Wynton Marsalis vince il Praemium Imperiale 2023

Celmins per la pittura, Eliasson per la scultura, Kéré per l’architettura, Marsalis per la musica, Wilson per il teatro/cinema – Al Rural Studio e alla Harlem School of the Arts la Borsa di Studio per Giovani Artisti


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(La Japan Art Association ha annunciato i vincitori della trentaquattresima edizione del Praemium Imperiale: Vija Celmins (USA) per la pittura, Olafur Eliasson (Islanda/Danimarca) per la scultura, Diébédo Francis Kéré (Burkina Faso/Germania) per l’architettura, Wynton Marsalis (USA) per la musica, Robert Wilson (USA) per il teatro/cinema.
Gli artisti sono premiati per i risultati conseguiti, per l’influenza da essi esercitata sul mondo dell’arte a livello internazionale e per il contributo dato alla comunità mondiale con la loro attività.
Ciascuno dei vincitori riceverà un premio di 15 milioni di yen (circa 96.000 euro), un diploma e una medaglia. Quest’ultima sarà conferita dal Patrono onorario della Japan Art Association, il Principe Hitachi, durante la cerimonia di premiazione che si terrà a Tokyo il prossimo 18 ottobre.


Musicista dai molti talenti, Wynton Marsalis nato a New Orleans, Louisiana il 18 ottobre 1961, è universalmente apprezzato per le sue eccezionali doti di trombettista ed è stato premiato per le sue composizioni essendo un punto di riferimento per l’educazione musicale. Amante della musica in tutte le sue forme, la sua fama è legata in particolare al suo rapporto con il jazz, che considera la più grande forma d’arte originale d’America, alla pari con la musica classica occidentale.
Wynton è cresciuto in una famiglia ricca di talento musicale. Suo padre Ellis era un pianista jazz, nonché direttore del programma di jazz del New Orleans Center for the Creative Arts (NOCCA). Il fratello maggiore, Branford, è un celebre sassofonista, mentre i due fratelli più giovani, Delfeayo e Jason, sono affermati, rispettivamente, come trombonista e come percussionista. Marsalis ha frequentato il NOCCA durante le scuole superiori e ha studiato musica classica e jazz, suonando regolarmente con numerose jazz band a New Orleans, nonché con orchestre di musica classica ed ensemble.

Photo by JIM LO SCALZO/EPA-EFE

Marsalis si è anche distinto come compositore. I suoi lavori, in ambito jazz e classico, fanno di lui un autore capace di spaziare in modo eccezionale. Le composizioni Think of One e Haydn, Hummel, L. Mozart: Trumpet Concertos gli sono valse nel 1983 i Grammy Awards per la musica jazz e per la musica classica. Divenne così il primo musicista a essere premiato in entrambe le categorie nello stesso anno. Nel 1997 si aggiudicò il Premio Pulitzer con la composizione Blood on the Fields, un oratorio jazz che racconta la storia della schiavitù. In questo capolavoro Marsalis ci mostra il profondo legame che unisce la musica all’esperienza umana rappresentata.
Insieme a un gruppo di persone altrettanto appassionate, nel 1996 Marsalis ha fondato il Jazz at Lincoln Center come parte costitutiva del Lincoln Center, una istituzione di pari livello rispetto alla Filarmonica di New York, al New York City Ballet e al Metropolitan Opera. Attuale direttore generale e artistico del Jazz at Lincoln Center, nonché direttore della Jazz at Lincoln Center Orchestra, direttore di Jazz Studies alla Juilliard School e presidente della Louis Armstrong Educational Foundation, Marsalis rimane uno strenuo difensore dell’importanza della musica e in particolare della musica jazz. Egli ritiene che educare alla musica e interpretarla siano i due pilastri di questa missione.
Come trombettista che ha saputo dimostrare doti tecniche impeccabili, capacità di improvvisazione e una profonda conoscenza della tradizione jazz, Winton Marsalis ha svolto un ruolo importante nel superamento degli stereotipi “musica jazz per i neri” e “musica classica per i bianchi”. Come compositore, docente e promotore della musica jazz, è inoltre apprezzato per l’influenza significativa che ha esercitato sul mondo musicale.
Il Praemium Imperiale è il più importante premio d’arte esistente e viene assegnato in cinque discipline: pittura, scultura, architettura, musica, teatro/cinema. Esso conferisce un riconoscimento internazionale in campo artistico pari a quello dei Premi Nobel in campo scientifico.
I vincitori del 2023 andranno ad aggiungersi ai 170 artisti già insigniti del premio, tra i quali Claudio Abbado, Gae Aulenti, Ingmar Bergman, Luciano Berio, Cecco Bonanotte, Leonard Bernstein, Peter Brook, Anthony Caro, Enrico Castellani, Christo e Jeanne-Claude, Federico Fellini, Dietrich Fischer-Dieskau, Norman Foster, Frank Gehry, Jean-Luc Godard, David Hockney, Willem de Kooning, Akira Kurosawa, Wolfgang Laib, Sophia Loren, Umberto Mastroianni, Mario Merz, Issey Miyake, Riccardo Muti, Giulio Paolini, Giuseppe Penone, Dominique Perrault, Oscar Peterson, Renzo Piano, Michelangelo Pistoletto, Maya Plisetskaya, Maurizio Pollini, Arnaldo Pomodoro, Robert Rauschenberg, Mstislav Rostropovich, Ravi Shankar, Mitsuko Uchida, Giuliano Vangi.
La Japan Art Association è la più antica fondazione culturale del Giappone. Costituita nel 1887, organizza mostre d’arte e gestisce l’Ueno Royal Museum, situato nel Parco di Ueno a Tokyo.
La carica di Patrono onorario della Japan Art Association è sempre stata ricoperta da membri della Casa Imperiale, a partire dal Principe Arisugawa. Dal 1987, Patrono onorario è il Principe Hitachi, fratello minore dell’Imperatore emerito Akihito.
Nel 1988, per celebrare il centenario della Japan Art Association, fu istituito il Praemium Imperiale.
Il premio fu dedicato al Principe Nobuhito Takamatsu (1905-1987), Patrono onorario dell’associazione per 58 anni, sino alla sua scomparsa nel 1987. Fratello minore dell’Imperatore Hirohito, di cui non condivideva la politica militare, il Principe Takamatsu era profondamente convinto che il Giappone dovesse promuovere la pace nel mondo attraverso le arti. Questa sua convinzione è ancora oggi il motivo ispiratore del Praemium Imperiale.
Appositi Comitati presieduti dai Consiglieri internazionali presentano annualmente liste di candidati nelle cinque categorie.
Tra i Consiglieri internazionali figurano statisti ed esponenti di spicco del mondo imprenditoriale, finanziario e culturale: Lamberto Dini (ex-primo ministro italiano), Christopher Patten (cancelliere dell’Università di Oxford), Klaus-Dieter Lehmann (ex-presidente del Goethe-Institut), Jean-Pierre Raffarin (ex-primo ministro francese) e Hillary Rodham Clinton (ex-segretario di Stato degli Stati Uniti d’America).
I Comitati di selezione della Japan Art Association valutano le candidature e per ogni categoria selezionano un vincitore, che riceve l’approvazione finale dal consiglio di amministrazione dell’Associazione.
La prima cerimonia di premiazione ebbe luogo nel 1989. Da allora, ogni anno nel mese di ottobre si tiene al Meiji Memorial Hall di Tokyo una solenne cerimonia, alla presenza del Principe e della Principessa Hitachi e con tutti i vincitori. A causa della pandemia di covid-19 l’assegnazione del 32° Praemium Imperiale del 2020 è stata posticipata al 2021, in singole cerimonie tenutesi nelle sedi delle Ambasciate del Giappone dei Paesi di ciascun premiato. Nel 2022 si è ritornati alla cerimonia di premiazione a Tokyo.
La Borsa di Studio del Praemium Imperiale 2023 per Giovani Artisti è stata assegnata a Rural Studio (USA) e Harlem School of the Arts (USA).
L’annuncio e il conferimento della Borsa hanno avuto luogo il 12 settembre a New York, in una conferenza stampa presieduta dal Consigliere internazionale americano, l’ex-segretario di Stato Hillary Rodham Clinton. Ognuna delle due organizzazioni ha ricevuto un diploma e un contributo di 2,5 milioni di yen (circa 16.000 euro).
La Borsa è stata istituita nel 1997 per sostenere e incoraggiare i giovani artisti, in linea con gli obiettivi delle attività della Japan Art Association. Sono eligibili giovani promettenti artisti o organizzazioni che contribuiscano attivamente allo sviluppo dei giovani talenti. Gli artisti devono essere professionisti o in formazione. A rotazione ciascun Consigliere internazionale, consultandosi con il proprio comitato, seleziona il destinatario della borsa di studio e lo comunica alla Japan Art Association, che lo approva.
Il premio – un diploma e un contributo di 5 milioni di yen (circa 32.000 euro) che viene suddiviso tra i vincitori qualora ve ne sia più di uno – è conferito contestualmente all’annuncio del Praemium Imperiale nel Paese del Consigliere cui spetta la segnalazione. Quest’anno la scelta è stata fatta dal Consigliere internazionale americano Hillary Rodham Clinton.

