Cettina Donato protagonista di due serate speciali all’AlexanderPlatz Jazz Club di Roma

La pluripremiata pianista, compositrice e direttore d’orchestra Cettina Donato protagonista di due concerti nello storico AlexanderPlatz Jazz Club di Roma il 27 e 28 settembre: due serate che ripercorrono la sua carriera attraverso le composizioni originali dei suoi album “Pristine”, “Crescendo”, “Third” e “Persistency-The New York Project”, più nuovissimi inediti.

Con una carriera parallela tra Europa e Stati Uniti – e reduce da una serie di concerti in Giappone – Cettina Donato è riuscita a distinguersi nel panorama internazionale ottenendo ottimi consensi di pubblico e critica per i diversi ruoli artistici che ricopre: è la prima donna italiana direttore d’orchestra e arrangiatrice ad avere diretto orchestre sinfoniche classiche con repertorio jazzistico, rock e popular e allo stesso tempo riscuote ampi riconoscimenti come pianista jazz, compositrice e arrangiatrice. Tra le sue collaborazioni: Eliot Zigmund, Stefano Di Battista, Fabrizio Bosso, Ray Santisi, Laszlo Gardony, Joanne Brackeen, Greg Hopkins, Jackson Schultz, Ken Pullig, Dick Lowell, David Santoro, Adam Nussbaum, Ron Savage, Scott Free, Ken Cervenka, Marcello Pellitteri, Marco Panascia, Matt Garrison. In ambito teatrale, ha stretto un forte sodalizio artistico con il popolare attore e regista Ninni Bruschetta.

Venerdì 27 settembre salirà sul palco dell’AlexanderPlatz Jazz Club con una delle sue formazioni storiche: il Cettina Donato Trio formato con Vito di Modugno al basso – pianista, contrabbassista, bassista e nominato tra i migliori organisti al mondo dalla rivista americana “Downbeat”, nel 2003 tra i migliori nuovi talenti nel referendum “Top Jazz” della rivista “Musica Jazz”, nonché migliore organista italiano in diverse edizioni del Jazzit Award – e con il batterista Mimmo Campanale che vanta collaborazioni con nomi illustri come Wynton Marsalis, Eumir Deodato, Al Jarreau, Bobby Watson, Phil Woods, Lee Konitz, Joe Lovano, Vince Mendoza, Lucio Dalla, Danilo Rea, Paolo Fresu, Benny Golson.

Sabato 28 settembre un evento fortemente voluto da Eugenio Rubei: Cettina Donato sul palco guiderà una nuovissima formazione composta da sassofonista Dario Cecchini, il contrabbassista Dario Rosciglione e il batterista Amedeo Ariano.

CONTATTI
Info e prenotazioni: eventi.alexanderplatz@gmail.com – www.alexanderplatzjazz.com
Ufficio Stampa Cettina Donato: Fiorenza Gherardi De Candei – info@fiorenzagherardi.com

Chiara Viola in concerto a Roma

Domenica 22 settembre 2019
ore 21.30
Alexanderplatz Jazz Club
Via Ostia 9
Roma

UNTIL NOW:
CHIARA VIOLA IN CONCERTO

Chiara Viola – voce
Gianluca Massetti – pianoforte
Francesco Pierotti – contrabbasso
Valerio Vantaggio – batteria

Domenica 22 settembre nuovo e importante appuntamento con Until Now, il nuovissimo disco di Chiara Viola, che viene presentato in concerto dalla vocalist romana in uno dei luoghi chiave per il jazz capitolino, l’Alexanderplatz Jazz Club. Insieme a lei i protagonisti dell’album, Gianluca Massetti al pianoforte, Francesco Pierotti al contrabbasso e Valerio Vantaggio alla batteria. Ingresso 10 euro (tessera annuale), consumazione obbligatoria e 5 euro di music charge.

“Spesso accade che un musicista, dopo anni di preparazione, non trovi una dimensione propria e si limiti a rifarsi a ciò che più lo ha colpito, senza rischiare, senza osare. Chiara ha il coraggio della sua passione, si mette in gioco: ha creatività e una voce calda e tagliente, ma con dentro il ricordo di una sonorità quasi infantile. Il suo disco è un bell’esempio di come i giovani jazzisti italiani abbiano molte cose da dire”. Una presentazione importante, quella che Danilo Rea ha scritto per Until Now (Filibusta Records), esordio di Chiara Viola: il suo docente al Conservatorio Santa Cecilia ha sottolineato la centralità della passione, del voler osare, del mettersi in gioco. Caratteristiche che emergono da Until Now.

