco di dodici anni e il mio primogenito Francesco, disabile, carrozzato, che con un semplice raffreddore può andare in crisi respiratoria con l’esigenza dell’ossigeno terapia. Per questo sono molto preoccupato dal virus.


-E quanto ciò risulta importante?

Vivere in compagnia è sempre un esercizio di equilibrio quotidiano. Devi dar conto delle tue azioni ed essere parte attiva di una squadra. La famiglia è questo. Noi per fortuna abbiamo una casa abbastanza grande. Per cui ognuno di noi può usufruire di spazi adeguati e questo è sicuramente un grande vantaggio. A volte penso a quelle famiglie che vivono in piccoli appartamenti e credo che non sia affatto facile mantenere una convivenza serena. Io posso anche allenarmi e correre sul tappeto elettrico. Sono molto fortunato in questo momento.

 

-Pensi che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?

Credo di sì. Anzi, penso che lo stiamo già facendo. Magari non tutti con consapevolezza, ma anche le persone più superficiali in questo momento storico si stanno ponendo domande e hanno sicuramente adottato approcci nuovi o comunque in via di evoluzione. Io credo che tutta questa storia ci abbia già segnato in maniera indelebile e che avrà costi psicologici elevati nel medio e luongo termine. Ciò contribuirà a cambiare abitudini e metodologie anche nel lavoro. E non è detto che sia una cosa negativa! L’essere umano è estremamente adattabile. (l’ho già detto?)

 

-Credi che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?

Credo che la musica e le arti in generale possano darci la forza di sognare, di guardare oltre.  Vent’anni fa, mentre mio figlio lottava tra la vita e la morte, sottoponendosi a chemio e radioterapie, io e mia moglie abbiamo passato settimane, mesi fuori casa, dandoci il cambio in ospedale e vivendo in appartamenti di fortuna. In quel periodo non potevo suonare, ma continuavo a studiare, progettavo, ascoltavo musica. Il mio bisogno di bellezza mi faceva divorare musica e libri e questa bellezza mi rendeva forte, mi aiutava a concentrarmi su quello che dovevo fare per mio figlio, come un soldato. Esattamente come tutti noi, adesso, sappiamo cosa dobbiamo fare e mentre lo facciamo, possiamo nutrirci del bello che abbiamo attorno. Che è tantissimo. Dobbiamo solo avere la volontà di andarlo a scoprire.

 

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?

C’è chi medita, chi prega. Chi ha un hobby o comunque un grosso interesse per qualcosa, in questo momento può approfittarne per studiare, approfondire. Si può fare tanta ginnastica da soli in casa e senza alcun attrezzo. Ci sono mille cose da fare. Il problema secondo me, è che molta gente non è abituata a crearsi spazi ricreativi. Mi dispiace dirlo, ma spesso mi accorgo che intorno a me ci sono tante persone che non hanno passioni, interessi forti, per l’arte, lo sport, il bricolage. È difficile per un uomo che non ha nessuna relazione con se stesso, rimanere solo con se stesso. Secondo me adesso più che mai si deve provare a focalizzare se stessi in relazione alle passioni. Non lasciarsi annichilire. So che qualcuno potrà incazzarsi per questa mia espressione, ma nonostante tutto siamo in momento di “rinascita”.

 

-Quale tuo progetto è rimasto incastrato in questa emergenza e vuoi segnalare?

Ho due dischi in corso d’opera. Uno che è diventato Omerico, lungo e articolato con tanti ospiti e un’orchestra formata da giovani talenti campani. L’orchestra si chiama “Vesuvian Jazz society” e abbiamo una pagina su facebook. Si tratta di un repertorio di brani del pop internazionale anni ottanta. Mancano ancora alcuni ospiti e poi i missaggi. Però abbiamo realizzato due video molto belli che sono sia sulla pagina che su youtube. Uno è “Calling you” tratto dalla colonna sonora del film Bagdad Cafè e cantato da Beatrice Valente, giovane contrabbassista Napoletana, con il fisarmonicista Carmine Ioanna e il trombettista Gianfranco Campagnoli come ospiti solisti. L’altro è un brano a me molto caro, “Figli delle stelle” di Alan Sorrenti, cantato dal bravissimo Daniele Blaquier, una voce dei Neri Per Caso e con ospiti il caro amico Enzo Anastasio, grandissimo altosassofonista e Maria Barbieri, una giovanissima e bravissima chitarrista Ischitana che sta per pubblicare il suo cd di esordio e nel quale ho suonato pure io.
Tra l’altro “Figli delle stelle” è arrivato alle orecchie di Alan che ci ha regalato un bel video di ringraziamento su Facebook. Poi c’ un secondo disco, praticamente finito, mancherebbe solo il mastering e l’ultimo giorno di studio l’ho effettuato due giorni prima che andasse in funzione il decreto di fermo totale. Nel frattempo qui a casa sto trafficando con un modulo elettronico per la batteria e sto pensando di realizzare una registrazione casalinga da vendere solo in versione digitale su bandcamp. Potrebbe essere pronto entro giugno.

