Arriva con sette concerti “Gezziamoci Autunno”

Chiusa la stagione estiva del festival jazz della Basilicata di cui abbiamo riferito, comincia sabato 30 settembre la stagione autunnale di Gezziamoci, il festival che da 36 anni diffonde la musica jazz e la cultura dei territori.

Il primo appuntamento in calendario è sabato 30 settembre alle 15:30 per il trekking urbano con partenza e arrivo nel Giardino del Silenzio al termine del quale sarà possibile partecipare al concerto aperitivo di Artvark Saxophone Quartet, quartetto di sassofonisti olandesi capaci di mescolare musica classica e jazz, soul e blues per una esibizione scoppiettante, ricca di emozioni e cambi di registro. Gli Artvark emozionano, “ringhiano e scoppiettano” fondono i loro diversi background per formare un suono unanime creativo e unico. Dalla loro nascita hanno collaborato con artisti speciali e straordinari, come con la leggenda del jazz Peter Erskine, il maestro batterista senegalese Doudou N’Diaye Rose, la band indie rock danese Efterklang e il famoso compositore Philip Glass. Gli Artvark aspirano a collegare mondi e ad attraversare confini, sia in sé stessi che nella loro musica, “Eccellente combinazione, armonie sorprendenti e suono sfacciatamente bello”. (Volkskrant su BusyBusyBusy)
Sabato 14 ottobre Ars Nova Napoli con la partecipazione di Daniele Sepe calcheranno il palco dell’Auditorium di Casa Cava, come farà sabato 28 ottobre Nils Berg con il progetto Basilicata Dream all’interno del Convegno sul Turismo Musicale organizzato dall’associazione I-Jazz e Onyx Jazz Club; Dino Rubino Trio si esibirà domenica 12 novembre sempre nell’Auditorium di Casa Cava.
Cambio di location per il duo Trovesi – Remondini che suoneranno sabato 16 Novembre nelle sale di Palazzo Bernardini; si torna nell’Auditorium di Casa Cava per le ultime due date di Gezziamoci 2023 che il 2 dicembre ospiterà una coproduzione della Piccola Orchestra Materana Onyx con IAC Centro di arti Integrate e l’appuntamento finale con “la signora del jazz italiano” Rita Marcotulli, sabato 16 dicembre.
Questa edizione di Gezziamoci si arricchisce di un appuntamento molto importante: da venerdì 27 fino a domenica 29 ottobre Onyx Jazz Club ospiterà a Matera il Convegno nazionale I-Jazz. L’Associazione Nazionale I-Jazz è stata costituita il 1° febbraio 2008 raccogliendo alcuni dei più conosciuti e seguiti festival jazz Italiani tra i quali Gezziamoci; nel 2014 l’associazione ha ampliato la propria sfera di azione raccogliendo l’adesione di molte realtà ed apprestandosi a divenire, sul modello di quanto accade in tutta Europa, una istanza rappresentativa del jazz italiano, idonea ad operare per progetti e per lo sviluppo di idee. Aderiscono all’associazione circa 80 soci che operano in tutte le Regioni italiane, organizzando festival, rassegne, iniziative promozionali, scuole di musica.

(Redazione)

I nostri cd: in forma di Duo

I NOSTRI DISCHI 
In forma di duo  

Che lingua l’italiano! Cambi la doppia consonante in una parola, per esempio duello, simbolo di lotta/contrasto ed eccola diventare duetto che, soprattutto in musica, significa il suo esatto contrario. Il duettare può infatti evocare interscambio, dialogo, accoppiata, rendez-vous, insomma comunicazione duale, frontale, collaterale, duplice, finanche effusiva o derivante da abbinamento, binomio, affiancamento… in musica può rappresentare incontro ravvicinato di tipo a sé stante, sintonizzazione di antenne sensibili non lontane fra due emittenti-riceventi messaggi sonori destinati ad incrociarsi ed a generarne uno nuovo, diverso a seconda di chi cosa dove come quando lo ha prodotto. A seguire ecco alcuni album “in forma di duo” (in qualche caso con ospiti) quale esempio delle tante opportunità che il jazz può offrire al riguardo.

Olivia Trummer-Nicola Angelucci, Dialogue’s Delight, Flying Spark.
I dialoghi, in quanto genere letterario, nascono con Platone. A livello musicale si potrebbe partire dal seicento quando il primo melodramma, offrendo nuovo spazio alla vocalità nell’azione teatrale, allarga la scena al “parlato” con musica. Nel jazz, sin dagli inizi, il dialogo (a due), anche quello strumentale, ha rappresentato una forma primigenia di interplay seppure con un certo grado di variabilità simbiotica. Rientra in quel novero il recente album, marchiato Flying Spark, della coppia formata dalla pianista-vocalist Olivia Trummer e dal batterista Nicola Angelucci, ambedue compositori. Il titolo Dialogue’s Delight è già di per sé una dichiarazione di principio, La gioia e il diletto del dialogo lo si avverte nella garbata apertura affidata ad una “When I Fall In Love” reinterpretata con una modifica del giro di accordi che cambia i connotati al famoso standard di Victor Young, con lo spirito innovativo replicato più avanti in “Lil’ Darlin” di Neal Hefti.  Al disco partecipa in qualità di ospite il fisarmonicista Luciano Biondini in quattro delle tredici tracce totali (French Puppets, Valerio, Inside The Rainbow, Portoferraio).  C’è altresì da sottolineare, della virtuosa tedesca, la bellezza delle liriche da lei scritte. I testi sono riportati nel booklet compreso quello “manifesto” che dà titolo al cd. Di Angelucci spiccano, oltre alle doti di scrittura, la saggia ponderazione delle bacchette, con un tempo che viene “enunciato” in base ai livelli espressivi della partner, “calato” pienamente nella parte che con accorto gioco di ruolo il musicista si è autoassegnato.

Baba Sissoko – Jean-Philippe Rykiel, Paris Bamako Jazz, Caligola
E’ un avventuroso rally sonoro in undici tappe l’album Paris Bamako Jazz,  un “percorso”, su colori Caligola Records, del percussionista Baba Sissoko copilota il pianista francese Jean-Philippe Rykiel (n.b.: i ruoli sono invertibili). La collaborazione artistica, già sperimentata in Griot Jazz, della stessa etichetta discografica, è divenuta liaison caratteriale cementata in amalgama fra percussioni e keyboards, sovrastate dalla voce cavernosa dell’italo/maliano. L’ideale maratona che congiunge Pirenei e Hombori Tondo, Senna e Niger è un itinerario costellato da “stazioni” su cui sono situate icone di familiari ed amici, luoghi e genti, in una visione condivisa che il meeting incornicia di note. E’ un jazz bluesato con spiragli world man mano sempre più accentuati ed accentati nel costruire un assetto d’insieme con substrato di ipnotiche iterazioni e vertiginose circolarità che attutiscono le possibili asprezze di un tracciato divenuto, strada facendo, liscio e fluente.

Greg Lamy- Flavio Boltro, Letting Go, Igloo Records

Difficile prevedere a monte il risultato musicale dell’accostamento fra la tromba di Flavio Boltro e la chitarra dell’americano Greg Lamy. Per riscontrarlo la “prova regina” sta nell’album Letting Go edito da Igloo Records a nome dei due jazzisti a loro volta affiancati dal bassista Gautier Laurent e dal batterista Jean-Marc Robin.  Ne vien fuori un mix che esalta le qualità dei leaders, in particolare la fluidità armonica di Lamy, quasi pianistica nell’accompagnamento, e la abilità nel tirar fuori dal cappello umori rock e dis/sapori jazz “lasciati andare” con una sorta di understatement che ben si amalgama con quel certo senso cool (inteso anche come “di tendenza”) del trombettista. Quest’ultimo, lo diciamo per quanti sono abituati alle ricerche genetiche del Dna artistico, potrebbe far pensare a tratti a Wheeler o Baker per la pensosità che riesce ad imprimere, tramite il movimento delle labbra e delle dita, al proprio strumento. Ma Boltro è Boltro ed è una riconosciuta autorità del nostro trombettismo con colleghi di generazione che si contano sul palmo di una mano. La sua unicità si sposa felicemente con la forte personalità di Lamy nelle dieci tracce del cd in parte a sua firma, in parte di Boltro con la chiusura affidata a Chi tene ‘O mare di Pino Daniele. Un omaggio che consegna e riconferma ancora una volta il cantautore partenopeo al songbook jazzistico.