Chiara Viola è attiva da anni e in varie esperienze musicali; questo lavoro è un punto di partenza ma anche la sintesi di un percorso nel quale gospel, jazz, didattica per bambini e altre esperienze hanno costituito per lei una grande palestra: “Il gospel è sempre stato un sogno mai realizzato: avrei voluto nascere tipo Whoopi Goldberg in Sister Act. Il jazz, invece, l’ho scoperto per caso a 20 anni e non ho più potuto farne a meno. Oggi oltre a cantare insegno anche musica ai bambini perché spero di contribuire alla creazione di buoni ascoltatori e, soprattutto, di dare loro uno strumento in più per rendere bella la vita. Ogni cosa che ho fatto nella mia vita è entrata a far parte di questa musica”.

Nata a Roma nel 1986, Chiara Viola ha praticato musica sin da giovanissima, cantando in cori scolastici e chiese, ha studiato chitarra classica prima e canto moderno dopo, infine canto jazz. Allieva di nomi come Cinzia Spata, Maria Pia De Vito e Danilo Rea, ha condiviso studi e palchi con Antonella Ruggiero, Claudio Rocchi, Max Gazzè, Riccardo Biseo, La Batteria, Ultimo e tanti altri, ha partecipato a festival come Jazzit Fest e Gezz Night. In Until Now Chiara ha dato voce al suo universo interiore: “Avendo scritto anche i testi la musica assume una dimensione di narrazione anche testuale, oltre che musicale. I viaggi, le persone, gli incontri e i paesaggi rappresentano semplicemente tutta la mia vita fino adesso. Li racchiudo nella musica così non potrò perderli mai!”.

Gli otto brani di Until Now rivelano armonie e arrangiamenti moderni, melodie sofisticate che richiamano sia il jazz che il pop, tra suoni contemporanei e richiami alla tradizione. Accanto ai sei titoli firmati Viola, compaiono due sorprendenti cover, a dimostrazione dell’ampiezza degli ascolti dell’autrice, e della varietà dei suoi riferimenti musicali: “Si tratta di Within dei Daft Punk ,che ho ascoltato tanto durante un periodo molto bello della mia vita, e Harvest Moon di Neil Young, che ascolto sempre quando voglio piangere. Sono due brani estremamente diversi, che avrei voluto scrivere io. Quindi, siccome lo hanno già fatto loro prima di me, ho voluto reinterpretarli a modo mio!”.

Nicola Mingo: un artista che non tradisce

“Mingo si è oramai caratterizzato, nel variegato panorama jazzistico europeo, come uno dei migliori chitarristi bebop oggi in attività, con un’intensa ed ampia produzione discografica (7 CD a suo nome) ed una rilevante presenza nell’ambito di Festival jazz e rassegne nei migliori jazz club d’Italia. “Il suo fraseggio, a note staccate, risulta sempre quanto mai fluido e originale, memore dell’insegnamento dei grandi del jazz e quindi in grado di coinvolgere l’ascoltatore in un viaggio nel tempo di straordinario fascino”: così mi esprimevo il 3 dicembre del 2017 presentando il concerto di Nicola Mingo all’Auditorium Parco della Musica di Roma.

Mingo ha avuto la gentilezza di riprodurre questo pensiero nel booklet che  accompagna il suo ultimo album “Blues Travel” che sarà presentato ufficialmente il 18 prossimo all’Alexanderplatz di Roma. E mi fa piacere confermare quanto scrivevo più di un anno fa. In effetti Mingo rappresenta una solida realtà del panorama jazzistico non solo italiano: a testimoniarlo i suoi 8 album, gli indiscussi apprezzamenti di critica e pubblico… e forse ancor di più la stima da parte dei suoi colleghi musicisti.

Per questa ultima fatica discografica – che lo ha visto transitare dalla Universal alla più attiva Alfa Music – Mingo si presenta in quartetto con Giorgio Rosciglione al contrabbasso, Gegè Munari alla batteria e Andrea Rea al pianoforte, quindi due fidi compagni di viaggio cui si aggiunge il bravo Rea, già vincitore, nel 2007, del Prestigioso premio internazionale “Massimo Urbani”, che ha dimostrato di saper ottimamente interagire con la chitarra del leader.

In programma tredici brani, di cui ben sette scritti dallo stesso Mingo che conferma così le sue doti compositive (particolarmente suggestivo “To Pinot” sentito omaggio alla concezione melodica del blues di Pino Daniele) e sei dovuti alla penna di grandi della musica quali, in ordine di esecuzione sul CD, Harold Mabern, Kurt Weill, George Benson, Isham Jones, Wes Montgomery, Kenny Dorham.