 

-Mi racconti una tua giornata tipo?

Devo ammettere che ci stiamo tutti svegliando un poco più tardi, ma poco eh! Francesco deve prendere diversi medicinali già dalle 7.30, quindi al massimo possiamo sgarrare di venti minuti. Dopodichè mi metto la tuta, prendo le mie medicine e preparo il caffè. Faccio i letti e metto in ordine come tutti i giorni anche in tempi normali. Un po’ di ginnastica a corpo libero e corsetta sul nastro! Doccia e subito si comincia con la batteria. Studio per me o preparo i video per i miei allievi del conservatorio. Si pranza e subito dopo si ricomincia a lavorare. Teresa con le sue video lezioni e io con le mie. Casa nostra sembra un manicomio! Video lezioni finite, mi rimetto a suonare e organizzare video, sia artistici che didattici. “Ed è subito sera” (cit). Devo dire che la giornata passa in un attimo. In questo senso la mia vita non è cambiata affatto.

 

-Se avessi la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederesti?

Domandona. Secondo me questo dramma sta evidenziando quanto il federalismo tanto decantato e voluto da alcuni, non abbia funzionato, creando vuoti e malfunzionamenti istituzionali a tutti i livelli ma soprattutto nella sanità, depauperata e portata a livelli minimi, tanto che oggi ne stiamo pagando le conseguenze, con ospedali che vanno in crisi non appena si supera di poco il surplus di richieste di ricovero. Questo è senz’altro uno dei punti focali su cui rimettersi a lavora nel futuro a brevissimo termine. Poi abbiamo un welfare inefficace se non inesistente e verranno fuori parecchie magagne a livello sociale, perché chi riusciva ancora ancora a galleggiare, oggi, dopo solo un mese di chiusura totale, comincia ad avvertire il colpo. Secondo me è su questi punti che dovrebbe davvero cominciare a lavorare il governo.

 

-Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?

Come sai scrivo tanto su facebook, e spesso ho raccontato le mie esperienze con Francesco che mi hanno segnato, mi hanno cambiato, mi hanno migliorato. Lo faccio per non dimenticare chi sono e anche chi sono stato, ma a volte mi percepisco visto dal di fuori, come uno che “sa sempre come fare” e che vorrebbe spiegare agli altri come comportarsi. E mi rendo conto che forse ai più, questa immagine non sia molto simpatica. In realtà noto che molte persone si lamentano moltissimo ma senza mai fare quel passo decisivo verso un vero cambiamento. Va detto che noi tutti siamo strutturati delle esperienze che viviamo e dal modo in cui le viviamo e approcciamo gli avvenimenti. Per cui, risponderò dicendo che quando Francesco è entrato nella sua prima sala di rianimazione, dopo aver subito un intervento al cervello di circa dieci ore, mi sono chiesto una sola volta “perché a me?” capendo subito che l’autocommiserazione non avrebbe avuto alcuna utilità se non farmi stare male.
Io invece dovevo stare bene, fisicamente e psicologicamente, perché dovevo contribuire col mio misero apporto, a salvare mio figlio.
Facciamo tutti la nostra piccola parte serenamente. Rimaniamo a casa. Passerà.

