Franco Mondini batterista e giornalista lucido, ironico e appassionato

Franco Mondini usava le parole come le bacchette: in modo anticonvenzionale, con profondo feeling, sprigionando personalità, arguzia, spirito critico e a volte sarcastico. Il batterista nonché giornalista torinese è morto il 29 giugno nella sua città, dove era nato nel 1935 e la sua esistenza si può dividere in due sequenze: dal 1951 fino alla fine degli anni ‘60, quando fu essenzialmente un jazzista molto apprezzato sia in Italia che in Europa; dagli anni ‘70 fino a pochi giorni fa, fase in cui si dedicò soprattutto al giornalismo per <<La Stampa>> e <<Stampa Sera>>, con vari incarichi di cronista, redattore, inviato e critico musicale, anche e soprattutto di jazz. In realtà la bruciante passione per la musica afroamericana e la batteria non l’hanno mai lasciato e Mondini ha continuato a suonare – con qualche concerto “privato” – e ad insegnare ad un ristretto numero di allievi. Lunedì 1° luglio si sono svolti i funerali al Cimitero Monumentale di Torino.

Iniziò a sei anni a studiare la fisarmonica sotto la guida di Renato Germonio, passando quindicenne alla batteria come autodidatta, anche se nel 1955 si diplomò in teoria e solfeggio presso un liceo musicale e nel 1956 fu allievo di Kenny Clarke. Fin dal 1951 partecipava alle jam session cittadine schierandosi con i “modernisti”, al fianco di Piero “Peter” Angela, Nini Rosso, Dick Mazzanti ed altri. A metà degli anni ’50 spiccò il volo come batterista del quintetto di Nunzio Rotondo e del trio di Amedeo Tommasi. La fama di Mondini passò ben presto le Alpi portandolo a collaborare con Bill Smith, Tete Montoliu e soprattutto Chet Baker, a partire dal 1959. Il batterista torinese – insieme al pianista bolognese Tommasi e al contrabbassista lucchigiano Giovanni Tommaso – accompagnarono a lungo il trombettista americano in un sodalizio di grande spessore. Nel 2006 il Mondini scrittore ne avrebbe parlato nel libro autobiografico “Sulla strada con Chet e tutti gli altri”, che furono tanti: René Thomas, Stephane Grappelli, Bobby Jaspar, Don Byas, Gato Barbieri, Franco Ambrosetti, Enrico Rava, Peter Brotzmann. Anche negli anni ’70, quando era più dedito al giornalismo, Franco Mondini ha suonato con Benny Bailey,  Palle Danielsson, Pepper Adams. A lungo lo Swing Club di Torino – negli anni ’60 una cave di interesse continentale – ha rappresentato la sua “base”.

Il batterista-giornalista è stato anche autore di un secondo libro, “Fuck Fiction” (2006) in cui narrava con uno stile epigrammatico quanto efficace, schegge della propria vita di uomo e musicista, senza nulla omettere e parlando senza veli della propria tossicodipendenza, dell’infanzia durante la lotta di liberazione, dei tanti musicisti frequentati e conosciuti, degli avventurosi viaggi e concerti in Europa (soprattutto Francia, Olanda e Germania). In “Fuck Fiction” le parti migliori sono, con ogni probabilità, i capitoletti intitolati “Mi ricordo” in cui Mondini con brevi frasi evocava e tratteggiava esperienze e persone, situazioni e sentimenti, riflessioni e pensieri che – se fossero stati sviluppati – avrebbero generato più di un libro. Il tutto scritto, come recita sapientemente la quarta di copertina, <<con uno stile rapido, ritmato come un assolo di batteria e uno sguardo sempre fuori dagli schemi, lucido, ironico e appassionato>>.

E’ morto, in fondo, con Franco Mondini un protagonista di una stagione per certi versi “eroica” del jazz italiano, quella cresciuta suonando con gli americani e con i jazzisti europei, a volte contro tutto e contro tutti, in una stagione creativa e pionieristica.

Luigi Onori

Forlì Open Music – FOM III edizione Note al Presente – 13 e 14 ottobre 2018 Chiesa San Giacomo Piazza Guido da Montefeltro – Forlì

Nuove date per il Forlì Open Music – FOM, la due giorni di grandi concerti dal respiro internazionale, in programma quest’anno il 13 e 14 ottobre 2018, presso la suggestiva Chiesa San Giacomo a Forlì. Una rassegna unica nel suo genere grazie alla diversità dei linguaggi musicali proposti, in cui la musica della tradizione storica viene a intrecciarsi con quella del presente, in un’azione progettuale dalla forte connotazione divulgativa.

Dopo il successo delle passate edizioni che hanno visto sul palco artisti del calibro di Evan Parker (2015), Fire! Orchestra (2016) e Rob Mazurek (2017), il terzo Forlì Open Music presenterà un cartellone composto da sette proposte di assoluto livello artistico con prestigiosi nomi della musica internazionale, tutto come sempre a ingresso gratuito: dallo straordinario duo formato da Enrico Pace e Igor Roma (data unica in Italia) al grande Irvine Arditti (in esclusiva); dal mitico trio dei DKV (data unica in Italia) al meraviglioso duo composto da  Yannis Kyriakides & Andy Moor (in esclusiva); fino ai leggendari The Necks (data unica in Italia) e alla chiusura con Open Border, un progetto  appositamente commissionato in prima mondiale e in esclusiva, che vedrà sul palco due esponenti tra i più rilevanti della musica contemporanea, Gianni Trovalusci e Luigi Ceccarelli e due dei più noti esponenti della musica jazz attuale, Hamid Drake e Ken Vandermark. Completa il cartellone l’Open Day delle scuole musicali di Forlì.