Da questa elencazione si potrebbe dedurre l’impressione di una certa disomogeneità: nulla di più sbagliato ché l’album mantiene una sua intrinseca coerenza da ricercare nello stesso titolo “Blues Travel”. Come spiega lo stesso Mingo, “Blues Travel” è un viaggio musicale nel Blue Note, sound tipico del jazz anni Sessanta, di cui si vuol riprodurre l’atmosfera. Le tappe del viaggio hanno, quindi, come denominatore comune il Blues non inteso in senso comune, ma nel suo significato strutturale; ogni brano, infatti, rappresenta un modo particolare di intendere il blues e le blue notes. In buona sostanza Mingo rimane fedele a quel clima espressivo che ha caratterizzato oramai da anni il suo linguaggio, un clima espressivo che si richiama esplicitamente al bebop e al successivo hard-bop.

Ecco quindi le riproposizioni dei maestri cui sopra si faceva riferimento. Ecco quindi “Wes Blues” una composizione di Mingo dedicata al grande Wes Montgomery, sua principale fonte di ispirazione, costruita con frasi ad ottave ripetute così come amava fare il grande chitarrista di Indianapolis; ecco il sempre splendido “Speak Lowe” , di Kurt Weill,  vero e proprio cavallo di battaglia per molti jazzisti, riproposto da Mingo in maniera originale e convincente… e via di questo passo attraverso una galleria di trascinanti esecuzioni sino al brano finale, “Double Strings Blues”, di Mingo, eseguito in duo da chitarra e contrabbasso, un vero esercizio di bravura per ambedue i musicisti  a sottolineare un’intesa solidificatasi nel corso degli anni.

Durante il concerto all’Alexanderplatz di cui in apertura, si potrà ascoltare l’esecuzione integrale di tutto il nuovo lavoro discografico di Mingo.

Gerlando Gatto

Antonello Vannucchi: un signore del jazz – Il pianista e vibrafonista è scomparso il 14 febbraio

Un altro pezzo, importante, della storia del jazz italiano se n’è andato: Antonello Vannucchi è scomparso all’età di 82 anni giovedì 14 febbraio in punta di piedi così com’era nel suo stile. Musicista eccellente ed uomo di grande sensibilità e signorilità, aveva segnato alcune delle tappe più importanti del jazz italiano, a partire dalla seconda metà degli anni’50 quando cominciò a suonare ed incidere con il ‘Quartetto di Lucca’. Diplomato al conservatorio di Lucca in pianoforte, (cui accompagna una laurea in scienze politiche all’Università di Pisa), Vannucchi è rimasto sulla scena musicale per tanti anni; così è stato tra l’altro pianista titolare nell’orchestra della Rai a Roma, suonando anche in varie altre formazioni con solisti del calibro di Chet Baker, Sonny Rollings, Freddie Hubbard, Lionel Hampton, solo per citare alcuni.

In questa sede lo ricordiamo con un sentito omaggio di un altro grande musicista, Nicola Mingo, che con Vannucchi ha avuto modo di lavorare e vivere a stretto contatto di gomito.

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Come ben saprai nella musica accadono delle cose senza che tu le prestabilisci e nel caso del mio incontro musicale con Antonello devo dire che una sera a casa del grande Giorgio Rosciglione durante una delle tante prove che facevamo, il batterista Ermanno Marcangeli, grande amico di Antonello mi invitò a suonare con lui in una serata. Io lo conoscevo solo di fama e fu molto bello l’incontro perché oltre ad essere un grande musicista notai subito la sua umiltà nel parlare di cose molto complesse, era un vero appassionato di musica e apprezzava molto il bebop.

Io gli regalai il mio cd ‘ We Remember Clifford’ che era un tributo al genio di Clifford Brown, e dopo il concerto, parlammo per molto tempo, decidemmo di suonare insieme e registrare il mio futuro c.d ‘Swinging’ con altri due grandi musicisti come Giorgio Rosciglione e Gegè Munari.

Antonello era entusiasta! Aveva grandi qualità e doti di umanità; era un vero Maestro e conosceva benissimo l’armonia la composizione e non lesinava certo preziosi consigli sull’arrangiamento dei brani! Giorgio Rosciglione (grandissimo musicista e caro amico, oserei dire per me una sorta di padre spirituale) ci apriva gentilmente le porte di casa sua e provavamo il nuovo repertorio. E, tra aneddoti, risate, e correzioni ai brani nacque ‘Swinging’, un OMAGGIO allo Swing ed al Bebop anni 60! Antonello fu molto felice di far parte di quel progetto ed io fiero della sua stima musicale.