Duo Improprium, Incontro, Dodicilune Records.
La coppia di musicisti siciliani formata dal flautista Domenico Testai e dal fisarmonicista Maurizio Burzillà, in arte Duo Improprium, presenta l’album Incontro edito da Dodicilune Records. Il lavoro intende dar corpo ad un progetto che vede allineati due strumenti che non ricorrono né si rincorrono spesso nel jazz. I quali, a dire il vero, non si dimostrano affatto “impropri” se messi assieme in quanto uniscono la capacità lirico-tematica del flauto a quella di strutturazione armonica e ritmica della fisa. Già nell’incipit del disco, “Tango for Cinzia”, appaiono più che “consoni” nella “proprietà” di linguaggio musicale sia melodica che improvvisativa (un’altra figura femminile affiora nell’altro brano “Luiza”). Il loro approccio classico si evidenzia appieno in “Suite n. 1” e in “Allegretto Fugato” così come il loro “spanish tinge” si rivela senza veli nell’andante “Badambò”. Nel tarantellato “Improprium” è la vena popolare a rigonfiarsi di echi etnici ed è forse questo il momento più “proprium” che caratterizza la particolarità del duo in questione.

B.I.T., Equilibrismi, Filibusta Records.
Il duo B.I.T. al secolo la sassofonista Danielle Di Majo e la pianista Manuela Pasqui  licenzia, per i tipi di Filibusta Records, Equilibrismi, album che segue di un biennio Come Again, della stessa label. In effetti trattasi di un “duo plus…” poiché in alcune tracce sono presenti la vocalist Antonella Vitale e il sassofonista Giancarlo Maurino di cui sono eseguiti due brani, “Meteo” e “Um Abraço”.  Si tratta di un lavoro estremamente lirico e bilanciato, nel solco del precedente. Qui la Pasqui sigla cinque composizioni su otto a partire dalla prima, “Green Tara”, su ritmo “(s)latin” fino a “For Kenny” presente anche sulla rete per chi volesse “visionarla”. Un pianismo colto e sensibile, il suo, che stimola la Di Majo nel lib(e)rare il suono, oltre che a soprano ed alto, anche al flauto, come in “Jeanne del Belleville”. La musica del duo, avvinta come in “Edera”,  in “L’equilibrista” pare camminare su fibre filiformi, in bilico su un centro di gravità che le consente di procedere sulla corda armonica tesa ancora per più “nodi”,  fino a quello conclusivo, “Hand Luggage”, autrice la Di Majo.

Francesca Leone- Guido Di Leone, Historia do samba, Abeat Records
Si vabbè la festa il carnevale ma il samba ha significato in Brasile storicamente “la voce di chi era stato sempre zittito dal suo status sociale, un modo per affermarsi nella società” come scrive Lisa Shaw.  C’è dunque un aspetto politico e sociale in tale forma musicale che ha radicata origine nella stessa origine africana e che non va sottaciuto.  Ed è un fatto che il samba, a livello musicale, con la sua speciale divisione ritmica che spinge alla danza, sia stato ispiratore di musiche di grande suggestione.  Ce ne danno un saggio, in un prezioso Cirannino formato cd edito da Abeat Recors, la vocalist Francesca Leone e il chitarrista Guido Di Leone. Historia do Samba è una “summa” di samba e musica carioca allargata cioè fino a choro e bossa, scritta da autori prestigiosi come Lyra, Bonfa, Jobim, Gil, Madi, Hernàndez, Menescal, Valle compresi i nostri Rota, Calvi, i medesimi due interpreti in veste di compositori.  Il disco, che vanta come ospite l’Oneiros String Quartet, annovera anche dei “trapianti” in chiave “sambista” di hits quali “La vie en rose”, “Cerasella”, “Everything happens to me”, in quanto, volere o volare, tutto si può sambare quando il samba si innesta nel jazz.

Stefano Onorati & Marco Tamburini, East of the Moon,   Caligola Records
L’album East of the Moon, è firmato da Stefano Onorati e Marco Tamburini. Il che già di per sé, essendo il disco – marchiato ancora e meritoriamente da Caligola Records – cofirmato dal compianto trombettista cesenate, rappresenta un evento a livello discografico. Vede la luce un lavoro “notturno” a suo tempo registrato durante le ore del buio quasi a voler iperscrutare la luna ed a riceverne inflessioni da riflettere nel suono. La registrazione risale a quando il trio elettrico Three Lover Colours stava lavorando alla sonorizzazione di “Le voyage dans la Lune”,- episodio inserito in “La magia del cinema” – sia in “Sangue e Arena”, dvd usciti in edicola per “L’Espresso” nella primavera del 2010. In quell’occasione peraltro non era presente il batterista del trio Stefano Paolini. Oggi quella musica si riconferma di lunare astralità nel descrivere il lato orientale di quel pianeta. Pare a volte eclissarsi quindi riemergere per successivamente rituffarsi nell’oscurità. Sono cinque le tracce – “Cantico”, “Lunar Eclipse”, “Black and White”, “East of the Moon”, “As It Was”, in cui la coppia tastiere-tromba è libera di improvvisare, trascinando e lasciandosi trascinare da quei chiarori che ispirarono Beethoven e Glenn Miller e dalla Moon che vari musicisti hanno visto blue o dark a seconda della prospettiva, anzitutto stilistica. Quella di Onorati e Tamburini avvolge e coinvolge chi alla loro musica si rivolge.

Dario Savino Doronzo- Pietro Gallo, Reimagining Aria, Digressione Music
Aprire l’opera come una scatoletta di tonno per estrarne il cuore melodico
principale, l’aria. Nell’album “Reimagining Aria” (Digressione Music) il flicorno soprano di Dario Savino Doronzo e il pianoforte di Pietro Gallo puntano la traiettoria su temi melodici espurgandoli di orpelli retorici, quelli ritenuti inutili, tenendoli peraltro ancorati alle rispettive basi armoniche. Felice la scelta per il repertorio   di   arie   di   compositori   sei/settecenteschi   meno   frequentati   dai concertisti come Antonio Cesti, Antonio Caldara, Francesco Cavalli unitamente ad   altri   più   gettonati   dai   concertisti   come   Alessandro   Scarlatti,   Benedetto Marcello,   Nicola   Porpora,   Giulio   Caccini,   per   un   totale   di   otto   arie   totali contenute   nell’album   arricchito   dalla   presenza   del   clarinettista  Gabriele Mirabassi in “Sebben Crudele” (Caldara) , “O cessate di piagarmi” (Scarlatti), “Dall’amor più sventurato” (Porpora). Lo stampo antico delle atmosfere viene velato dal piglio esecutivo antibarocco e da ricorrenti sonorità jazz. Ne vien fuori, ancora una volta dopo “Reimagining Opera” del 2020 (quando l’ospite era Michel Godard al serpentone), un lavoro originale, audace in “Quella fiamma che m’accende” di Benedetto Marcello che ritrae “una habanera che riecheggia   paesaggi   e   culture   lontane   attraverso   calde   melodie impressionistiche” e dall’afflato romantico in “Tu c’hai le penne, amor” di Giulio   Caccini.   Al   cui “recitativo accompagnato” si   potrebbe   associare idealmente lo   stile  del  duo   (plus   guest)   che   reimmagina   l’aria   d’opera   in quanto   intensa   esposizione   lirico-strumentale   su   una   solida   struttura   di accordi, ma con aggiunta di elementi reinterpretativi che ripensano spunti tratti da mezzo millennio di storia della musica.