(Redazione)

I nostri cd: in forma di Duo

I NOSTRI DISCHI 
In forma di duo  

Che lingua l’italiano! Cambi la doppia consonante in una parola, per esempio duello, simbolo di lotta/contrasto ed eccola diventare duetto che, soprattutto in musica, significa il suo esatto contrario. Il duettare può infatti evocare interscambio, dialogo, accoppiata, rendez-vous, insomma comunicazione duale, frontale, collaterale, duplice, finanche effusiva o derivante da abbinamento, binomio, affiancamento… in musica può rappresentare incontro ravvicinato di tipo a sé stante, sintonizzazione di antenne sensibili non lontane fra due emittenti-riceventi messaggi sonori destinati ad incrociarsi ed a generarne uno nuovo, diverso a seconda di chi cosa dove come quando lo ha prodotto. A seguire ecco alcuni album “in forma di duo” (in qualche caso con ospiti) quale esempio delle tante opportunità che il jazz può offrire al riguardo.

Olivia Trummer-Nicola Angelucci, Dialogue’s Delight, Flying Spark.
I dialoghi, in quanto genere letterario, nascono con Platone. A livello musicale si potrebbe partire dal seicento quando il primo melodramma, offrendo nuovo spazio alla vocalità nell’azione teatrale, allarga la scena al “parlato” con musica. Nel jazz, sin dagli inizi, il dialogo (a due), anche quello strumentale, ha rappresentato una forma primigenia di interplay seppure con un certo grado di variabilità simbiotica. Rientra in quel novero il recente album, marchiato Flying Spark, della coppia formata dalla pianista-vocalist Olivia Trummer e dal batterista Nicola Angelucci, ambedue compositori. Il titolo Dialogue’s Delight è già di per sé una dichiarazione di principio, La gioia e il diletto del dialogo lo si avverte nella garbata apertura affidata ad una “When I Fall In Love” reinterpretata con una modifica del giro di accordi che cambia i connotati al famoso standard di Victor Young, con lo spirito innovativo replicato più avanti in “Lil’ Darlin” di Neal Hefti.  Al disco partecipa in qualità di ospite il fisarmonicista Luciano Biondini in quattro delle tredici tracce totali (French Puppets, Valerio, Inside The Rainbow, Portoferraio).  C’è altresì da sottolineare, della virtuosa tedesca, la bellezza delle liriche da lei scritte. I testi sono riportati nel booklet compreso quello “manifesto” che dà titolo al cd. Di Angelucci spiccano, oltre alle doti di scrittura, la saggia ponderazione delle bacchette, con un tempo che viene “enunciato” in base ai livelli espressivi della partner, “calato” pienamente nella parte che con accorto gioco di ruolo il musicista si è autoassegnato.

Baba Sissoko – Jean-Philippe Rykiel, Paris Bamako Jazz, Caligola
E’ un avventuroso rally sonoro in undici tappe l’album Paris Bamako Jazz,  un “percorso”, su colori Caligola Records, del percussionista Baba Sissoko copilota il pianista francese Jean-Philippe Rykiel (n.b.: i ruoli sono invertibili). La collaborazione artistica, già sperimentata in Griot Jazz, della stessa etichetta discografica, è divenuta liaison caratteriale cementata in amalgama fra percussioni e keyboards, sovrastate dalla voce cavernosa dell’italo/maliano. L’ideale maratona che congiunge Pirenei e Hombori Tondo, Senna e Niger è un itinerario costellato da “stazioni” su cui sono situate icone di familiari ed amici, luoghi e genti, in una visione condivisa che il meeting incornicia di note. E’ un jazz bluesato con spiragli world man mano sempre più accentuati ed accentati nel costruire un assetto d’insieme con substrato di ipnotiche iterazioni e vertiginose circolarità che attutiscono le possibili asprezze di un tracciato divenuto, strada facendo, liscio e fluente.

Greg Lamy- Flavio Boltro, Letting Go, Igloo Records

Difficile prevedere a monte il risultato musicale dell’accostamento fra la tromba di Flavio Boltro e la chitarra dell’americano Greg Lamy. Per riscontrarlo la “prova regina” sta nell’album Letting Go edito da Igloo Records a nome dei due jazzisti a loro volta affiancati dal bassista Gautier Laurent e dal batterista Jean-Marc Robin.  Ne vien fuori un mix che esalta le qualità dei leaders, in particolare la fluidità armonica di Lamy, quasi pianistica nell’accompagnamento, e la abilità nel tirar fuori dal cappello umori rock e dis/sapori jazz “lasciati andare” con una sorta di understatement che ben si amalgama con quel certo senso cool (inteso anche come “di tendenza”) del trombettista. Quest’ultimo, lo diciamo per quanti sono abituati alle ricerche genetiche del Dna artistico, potrebbe far pensare a tratti a Wheeler o Baker per la pensosità che riesce ad imprimere, tramite il movimento delle labbra e delle dita, al proprio strumento. Ma Boltro è Boltro ed è una riconosciuta autorità del nostro trombettismo con colleghi di generazione che si contano sul palmo di una mano. La sua unicità si sposa felicemente con la forte personalità di Lamy nelle dieci tracce del cd in parte a sua firma, in parte di Boltro con la chiusura affidata a Chi tene ‘O mare di Pino Daniele. Un omaggio che consegna e riconferma ancora una volta il cantautore partenopeo al songbook jazzistico.

Duo Improprium, Incontro, Dodicilune Records.
La coppia di musicisti siciliani formata dal flautista Domenico Testai e dal fisarmonicista Maurizio Burzillà, in arte Duo Improprium, presenta l’album Incontro edito da Dodicilune Records. Il lavoro intende dar corpo ad un progetto che vede allineati due strumenti che non ricorrono né si rincorrono spesso nel jazz. I quali, a dire il vero, non si dimostrano affatto “impropri” se messi assieme in quanto uniscono la capacità lirico-tematica del flauto a quella di strutturazione armonica e ritmica della fisa. Già nell’incipit del disco, “Tango for Cinzia”, appaiono più che “consoni” nella “proprietà” di linguaggio musicale sia melodica che improvvisativa (un’altra figura femminile affiora nell’altro brano “Luiza”). Il loro approccio classico si evidenzia appieno in “Suite n. 1” e in “Allegretto Fugato” così come il loro “spanish tinge” si rivela senza veli nell’andante “Badambò”. Nel tarantellato “Improprium” è la vena popolare a rigonfiarsi di echi etnici ed è forse questo il momento più “proprium” che caratterizza la particolarità del duo in questione.

B.I.T., Equilibrismi, Filibusta Records.
Il duo B.I.T. al secolo la sassofonista Danielle Di Majo e la pianista Manuela Pasqui  licenzia, per i tipi di Filibusta Records, Equilibrismi, album che segue di un biennio Come Again, della stessa label. In effetti trattasi di un “duo plus…” poiché in alcune tracce sono presenti la vocalist Antonella Vitale e il sassofonista Giancarlo Maurino di cui sono eseguiti due brani, “Meteo” e “Um Abraço”.  Si tratta di un lavoro estremamente lirico e bilanciato, nel solco del precedente. Qui la Pasqui sigla cinque composizioni su otto a partire dalla prima, “Green Tara”, su ritmo “(s)latin” fino a “For Kenny” presente anche sulla rete per chi volesse “visionarla”. Un pianismo colto e sensibile, il suo, che stimola la Di Majo nel lib(e)rare il suono, oltre che a soprano ed alto, anche al flauto, come in “Jeanne del Belleville”. La musica del duo, avvinta come in “Edera”,  in “L’equilibrista” pare camminare su fibre filiformi, in bilico su un centro di gravità che le consente di procedere sulla corda armonica tesa ancora per più “nodi”,  fino a quello conclusivo, “Hand Luggage”, autrice la Di Majo.