 

OPEN PAPYRUS JAZZ FESTIVAL 39′ Edizione – seconda parte


Tutte le foto sono di Carlo Mogavero

Un sabato densissimo di avvenimenti non solo musicali, che comincia con le performance in piazza delle Scuole di Danza Baobab, Arabesque e Accademia di Danza e spettacolo.
E oltre alle già citate mostre di pittura e fotografia a Santa Marta e al Caffé del Teatro (rispettivamente Sguardi Africani di Odina Grosso e i sette artisti di Arte in Fuga), eravamo alla presentazione del libro di Davide Ielmini Il suono ruvido dell’innocenza: Musica, gesti e immagini di Enten Eller. Un interessante e a tratti illuminante dibattito sulla musica di un gruppo, Enten Eller, che continua a fare un Jazz autentico: improvvisazione pura, sperimentazione, rimescolamento di linguaggi. Ciò che il Jazz è davvero, e ciò che porta alla constatazione, benefica, che il Jazz, se non cartolina fatta di stilemi replicati, e replicanti, non morirà mai. Massimo Barbiero racconta, la sala è piena, il pubblico, tra cui chi vi scrive è non solo attento, ma partecipativo.
La cultura bisogna proporla. La musica è cultura ed è cultura non solo ascoltarla, ma anche parlarne, e leggerla.

Il giovane pianista Emanuele Sartoris, dopo la presentazione del libro su Enten Eller, dà una sua personale lettura della musica Enten Eller, da solo, alle tastiere.

Sala Santa Marta, ore 19:00

Music of Enten Eller

Emanuele Sartoris, keyboard

La musica di Enten Eller è libertà compositiva, tematica, è improvvisazione. Dunque è materiale sonoro molto connotato, denso eppure malleabile per diventare altra musica suonata in maniera completamente diversa da come era in origine.
Emanuele Sartoris sceglie di ricomporre i brani in una sonata tripartita: Adagio – Allegro – Adagio.

Egli stesso improvvisa, ma tramuta Enten Eller in musica prettamente pianistica. Dinamiche marcate, da silenzi impercettibili a volumi importanti, ricerca armonica, visione drammatica del suono: nulla di minimalista, un suono travolgente che si tramuta improvvisamente in qualcosa di più introspettivo, ma sempre in una chiave teatrale e certamente avviluppante. Una scelta timbrica imponente, un ampio uso dei pedali, delle ottave parallele, di arpeggi velocissimi e trasposizioni ardite trasformano brani come Mostar, Teseo, Indaco, in musica “altra”. Quando la musica nasce libera, come la musica di Brunod, Mandarini, Mayer e Barbiero, questa  può davvero tramutarsi in maniera totale.

L’IMPATTO SU CHI VI SCRIVE

Sartoris possiede una notevole cultura musicale. Ha una padronanza pressoché totale dello strumento. Nella sua musica si sente l’eco dei grandi compositori che sono entrati a far parte della sua musicalità: Debussy, Beethoven, Bach. Ma anche i grandi pianisti Jazz come Monk, tanto per dirne uno. Il suo suonare è un’originale mix tra il linguaggio cosiddetto colto e quello jazzistico: nelle due sere al Caffé del Teatro lo abbiamo sentito fare un Jazz convincente ed energico con i Night Dreamers Quartet, insieme a Simone Garino al sax, Antonio Stizzoli alla batteria e Dario Scopesi al basso.
La sua rivisitazione della musica di Enten Eller è coinvolgente, potente e curata.
Poi c’è ciò che ho percepito a prescindere dalla musica che ho ascoltato: energia interiore, impellenza espressiva, tormento, persino.
Dunque ho una cosa da suggerire a Emanuele Sartoris:  tutto ciò che sa e che ha studiato e ascoltato può ora  dimenticarlo, tanto farà sempre parte di lui. Perché c’è tutto un non ancora espresso che traspare sempre di più dalla sua musica ed è lì lì per tracimare.
Nel senso che oramai questo pianista ha la maturità di osare suoni ancora mai suonati e che ancora non ha la motivazione di liberare, o che forse ancora non pensa possibili: Emanuele Sartoris può ora ascoltare se stesso e creare la propria, irripetibile musica. E’ un lusso che non tutti possono permettersi.