Amedeo Furfaro

DA MARTEDÌ 5 SETTEMBRE A DOMENICA 10 SETTEMBRE, LA DECIMA EDIZIONE DI FRANCAVILLA È JAZZ

Quest’anno Francavilla è Jazz (Francavilla Fontana, provincia di Brindisi) festeggia il decennale. Un traguardo importantissimo quello raggiunto dal festival, grazie al suo deus ex machina Alfredo Iaia, direttore artistico della rassegna, al costante ed encomiabile impegno culturale ed economico dell’Amministrazione Comunale di Francavilla Fontana, che investe sempre più risorse per questo fiore all’occhiello dell’estate francavillese, e al prezioso contributo degli sponsor privati che crescono numericamente di anno in anno per sostenere la kermesse. Anche la decima edizione di Francavilla è Jazz sarà all’insegna di protagonisti assoluti del circuito jazzistico nazionale e mondiale.

Piazza Giovanni XXIII, Largo San Marco e Corso Umberto I saranno le location dei sei concerti, tutti a ingresso gratuito come da tradizione, in calendario per il decennale.

Martedì 5 settembre alle 21:00 (orario d’inizio di tutti i concerti) sarà Richard Galliano New York Tango Trio, in Piazza Giovanni XXIII, ad aprire i battenti del festival. Galliano, uno fra i più grandi fisarmonicisti jazz degli ultimi cinquant’anni, calcherà il palco insieme ai formidabili Adrien Moignard (chitarra) e Diego Imbert (contrabbasso). Il trio alla testa del musicista francese presenterà Cully 2022, suo nuovo disco in cui sono presenti composizioni originali e tributi ad Astor Piazzolla. Un connubio, dunque, fra jazz e tango, ad alta intensità emozionale.

Si proseguirà il 6, a Largo San Marco, con Lisa Manosperti – “Omaggio a Mia Martini”, un caloroso tributo in chiave jazz della raffinata cantante pugliese a una fra le interpreti italiane più amate di sempre. Con lei, i talentuosi Aldo Di Caterino (flauto) e Andrea Gargiulo (pianoforte).

Il 7, in Corso Umberto I, D.U.O. Francesca Tandoi (voce e pianoforte) & Eleonora Strino (voce e chitarra), due giovani e brillanti musiciste che renderanno omaggio alla tradizione jazzistica, segnatamente al bebop, fra standard e proprie composizioni originali.

Venerdì 8, in Piazza Giovanni XXIII, sarà la volta di Enrico Pieranunzi Trio. Questa formazione diretta da uno fra i più conosciuti e acclamati pianisti jazz presenti sulla scena mondiale, completata da due eccezionali partner del calibro di Thomas Fonnesbaek (contrabbasso) e Roberto Gatto (batteria), proporrà un repertorio di sue composizioni originali unitamente ad alcuni standard della tradizione jazzistica, per un live garanzia di eccelsa qualità.

Sabato, ancora in Piazza Giovanni XXIII, Chico Freeman & Antonio Faraò Quartet: il primo, una leggenda vivente del sassofono jazz, il secondo una punta di diamante del piano jazz particolarmente osannato all’estero. A completare la sezione ritmica, due eccellenti compagni di viaggio come Makar Novikov (contrabbasso) e Pasquale Fiore (batteria). Pietre miliari (ri)arrangiate dell’immenso John Coltrane e brani originali autografati da Freeman e Faraò coinvolgeranno il pubblico in un concerto sinonimo di travolgente energia comunicativa e pura adrenalina.

Domenica 10 settembre, sempre in Piazza Giovanni XXIII, i riflettori si spegneranno con Gegè Telesforo – “Big Mama Legacy”, nuovo progetto di uno fra i più famosi cantanti jazz italiani degli ultimi quarant’anni. Accompagnato da un quintetto di giovani talenti della scena jazzistica italiana formato da Matteo Cutello (tromba), Giovanni Cutello (sax alto), Christian Mascetta (chitarra), Vittorio Solimene (organo Hammond e tastiere) e Michele Santoleri (batteria), il noto artista di origine foggiana presenterà un repertorio incentrato su un personale tributo al blues e al sound delle formazioni jazz della fine degli anni Cinquanta.

Gerlando Gatto

PAOLO CONTE, L’OPERA D’ARTE TOTALE

“Gesamtkunstwerk”, l’opera d’arte totale. Nel 1827 lo scrittore e filosofo tedesco K. F. E. Trahndorff conia per la prima volta questo neologismo, di cui si approprierà Richard Wagner nel 1849 inserendolo nel suo saggio Arte e Rivoluzione per descrivere il Teatro Greco. Un paio di anni più tardi il grande compositore tedesco esternò ancor meglio le motivazioni del suo interesse per il suddetto sostantivo, quando a corollario di tal pensiero uscì il concetto di Oper und Drama (teatro e opera).

L’ arte totale presuppone dunque un ideatore universale, dotato di capacità di scrittura musicale, letteraria, scenografica. Un artista completo, ambizioso, l’illustre Richard, cosa che lo differenziava e di molto dai suoi “colleghi” al di qua delle Alpi: Wagner fu infatti, oltre che musicista, librettista e scenografo. L’opera d’arte totale, ben ideata nella famosa tetralogia dell’ Anello del Nibelungo o in altri celebri capolavori come Parsifal, Lohengrin, Tristan und Isolde.

Difficile trovare un personaggio analogo nel secolo successivo, pensando a quel ‘900 intriso di nuovi ecosistemi all’interno del quale hanno co-esistito artisti appartenenti ai migliori fasti della cosiddetta Popular Music e musicisti legati alle innovazioni della musica colta e del jazz. Difficile, se non impossibile.

Nel ‘900 si svilupparono criteri di assoluta imprevedibilità in innumerevoli correnti artistiche, dando così spazio alle più disparate tra le commistioni possibili: vi fu sovente, da parte di molti artisti, un’estrema curiosità nella creatività sviluppata in arti “parallele” alla propria, se non altro per contiguità temporale o per abbattimento delle distanze geografiche. Centinaia possono essere gli esempi a riguardo, difficile citarne solamente alcuni senza rischiare di fare torto ad altri. Proverò a ricordarne i più lampanti: il rapporto tra la musica americana e quella eurocolta (ad es. l’opera gershwiniana da un lato o quella stravinskiana dall’altro, per non parlare del genio di Kurt Weill o di Irving Berlin, colonne dell’American Songbook quanto raffinatissimi orchestratori eurocolti).

Quel che però si è certamente notato più di rado è l’opera di un artista che sappia creare, oltre alle faccende legate al mondo della commistione tra “generi” musicali, dell’arte letteraria e magari pittorica. Ricordiamo infatti che, anche nel musical americano, come già accaduto nel melodramma, gli autori della musica non sono gli stessi di quelli del testo.

La nascita del cosiddetto cantautorato ha certamente unito queste due forme d’arte in un’unica espressione artistica. Ma quanti artisti, al di qua e al di là dell’Atlantico, hanno sviluppato della creatività cantautoriale che non riducesse al minimo le possibilità espressive della musica in quanto tale? Generalmente i cantautori non provengono da una cosiddetta formazione colta. Si preoccupano, per essere quanto più comunicativi con il testo, di usare concetti musicali semplici e diretti. Una canzone dei Beatles può avere un giro armonico interessante, ma magari utilizzare i cosiddetti accordi con le toniche al basso ed essere non particolarmente significativo dal punto di vista ritmico e melodico. Un brano di Bob Dylan o di Fabrizio De André può avere dei testi incredibilmente interessanti e rivoluzionari, ma (ad esclusione di alcuni album dove la figura dell’arrangiatore era in primo piano -vedi ad es. il doppio live dello stesso Faber con la PFM-) musicalmente mantenere una semplicità certamente bellissima e dotata magari di gran gusto, ma non degna di nota dal punto di vista dell’innovazione musicale in sé.