Francesca Leone- Guido Di Leone, Historia do samba, Abeat Records
Si vabbè la festa il carnevale ma il samba ha significato in Brasile storicamente “la voce di chi era stato sempre zittito dal suo status sociale, un modo per affermarsi nella società” come scrive Lisa Shaw.  C’è dunque un aspetto politico e sociale in tale forma musicale che ha radicata origine nella stessa origine africana e che non va sottaciuto.  Ed è un fatto che il samba, a livello musicale, con la sua speciale divisione ritmica che spinge alla danza, sia stato ispiratore di musiche di grande suggestione.  Ce ne danno un saggio, in un prezioso Cirannino formato cd edito da Abeat Recors, la vocalist Francesca Leone e il chitarrista Guido Di Leone. Historia do Samba è una “summa” di samba e musica carioca allargata cioè fino a choro e bossa, scritta da autori prestigiosi come Lyra, Bonfa, Jobim, Gil, Madi, Hernàndez, Menescal, Valle compresi i nostri Rota, Calvi, i medesimi due interpreti in veste di compositori.  Il disco, che vanta come ospite l’Oneiros String Quartet, annovera anche dei “trapianti” in chiave “sambista” di hits quali “La vie en rose”, “Cerasella”, “Everything happens to me”, in quanto, volere o volare, tutto si può sambare quando il samba si innesta nel jazz.

Stefano Onorati & Marco Tamburini, East of the Moon,   Caligola Records
L’album East of the Moon, è firmato da Stefano Onorati e Marco Tamburini. Il che già di per sé, essendo il disco – marchiato ancora e meritoriamente da Caligola Records – cofirmato dal compianto trombettista cesenate, rappresenta un evento a livello discografico. Vede la luce un lavoro “notturno” a suo tempo registrato durante le ore del buio quasi a voler iperscrutare la luna ed a riceverne inflessioni da riflettere nel suono. La registrazione risale a quando il trio elettrico Three Lover Colours stava lavorando alla sonorizzazione di “Le voyage dans la Lune”,- episodio inserito in “La magia del cinema” – sia in “Sangue e Arena”, dvd usciti in edicola per “L’Espresso” nella primavera del 2010. In quell’occasione peraltro non era presente il batterista del trio Stefano Paolini. Oggi quella musica si riconferma di lunare astralità nel descrivere il lato orientale di quel pianeta. Pare a volte eclissarsi quindi riemergere per successivamente rituffarsi nell’oscurità. Sono cinque le tracce – “Cantico”, “Lunar Eclipse”, “Black and White”, “East of the Moon”, “As It Was”, in cui la coppia tastiere-tromba è libera di improvvisare, trascinando e lasciandosi trascinare da quei chiarori che ispirarono Beethoven e Glenn Miller e dalla Moon che vari musicisti hanno visto blue o dark a seconda della prospettiva, anzitutto stilistica. Quella di Onorati e Tamburini avvolge e coinvolge chi alla loro musica si rivolge.

Dario Savino Doronzo- Pietro Gallo, Reimagining Aria, Digressione Music
Aprire l’opera come una scatoletta di tonno per estrarne il cuore melodico
principale, l’aria. Nell’album “Reimagining Aria” (Digressione Music) il flicorno soprano di Dario Savino Doronzo e il pianoforte di Pietro Gallo puntano la traiettoria su temi melodici espurgandoli di orpelli retorici, quelli ritenuti inutili, tenendoli peraltro ancorati alle rispettive basi armoniche. Felice la scelta per il repertorio   di   arie   di   compositori   sei/settecenteschi   meno   frequentati   dai concertisti come Antonio Cesti, Antonio Caldara, Francesco Cavalli unitamente ad   altri   più   gettonati   dai   concertisti   come   Alessandro   Scarlatti,   Benedetto Marcello,   Nicola   Porpora,   Giulio   Caccini,   per   un   totale   di   otto   arie   totali contenute   nell’album   arricchito   dalla   presenza   del   clarinettista  Gabriele Mirabassi in “Sebben Crudele” (Caldara) , “O cessate di piagarmi” (Scarlatti), “Dall’amor più sventurato” (Porpora). Lo stampo antico delle atmosfere viene velato dal piglio esecutivo antibarocco e da ricorrenti sonorità jazz. Ne vien fuori, ancora una volta dopo “Reimagining Opera” del 2020 (quando l’ospite era Michel Godard al serpentone), un lavoro originale, audace in “Quella fiamma che m’accende” di Benedetto Marcello che ritrae “una habanera che riecheggia   paesaggi   e   culture   lontane   attraverso   calde   melodie impressionistiche” e dall’afflato romantico in “Tu c’hai le penne, amor” di Giulio   Caccini.   Al   cui “recitativo accompagnato” si   potrebbe   associare idealmente lo   stile  del  duo   (plus   guest)   che   reimmagina   l’aria   d’opera   in quanto   intensa   esposizione   lirico-strumentale   su   una   solida   struttura   di accordi, ma con aggiunta di elementi reinterpretativi che ripensano spunti tratti da mezzo millennio di storia della musica.

Amedeo Furfaro

Max De Aloe chiude alla grande la tre giorni di Teramo

Si è chiusa nel migliore dei modi la tre giorni dedicata all’Accordion Spring Fest, la seconda edizione del Festival della Fisarmonica, promosso dal Conservatorio statale di Musica ‘G. Braga’ di Teramo: dopo il mio intervento, abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare Max De Aloe, armonicista tra i migliori in assoluto e non solo a livello nazionale. Per chi scrive è stato davvero un piacere in quanto De Aloe è da sempre uno dei miei musicisti preferiti, uno di quelli che quando possibile vado sempre a sentire accompagnato da moglie e figlio anch’essi sinceri estimatori dell’artista. Con quello “strumentino” come lo chiama lui (vale a dire l’armonica cromatica) riesce a toccare le corde più intime di chi lo ascolta senza ricorrere a espedienti in qualche modo sopra le righe. Insomma nessuna spettacolarizzazione ma solo voglia di raccontare e raccontarsi. Così anche in questa occasione teramana Max si è espresso come al solito con grande intensità in una performance piuttosto breve (meno di un’oretta) ma egualmente pregna di contenuti. E, almeno per quanto mi riguarda, ho avuto anche l’occasione di ascoltarlo per la prima volta alla fisarmonica.

Introdotti con gusto e quel pizzico di autoironia che spesso contraddistingue Max, si è ascoltato un programma in cui spiccavano due brani, ambedue celeberrimi: “In a Sentimental Mood” e “Besame Mucho”.

“In a Sentimental Mood” venne composto da Duke Ellington nel 1935 e registrato con la sua orchestra nello stesso anno; il testo venne aggiunto successivamente da Irving Mills e Manny Kurtz. Da allora il pezzo è stato inciso centinaia di volte tra cui ricordiamo quella eseguita da Ellington con John Coltrane. Ma l’esecuzione probabilmente più riuscita è quella originale che comprende assoli di Otto Hardwicke, Harry Carney, Lawrence Brown e Rex Stewart.

Questo per dire che affrontare un brano del genere con la sola armonica a bocca è impresa da far tremare le vene ai polsi; ebbene De Aloe l’ha eseguito con grande partecipazione trasportandoci indietro nel tempo, quando sulla parola “jazz” non c’erano molti equivoci.