Ricordo la sua flemma il suo grande senso dello humor che uniti ad una grandissima disciplina e professionalità gli conferivano un carisma incredibile. Registrammo ‘Swinging’ in due giorni allo studio Nuccia di Giuseppe Vadalà e dopo pochi mesi l’Universal Music produsse il cd, molto apprezzato da Franco Galliano, direttore artistico, molto competente in materia di Jazz che espresse la sua ammirazione per la Line up formata da 3 colonne storiche del Jazz Italiano: Giorgio Rosciglione, Gegè Munari ed Antonello Vannucchi.

Poi partì il Tour e suonammo in giro per l’Italia con grande successo di pubblico e di critica.

Antonello era molto soddisfatto del cd e partecipava attivamente a tutti i concerti: ricordo Music Art a Napoli da Giuseppe Reale e Giuseppe de Lollis, Pozzuoli Jazz Festival da Antimo Civero, Leonessa Jazz da Andrea Ungari, Around Midnight da Vincenzo De Falco, Vittoria Jazz da Angelo Cafiso dove si unì a noi anche Beverly Lewis sua compagna e cantante jazz, e tanti Club a Roma come l’Alexanderplatz Jazz Club, Cotton Club, Bebop Jazz Club ed il Charity Cafe’… e tanti altri concerti.

Una grande forza unita ad una energia vitale e un entusiasmo di tipo giovanile, caratteristiche comuni a Giorgio e Gegè, gli conferivano quel carisma che lo rendeva un Grande Musicista senza fartelo mai pesare. Aveva suonato nel corso della sua carriera con i più grandi musicisti Jazz come Freddie Hubbard, e accompagnato grandissime cantanti come Mina ed Ornella Vanoni, ma ne parlava in modo molto naturale.

Aveva il dono della semplicità e della sintesi e amava la Musica ed il Jazz! Ci mancherà la sua umiltà ed il suo carisma, è stato per me di grande esempio musicale ed umano.

Ciao Antonello, riposa in pace e grazie per i tuoi preziosi insegnamenti.

Nicola Mingo

Cettina Donato in concerto all’AlexanderPlatz con il suo Persistency-The New York Project

Giovedì 24 gennaio Cettina Donato presenta all’AlexanderPlatz Jazz Club di Roma, nell’ambito di una serata Alfa Music, il suo album “Persistency – The New York Project”, inciso a Brooklyn presso il Grammy Winner “System Two Studios” con il grande batterista Eliot Zigmund, il sassofonista Matt Garrison e il contrabbassista Curtis Ostle.

Dopo un tour tra Stati Uniti, Canada e Europa, Cettina Donato porterà “Persistency” sul palco dell’AlexanderPlatz insieme al contrabbassista Dario Rosciglione e al batterista Mimmo Campanale.

Pianista, compositrice e direttore d’orchestra, Cettina Donato conduce parallelamente la sua attività concertistica tra Europa e Stati Uniti, dove si è distinta per la grande raffinatezza e versatilità nell’affrontare e fondere tra loro i diversi generi, in particolare classica, jazz e pop, fondando una Big Band a suo nome. Negli ultimi anni, il JAZZIT AWARD la annovera tra i migliori arrangiatori jazz italiani. All’AlexanderPlatz, Cettina Donato, presenterà in trio il suo ultimo album “Persistency – The New York Project” (registrato a New York con Eliot Zigmund, Matt Garrison e Curtis Ostle, edito da Alfa Music) più alcuni inediti del nuovo progetto discografico “Piano 4Hands”che uscirà a febbraio 2019 sempre con Alfa Music. Le sue collaborazioni comprendono anche l’ambito teatrale, con la brillante sinergia stretta con il regista e attore Ninni Bruschetta attraverso la messa in scena di diversi spettacoli, per i quali ha curato musiche, arrangiamenti ed esecuzioni live.