Abbiamo poi cantautori o gruppi musicali legati a mondi ben distinguibili. Se pensiamo ai Rolling Stones, ci viene in mente il rock e il blues, ai Deep Purple un qualche legame con la musica del 600-700, ai gruppi progressive reminiscenze dal mondo dello Sturm und Drang. In Italia, artisti come Angelo Branduardi o lo stesso De André hanno “saccheggiato” nel mondo della musica rinascimentale, creando delle opere interessanti ed emotivamente importanti, ma spesso senza dare musicalmente un’impronta troppo personale al citazionismo nel quale si sono imbattuti. Ben inteso: questi miei scritti sono lontani da qualsivoglia critica distruttiva. I prodotti che sto citando hanno, per l’umanità ma anche per la mia stessa crescita musicale ed artistica, un valore importantissimo. Non si tratta di bellezza o di giudizi di merito, ma di metodo.

Una parentesi a parte la merita certamente il cantautorato francese. Le canzoni di Georges Brassens, Leo Ferré o dello stesso Jacques Brel (belga ma di lingua francese) contengono, come parte del nostro cantautorato geograficamente localizzabile nelle città di Genova e Torino, un’attenzione alla poesia che deriva certamente da quella corrente che influenzò moltissime generazioni di artisti provenienti da quell’area ben precisa: il simbolismo (non è un caso che Piemonte e Liguria siano confinanti con il paese transalpino). La Francia ha avuto poi, probabilmente più di ogni altro paese in Europa, un legame particolare con il jazz dei primordi, o per meglio dire con un certo tipo di swing: basti pensare alla chitarra di Django Reinhardt, o al solo fatto che Cole Porter vivesse a Parigi negli anni ’20.

Anche l’Italia dei ’20 e ’30 subì straordinariamente l’influenza americana. La nostra grande tradizione del Belcanto però creava spesso commistioni tra generi a dir poco azzardate ma talvolta di alto livello, in quel primo Novecento europeo così pregno di sconvolgimenti storici ed artistici. I francesi però, dal punto di vista dello swing, avevano qualcosa in più, o quantomeno di più autentico. Complice forse anche la vicinanza con la musica gitana, divenuta già in passato patrimonio della multietnicità che contraddistingue il grande paese d’oltralpe. La musica gipsy è ritmicamente, mi viene da dire, naturalmente commistionabile con lo swing (tornando a Djangoe alla sua chitarra manouche).

Come potete notare, la maggioranza degli artisti nel ‘900 può essere immessa, anche forzatamente, in un qualche preciso sottoinsieme, ivi compresi quelli più versatili: chi più poeta, chi più musicista, chi un po’ e un po’… Ma c’è qualcuno, in questo appassionante secolo, che si avvicina alla creazione del cosiddetto Gesamtkunstwerk?

Chi ha incarnato perfettamente il ruolo di creatore per certi versi onnisciente nella ricerca musicale proveniente da jazz, musica colta, orchestrazione, popular music, forme di belcanto, cantautorato francese e italiano… nello stesso tempo adornando tale percorso con influenze dalla grande poesia (magari simbolista o evocativa) dunque spesso immettendo testi che potrebbero tradursi in giacomettiane sceneggiature di teatro o in glorioso cinema d’autore in bianco e nero? Certamente un caso più unico che raro c’è, è nato ad Asti il 6 gennaio 1937, di professione Avvocato, all’anagrafe Paolo Conte.

Nella sua creatività i tasselli si congiungono, il puzzle prende forma, l’opera d’arte totale si materializza senza forzature. In tutto questo sono comprese (come i più attenti ricorderanno) alcune delle strepitose copertine dei suoi album, firmate da egli stesso in qualità di pittore.

Come molto spesso ama esternare nelle interviste, sappiamo anzitutto che il Nostro ha una predilezione per la scrittura musicale ancor prima che per quella testuale. Conte si ritiene anzitutto un compositore. Visto il risultato finale, viene immediatamente da pensare alla potenza dell’arte del suono come evocazione di immagini, animate o meno che siano. Il compositore di colonne sonore scrive la musica sull’immagine. Esattamente come avvenuto nella stesura di alcuni capolavori del romanticismo, Conte crea invece l’immagine dalla musica; più la musica è evocativa, più è visionaria, più la storia può svilupparsi in maniera inaspettata e difficilmente banale.

L’armonia è una tavolozza di colori cangianti che il Maestro di Asti manovra con tale naturalezza e disinvoltura, da lasciare senza respiro. Se a questo aggiungiamo quella speciale conservazione che egli possiede per la bellezza di certe melodie, abbiamo la possibilità certa di avere a che fare con un gigante. Si pensi, contrariamente a chi dice che la maturità contiana sia sopraggiunta in età avanzata, a brani come Pittori della domenica, pubblicata nel primo album a suo nome – 1974- , ove bellezza melodica e inaspettabilità armonica vanno di pari passo.

In più egli ti pone tra le braccia immediatamente una macchina da presa. Divieni in un istante osservatore privilegiato di quell’intuizione assolutamente pregna di grande Cinema, e ti ritrovi con loro, i pittori, lungo le strade, come a cercare segrete plaghe, anche tu con gli occhi attenti, a radunar di te mille frammenti. Paolo Conte non è solo un poeta e un musicista sublime. È un incredibile creatore di situazioni che vengono a cercarti, ti rapiscono e ti proiettano sul set non della tua vita (troppo facile), ma di quella degli altri. Il frizionare (come egli ama definire) dei suoi personaggi non ti rende protagonista in prima persona, ma ti pone al centro di una narrazione per immagini, aforismi, sintesi estatiche di raro coinvolgimento emotivo.

Sintesi estatiche mi viene da dire, poiché la grande poesia utilizza i doni della sintesi e dell’estasi per raccontarti una storia da dentro. Figure retoriche di supporto, sempre e comunque, del lato emozionale più puro. L’intelligenza degli elettricisti che dà luce alla stanza negli alberghi tristi, dove la notte calda ci scioglierà. Non so quanto il Maestro ne sia consapevole ma sono certo che, a leggere o ascoltare il testo di Gelato al limon, ognuno di noi, almeno una volta nella vita, sia penetrato in una notte calda e si sia sciolto all’istante.

Negli anni ’80, Paolo Conte pubblica certamente alcuni capolavori senza tempo: dagli album Paris Milonga e Appunti di viaggio -1981 e 1982- ad Aguaplano -1987- e Parole d’amore scritte a macchina -1990-, incontriamo brani che tuttora ritroviamo come punte di diamante nelle scalette dei concerti del Maestro. Penso certamente a Madeleine, Lo zio, Dancing, Gioco d’azzardo fino a Nessuno mi ama, Recitando e Il Maestro.

La progressione armonica di Madeleine mi lascia sempre esterrefatto: un incipit di pianoforte che somiglia ad un cosiddetto turn around, ma con i bassi mai corrispondenti alle toniche, come a voler forzare una situazione musicale apparentemente easy listening per creare sovrastrutture che, magicamente, appaiono comunque semplici anche nella loro complessità. Di rara bellezza. Tanto gli riuscì particolarmente, che possiamo ascoltare il ripetersi di quello stesso incipit in 3 diverse tonalità all’interno di un’unica sezione compositiva. Geniale (se ancora non avete vissuto l’esperienza di questo ascolto vi invito a provare per credere).