Identico discorso per l’altro pezzo, “Besame Mucho”, una canzone scritta nel 1940 dalla messicana Consuelo Velázquez prima del suo ventiquattresimo compleanno. Secondo ciò che racconta la stessa Consuelo Velázquez la canzone fu composta prima ancora che lei desse il primo bacio. Rapidamente divenne una delle canzoni più popolari del XX secolo, tanto che nel 1999 venne riconosciuta come la canzone in lingua spagnola più cantata e registrata e forse la più tradotta in altre lingue. Ancora una volta De Aloe ha saputo renderla al meglio riuscendo a trasmettere le tante emozioni che il brano può regalare.  Accanto a queste due perle Max ha presentato “Far from Heaven (di Elmer Bernstein) dal film “Far from Heaven” e tre sue composizioni – “Deep Blue”, “A Sort of Dance” e “Ul Giuan Marcora” –  quest’ultima eseguita con verve e una buona dose di umorismo, alla fisarmonica.

Gerlando Gatto

I NOSTRI CD: una raffica di recensioni!

I NOSTRI CD

Costanza Alegiani – “Lucio Dove vai?” – Parco della Musica Records
Nonostante l’ancor giovane età, Costanza Alegiani è artista intelligente, matura, consapevole dei propri mezzi espressivi. La conferma viene da questo eccellente album registrato dalla vocalist assieme al suo trio Folkways, composto da Marcello Allulli al sax e Riccardo Gola al contrabbasso, cui si aggiungono due ospiti eccellenti come Antonello Salis alla fisarmonica e Francesco Diodati alla chitarra. Come si evince dal titolo, l’album è dedicato alla figura di colui che personalmente considero il più grande cantautore italiano, Lucio Dalla. Un compito, quindi, da far tremare le vene ai polsi anche perché le composizioni di Dalla sono ben note e quindi il confronto è lì, dietro l’angolo. E già nella scelta del repertorio si nota la cura con cui la vocalist ha inteso confrontarsi con Dalla: trascurate – volutamente – le canzoni più note, la Alegiani ha pescato nel vasto repertorio degli anni ’60 e ’70 presentando pezzi egualmente splendidi. L’apertura è affidata a “La canzone di Orlando” con Gola e Allulli in grande spolvero e la vocalist intenta a definire al meglio i contorni di un gioiellino musicale.
Eccellente anche l’interpretazione de “La casa in riva al mare” sicuramente assieme a “Caruso” uno dei brani più toccanti di Dalla; Alegiani lo interpreta con sincera partecipazione ben coadiuvata dagli interventi di Antonello Salis alla fisarmonica. Ma questi sono solo due esempi di un disco che sono sicuro risulterà di sicura soddisfazione anche per i palati più esigenti. Ciò perché ritengo che il pregio maggiore dell’album consista nel fatto che la Alegiani sia riuscita a conservare una ben precisa identità in una prova di estrema difficoltà che le fa onore.

Ralph Alessi – “It’s Always Now” – ECM
Non si scopre certo l’acqua calda affermando che Ralph Alessi è attualmente uno dei migliori trombettisti in esercizio. In questo album, registrato negli studi di Stefano Amerio nel giugno del 2021, Ralph suona in quartetto assai ben coadiuvato dal pianista Florian Weber, da Bänz Oester al contrabbasso e dal batterista Gerry Hemingway. Si tratta di una nuova formazione che risulta perfettamente funzionale alle idee del leader che presenta tredici composizioni tutte sue, di cui solo tre scritte in collaborazione con Florian Weber. L’atmosfera è quella tipica degli album di Alessi: un minimalismo illuminato dalle sortite del trombettista che nulla concede allo spettacolo. La sua musica è intensa ma allo stesso tempo raccolta, quasi sussurrata come se avesse paura di nuocere, di disturbare. Di qui la necessità di una sezione ritmica che consenta di dare il giusto peso ad ogni passaggio, ad ogni cambio di direzione per quanto poco percettibile lo stesso possa essere. Ne abbiamo un chiaro esempio in “Portion control” in cui il pallino è nelle mani dell’intera sezione ritmica mentre Alessi sordina la sua tromba che passa così in secondo piano. Comunque i brani che maggiormente mi hanno impressionato sono la title track e “Tumbleweed”; nella prima – “It’s Always Now” – c’è come un richiamo proveniente da lontano che a poco a poco si svela alle nostre orecchie mentre la conclusiva “Tumbleweed” mostra un Alessi in stato di grazia, un artista capace di improvvisare magnificamente senza  mai perdere le fila del discorso.

Daniel Besthorn – “Emotions” – Alfa Music
Album d’esordio per questo batterista tedesco da poco residente in Italia. Se, come si dice, il buon giorno si vede dal mattino, non c’è dubbio che di questo musicista sentiremo parlare e a lungo. Daniel si presenta alla testa di un gruppo piuttosto nutrito, denominato “Radiance” e formato da otto eccellenti giovani musicisti che provengono da Germania, Svizzera e Polonia, mentre nel conclusivo “The Rawness and Finesse of The Drums” si ascolta anche Iago Fernandez alla batteria. In repertorio sei brani di cui ben cinque composti e arrangiati dallo stesso Besthorn e “Hyperactive Mole” firmato dal pianista Tobias Altripp che fa parte del gruppo. Il fatto che Daniel abbia scelto per il suo album d’esordio un programma da lui scritto quasi interamente evidenzia come il batterista abbia voluto presentare le sue molteplici abilità: non solo valido batterista ma anche solido arrangiatore e fantasioso compositore. E la prova viene superata a pieni voti dal momento che l’album è piacevole, si ascolta tutto d’un fiato dall’inizio alla fine e tiene fede alle premesse insite nel titolo. In effetti la musica di Besthorn è in grado di produrre emozioni in chi la ascolta sia perché spesso riesce ad essere totalmente inattesa pur restando nel solco di un filo logico perfettamente individuabile, sia perché alcuni brani sono davvero ben costruiti ed eseguiti. E’ il caso, ad esempio, della ballad “That Time” impreziosita da un assolo di Florian Fries al sax tenore, in possesso di un bel timbro e di un eloquio fluido e pertinente, mentre anche il pianista Tobias Altripp trova il modo di mettersi in luce.

Maurizio Brunod – “Trip with The Lady” – H Fi Diprinzio; Brunod, Gallo, Barbiero – “Gulliver” – Via Veneto Jazz
Maurizio Brunod è chitarrista sensibile e raffinato; si ripresenta al pubblico con due album veramente diversi, registrati quasi nello stesso periodo, vale a dire il primo trimestre del 2022. “Trip with The Lady” rappresenta un punto di svolta nella storia artistica di Brunod che per la prima volta registra un album per sola chitarra acustica.
E il perché tutto ciò è accaduto vale la pena di essere raccontato. “Lady” è un modello speciale di chitarra prodotto dal liutaio italiano Mirko Borghino in omaggio alla marca automobilistica Rolls Royce ed al suo Club di Enthusiasts; prodotto in esemplare unico lo strumento ha letteralmente stregato Brunod inducendolo a progettare e realizzare il primo disco con la sola chitarra acustica. Il risultato è eccellente e non poteva essere diversamente dati due fattori imprescindibili: la bravura strumentale e compositiva di Maurizio e la sua approfondita conoscenza dell’universo musicale che lo ha portato a predisporre un repertorio di tutto rispetto in cui accanto a sue composizioni, figurano alcune delle più belle pagine della letteratura jazzistica come l’immortale “Naima di John Coltrane e “My One and Only Love” di Wood e Mellin.
Nel secondo album, “Gulliver”, Brunod suona in trio con altri due grandi del jazz italiano quali Danilo Gallo al contrabbasso e Massimo Barbiero batteria e percussioni.
Si tratta del secondo album del trio (dopo “Extrema Ratio del 2016) che conferma appieno quanto di buono si era ascoltato nel precedente. Il titolo dell’album e i titoli dei vari brani ci introducono assai bene nel tipo di musica che ascolteremo. Siamo nel campo di un folk che serve da immenso serbatoio da cui trarre ispirazione per una musica che non conosce tempo né spazio né tanto meno confini stilistici. Il loro è un viaggio declinato tra i temi popolari: si passa così dalla fiabesca “Gaungling” tradizionale cinese, ad “Albero bianco” (originale di Danilo Gallo), dalla piemontese “Maria Giuana” al notissimo “El pueblo unido” (di rilievo la performance di Brunod), fino a “Time to remember” (di Brunod) riletto come un “quasi-tango”, per giungere alla conclusione con la rete (Altro originale di Massimo Barbiero). I tre si lasciano andare a escursioni solistiche che però mai perdono di vista il discorso generale: così le corde delle chitarre di Brunod vibrano magnificamente mentre Danilo Gallo evidenzia l’essenzialità del suo incedere quale punto di raccordo tra chitarra e batteria. Dal canto suo Barbiero procede con la sua straordinaria eleganza nel percuotere pelli e piatti.