 

 

Teatro Giacosa, ore 21:15

Wolfgang Schmidtke Orchestra
Monk’s Mood

Ryan Carniaux: tromba
John-Dennis Renken: tromba
Rainer Winterschladen: tromba
Nikolaus Neuser: tromba
Gerhard Gschlössl: trombone
Thobias Wember: trombone
Mike Rafalczyk: trombone
Peter Cazzanelli: trombone basso
Nicola Fazzini: sax contralto e soprano
Gerd Dudek: sax tenore e soprano
Helga Plankensteiner: sax baritono
Michael Lösch: pianoforte
Igor Spallati: contrabbasso
Bernd Oezsevim: batteria
Wolfgang Schmidtke: sax soprano, clarinetto basso, arrangiamento e direzione

La musica di Thelonius Monk in mano ad un’orchestra composta da solisti. Quattro tromboni, quattro trombe, quattro sax, pianoforte contrabbasso e batteria e la particolarità di un ensemble costituito da solisti, che lavorano ognuno con il proprio particolarissimo timbro, che improvvisano ognuno con il proprio particolarissimo stile. Ogni musicista partecipa con il proprio personale suono da solista provvede alle parti scritte, ai background, agli obbligati, senza tentare di uniformarsi al gruppo.


Il repertorio di Monk viene eseguito liberamente, le sezioni si fronteggiano in formazioni sempre diverse e si ascolta un Jazz multiforme che si avvicina allo swing ma che improvvisamente vira su episodi atonali e quasi free, per poi arrivare ad unisoni inaspettati. I sax possono diventare le chiavi ritmiche insistendo con un’unica nota nei tempi deboli. Si può formare un inusuale trio tra tromba pianoforte e batteria perché improvvisamente il contrabbasso tace, o un duo tra tromba, o trombe,  e contrabbasso perché è improvvisamente il pianoforte a tacere.


Grande spazio agli assoli e pubblico felice.

L’IMPATTO SU CHI VI SCRIVE

Una sonorità inusuale, continue sorprese, una musica leggendaria, quella di Monk, con arrangiamenti divertenti e tutt’altro che ossequiosi. Un concerto divertente ed energico, non il solito omaggio deferente ad un genio che replicare sarebbe impossibile.

 

 

Teatro Giacosa, ore 2230

Bosso / Guidi

Not a What

Fabrizio Bosso: trumpet
Aaron Burnett: tenor sax
Giovanni Guidi: piano
Dezron Douglas: bass
Joey Dyson: drums

“Iazz is not a what, it is a how”: è una celebre frase di Bill Evans, che Fabrizio Bosso e Giovanni Guidi prendono come ispirazione e nome del loro nuovo gruppo, in procinto di diventare album. A Ivrea un quasi numero zero dunque, in attesa di disco e tour europeo.
Musicisti oramai da anni divenuti eccellenze a livello internazionale, Bosso e Guidi con Burnett, Douglas e Dyson, hanno portato al Giacosa tutto il proprio repertorio espressivo e virtuosistico.

Il concerto prende il via con una lunga intro, composta da un unisono solenne, mosso da suggestivi arpeggi al pianoforte, fino a quando il sax di Burnett non si libra in un assolo, sostenuto armonicamente da una alternanza  ciclica di due accordi a distanza di una quarta.
Durante tutto il concerto si ascolta un’alternanza tra obbligati perfetti, con unisoni tra tromba e sax anche a velocità supersonica, e momenti di improvvisazione libera, in cui il pianoforte di Giovanni Guidi definisce l’atmosfera dei brani: torrenziale, armonico, a volte impetuoso a volte indefinito e fiabesco.


Può capitare che tromba e pianoforte si incontrino in uno di quegli obbligati, può accadere che sugli affreschi sonori di Guidi Bosso ricami linee melodico ritmiche variegate, nette, acrobatiche persino.
Può accadere che il contrabbasso di Douglas si sciolga in un assolo puramente Jazzistico o proceda con un tradizionale walkin’ bass, come invece capita che lo si ascolti impastato armonicamente con il pianoforte, contribuendo, con un andamento timbrico grave e vibrante, al suo evocativo rumoreggiare.

Oppure si possono ascoltare melodie adrenaliniche suonate da sax e tromba a distanza di una trasgressiva quarta parallela che si disgiungono inaspettatamente per seguire ognuno la sua strada di improvvisazione, sottolineati da una batteria dal groove e dal timing notevolissimi.


Il bis è una bella My funny Valentine, della quale personalmente ringrazio questo quintetto: oramai è uno standard ritenuto A TORTO troppo eseguito, e  quasi nessun musicista lo esegue più. Dunque, paradossalmente, è oramai raro ascoltarla suonata da musicisti di livello.