In brani come Recitando e Gioco d’azzardo egli si misura, evidentemente, con un’antica passione: quella per alcuni balli di coppia dai sapori e dai natali latini, che proiettano il Maestro immediatamente in quello che, spudoratamente, è uno dei suoi innumerevoli punti di forza “registici”: l’incontro tra un uomo e una donna che si studiano, si amano, si odiano, si desiderano, “frizionano”, in un clima di tensione emotiva ove la sensualità è al centro dell’ espressività dell’artista, come della vita dei due protagonisti. Basta Una buona commedia, o un profumo di insidia, che fa venire appetito di quintali di poesia.

Oltre che nella composizione, negli anni ’80 e ’90 Conte attua dei cambiamenti radicali nei settori dell’arrangiamento e della scelta dell’organico strumentale. A mio avviso, sta in questo la maturità artistica e stilistica che va formandosi nelle nuove scelte del genio di Asti: capire come i suoi brani, già di per sé autentici gioielli poetici e musicali, potessero essere valorizzati nella struttura più che nella scrittura.

Già a partire da metà anni ’80 potevamo apprezzare nell’organico musicisti come Ares Tavolazzi, Ellade Bandini, Antonio Marangolo e Jimmy Villotti. Da Parole d’amore scritte a macchina e ancor di più dal pluripremiato album 900 in poi, l’orchestra di Conte si compone di musici che lo accompagneranno in tour e registrazioni per tutto l’ultimo trentennio. Tra questi spiccano certamente i polistrumentisti Daniele Di Gregorio e Massimo Pitzianti, il chitarrista Daniele dall’Omo, il contrabbassista Jino Touche e il sassofonista Luca Velotti. E’ in loro compagnia, ad esempio, che il successo contiano si diffonde in Europa (specialmente in Francia) e varca addirittura i confini dell’Atlantico. I fortunati album Tournée e Tournée vol.2 ne sono un esempio magistrale: i brani sono stati registrati in strepitosi live presso alcune delle migliori sale europee (Congress Centrum di Amburgo, Théâtre De L’Olympia e Des Champs-Elysées di Parigi, Palais Des Beaux-Arts di Bruxelles, Staatsopar e Austria Center di Vienna, Teatro Principal di Valencia e altri..) cui seguirà il primo vero e proprio incredibile tour negli Stati Uniti tra febbraio e marzo 2001 (Lisner Auditorium di Washington, Beacon Theater di New York, Symphony Center di Chicago, University California di Los Angeles, Masonic Auditorium di San Francisco…)

Se dovessi scegliere uno di questi live, a parte quelli a cui ho partecipato come spettatore, il mio cuore direbbe Arena di Verona 2005, dove la maturità del ventennio di cui parlavo incanta oltremisura, così come la regia del fortunato DVD abbinato all’album.

Ci si chiedeva, me compreso, cos’altro potesse fare un artista per consacrare ancor di più quella che appare certamente come una delle più incredibili carriere musicali di tutti i tempi. Ebbene, il Maestro di Asti ci risponde pubblicando, tra il 2000 e il 2016, altri album in studio formati da brani completamente inediti: da Razmataz -2000­- a Snob -2014- registra questi lavori preoccupandosi immediatamente dell’arrangiamento. Una delle novità che salta all’orecchio in campo timbrico è ad esempio l’utilizzo del pianoforte a 4 mani in Molto Lontano e Snob, come a voler estendere orchestralmente il suono dello strumento da cui sviluppa le sue creazioni. Ho citato questi due brani non solo poiché da pianista ne sono ovviamente naturalmente attratto, ma anche per alcune nuove peculiarità che vorrei sottolineare; nel primo caso, il Maestro espone quello che sembrerebbe un semplice valzer alle insidie più argute della musica astratta (evidentissimo in come utilizza clarinetto e fisarmonica nella sezione B). Parlando invece di -Snob-, vorrei sfatare ogni dubbio su chi desidererebbe applicare a Conte questo spiacevole epiteto… Noi di provincia siamo così, le cose che mangiamo son sostanziose come le cose che tra di noi diciamo. Pur avendo calcato i palchi più importanti al mondo, Paolo Conte rimane orgogliosamente un esaltatore della genuinità della provincia -vive, tra l’altro, tutt’ora nella sua cittadina natale, Asti-. Non c’era certamente bisogno di questo brano per dimostrarlo. Basti pensare a quei vecchi cristalli che tintinnano nel trasandato Hotel, nel quale assaporare la cucina povera e umile fatta d’ingenuità e purtroppo talvolta caduta nel gorgo perfido della celebrità. La perdizione, non l’esaltazione, della celebrità. Ancora una volta immagini neorealiste, come la descrizione degli occhi di Umberto D. di Vittorio De Sica o quella dei Ragazzi di Vita di Pierpaolo Pasolini.

La profondità dei simboli del mondo popolare sublimata in un contenitore aperto ed elegante, da cui sgorgano emozioni che in qualche modo hanno a che fare con tutti noi, ponendo anche i nostri difetti sul proscenio ma raccontandoceli in forma di poesia e di grande spessore musicale, così da travalicare ogni confine su qualsivoglia giudizio morale per aprirci all’estasi. Sarà forse il segreto, questo, dell’empatia? Sarà forse racchiuso in poesia la possibilità di guardare anche alla miseria umana con un terzo occhio?

Di certo questo tipo di segreti, che ci pongono tali interrogativi, potrebbero solo essere contenuti nell’opera d’arte di pochi eletti nella storia. In una recente conversazione epistolare con il Maestro, egli concordava con me sulla straordinarietà della musica di Antonín Dvořák, preferita dallo Stesso rispetto, ad esempio, a quella di Beethoven. E non c’è da stupirsi. Paolo Conte è, come il grande boemo, un esaltatore di bellezza popolare, un sublimatore dell’autenticità dell’umanesimo. Dunque, un grande poeta.

E’ anche grazie a tutto questo quindi che, per tornare all’idea con cui ho principiato, Conte partecipa -forse ignaro- alla costruzione del famoso Gesamtkunstwerk. L’opera d’arte totale ha bisogno del mondo popolare: lo stesso Wagner narra le storie sì regali dei Nibelunghi tramandate però certamente come racconti popolari germanici.

Di artisti completi e così osannati a 360° nella storia dell’arte ne nascono, forse, uno ogni 100 anni. Paolo Conte è adorato nel mondo a qualsiasi latitudine, abbattendo come pochissimi casi nella storia quelle insopportabili barriere di classe. Basti pensare che, oltre alla grandezza ed alle innovazioni descritte qui sopra, sappiamo bene che egli dà luce a due tra le canzoni italiane più famose di tutti i tempi a livello planetario, Azzurro e Via con me. Paolo Conte è per tutti, ma appartiene al contempo a quella rara categoria di artisti cui spetta di diritto un ingresso nell’Olimpo dei creatori di bellezza. Ecco spiegato l’invito ad esibirsi al Teatro alla Scala nel febbraio 2023, cui seguì un’inutile polemica da parte di chi probabilmente non ha ben chiara l’importanza del suo ruolo e del suo apporto nel cammino della storia dell’arte.

Paolo Conte non è solo un grande artista dell’intero ‘900, ma uno di quei patrimoni al quale, non solo come italiani ma come esseri umani, dovremmo essere per sempre essere grati.