Ludovica Burtone – “Sparks” – Outside In Music
Ho avuto modo di ascoltare live Ludovica Burtone qualche anno fa durante ‘Udine Jazz’ ed essendone rimasto particolarmente colpito ho voluto avvicinarla e scambiare con lei quattro chiacchiere. Ho così avuto la percezione di un’artista matura, perfettamente consapevole degli obiettivi da raggiungere e di come raggiungerli. Ed eccoli qui questi obiettivi, sintetizzati nell’ottimo album che è stato presentato martedì 11 aprile alle 19 al Barbès di Brooklyn, La violinista italiana, adesso stabilitasi negli States, è coadiuvata da ottimi musicisti quali Fung Chern Hwei (violino), Leonor Falcon Pasquali (viola), Mariel Roberts (violoncello), Marta Sanchez (pianoforte), Matt Aronoff (contrabbasso) e Nathan Elmann-Bell (batteria), più cinque ospiti come Sami Stevens (voce in “Altrove”), Melissa Aldana (sax tenore in “Awakening”), Leandro Pellegrino (chitarra in “Sinhà”), Roberto Giaquinto (batteria in “Incontri”) e Rogerio Boccato (percussioni ancora in “Sinhá”). Il programma consta di sei brani, cinque composti da Ludovica Burtone, mentre “Sinhá”, che apre l’album, è un sentito omaggio a due artisti brasiliani come Chico Buarque e João Bosco autori del brano, arrangiato nell’occasione dalla violinista. Tracciate così le linee guida dell’album, occorre sottolineare i motivi ispiratori della poetica di Burtone, che traggono origine tanto dalla musica colta quanto dal jazz senza dimenticare le melopee mediterranee. Insomma un universo amplio da cui la Burtone sembra trarre quegli elementi che meglio si attagliano alla sua sensibilità per una performance davvero notevole.

Claudio Cojaniz – “Black” – Caligola
Titolo non potrebbe essere più esplicativo: il pianista friulano Claudio Cojaniz, in trio con Mattia Magatelli al contrabbasso e Carmelo Graceffa batterista siciliano messosi in luce con il gruppo del sassofonista, anch’egli siciliano, Gianni Gebbia. prosegue lungo la strada tracciata dai numerosi album precedenti anche se questa volta forse rende ancora più esplicito il senso del blues presente nel suo pianismo. Di qui una ricerca melodica che assume varie connotazioni; così ad esempio in “Martin Fierro”, brano che s’ispira al celebre romanzo dell’argentino Josè Hernandez, pubblicato originariamente nel 1872, la melodia di Cojaniz è toccante nella sua esposizione in cui coesistono malinconia, storie di vite vissute e storia di una nazione che scorrono sui tasti del pianista tra echi di tradizionalismo folk e musica classica; sempre con riferimento a questo brano da sottolineare la superba introduzione del contrabbassista Magatelli che fa intravvedere immediatamente quale sarà l’atmosfera del pezzo. Il concentrarsi sulla perfezione melodica ha portato la musica di Cojaniz a un livello di estrema originalità che, a nostro avviso, raggiunge il punto più alto nell’esecuzione di “Mon Amour. A” uno dei due brani eseguiti per piano solo (l’altro è il conclusivo “Ola de fuerza”). Lì dentro c’è tutta l’essenza del blues, materia che Cojaniz ha talmente bene introitato da riuscire a renderla personale con un pianismo mai ridondante che ci riporta un po’ indietro nel tempo. Molto interessante anche il già citato “Ola de fuerza”:
Cojaniz sembra abbandonare quel terreno su cui si era addentrato nei precedenti brani per inerpicarsi su scoscesi sentieri quasi free in cui si lascia andare ad una improvvisazione che non delude….tutt’altro!

Marc Copland Quartet – “Someday” – innerVoiceJazz
A 74 anni, il pianista statunitense Marc Copland si mantiene meravigliosamente sulla cresta dell’onda. Un ulteriore prova l’abbiamo da quest’ultimo lavoro in cui Marc si presenta alla testa di un quartetto completato da Drew Gress bassista già assieme a Copland in numerose avventure, Robin Verheyen sassofonista anch’egli accanto al leader nel corso degli ultimi dieci anni e Mark Ferber batterista attivo tra New York e Los Angeles e ben conosciuto dagli appassionati di jazz per aver suonato accanto a Gary Peacock in trio e a Ralph Alessi in quintetto. Il repertorio dell’album comprende tre classici del jazz quali “Someday My Prince Will Come” di (Churchill e Moray) ,  “Let’s Cool One” di Monk e “Nardis” di Miles Davis accanto ad altri cinque original, di cui tre a firma Copland e due Verheyen. Parlando di Marc Copland riferirsi alla delicatezza di tocco, alla tecnica sopraffina, alla profondità delle armonie, alle straordinarie capacità improvvisative, al gusto per suadenti melodie sembrerebbe quasi superfluo…ma sicuramente tra chi ci legge ci saranno dei giovani che magari poco o nulla conoscono di Copland. Ecco io credo che basti l’ascolto di questo album per rendersi conto di chi sia Marc Copland non solo come esecutore ma anche come autore. Al riguardo si ascolti “Day And Night” (il brano più lungo dell’album) in cui oltre alla bellezza del tema, si può ammirare il modo in cui Marc riesca ad esaltare il ruolo dei suoi compagni, in primo luogo del sassofonista assolutamente convincente, mentre Ferber sostiene il tutto con un drumming propulsivo ma non invasivo ben coadiuvato in ciò dal basso di Gress. Dal canto suo Copland si produce in uno dei suoi assolo che si pone quasi come una sorta di enciclopedia del pianismo jazz.

Ilaria Crociani – “Connecting The Dots” –
E’ con vero piacere che presento questo disco proveniente niente popò di meno che dall’Australia. Protagonista una vocalist italiana alla testa di un settetto composto da Mirko Guerrini sax, clarinetto, tastiere e composizione, Paul Grabowsky pianoforte e composizione, John Griffith liuto, Geoff Hughes chitarra, Ben Robertson contrabbasso e basso elettrico e Niko Schäuble batteria e percussioni. L’album ha una storia particolare: nel 2021 Ilaria viene incaricata da ABC Jazz di scrivere e registrare una nuova serie di brani che portassero in vita storie di donne australiane e straniere in un mix eclettico. La vocalist accetta la sfida e la vince alla grande; in effetti l’album si fa particolarmente apprezzare non solo per la qualità della musica ma anche per ciò che la Crociani ha saputo rappresentare, vale a dire la storia di “donne che hanno fatto la differenza”. “L’ispirazione di questo album nasce dalla mia esperienza di emigrazione”, racconta la vocalist nel corso di una intervista, ed in effetti ascoltando l’album questa tensione morale si avverte esplicita. Soffermandoci in particolare sugli aspetti squisitamente musicali, occorre dire che l’album è ben congegnato con la bella voce di Ilaria che interpreta con partecipazione testi non proprio facilissimi, anche perché le atmosfere cambiano passando dalle ballad (‘Cosa Resta del Giorno, ‘Gina’ or ‘Stones of Fire’) al jazz più moderno, dalle influenze latine (‘Mary Lou’) a sonorità più vicine al rock e al reggae (‘Silent Words’, ‘The author is dead’, ‘Eat my dust’). Ovviamente tutto ciò non sarebbe stato possibile se ad accompagnare la vocalist non ci fosse un gruppo di prim’ordine, un gruppo che si muove all’unisono con forti individualità e sapienti arrangiamenti.

