Odio l’Estate – Storia segreta di un’intossicazione da Real Book
di Alessandro Fadalti –
Il caldo ha mollato la presa solo negli ultimi giorni ed è così che ci siamo accorti che l’estate è effettivamente finita. Questo preambolo può sembrare una chiacchiera spiccia e situazionale sul meteo, se non fosse che settembre sia un mese che porta con sé una forte carica emotiva. Potremmo considerarlo il Capodanno mai festeggiato, anche se non ci sono bottiglie da stappare come durante il cenone a cui segue il più classico dei countdown. Tuttavia, proprio come quando si chiude dicembre, percepiamo il finire di qualcosa e l’inizio di un nuovo ciclo. Finisce il periodo vacanziero, le persone tornano ad affrontare la quotidianità, le giornate si accorciano, le cicale smettono di intontirci con i loro cori e l’idea di un tuffo in mare ci annoia. Per quanto nell’immaginario collettivo sia rilassante come periodo dovremmo ammettere che sotto sotto l’estate fa un po’ schifo. Bruno Martino la odiava veramente? Non potrò mai saperlo ma è spesso a lui che rivolgo i miei pensieri quando ho finito di digerire il pranzo di Ferragosto. Tutto ciò mi diede, mesi fa, lo spunto per pormi nuovamente una di quelle domande a cui nessuno è interessato. Sfogliavo alcuni indici dei Real Book per cercare qualche brano jazz da suonare e mi apparve come un anatema “Estate”; era inizio giugno e già leggere il titolo mi faceva salire la tristezza della fine di qualcosa che non era nemmeno incominciata, una sensazione perversa. A livello più lucido ho cercato risposta al quesito: «come è accaduto che una canzone italiana sia diventata uno standard jazz/latin a livello internazionale?» solo negli ultimi giorni. La storia è complessa e incompleta, vi si intrecciano molti nomi ed eventi, inoltre parliamo di un brano che ha avuto eterogenei adattamenti a livello testuale; proverò dunque ad usare un approccio cronologico per arrivare a un punto della situazione di carattere più speculativo che analitico.
La prima tappa di questo viaggio è a Napoli nel 1960, la storia che si racconta è che all’Hotel Royal Bruno Brighetti scrive il testo in seguito a un’intossicazione alimentare da frutti di mare. Il brano doveva chiamarsi “Odio l’Estate”, una dedica sentimentale a una stagione dove gli amori sono intensi ma fugaci, che causano dolore e che si spera finisca presto. La prima strofa e il ritornello infatti recitano:
Strofa 1 e 2:
Estate
Sei calda come i baci che ho perduto
Sei piena di un amore che è passato
Che il cuore mio vorrebbe cancellar
Odio l’Estate
Il sole che ogni giorno ci donava
Gli splendidi tramonti che creava
Adesso brucia solo con furor
Ritornello:
Tornerà un altro inverno
Cadranno mille petali di rose
La neve coprirà tutte le cose
E il cuore un po’ di pace troverà
Strofa 3:
Odio l’Estate
Che ha dato il suo profumo ad ogni fiore
L’ estate che ha creato il nostro amore
Per farmi poi morire di dolor
Dopo quel “morire di dolor” segue l’intervento orchestrale degli archi, e poi dei fiati, in solo, a commentare questo dolore. Successivamente, il brano si conclude con la ripetizione del ritornello e la terza strofa, per chiudere con quell’anatema fino a sparire nel silenzio: “Odio l’estate”. Rispetto alle atmosfere della canzone leggera della bella vita notturna italiana, durante gli anni del boom, tutto ciò era sicuramente in forte controtendenza, infatti Lelio Luttazzi nello stesso anno, in una trasmissione televisiva, ne fa una parodia “Odio le Statue”. Si dice che Bruno Martino, risentito della parodia, fece togliere dalle riedizioni successive la parola “Odio” dal titolo. Luttazzi non poteva sapere che da lì in poi molti artisti al di fuori dell’Italia si sarebbero cimentati a cambiarne il testo. La canzone, non la parodia ovviamente, riscuote un successo tiepido in patria, si ricordano alcune esecuzioni, tra cui quella di Milva nello stesso anno.
La tappa successiva è la meno citata e forse la più interessante. Helen Merill (nome d’arte di Jelena Ana Milčetić) è una cantante statunitense nota, ha collaborato con nomi del jazz come Clifford Brown, Oscar Pettiford e a incidere alcuni dei suoi successi c’era il tocco magico di Gil Evans, che scrisse degli arrangiamenti appositamente per lei nel ’56 (esperienza che diede i frutti a Evans per il successivo lavoro con Miles Davis). Tuttavia, negli anni ’60, la Merill si trovava in Europa, nello specifico a Roma, e lavorava con Pietro Umiliani, ma l’incontro con Morricone l’ha portata nel ‘62 a cantare “Estate” in una versione arrangiata e diretta dal maestro.