Danilo Blaiotta

Il jazz italiano non sarà più lo stesso senza Adriano Mazzoletti

Questa volta la notizia non è giunta inattesa. Qualche settimana fa un caro amico mi aveva telefonato da Milano annunciandomi che Adriano stava molto male. Poi, il giorno prima del decesso, Anna Maria Pivato mi ha mandato un breve messaggio dicendomi le stesse cose. La mattina di ieri un brevissimo post di Guido Michelone ci informava della dipartita di Adriano Mazzoletti.
Il fatto, come dicevo in apertura, che la notizia non sia giunta inattesa, non significa che non sia stata egualmente sconvolgente dal momento che conoscevo Adriano da circa 50 anni e avevo avuto con lui un rapporto di lavoro e poi di amicizia.
In queste ore molto è stato scritto sulla figura di questo personaggio, un uomo che aveva fatto della passione per il jazz una ragione di vita (senza per questo trascurare l’amata moglie Anna Maria), un uomo che si era affermato nel panorama internazionale come uno dei massimi esperti di musica jazz, soprattutto quella italiana, un uomo che aveva portato la RAI ad essere considerata una delle migliori emittenti pubbliche in materia di jazz. Peccato che andato lui in pensione, la RAI non sia riuscita in alcun modo a far rivivere il suo lascito abbandonando del tutto il Jazz e riducendo la propria presenza in campo musicale a livelli davvero infimi. E a quanto mi risulta, almeno fino al momento in cui scrivo queste note, nessun telegiornale si è occupato della morte di Adriano, al contrario della carta stampata e della rete.

Insomma, grazie anche a tutti questi contributi, anche chi nulla sapeva di Adriano si sarà fatta un’idea abbastanza precisa di chi fosse Mazzoletti: ricordo perfettamente che quando viaggiavo all’estero e incontravo qualche musicista, organizzatore, press-agent del mondo del jazz non c’era alcuno che non conoscesse, almeno di nome, Mazzoletti.
Ciò detto piuttosto che ripercorrere le innumerevoli tappe della prestigiosa carriera di Adriano, già illustrate da altri, preferisco incentrare questo mio ricordo per l’appunto sui miei ricordi personali, sulle molte vicende che a lui mi hanno legato nel corso degli anni. Insomma vorrei parlare di Adriano anche come uomo e non solo  come personaggio pubblico dal momento che anche come uomo ho avuto la fortuna di conoscerlo abbastanza da vicino e di volergli bene.
Io ho sempre sostenuto che nella vita nulla si fa se non si è in qualche modo, aiutati, accompagnati. Ecco, Adriano per me ha rappresentato il raggiungimento di un sogno.
Erano i primi anni ’70 ed io collaboravo con il GR3 come notista sindacale ma avevo nel cuore e nella mente il desiderio di conoscere Adriano Mazzoletti e di poter lavorare con lui. Confessai questo desiderio ad un collega della redazione che mi promise di fare qualcosa. Così qualche giorno dopo mi fissò un appuntamento con Mazzoletti il quale, dopo una mezz’oretta di colloquio, mi invitò a portargli qualche scritto in modo da poter valutare la mia preparazione. Non fu un colloquio facile: Adriano sapeva essere particolarmente duro ma anche particolarmente dolce e comprensivo; comunque la settimana dopo gli portai alcuni scritti e con mia grande sorpresa mi disse che sì, potevamo tentare. Mi chiese quale fosse un personaggio che io amavo particolarmente e mi invitò a studiare una puntata sull’argomento che avremmo presentato in diretta qualche sera dopo. Ricordo perfettamente che ero emozionatissimo; quando arrivò la sera prestabilita, lui mi disse che sarebbe venuto con me in studio… e bene fece. Al momento di parlare, quando si spense la luce e restò solo una lampadina rossa a segnalare che eravamo in diretta e che probabilmente all’ascolto c’erano migliaia di persone, la voce venne meno; Adriano intervenne e salvò la trasmissione. Subito dopo mi incoraggiò dicendomi che mi aveva accompagnato proprio perché temeva una eventualità del genere, molto comune. Comunque non si ripeté più, io entrai nel gruppo di lavoro ristretto di Adriano e trascorsi alcuni degli anni più gratificanti, della mia vita professionalmente parlando; ebbi, infatti, occasione di ideare e condurre moltissimi programmi nell’ambito di “RadioUno Jazz” e di qui anche a RadioTre e Rai International. In quel periodo Adriano mi insegnò praticamente tutto ciò che c’era da sapere sul come condurre una trasmissione radiofonica, insegnamenti che ho ben serbato e che sono stati preziosi nel corso della mia carriera.
All’inizio degli anni ’80 un’altra straordinaria avventura: Adriano fece nascere in rapida successione le riviste “Blu Jazz”, “Jazz”, “Jazz, blues & around” in cui, spronati anche dall’indicibile entusiasmo di Anna Maria, tutti noi collaboratori trovammo lo spazio ideale per esprimere le nostre idee.
Finita anche questa impresa e andato in pensione, mai si è interrotto il rapporto con Adriano e Anna Maria: da amicizia singola si è trasformata in amicizia di famiglia e non è quindi un caso se la scomparsa di Adriano ha colpito profondamente anche mia moglie e mio figlio.
Ciao Adriano, sono sicuro che anche lì dove andrai riuscirai a organizzare qualche buon concerto. Un abbraccio sincero

Gerlando Gatto

Udin&Jazz tocca quota 33! Molti gli appuntamenti da non perdere da Stewart Copeland a Pat Metheny, Eliane Elias e Roberto Ottaviano

Udin&Jazz tocca quota 33
Molti gli appuntamenti da non perdere tra cui quelli con Stewart Copeland, Pat Metheny, Eliane Elias e Roberto Ottaviano
Il festival in programma dal 10 al 18 luglio

Quest’anno, se tutto procede senza intoppi, ritornerò al Festival Udin&Jazz, organizzato da Euritmica, una delle pochissime manifestazioni del genere che stimolano ancora il mio interesse. E ciò per i motivi che ho più volte espresso ma che si riassumono nel fatto che il Festival si presenta sempre più legato al territorio di cui intende promuovere le eccellenze non solo artistiche.
Il Festival, in programma dal 10 al 18 luglio, offrirà alla città di Udine e alla regione intera circa 25 appuntamenti, fra location storiche e siti periferici, dove si terranno concerti, incontri, laboratori e proiezioni che coinvolgeranno oltre 110 artisti da 12 Paesi del mondo, 40 addetti e una cinquantina fra volontari e studenti, con la presenza della più qualificata stampa del settore.
Il tema scelto per questa 33^ edizione è “Jazz Against The Machine”, argomento che sarà approfondito il 10 luglio, all’apertura ufficiale del festival, nel corso di un apposito talk incentrato per l’appunto sul ruolo dell’arte e della musica dal vivo nello sviluppo dell’umanità dell’era digitale. In programma anche il concerto della Jazz Bigband Graz dedicato alla musica e alla cultura armena con una guest star: il vocalist e percussionista di fama mondiale Arto Tunçboyacıyan.
Scorrendo il vasto programma, alcuni appuntamenti appaiono imperdibili: Stewart Copeland, batterista, compositore e fondatore dei Police, si esibirà nel Piazzale del Castello il 12 luglio, prima data del suo tour europeo, con una straordinaria esperienza che propone i più grandi successi della band riarrangiati da Copeland in chiave orchestrale. Nel cast, anche il chitarrista di origini friulane, Gianni Rojatti e il bassista Alessandro Turchet, affiancati per l’occasione dalla prestigiosa FVG Orchestra, formazione recentemente annoverata dal Ministero della Cultura tra le migliori in Italia.
Altro concerto di assoluto rilievo quello di Pat Metheny in programma il 18 luglio; il chitarrista americano presenterà il suo recente progetto ‘Side Eye’ realizzato con talentuosi musicisti emergenti.
Due le star della notte brasiliana del 15 luglio: Amaro Freitas, giovane e prodigioso pianista, e la carismatica vocalist e pianista Eliane Elias, reduce dalla vittoria ai Grammy 2022.
Accanto a questi grossi calibri ci saranno anche giovani artisti internazionali tutti da scoprire quali Lakecia Benjamin, sassofonista newyorkese (17 luglio); Mark Lettieri, funambolico chitarrista, colonna portante degli Snarky Puppy (13 luglio); Matteo Mancuso, enfant prodige della chitarra (14 luglio).