Maurizio Giammarco Rumours – “Past Present “ – Parco della Musica Records
“Rumours” è il nome del nuovo gruppo di Maurizio Giammarco comprendente Fulvio Sigurtà trombettista ben presente anche sulla scena londinese, Riccardo Del Fra contrabbassista, dal 2004 responsabile del Dipartimento Jazz e Musiche Improvvisate al Conservatorio Nazionale Superiore di Musica e Danza di Parigi, e Ferenc Nemeth batterista di origine ungherese, tra i più richiesti in questo momento;  quindi due fiati, contrabbasso e batteria, una formazione piuttosto anomala ma che nel jazz vanta precedenti illustri e che lo stesso Giammarco aveva sperimentato nei primi anni della carriera quando nel 1976 costituì un gruppo con Tommaso Vittorini, Enzo Pietropaoli, e Roberto Gatto. Appositamente per questo gruppo Giammarco ha scritto alcune composizioni cui ha aggiunto altri brani della tradizione a costituire un repertorio di 13 brani che lumeggiano assai bene la complessa e poliedrica personalità di Giammarco. Il sassofonista (tra i migliori in esercizio nell’intera Europa) con questo album conferma ampiamente quanto già si conosceva sul suo conto: strumentista sopraffino, compositore di ampio respiro, leader capace, arrangiatore originale, Giammarco tiene perfettamente in mano le redini del discorso anche quando da un discorso collettivo si vira decisamente verso il free dando a ciascuno una certa libertà d’espressione. Ma il concetto su cui Giammarco insiste da tempo e che viene ripreso anche nel titolo dell’album è l’importanza di un ponte che leghi la grande tradizione del passato con il presente come base insostituibile su cui costruire il futuro. In tal senso spiccano i magistrali arrangiamenti di due celebri pezzi ellingtoniani come “Prelude to a Kiss” e “The Mooche” resi magnificamente anche con il solo quartetto, mentre in “Desireless” di Don Cherry, ascoltiamo un superlativo Riccardo Del Fra, che ci accompagna in un lungo viaggio all’indietro, meta: gli anni ’70.

Vicky Chow – “Philip Glass Piano Etudes Book 1” – Cantaloupe
Nel gennaio scorso ha festeggiato i suoi 86 anni Philip Glass, il compositore statunitense a ben ragione considerato uno dei padri del minimalismo assieme a Steve Reich e Terry Riley. Lo omaggia in musica la pianista canadese originaria di Hong Kong, Vicky Chow, considerata dalla stampa statunitense una delle strumentiste più innovative, prestigiose, originali e brillanti degli ultimi anni. La Chow nel 2020 ha registrato il Book 1 degli studi di Glass per pianoforte. La musica del compositore di Baltimora ha un suo indubbio fascino ma deve essere interpretata al meglio, con profonda cognizione di causa e sincera partecipazione. Doti che Chow mette in luce sottolineando come lei sia completamente “innamorata” di queste partiture dopo averle eseguite, assieme ad altri pianisti, nel 2018 nel corso di uno stage in Canada. Se a ciò si aggiunga il fatto che Chow conosce bene Glass per averlo frequentato a New York come membro, tra l’altro, della “Bang on a Can All-Stars” si capirà ancor meglio il perché questa pianista sia perfettamente in grado di interpretare le musiche di Glass senza minimamente tradirne l’originario significato. Non a caso è lo stesso Glass a spendersi in una esplicita lode nei confronti della pianista e del disco: “E’ una performance molto dinamica ed espressiva. C’è una certa energia che è unicamente sua”.

JugendJazzOrchester – “Spicey” – ATS
Questo album mi offre l’opportunità di parlare della JugendJazzOrchester: si tratta di una formazione che offre ai giovani musicisti di talento dell’Alta Austria l’opportunità di lavorare per un periodo di alcuni mesi su un programma creato appositamente per l’ensemble e di eseguirlo poi nell’ambito di una tournée nazionale. La direzione artistica è affidata a Benjamin Weidekamp e in pochi anni l’orchestra si è rivelata al pubblico come ensemble degno della massima attenzione. Questo album è davvero ottimo: ascoltatelo tutto con attenzione e mi darete ragione. L’organico è quello proprio di una big band classica: cinque sassofoni, quattro trombe, quattro tromboni (di cui uno basso), tastiera, basso elettrico, chitarra elettrica, batteria, un coro di cinque elementi e due cantanti solisti, il tutto sotto la direzione artistica di Andreas Lachberger. Così strutturata l’orchestra fila via come un meccanismo assai ben rodato e i brani sono interessanti, illuminati dagli assolo dei vari musicisti che confermano tutti una preparazione di alto livello. Non è certo un caso se Bob Mintzer, sassofonista su cui non vale la pena spendere parole, e che ritroviamo nel disco come arrangiatore in tre brani, si è lasciato andare ad un giudizio molto positivo sull’orchestra elogiando in particolare il lavoro dello stesso Lachberger : “il futuro della big band jazz – afferma Mintzer – è in buone mani” . E come dargli torto?

Edi Kohldorfer – “Fish & Fowl” – ATS

Il chitarrista austriaco (classe 1966) si ripresenta al suo pubblico alla testa di un settetto ad interpretare con forza e partecipazione un repertorio di undici brani firmati in massima parte dallo stesso leader. Musicista indubbiamente ben preparato, Edi scava in questo album il terreno periglioso della free improvisation con risultati non sempre ottimali. In effetti se il brano d’apertura “Rumex” lascia piuttosto perplessi, il successivo “Willughbeia Sarawacensis” evidenzia un gruppo molto compatto, con il leader che svetta su tutti grazie ad una tecnica assolutamente ineccepibile. E la cosa si spiega facilmente ove si tenga conto che Edi ha studiato chitarra classica prima di cimentarsi in ambiti rock e jazz. Tornando all’album, le cose migliorano ancora quando entrano in campo i due vocalist Anna Anderluh e Stefan Sterzinger. Comunque, in buona sostanza, il clima dell’album non muta sostanzialmente: i musicisti probabilmente improvvisano in modo collettivo sì da rendere impossibile la lettura di una qualche linea melodica e anche la struttura ritmica – ammesso che di ciò si possa parlare – è sempre difficile da seguire. Quindi piena soddisfazione per gli amanti di questo genere mentre per gli altri non resta che attendere l’austriaco nelle successive prove.

Roberto Laneri – “Wintertraume” – Da Vinci Classics
Quando mi ha telefonato per informarmi dell’uscita di questo album, Laneri mi ha detto: “vedrai che questa volta ti sorprenderò” Ed aveva ragione. L’album è sicuramente particolare…per usare un eufemismo. In effetti Laneri ha concepito un qualcosa di veramente originale ma allo stesso temo pericoloso, come avvicinarsi a fili elettrici scoperti con noncuranza. In buona sostanza Laneri si è rivolto ad alcuni capolavori della musica colta cercando di riattualizzarli attraverso una complessa operazione di scomposizione e ricomposizione, senza che tutto ciò suoni come un’operazione blasfema. I compositori presi in considerazione da Laneri sono molteplici passando da Schubert a Strauss, da Dowland a Weill, da Tarrega a Liszt, da Debussy a Brahms. Dal punto di vista esecutivo Laneri si avvale delle voci di Elisa Rossi, Benedetta Manfriani, Agnese Banti e Frauke Aulbert suonando egli stesso clarinetti e sassofoni; ma nella originale visione dell’artista figura anche il processo di registrazione e missaggio come un’attività compositiva a sé stante, modalità che nel mondo del jazz trova molti illustri precedenti. Il risultato finale può definirsi soddisfacente: il progetto è assai ben articolato e si avvale delle indubbie qualità di Laneri sia come profondo conoscitore dell’universo musicale, sia come raffinato esecutore capace di eseguire al meglio anche le più raffinate e complesse partiture.

Dominic Miller – “Vagabond “ – ECM
Dopo ‘Silent Light’ (2017) e ‘Absinthe’ (2019) ecco il terzo album registrato da Dominic Miller per la ECM. Alla testa di un quartetto completato da Jacob Karlzon al pianoforte, Nicola Fiszmann al basso elettrico e Ziv Ravitz alla batteria, il chitarrista argentino (Buenos Aires 1960) presenta un repertorio di otto brani da lui stessi composti a confermare la tesi che Miller è un musicista completo, in grado di far suonare bene la sua chitarra ma anche di comporre brani tutt’altro che banali. L’album si sviluppa con una coerenza che l’accompagna dalla prima all’ultima nota. In effetti tutti i brani sono caratterizzati da una squisita ricerca della linea melodica che appare così l’elemento caratterizzante la poetica del leader. In effetti in primo piano ascoltiamo spesso la chitarra di Dominic che però mai oscura i compagni di viaggio che hanno così la possibilità di mettere in luce le proprie potenzialità. Si ascolti ad esempio “Clandestin”: introduce Miller quasi subito raggiunto da Karlzon; dopo un minuto ecco la sezione ritmica su cui si staglia un bellissimo assolo del pianista. Ed è ancora Karlzon in primo piano nel successivo “Altea”: spetta a lui il compito di accelerare il ritmo introducendo così una sorta di novità che però non si allontana minimamente dal clima generale. Ripreso immediatamente in “Mi Viejo” un brano che Miller dedica alla figura del padre con una dolce melodia non a caso eseguita dalla chitarra in solo. L’album si chiude con “Lone Waltz” un episodio che si pone come una sorta di resumé di quanto ascoltato fino al quel momento, con il quartetto impegnato in momenti di “insieme” davvero notevoli.