L’ALEXANDERPLATZ JAZZ CLUB, lo storico locale di Roma fondato nel 1984 è considerato uno dei 100 migliori locali jazz al mondo. Dopo una stagione di inattività, lo spirito avventuriero, il coraggio d’avanguardia della famiglia Rubei continua ad esprimersi attraverso Eugenio Rubei, figlio dell’indimenticabile Giampiero che, commenta così questa nuova stagione: “Rendere immortale il lavoro quarantennale di mio padre e dare alla città di Roma un luogo di reale aggregazione del mondo del jazz, che accompagni le generazioni attuali e possa essere in grado di andare oltre. Questo è il vero messaggio, il vero obiettivo della riapertura dell’AlexanderPlatz, che anche nel 2018 ha ricevuto il premio Downbeat e il prestigioso Django d’or. L’AlexanderPlatz dunque può continuare ad essere lo spazio principe per i musicisti di tutte le età e provenienze”.
Con la sua riapertura, l’AlexanderPlatz sta facendo scoprire, un tratto innovativo, estetico e non solo, che parte dall’originale cucina a vista e arriva alla ristrutturazione del bar.

ALEXANDERPLATZ Via Ostia 9 – Roma
Info e prenotazioni: prenotazioni.alexanderplatz@gmail.com – tel. 06 83775604
Ufficio Stampa Cettina Donato: Fiorenza Gherardi De Candei – tel. 3281743236  info@fiorenzagherardi.com

Lucrezio De Seta Trio all’ Alexanderplatz

Foto Elvira Piazza

Alexanderplatz Jazz club, 20 aprile, ore 22

Lucrezio De Seta Trio

Lucrezio De Seta: batteria
Ettore Carucci: pianoforte
Luca Pirozzi: basso

(cliccare sulle foto per espanderle)

 

Spesso mi capita di ascoltare cd, e magari, posto che li trovi interessanti, belli, che mi piacciano, insomma, mi capita anche di scriverne le liner notes, come è accaduto nel caso di questo Brubeck was right di Lucrezio De Seta.
Solitamente poi vado ogni volta che posso ad ascoltare questi progetti dal vivo, perché amo vederne la resa, l’energia del nascere estemporaneo della musica senza mediazioni, che è ciò che del Jazz amo di più.

Così sono andata all’ Alexanderplatz ad assistere alla presentazione del disco in questione, che è dedicato a Dave Brubeck, ed in particolare alla sua precipua caratteristica, quella dell’aver introdotto in maniera definitiva nel Jazz i tempi “dispari”, che come sappiamo, ai batteristi piacciono particolarmente: a dire il vero non solo a loro, e ad essere sinceri, anche a me, moltissimo.
Ma in questo progetto così connotato, la particolarità è certamente che una volta dichiaratone l’intento, la targa, la musica che si ascolta è ben poco prevedibile: a cominciare da una benefica alternanza tra musica originale, a firma Ettore Carucci, e standard anche molto noti (come Caravan, o Lonnie’s Lament, o Green Dolphin Street per citarne tre). Perché benefica? Perché i brani di Carucci sono piuttosto belli, hanno un notevole respiro melodico, un voicing interessante, e gli standard a loro volta vengono stravolti prima di tutto nel ri – arrangiamento ritmico, dunque sono tutto fuorché scontati.
Questa alternanza, piacevole, accattivante, presente nel disco, si è mantenuta intatta in una serata di musica all’insegna dell’energia, dei contrasti tra incipit anche sussurrati e andamento irresistibilmente crescente, sempre, persino nelle ballad: i tre musicisti sul palco emergono individualmente nelle parti introduttive e nelle chiusure, preferendo intrecciarsi in maniera apparentemente indissolubile durante lo sviluppo del tema, dando vita a spessori armonici e ritmici notevoli ed ad un’ intensità a volte anche impetuosa, ma mai estrema, sempre equilibrata. La ricchezza esecutiva è considerevole: De Seta imprime il groove giusto e pone in gioco una tale varietà di soluzioni ritmiche e timbriche, sempre nette (un esempio per tutti in quell’oscillare tra tempi pari e dispari della sua particolare Green Dolphin Street) che è un piacere distinguere il passaggio delle bacchette da un elemento del suo strumento all’altro, in una progressione che si scopre anche melodica. Luca Pirozzi, con il suo basso, sa essere jazzistico così come un pizzico rockettaro, quando occorre, o appassionato nell’ esporre temi melodici importanti, e ha un ruolo fondante per l’equilibrio sonoro complessivo del trio.
Carucci è un pianista completo, nonché compositore molto convincente. Ha una capacità improvvisativa notevole, sa essere lirico ma anche assertivo e quando serve “muscolare”: ad esempio se l’intento è quello di “doppiare” la batteria creando (come si diceva) uno spessore sonoro molto rilevante.
Brubeck was right supera la prova live in maniera convincente. Per fortuna c’è il Jazz a portare freschezza nella musica: non sempre ma, in casi come il Lucrezio De Seta Trio, posso certamente dire di sì.