Ovviamente anche questa volta non sarà poco lo spazio dedicato ai musicisti italiani: così, tra gli altri, avremo modo di ascoltare Roberto Ottaviano Eternal Love 5et (anche questo appuntamento degno della massima attenzione), Dario Carnovale trio feat. Flavio Boltro; Claudio Cojaniz; Massimo De Mattia e Giorgio Pacorig, Ludovica Burtone, violinista di origini udinesi residente a NYC, Soul System, GreenTea inFusion e la Zerorchestra.
In coerenza con quanto sottolineato in apertura circa l’aderenza del Festival alle necessità del territorio, Udin&Jazz estende i suoi orizzonti ben oltre i confini locali, realizzando progetti con festival e realtà europee e inviando giovani musicisti in residenze artistiche all’estero per momenti di crescita formativa e professionale. Anche in queste occasioni, Udine si pone, quindi,  al centro dei grandi circuiti europei del turismo culturale e artistico. All’Incontro JazzUpgrade (14 luglio) studenti e addetti ai lavori racconteranno l’esperienza di un campus di alta formazione musicale internazionale.
Questo e altri momenti, fanno parte di Udin&Jazz talk e Udin&Jazz(in)book, eventi collaterali strutturati secondo una logica che affronta sfaccettature diverse dell’anima jazz contemporanea. Fra i libri che verranno presentati, ricordiamo: Il Jazz e i mondi di Guido Michelone (12 luglio); la mini collana edita da Shake edizioni dedicata al grande poeta e intellettuale afroamericano Amiri Baraka (ospite di Udin&Jazz nel 2008), presentata da Marcello Lorrai in dialogo con Flavio Massarutto (13 luglio) e Sonosuono di Matteo Cimenti (17 luglio).
Dedicati agli studenti i workshop Jazz Sessions per i PCTO e il concerto di pianoforte partecipato di Agnese Toniutti per famiglie e bambini (15 luglio).
Da non perdere, dal 12 al 18 luglio: alle 12.00, gli Udin&Jazz Daily Special alla Ghiacciaia, aperitivi jazz con chiacchierate musicali, e le speciali dirette da Udine di “Torcida”, il programma sportivo e musicale dell’estate della rete ammiraglia Rai, condotto da Max De Tomassi, (presentatore ufficiale dei concerti del festival).
E vorrei chiudere questa nota su Udin&Jazz 2023 con le parole con cui Giancarlo Velliscig, direttore artistico del Festival, ma in realtà vera anima nonché instancabile motore della manifestazione, ha aperto la conferenza stampa di presentazione: «Si potrebbe dire che ricominciamo da 33, evocando un adorabile film del tenero Troisi. Udin&Jazz, infatti, non ricomincia da zero, come di solito si definiscono le ripartenze, ma dalla storia di 32 edizioni di un festival che ha saputo ritagliarsi un’autorevole collocazione tra i punti fermi del jazz nazionale».

Gerlando Gatto

IL PROGRAMMA COMPLETO DI UDIN&JAZZ
info dettagliate al sito www.euritmica.it

lunedì 10 luglio
ore 09:30 Groove Factory, Martignacco
WORKSHOP PCTO / 1
Progetto Jazz Sessions – Euritmica per le Scuole

ore 18:30 Corte Morpurgo
Udin&Jazz talk
JAZZ AGAINST THE MACHINE
Incontro sul ruolo dell’arte e della musica dal vivo nello sviluppo dell’umanità dell’era digitale Con la partecipazione di: Marco Pacini giornalista e scrittore / Angelo Floramo, docente e medievista, scrittore / Claudio Donà, critico, docente di Storia del Jazz al Conservatorio di Rovigo, produttore discografico / Giancarlo Velliscig, direttore artistico Udin&Jazz / Modera Andrea Ioime, giornalista e critico musicale
ore 21:30 Piazza Libertà
JAZZ BIG BAND GRAZ & GUESTS – ARMENIAN SPIRIT
Horst-Michael Schaffer, vocals, trumpet / Heinrich von Kalnein, reeds / Karen Asatrian, keyboards / Thomas Wilding, bass / Tom Stabler, drums
Special guests: Arto Tunçboyacıyan, percussion, vocals / Bella Ghazaryan, voice

martedì 11 luglio
ore 09:30 Groove Factory, Martignacco
WORKSHOP JAZZ SESSIONS / 2
Progetto Jazz Sessions – Euritmica per le Scuole
ore 20:00 via R. Di Giusto – Area Parrocchiale
Udin&Jazz talk
I LUOGHI DELLA MUSICA IN CITTÀ
Visioni, proiezioni, prospettive, progetti intorno agli spazi culturali e alle architetture dedicate alla musica in città.
Con: Federico Pirone, Ivano Marchiol, Chiara Dazzan – Assessori del Comune di Udine / Giancarlo Velliscig, presidente di Euritmica / Modera Oscar d’Agostino – caporedattore delle pagine culturali del Messaggero Veneto
segue
ore 21:30
SOUL SYSTEM Quartet
Piero Cozzi, sax / Mauro Costantini, piano / Andrea Pivetta, drums / Federico Luciani, percussion

mercoledì 12 luglio
ore 18:00 Spazio 35, via C. Percoto
Udin&Jazz (in) book
IL JAZZ E I MONDI Musiche, nazioni, dischi in America, Africa, Asia, Oceania
Guido Michelone presenta il suo libro (Arcana Ed.) e dialoga con Max De Tomassi, Radio 1 Rai
segue
ore 19:00
CLAUDIO COJANIZ “Black”
Claudio Cojaniz, piano feat. Mattia Magatelli, doublebass / Carmelo Graceffa, drums
ore 21:30 Piazzale del Castello di Udine
STEWART COPELAND & FVG ORCHESTRA
“Stewart Copeland Police Deranged for Orchestra” prima data europea
Stewart Copeland, drums, guitar, conductor / Troy Miller, conductor / Laise Sanches, vocals / Raquel Brown, vocals / Sarah-Jane Wijdenbosch, vocals / Vittorio Cosma, keyboard / Gianni Rojatti, guitar

giovedì 13 luglio
ore 18:00 Corte Morpurgo
Udin&Jazz(in) book
A SESSANT’ANNI DA “IL POPOLO DEL BLUES” (1963): L’EREDITÀ DI AMIRI BARAKA
Incontro con Marcello Lorrai, giornalista, scrittore e conduttore radiofonico in dialogo con Flavio Massarutto, scrittore e critico musicale
ore 20:00 Corte Morpurgo
LUDOVICA BURTONE 4et “Sparks”
Ludovica Burtone, violin, compositions / Emanuele Filippi, piano / Alessio Zoratto, doublebass / Luca Colussi, drums
ore 21:30 Piazza Libertà
MARK LETTIERI GROUP
Mark Lettieri, guitar, baritone guitar / Eoin Walsh, bass / Jason Thomas, drums / Daniel Porter- keyboards