Che sia questo il ponte che ci porta alla terza tappa del brano? Perché misteriosamente nel ’65 compare “Maybe This Summer”, un adattamento inglese scritto da Al Stillman (Albert Irving Silverman) e Arthur Altman, due parolieri e musicisti che restituiranno la canzone grazie alla voce della cantante Peggy Lee. Questo è l’esatto momento in cui, per la prima volta, il testo verrà cambiato.
Strofa 1 e 2:
This summer,
Perhaps I’ll meet the one who’ll be my true love,
The one who won’t be just another new love,
Who’ll still be mine when leaves begin to fall,
Maybe this summer,
I’ll feel the glow of someone’s warm caresses,
And I will know at last what happiness is,
This summer if my lover comes to call.
Ritornello:
Will she whisper she loves me,
And tell me life was empty ‘till she found me,
And say how much she wants her arms around me,
Each day of every winter, spring and fall.
Maybe this summer…
Alla terza strofa, in questo caso, viene sostituita una breve sezione strumentale che fa una variazione sulla melodia del ritornello, raddoppiandone la durata. A livello testuale, scompare la malinconia e tutto il malessere, la canzone parla di un amore che si spera possa perdurare anche durante l’autunno e l’inverno, tutt’altro rispetto a Brighetti che non vedeva l’ora che arrivasse l’inverno e cancellasse i dolori estivi d’amore. Il fatto che il testo sia stato tradotto in inglese è un passo altrettanto inusuale, un brano italiano di musica leggera era arrivato alle orecchie e alla mano di compositori USA.
Da lì in poi il brano resta in un dimenticatoio per una decina d’anni, fino a quando João Gilberto la sente durante un tour in Italia negli anni ‘60, almeno questa è la storia che si racconta. La suona e la canta in lingua originale ma toglie la parola “Odio” addirittura dal testo oltre che dal titolo, come già Brighetti e Martino fecero. Il motivo della scelta può essere molteplice, ma quello più accreditato è di carattere stilistico, a Gilberto non piaceva e in generale, a ben pensarci, forse quella parola, associata all’estate non si adatta all’atmosfera Saudade tanto cara ai bossanovari brasiliani. Nel 1977 la canzone ritorna in auge e Gilberto la porta alla fama inserendola inaspettatamente nel suo album “Amoroso”, ed è forse questo il nodo più importante, perché da lì in poi la melodia viene ripresa senza il canto da alcuni jazzisti statunitensi, tra cui ad esempio Chet Baker, Joe Pass, e Michel Petrucciani da poco trasferitosi nel nuovo continente, ma anche Toots Thielemans in Europa.
La quinta tappa è quella che vede protagonista Joel Edward Siegel, professore d’inglese, critico musicale e cinematografico, produttore musicale e paroliere. Un personaggio polivalente che si avventura a scrivere un altro adattamento con testo in inglese, che l’abbia scoperta tramite Gilberto? Potrebbe essere, infatti l’atmosfera del brano è stravolta definitivamente nel suo senso di quell’estate tanto odiata che tutti conosciamo. Il testo è solo leggermente malinconico:
Strofa:
Estate
You bath me in the glow of your caresses
You’ve turned my eager no to tender yeses
You sweep away my sorrow with your sigh
Estate
Oh how the golden sunlight bends the willow
Your blossoms send the perfume to my pillow
Oh who could know you half as well as I
Ritornello:
I always feel you near me
In every song the morning breeze composes
All the tender wonder of the roses
Each time the setting sun shines on the sea
Qui il ritornello, invece, ha un accompagnamento molto ricco a livello armonico e con alcune risposte del piano tra una frase e l’altra, che anche in questo caso allungano la durata a livello strutturale. Il testo in questo adattamento racconta un amore attraverso metafore legate a questa stagione, non rappresenta soltanto una speranza come in Stillman e Altman, in questa versione l’amore è vissuto a pieno senza paure e dubbi e questo si riflette attraverso immagini estive ricche di sensualità. Siegel ha lavorato come produttore musicale anche per alcuni album della cantante Shirley Horn. Lei, nell’album “Softly” del 1987, ha reso celebre questo adattamento con una interpretazione che dona alla mente la visione di un’estate magica, dalla consistenza del fine velluto e passionale.