Bobo Stenson – “Sphere” – ECM

Tra i pianisti di maggior prestigio che il jazz europeo abbia saputo offrire agli appassionati, c’è sicuramente lo svedese Bobo Stenson che, ad onta della sua non giovanissima età (classe 1944) continua a deliziare il pubblico con i suoi dischi. Quest’ultimo “Sphere” è nel suo genere una dimostrazione di come debba essere inteso il jazz oggi: non più una musica connotata da parametri specifici, da regole che nessuno ha scritto, ma un modo di interpretare sé stessi e la realtà che ci circonda lasciandosi andare alle emozioni, all’estro del momento. Ovviamente per incamminarsi su questa strada occorrono una eccellente preparazione tecnica, una perfetta consapevolezza dei propri mezzi espressivi, una visione molto larga di ciò che la musica significa e rappresenta. A ciò si aggiunga, se si suona in trio (come in questo caso), la capacità di saper guidare con mano ferma i propri compagni di viaggio. Ecco, al riguardo la maestria di Stenson risaltare evidente ove si tenga conto del fatto che il batterista Jon Fält e il contrabbassista Anders Jormin – suoi abituali compagni di viaggio – riescono a seguirlo in ogni momento: si ascolti al riguardo “Unquestioned answer – Charles Ives in memoriam” un brano di Jormin dedicato alla memoria del compositore americano Charles Ives (1874-1954), perfettamente riuscito in ogni sua più sfuggevole nuance. E questo clima etereo, quasi di indeterminatezza, si ascolta, si percepisce in tutto l’album con il trio che si muove speditamente sulle ali di una interazione sempre presente. Tra gli altri brani particolarmente incisivo “Kingdom of coldness”, a firma di Jormin; tra le tante astrazioni cui si faceva rifermento, questo è il brano probabilmente più terreno che non a caso si configura come una ballad in cui, manco a dirlo, Stenson distilla ogni singola nota a disegnare una linea melodica suggestiva.

Stefania Tallini, Franco Piana – “E se domani” -Alfa Music
Stefania tallini vocalist e Franco Piana trombettista, flicornista e nell’occasione anche vocalist e percussionista sono due artisti che “A proposito di jazz” ha sempre seguito con grande attenzione sottolineandone la invidiabile statura artistica. Statura che viene vieppiù evidenziata da questo album in duo, una formula, quindi, molto, molto pericolosa che può essere affrontata con successo solo da artisti veramente tali. L’album presenta un titolo assai significativo ma allo stesso tempo ingannevole: si potrebbe credere che i due abbiano scelto un programma basato sulle canzoni e, invece, nove dei quattordici brani sono composizioni originali che ben descrivono le capacità compositive dei due, mentre gli altri cinque si rivolgono al pop italiano, al Brasile, al jazz e al songbook statunitense. Il risultato è eccellente e per una serie di motivi facilmente identificabili. Innanzitutto la scelta del repertorio e la bellezza dei temi originali; in secondo luogo le capacità dei due che si integrano alla perfezione grazie anche ai sapidi arrangiamenti della pianista che rendono difficile distinguere tra parti scritte e parti improvvisate. Non a caso è la stessa Tallini a sottolineare come si tratti di “un disco nato nella più totale spontaneità e naturalezza, a seguito di una serie di concerti attraverso cui il nostro duo è cresciuto sempre più, rivelandone l’incredibile feeling e intesa, musicale e umana». Concetto ripreso da Piana: «Per me – afferma – è un’esperienza nuova che mi fa molto piacere condividere con una grande artista, sensibile e musicale come Stefania Tallini. Un disco in cui ritorno un po’ alle mie origini…come quando da bambino, non avendo ancora la tromba, mi divertivo a cantare i soli dei miei jazzisti preferiti, accompagnandomi con qualsiasi oggetto potesse essere percosso: in pratica un percussionista «scattante» inconsapevole”.

Gianluigi Trovesi, Stefano Montanari – “Stravaganze consonanti” – ECM
Titolo al limite dell’illogico per una musica che, viceversa, di logica ne ha molta. Responsabili del progetto il multistrumentista Gianluigi Trovesi e Stefano Montanari nella veste di concertmaster a guidare un ensemble di 12 musicisti. In repertorio 15 brani, alcuni scritti da Trovesi (uno assieme a Fulvio Maras alle percussioni), gli altri si rifanno direttamente ad alcuni autori del passato quali Henry Purcell, esponente del barocco inglese seicentesco, Giovanni Maria Trabaci, anch’egli esponente del barocco ma italiano (1575-1647), Guillaume Dufay (1400-1474), Giovanni Battista Buonamente (1595-1642), Andrea Falconieri (1586-1656) e Josquin Desprez (1450?-1521). Insomma un parterre di autori davvero straordinario, sicuramente difficili da attualizzare con un linguaggio che, come si evince nel titolo, sia da un canto coerente con le premesse autoriali, dall’altro originale nella sua esplicazione. Impresa, quindi, particolarmente difficile, ma sfida vinta compiutamente grazie soprattutto alla genuina “follia” dei musicisti coinvolti che sono riusciti a ricreare un clima in cui potessero coesistere repertorio classico, improvvisazione jazz e melodie popolari; così non è certo un caso se i brani dell’album si concatenano e si sovrappongono con estrema naturalezza, senza che per un solo attimo l’album perda la sua coerenza intrinseca. Quasi inutile, eppure doveroso, sottolineare che la riuscita dell’album è dovuta anche alla bravura dei musicisti (alcuni dei quali fanno parte dell’Accademia Bizantina di Ravenna) che hanno accompagnato i due capofila, pronti a seguire le volontà dei leaders attuando anch’essi un linguaggio ”stravagante”.

Ralph Towner – “At First Light” – ECM
“First Light” è anche il titolo di un album del 1971 inciso da Freddie Hubbard, un album spumeggiante in cui il trombettista da un assaggio delle sue eccezionali qualità strumentali…e non solo. Ecco, chi si aspetta di trovare qualcosa del genere anche in questo album, ne resterà profondamente deluso. Tanto esuberante, estroverso è Freddie Hubbard, tanto intimista, raccolto è Ralph Towner anche in quest’ultimo album, registrato a Lugano nel 2022. Nell’occasione Towner suona esclusivamente la chitarra classica a sei corde e presenta un repertorio di undici brani di cui otto sue composizioni e tre classici del jazz quali il traditional “Danny Boy, il sempre verde “Make Someone Happy” di Jule Styne e “Little Old Lady” di Hoagy Carmichael.. L’intero disco si sviluppa brevemente – all’incirca 45 minuti – ma del tutto sufficienti a lumeggiare la statura del personaggio. A 83 anni suonati, Ralph nulla ha perso delle caratteristiche che già molti anni fa lo resero personaggio unico nel suo genere: artista scevro da qualsivoglia esibizionismo, sempre in possesso di una tecnica personale (unica la delicatezza del tocco) e perfettamente funzionale all’esposizione delle proprie idee, con uno stile contrassegnato dall’amore per alcuni grandi del passato come Gershwin, Coltrane e Bill Evans (influenze che appaiono chiaramente anche in questo lavoro). Tra i brani degni di menzione la title-track sospesa tra presente, passato e futuro, la splendida seppure brevissima “Argentinian Nights” e la conclusiva “Empty Stage” dall’atmosfera malinconica così come suggerisce l’eloquente titolo.