L’IMPATTO SU CHI VI SCRIVE

Un concerto energico, cucito addosso alle personalità spiccatissime di Fabrizio Bosso e Giovanni Guidi, a tratti muscolare, a tratti strutturato, sempre definito da un notevole dialogo creativo tra i cinque musicisti, che trovano ognuno il proprio spazio espressivo, e anche quello per momenti di puro virtuosismo strumentale, di cui nessuno dei cinque difetta. Questo mix di espressività e virtuosismo ha reso entusiastico il finale di Open Papyrus Jazz Festival.

OPEN PAPYRUS JAZZ FESTIVAL IVREA

Tutte le foto sono di Carlo Mogavero

Il tema del Festival Open Papyrus 39 edizione quest’anno è stato ispirato al direttore artistico Massimo Barbiero dalle Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar.
“Giudicando la propria vita di uomo e l’opera politica, Adriano non ignora che Roma finirà un giorno per tramontare e tuttavia il suo senso dell’umano, eredità che gli proviene dai Greci, lo sprona a pensare e servire fino alla fine”.
Questo si legge nel depliant del festival, in cui Barbiero spiega che l’Adriano delle Memorie è paragonabile a quell’Adriano Olivetti che ha lasciato a Ivrea un’eredità culturale che è doveroso mantenere viva, invece che abbandonarsi ad un nostalgico declino. E non si può certo dire che l’Open Papyrus non stia mantenendo vivo l’humus culturale del territorio. Il festival non è solo musica. C’è un’interesse per le eccellenze del territorio (vedi i vini, vedi i formaggi, ad esempio, che sono protagonisti degli aperitivi a Santa Marta, tra una presentazione e un concerto). C’è, da sempre, un interesse per la diffusione di libri che trattano di musica: in questa 39sima edizione sono stati presentati “I giorni della Musica e delle Rose“, Ed. Stampa Alternativa, di Franco Bergoglio, e “Il suono ruvido dell’innocenza” di Davide Ielmini, ed. Gallerie del Libro.  C’è, da sempre, la valorizzazione di realtà locali come le importanti scuole di danza di Ivrea: in questa edizione non sono mancate performance in piazza e flashmob, oltre che la bella interazione sul palco del Giacosa con Odwalla, di cui si parla di seguito. In scena le tre scuole Baobab, Arabesque e Accademia di Danza e Spettacolo. Da molte edizioni sono state organizzate mostre di pittura e mostre fotografiche: quest’anno da ammirare c’era a Santa Marta la mostra di gigantografie/ritratti di Odina Grosso, Sguardi Africani, mentre a via Palestro, al Caffé del Teatro, sette artisti (Tony Muroni, Susanna Clarino, Alfredo Samperi, Lanfranco Costanza, Umberto Pettene, Ennio Marzano, Daniela Borda) hanno esposto le loro opere per la mostra Arte in Fuga.

Barbiero dunque come sempre imposta un Festival Multiculturale, e resiste alle mille difficoltà che inevitabilmente incontra chi ancora ha il coraggio e la forza di occuparsi di cultura. Difficoltà economiche, resistenze di vario tipo, nonché le conseguenze di indifferenza e anche sottovalutazione di un lavoro oramai quasi quarantennale. Eppure ogni anno il Festival va in scena. E come ogni anno A proposito di Jazz è presente per documentarlo.

Il pomeriggio a Santa Marta non è possibile documentarlo poiché siamo arrivati in tempo per lo spettacolo serale al Teatro Giacosa.

Oltre alla presentazione del libro di Franco Bergoglio, citato più su, e la degustazione, ha preso posto sul palco il Quartetto E-Volution, con il progetto 7Dreams: the Voice of an Albatros. Un quartetto composto da Luis Zöschg: guitar, efx, Christoph Zöschg: drums, percussions, Norbert Dalsass: bass, efx e special guest:
Martin Ohrwalder: trumpet, efx.  Il viaggio di un albatro alla ricerca di cibo in veste di sogno, diviso in 7 movimenti.

Teatro Giacosa, ore 2130

Elliott Sharp e Maurizio Brunod
Special project for Ivrea

Elliott Sharp, guitar
Maurizio Brunod, guitar

Un incontro quasi fortuito a Ny, un pomeriggio passato insieme a parlare di musica e la promessa di rivedersi per suonare insieme: “quel suonare insieme è stasera” dice Maurizio Brunod presentando Elliott Sharp.
Dalle due chitarre si materializzano note che si incrociano e sembrano piccole gocce di qualcosa di più denso dell’acqua, fino a quando Sharp non dà il via al tema, che emerge su quelle gocce sonore e non su accordi armonici.