venerdì 14 luglio
ore 18:00 Corte Morpurgo
Udin&Jazz talk: JAZZ UPGRADE
Jazz a Vienne e Udin&Jazz – Il campus di alta formazione musicale internazionale, come esempio della necessaria collaborazione e scambio per lo sviluppo della creatività giovanile e di un linguaggio musicale davvero globale. Con: Federico Pirone – Assessore alla Cultura Comune di Udine / Giovanni Maier, musicista, docente al Conservatorio Tartini Trieste / Glauco Venier, musicista e docente al Conservatorio Tomadini Udine / Roberto Ottaviano, musicista e docente al Conservatorio Piccinni Bari / Tomi Novak, presidente Kulturno umetniško društvo “Zvočni izviri” Nova Gorica / Giancarlo Velliscig, direttore artistico Udin&Jazz / In collegamento Benjamin Tanguy direttore artistico del Festival internazionale Jazz a Vienne (festival e città gemellati con Udine) e gli studenti italiani partecipanti al campus. In collaborazione con i Conservatori di Trieste e di Udine
ore 20:00 Piazza Libertà
ROBERTO OTTAVIANO – Eternal Love 5et
Roberto Ottaviano, sax / Marco Colonna, clarinets / Alexander Hawkins, piano, Giovanni Maier, doublebass / Zeno De Rossi, drums
ore 21:30 Corte Morpurgo
MATTEO MANCUSO trio
Matteo Mancuso, guitars / Stefano India, bass / Giuseppe Bruno, drums

sabato 15 luglio
ore 10:30 Casa Cavazzini, Museo di arte moderna e contemporanea
AGNESE TONIUTTI “Piano maestro”
Concerto partecipato per pianoforte, toy piano e piano preparato per bambini (dai 6 anni) e famiglie

ore 18:30 Piazza Libertà
DARIO CARNOVALE TRIO feat. FLAVIO BOLTRO
Dario Carnovale, piano / Lorenzo Conte, doublebass / Sasha Mashin, drums / feat. Flavio Boltro, trumpet
Piazzale del Castello di Udine
BRAZILIAN NIGHT
ore 20:30
AMARO FREITAS “Piano Solo”
Amaro Freitas, piano
segue
ore 22:00
ELIANE ELIAS
Eliane Elias, piano & vocals / Marc Johnson, bass / Leandro Pellegrino, guitar / Rafael Barata, drums

domenica16 luglio
ore 19:00 Giangio Garden – Parco Brun
GREENTEA inFusion “Viva Cuba!” New Album
Franco Fabris, Fender Rhodes, synth / Gianni Iardino, alto&soprano sax, flute, synth / Maurizio Fabris, percussion and vocals / Pietro Liut, electric bass
ore 21:00 Piazza Libertà
Introduzione al film e alla colonna sonora dal vivo di “The Freshman” a cura di Cinemazero – Pordenone
segue
ore 21:30
ZERORCHESTRA “The Freshman”
Proiezione del film muto con Harold Lloyd e la colonna sonora eseguita dal vivo dalla Zerorchestra: Mirko Cisilino, direzione, tromba e trombone / Francesco Bearzatti, sax tenore / Luca Colussi, batteria / Juri Dal Dan, pianoforte / Luca Grizzo, percussioni ed effetti sonori / Didier Ortolan, clarinetti / Gaspare Pasini, sax alto / Romano Todesco, contrabbasso / Luigi Vitale, vibrafono

lunedì 17 luglio
ore 18:30 Casa Cavazzini – Museo di arte moderna e contemporanea
Udin&Jazz(in) book
SONOSUONO
Incontro con Matteo Cimenti, autore del libro Sonosuono / Anselmo Paolone / Damiano Cantone / Massimo de Mattia / Giorgio Pacorig
segue
ore 20:00
MASSIMO DE MATTIA / GIORGIO PACORIG
Massimo De Mattia, flute / Giorgio Pacorig, piano
ore 21:30 Corte Morpurgo
LAKECIA BENJAMIN “Phoenix”
Lakecia Benjamin, alto sax / Zaccai Curtis, piano / EJ Strickland, drums / Ivan Taylor, bass

martedì 18 luglio
ore 18:30 Comunità Nove, parco S. Osvaldo
Udin&Jazz talk&sound
Doctor Delta “Zappa, idrogeno e stupidità”
Giorgio Casadei, oratore, chitarra, ukulele / Alice Miali voce, chitarra, banjolele, banjo, stylophone, kazoo
Tributo a Frank Zappa fra parole e musica nel trentennale della morte
In collaborazione con Vicino/Lontano Mont e Comunità Nove – Coop. sociale Itaca
ore 21:30 Piazzale del Castello di Udine
PAT METHENY “Side-Eye”
Pat Metheny, guitars/ Chris Fishman, piano, keyboards / Joe Dyson, drums

dal 12 al 18 luglio in diretta da Udine
MAX DE TOMASSI conduce “TORCIDA” e presenta sul palco i concerti di Udin&Jazz

Dal 12 al 18 luglio
Ore 12:00 Osteria alla Ghiacciaia
Udin&Jazz daily special:
12 luglio: Stewart Copeland e i Police, con Andrea Ioime
13 luglio: I collettivi musicali, con Guido Michelone
14 Luglio: Il jazz del futuro, il futuro del jazz, con Marcello Lorrai
15 luglio: Miti e leggende della musica brasiliana, con Max De Tomassi 18 luglio: La storia del Pat Metheny Group, con Flaviano Bosco

17 luglio Ore 12:00 Corte dell’Hotel Astoria
Dora Musumeci/Lakecia Benjamin, Tra le donne del jazz, con Gerlando Gatto

Udin&Jazz per i musicisti
Se sei un musicista iscritto a MIDJ e sei in possesso del QR code (inviato dalla segreteria al tuo indirizzo di posta) hai diritto al biglietto ridotto o all’abbonamento YOUNG per gli eventi del Festival. Info: www.musicisti-jazz.it

#euritmicasocial: Pagina Facebook Udin&Jazz / Twitter Udin&Jazz / Instagram Udin&Jazz / Canale YouTube euritmicavideo / Instagram Euritmica / Pagina Facebook Euritmica

biglietti e abbonamenti
tutti gli eventi sono ad ingresso gratuito ad eccezione di:
mercoledì 12 luglio – Piazzale del Castello
Stewart Copeland & FVG Orchestra
Poltronissima intero € 55,00 + € 8,25 d.p. / ridotto € 44,00 + € 6,60 d.p. Platea intero € 40,00 + € 6,00 d.p. / ridotto € 32,00 + € 4,80 d.p.

venerdì 14 luglio – Corte Morpurgo
Matteo Mancuso
intero € 15,00 + € 2,00 d.p. / ridotto € 10,00 + € 1,50 d.p.

sabato 15 luglio – Casa Cavazzini
Agnese Toniutti
posto unico € 7,00
prevendita su eventbrite.it (non acquistabile all’ingresso).

sabato 15 luglio – Piazzale del Castello
BRAZILIAN NIGHT Amaro Freitas + Eliane Elias
intero € 30,00 + € 4,50 d.p. / ridotto € 24,00 + € 3,60 d.p.

lunedì 17 luglio – Corte Morpurgo
Lakecia Benjamin
intero € 25,00 + € 3,75 d.p. / ridotto € 20,00 + € 3,00 d.p.

martedì 18 luglio – Piazzale del Castello
Pat Metheny
Poltronissima intero € 50,00 + € 7,50 d.p. / ridotto € 40,00 + € 6,00 d.p.
Platea intero € 40,00 + € 6,00 d.p. / ridotto € 32,00 + € 4,80 d.p.

abbonamento full festival (5 concerti, settore poltronissima)
intero € 150,00 | ridotto € 120,00 | young € 100,00 / L’abbonamento young è riservato a: studenti di ogni ordine e grado under 26.
I biglietti e gli abbonamenti ridotti sono riservati a: studenti di ogni ordine e grado under 26; Soci Banca di Udine; possessori Contatto card, Iscritti a Groove Factory, Iscritti alla Università delle Liberetà, Associati Arci; musicisti iscritti al MIdJ; soci Vicino/Lontano; soci A.C.CulturArti.
biglietteria e prevendita
circuito e punti vendita Vivaticket / per i concerti di Stewart Copeland e Pat Metheny circuito e punti vendita TicketOne / per gli eventi gratuiti prenotazioni su eventbrite.it
abbonamenti: tickets@euritmica.it