Frederik Villmow – “Momentum” – Losen
In questo suo nuovo album, il batterista Frederik Villmow è alla testa di un quintetto molto ben equilibrato. In effetti le caratteristiche fondamentali del CD sono illustrate dallo stesso leader nelle note che accompagnano la musica: innanzitutto la volontà di tutti i musicisti di salvaguardare la propria identità sia come strumentista sia come compositore senza incidere sull’omogeneità del tutto; in secondo luogo la gioia di suonare assieme improvvisando. Non a caso ad eccezione di “Eternity” per tutti gli altri brani è stata sufficiente la prima take. Ciò premesso, occorre sottolineare come il clima generale si avvicina molto al free storico: spesso il brano non è stato nemmeno provato e basta un cenno del leader per iniziare a suonare dopo di che tutto è lasciato all’empatia che regna in studio. Un esempio probante al riguardo è “B-flat” della pianista Olga Konkova. Viceversa altri pezzi – come “Ali kurerer gruff”, “Momentum” e Eternity” presentano un tema scritto e sono basati su una certa struttura ritmica. Come già sottolineato a proposito dell’album “Fish & Fowl” del chitarrista austriaco Edi Kohldorfer inciso per la ATS, l’album si rivolge ad una fetta ben precisa degli appassionati di jazz i quali ancora oggi prediligono le improvvisazioni collettive. Per tutti gli altri crediamo che l’ascolto sia piuttosto duro…ma se si ha la pazienza di arrivare alla fine del disco probabilmente si avrà modo di apprezzare anche questo genere pur nella sua precisa collocazione storica e politica.

Gerlando Gatto

Gerlando Gatto al Conservatorio di Teramo e al CASC BI di Bankitalia

Il nostro direttore Gerlando Gatto sarà impegnato nei prossimi giorni in due importanti appuntamenti rispettivamente al Conservatorio di Teramo e al Casc Bi di Bankitalia.

Ma procediamo con ordine. Nell’ambito della tre giorni dedicata all’Accordion Spring Fest, la seconda edizione del Festival della Fisarmonica, promosso dal Conservatorio Statale di Musica ‘G. Braga’ di Teramo, sabato 13 maggio Gatto terrà una conferenza sul tema dei rapporti tra jazz e tango.

Ma, al di là di questo evento, l’Accordion Spring Festival (che inizia giovedì 11 maggio) riveste una particolare importanza in quanto testimonia l’attenzione che il Conservatorio di Teramo sta dedicando alla fisarmonica grazie anche all’impegno di Renzo Ruggieri, fisarmonicista jazz tra i più attivi e validi a livello internazionale.

La manifestazione proporrà concerti, masterclass e conferenze dibattito dedicate alla scoperta della storia e della poliedricità dello strumento musicale, iniziativa che vede come coordinatori artistici il docente di Fisarmonica Classica Massimiliano Pitocco e il docente di Fisarmonica Jazz Renzo Ruggieri.

“Il Conservatorio Braga – ha sottolineato il Direttore Vratonjic – è tra i più virtuosi in Italia grazie all’ampia offerta formativa e al crescente numero di iscritti, elementi che rappresentano un incentivo all’organizzazione di un’attività extradidattica importante che permetta agli studenti di sperimentare subito il proprio talento oltre che le abilità acquisite in classe nelle ore di didattica. La classe di Fisarmonica classica è attiva già da cinque anni ed è stata affidata al docente abruzzese Massimiliano Pitocco, noto per la sua produzione concertistica a livello internazionale, e che è anche titolare della cattedra presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma. La classe di Fisarmonica Jazz, prima cattedra istituita in Italia, è invece affidata al Maestro Renzo Ruggieri, anch’egli noto in campo internazionale quale concertista e docente. Il Festival ci consentirà di valorizzare l’importanza della Fisarmonica che da sempre ha fatto parte della tradizione musicale abruzzese e che ha visto protagonisti alcuni dei ‘padri’ maggiori della musica italiana”.

Ma ecco il programma dettagliato

Si parte giovedì 11 maggio, con le Masterclass che si terranno dalle 9 alle 13 e dalle 14.30 alle 18 con Massimiliano Pitocco alla fisarmonica classica, il maestro serbo Zoran Rakic per la fisarmonica classica e Renzo Ruggieri per la fisarmonica jazz-moderna; alle 18 Concerto del maestro Riccardo Pugliese per la fisarmonica classica.

Venerdì 12 maggio dalle ore 9 alle ore 12 Masterclass dei Maestri Pitocco, Rakic e Ruggieri; alle 12 Concerto degli studenti; dalle 14.30 alle 18 di nuovo Masterclass con i Maestri Pitocco, Rakic e Ruggieri; e a chiudere alle 18 il concerto con Gianni Fassetta alla Fisarmonica classica-virtuoso.

L’evento si chiuderà sabato 13 maggio: alle 9 Masterclass dei Maestri Pitocco, Rakic, Ruggieri e Max De Aloe, per gli strumenti ad ancia libera e jazz; dalle 14.30 alle 16.30 Conferenza di Gerlando Gatto su ‘I rapporti tra tango e musica jazz”; alle 17.30 Consegna dei Diplomi e Concerto di Max De Aloe per la musica jazz.

*****

Il secondo appuntamento vedrà Gerlando Gatto impegnato giovedì 25 maggio alle ore 18.00, presso l’Auditorium CASC-BI (Centro per l’Aggregazione Sociale e Culturale tra il personale della Banca d’Italia) di Via del Mandrione 190, Roma. Oggetto dell’incontro la presentazione dell’ultimo libro di Gerlando Gatto, “Il Jazz Italiano in epoca Covid”. Il libro, che attraverso una serie di oltre quaranta interviste, fotografa perfettamente la situazione dei musicisti jazz italiani durante il periodo del Covid, risulta particolarmente interessante oggi alla luce di una ripresa che, per quanto concerne il jazz, tarda ad arrivare date le numerose difficoltà del mercato e la situazione non proprio felice in cui questa musica si dibatte nel nostro Paese.

A coadiuvare Gatto ci sarà Daniele Mele giovane pianista e compositore. Laureato con lode al Conservatorio “O. Respighi” di Latina, Daniele affianca all’attività performativa quella di docente di pianoforte e teoria musicale. Inoltre da più di un anno collabora con “A proposito di jazz” scrivendo interviste a musicisti italiani ed esteri.

A Roseto l’Italia Award 2023
13° Edizione

Si svolgerà a Roseto degli Abruzzi (TE) lo storico concorso internazionale 13° ITALIA AWARD 2023 (World Accordion Contest)

.Si tratta di un festival dedicato principalmente alla famiglia delle fisarmoniche con categorie per tutti gli strumenti e tutti i generi musicali. Giunti alla 13° edizione, quest’anno verrà riproposta, oltre alla versione DAL VIVO, anche quella ONLINE secondo lo schema di grandissimo successo realizzato sotto pandemia che ha portato iscritti e giurati da tutto il mondo.

A questo verranno aggiunti CONCERTI SERALI con artisti internazionali nei luoghi più consoni del comune di Roseto degli Abruzzi.

Alla direzione artistica Renzo Ruggieri e alla presidenza Claudio Azzaro; obiettivo dichiarato ripetere i successi degli anni passati con centinaia di presenze (iscritti da Germania, Cina, Lituania, Inghilterra, Scozia, Macedonia, Montenegro, Polonia, Ukraina, Kazakhistan, Polonia, Slovacchia, Serbia, Russia, Usa, Svizzera, Macedonia, Norvegia, Vietnam, Slovenia, Croazia, Argentina, Sud Africa, Albania, Moldova, Cile).

Ed ecco il programma della manifestazione

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DAL VIVO (17-18 giugno, Roseto degli Abruzzi , TE – Italia)

  • Fisarmonica (classica, virtuoso, diatonica, organetto)
  • Altri strumenti & gruppi.

Scadenze Iscrizioni: 10 june 2023

 

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ONLINE EDITION con video (4, 11 giugno 2023)

  • Fisarmonica (classica, virtuoso, diatonica, digitale)
  • Ensemble (classica, junior, jazz, tango, world)

Scadenze Iscrizioni: 15 maj 2023

 

info:
https://www.associazionepromozionearte.com/italiaaward/

regolamento:
https://www.associazionepromozionearte.com/italiaaward/2023_ItaliaAward_EN.pdf