Fino a quando Brunod non comincia l’interazione vera e propria. Si procede con varianti timbriche, effetti, dialoghi, tra due chitarre che hanno un suono diverso tra loro e dunque si mischiano rimanendo perfettamente distinte, Brunod con il suo suono quasi perfettamente liscio e non privo di eco, Sharp più vibrato e terreno. La loop station aumenta le possibilità di combinazione. Ogni tanto si affaccia del blues, e poi si torna al “non suonato prima di ora”.
In alcuni momenti le due chitarre atterrano su unisoni inaspettati che durano un po’, fino a quando uno dei due musicisti improvvisa lasciando l’altro a quelle note scritte e viceversa.

Sonorità avveniristiche, improvvisazione pura, temi melodici che si stagliano improvvisi su impasti armonici densi di effetti. E poi vibrazioni, urli, glissando, e suoni che sembrano quasi uncini che si agganciano su un ricco e suggestivo tramestio di fondo, scuro eppure molto percettibile nei particolari.
Appaiono reminiscenze di tango, piccoli cenni di country, addirittura, ma sono attimi. Per il resto è tutto un procedere cercando, e trovando, suoni e dialoghi del tutto improvvisati e nuovi.

L’ IMPATTO CON CHI VI SCRIVE

Un concerto particolare, suggestivo, quasi del tutto improvvisato.  Due musicisti che comunicano tra loro con un linguaggio inusuale, che diventa anche il modo di comunicare con il pubblico, fatto di atmosfere cangianti, di contrasti improvvisi e di improvvisi lineari unisoni, e che nonostante in comune abbiano anche lo strumento riescono a tramutare in ricchezza di colori sonori la loro differenza, intrecciando fraseggi, timbri in contrasto, dinamiche, temi melodici, sfondi gravi e pastosi o cristallini e leggeri. Al termine, il silenzio improvviso ha riportato chi era presente in sala sulla terra.

Teatro Giacosa, ore 22:15
Odwalla e Baba Sissoko
Concerto del trentennale

Massimo Barbiero: marimba, vibes, percussions
Matteo Cigna: vibes, percussions
Stefano Bertoli: drums
Alex Quagliotti: drums, percussions
Andrea Stracuzzi: percussions
Doudù Kwateh: percussions
Daouda Diabate: djembè kora e dance
Cheikh Fall: djembè kora
Gaia Mattiuzzi: vocal
Baba Sissoko: vocals e tamà
Giulia Ceolin, Gloria Santella, Barbara Menietti: dance

Per fortuna ad Open Papyrus Jazz Festival trovo quasi sempre Odwalla.
Perché è molto difficile poter assistere a questo spettacolo altrove o in altra occasione. E’ un concerto emozionante, mai uguale, dalle sonorità potenti. E’ visivamente una festa, la danza enfatizza la musica e viceversa.
Ho già scritto molto di questo gruppo composto quasi esclusivamente di strumenti a percussione. Della bellezza degli scambi tra la marimba di Massimo Barbiero e il vibrafono di Matteo Cigna, dei rumori infiniti e magici di Doudù Kwateh, del suono avvolgente delle kora di Daouda Diabate e Cheik Fall , della voce versatile e coinvolgente di Gaia Mattiuzzi e di quella evocativa e potente di Baba Sissoko. Della travolgente interazione tra le due batterie di Stefano Bertoli e Alex Quagliotti e le percussioni di Andrea Stracuzzi.
Le danzatrici, Giulia Ceolin, Gloria Santella, Barbara Menietti, hanno tramutato i suoni in movimento emozionando e incantando il pubblico.
E’ una meraviglia di colori, di varietà di battiti e di note.
E’ un fondamentale esempio di civiltà, di meravigliosa convivenza tra culture diverse, tra arti diverse, tra Uomini Donne Africa Europa India Italia. E’ la terra come potrebbe e dovrebbe essere. E’ la prova che tutto è possibile.

La voce, la vitalità di Baba Sissoko spazzano via ogni barriera.

Parlano le foto di Carlo Mogavero, a colori, perché non vi perdiate nulla se non il suono: ma la musica si ascolta anche guardando