La sesta tappa ci porta qualche anno dopo ad ascoltare una delle versioni più uniche, a mio parere. Nel 1990 esce l’album “Sabìa” che porterà al successo la cantante statunitense Susannah McCorkle. La sua voce restituisce una “Estate” dallo spirito molto simile a quella di Brighetti e Martino
Strofa 1 e 2:
Summer,
I met you in the blazing heat of summer
The days were long and nights were sweet at summer
I fell in love with summer in my heart
Summer,
When we drank wine at sunset on a beach
When happiness seems almost at our reach
You held me tight and swore we never part
Ritornello:
Now I dread every summer
When all the world around me is in bloom
Instead of feeling hope I’m filled with gloom
I pray for early autumn every year
Strofa 3:
Summer,
The night you left I laid awake in cry
And in those hours something in me died
As summer turn to winter in my heart
L’estate si trasforma letteralmente in un inverno nel suo cuore, un amore finito nella tristezza assoluta dove sembra che l’unico appoggio confortevole siano i bei ricordi di pace e serenità che collegava due amanti in un sentimento… caldo come un’estate. La nota più particolare di questa versione è che dopo la terza strofa e un solo di Sax, la cantante riprende intonando il ritornello in italiano con il testo originale. Le analogie, inoltre, ci portano alla chiusura, dove con la ripetizione del ritornello in inglese la canzone si spegne con la parola Summer che incede lentamente fino a dissolversi. Il richiamo alla versione originale è forte, non solo perché canta in italiano ma perché la struttura del brano e l’atmosfera che crea è simile al dolore di cui parla Brighetti, a tratti, a mio parere, accentuata dal fatto che la cantante soffriva di depressione; sicuramente la sua interpretazione trasmette la ricchezza dei suoi sentimenti più profondi. Questa vicinanza con la versione originale è inoltre supportata dal fatto che McCorkle ha studiato lettere e si è cimentata nella sua carriera nella traduzione di canzoni brasiliane ed europee, tra cui francesi e italiane. L’adattamento della McCorkle è l’ultima tappa cronologicamente interessante prima di arrivare al punto da cui sono partito, per dare un senso finale a questo viaggio e una risposta a una domanda curiosa ma inutile, sto parlando di quel maledetto Real Book!
Settima tappa: non è un segreto la storia dei Real Book, gli studenti della Berklee College of Music si sono cimentati a trascrivere il più possibile il patrimonio dei cosiddetti standard jazz al fine di renderli accessibili e trasmetterli alle generazioni future per motivi di studio. In questa raccolta di spartiti troviamo nel terzo libro, quello dedicato alle nuove aggiunte, nella sua quinta edizione del ’91: “Estatè”. Una versione che sembra trascritta male a mio dire, oppure, ipotesi più probabile, trascritta da una versione a cui è difficile risalire, siccome tra il ritmo della melodia e gli accordi non ho trovato alcuna corrispondenza con i vari arrangiamenti e interpretazioni. A guidarci in una possibile identificazione è la scritta in alto: “Musica di Bruno Martino, Testo di Joel E. Siegel”. Sicuramente chi l’ha trascritta si sarà basato sulla versione di Shirley Horn a cui poi altri interpreti si sono ispirati, ma il cerchio non si restringe abbastanza per due motivi, il primo è che il brano viene etichettato come “bossanova” nonostante la versione della Horn non abbia per niente questo feeling bossa e in secondo luogo non ho trovato nuovamente corrispondenze. Evitando conclusioni forzate, direi che quella versione sia più una guida all’interprete che una versione pari-pari, così come altri standard presenti in quel libro. Tuttavia, nella sesta edizione del Real Book a cura della Hal Leonard, appare la canzone nell’edizione Real Book Vol II del 2005 (pag.120), nel Latin Book e nel The Real Vocal Book nella Low Voice Edition, queste ultime sono filologicamente affidabili, il ritmo e gli accordi rispecchiano la versione italiana, mentre il Latin Book quella di João Gilberto, ma in entrambe in alto troviamo scritto questa volta: “Musica di Bruno Martino – Testo di Bruno Brighetti. Il passaggio del Real Book è forse la definitiva chiave di volta della fama del brano; infatti, dal ’91 in poi diventa difficile o quasi impossibile tener conto di quante versioni siano state realmente arrangiate, eseguite o registrate.
Real Book o meno, ad oggi “Estate” resta una di quelle canzoni che il jazzista medio, nella sua formazione, probabilmente affronterà, ma di cui pochi hanno conoscenza della sua storia ironica, di come sia arrivata da un Hotel di Napoli ai palchi e studi di registrazione di tutto il mondo. Sull’onda dell’ironia, mi concedo comicamente di ringraziare i frutti di mare andati a male per il loro splendido lavoro con l’intestino di Brighetti, davvero un bel testo.
Ci sarebbero altre interpretazioni da citare ma la carta non ha abbastanza spazio; quindi, in conclusione cito le due più originali che meritano quantomeno una menzione. La prima ci porta in Francia con “Un été” di Claude Nougaro, una traduzione in francese del testo suonata in stile Chanson. L’ultima versione è contenuta in una compilation di brani estivi in stile Italo-disco uscita nell’1988 dal titolo: “Estate…(Odio l’Estate)” di Riviera, nome d’arte della pianista e cantante Elga Paoli, cui particolarità è il titolo: “This Summer” con il testo di Altman e Silverman, un mix bizzarro ma che ho trovato piacevole proprio per questa fusione assurda.
Alessandro Fadalti