Filo conduttore di questa terza edizione il tema del presente, inteso, nel linguaggio musicale, sia come “qui e ora” con tutte le varie declinazioni della composizione istantanea, sia come espressione del vivere oggi, attraverso opere scritte nel XX e XXI secolo, immerse nel contesto contemporaneo per essenza o tematiche. Un percorso che intende metter in contatto chi ascolta con idee sonore, visioni innovatrici sorprendenti, condizioni musicali del presente mai comuni e stereotipate.

La terza edizione di Forlì Open Music è organizzata dal Comune di Forlì in collaborazione con i Musei di San Domenico, l’associazione culturale Area Sismica e Elisabetta Righini.

Di seguito il programma della due giorni nel dettaglio. Il Forlì Open Music si aprirà con il concerto a due pianoforti di Enrico Pace e Igor Roma, due fuoriclasse di rilievo internazionale, raramente presenti con concerti in Italia, e con un repertorio sorprendente, di raro ascolto, che spazia da Claude Debussy a Gustav Holst.

Enrico Pace è vincitore del primo premio al concorso pianistico internazionale Franz Liszt di Urtecht, svolge carriera solistica con alcune delle più prestigiose orchestre del mondo, come la Royal Orchestra del Concertgebow, la BBC Philarmonic Orchestra, l’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia, la MDR Sinfonieorchester di Lipsia, la Camerata Salzburg, l’Orchestra Filarmonica di Varsavia. La sua registrazione per la Decca delle Sonate di Beethoven per violino e pianoforte, insieme a Leonida Kavakos, ha ricevuto il Premio Abbiati della critica italiana. Igor Roma, anch’egli vincitore del primo premio al concorso Liszt di Utrecht, svolge attività concertistica in tutto il mondo. Ha collaborato con prestigiose orchestre internazionali quali la Filarmonica di Rotterdam, la Filarmonica Olandese, la Amsterdam Sinfonietta, la Filarmonica di Arnhem, la Franz Liszt Chamber Orchestra, l’Orchestra Sinfonica di Bilbao, l’Orchestra Nazionale di Madrid, l’Orchestra Sinfonica di Stavanger, l’Orchestra Sinfonica Nazionale Irlandese, l’Orchestra Filarmonica Nazionale Ungherese, la Sinfonica “Giuseppe Verdi” di Milano, la New World Symphony Orchestra di Miami Beach e l’Orchestra Filarmonica di Hong Kong.

A seguire salirà sul palco Irvine Arditti, universalmente riconosciuto come il più grande interprete vivente di musica contemporanea. Centinaia di composizioni per quartetto d’archi e per musica da camera sono state scritte per lui e per l’ensemble da lui creato, l’altrettanto famoso Arditti Quartet.  Molte di queste opere hanno lasciato un segno nel repertorio del ventesimo secolo e hanno dato a Irvine Arditti un posto fisso nella storia della musica. Le prime mondiali di compositori come Ades, Andriessen, Aperghis, Birtwistle, Britten, Cage, Carter, Denisov, Dufourt, Dusapin, Fedele, Ferneyhough, Francesconi, Gubaidulina, Guerrero, Harvey, Hosokawa, Kagel, Kurtag, Lachenmann, Ligeti, Maderna, Manoury, Nancarrow, Reynolds, Rihm, Scelsi, Sciarrino, Stockhausen, Xenakis e moltissimi altri, valgono più di qualsiasi descrizione della vastità ed ecletticità del repertorio di Arditti. Sterminata la discografia, che include attualmente più di 200 CD. L’archivio completo delle sue opere è ospitato dalla Fondazione Sacher di Basilea, in Svizzera.

La prima sera si chiuderà con i DKV, una delle formazioni più famose ed eccitanti, composta da vere e proprie leggende del jazz attuale: Ken Vandermark, Hamid Drake e Kent Kessler, che, singolarmente, hanno ridisegnato le traiettorie della musica attuale e che assieme hanno dato una aurea mitologica a questo trio. Vandermark, vincitore del prestigioso MacArthur prize, è un gigante del sassofono ed è stato definito dalla critica statunitense “essenziale per chiunque sia interessato alla continua evoluzione della musica creativa”. Drake è una superstar della percussione jazz, avendo suonato con musicisti del calibro di Herbie Hancock, Wayne Shorter, Archie Shepp, Pharoah Sanders, Malachi Thompson, David Murray, Bill Laswell, Misha Mengelberg, Peter Brotzmann, William Parker e tantissimi altri.

Il giorno successivo vi sarà la bellissima esperienza dell’Open Day delle scuole musicali di Forlì, un progetto che coinvolge e fonde in formazioni diverse gli studenti dell’Istituto Masini e del Liceo Musicale Statale.

La ricerca di incroci non convenzionali non poteva non portare sul palco del FOM l’incredibile duo Kyriakides & Moor, composto dal sempre avventuroso Andy Moor, noto sia per far parte dei The Ex, Dog Faced Hermanns o Kletka Redsia e per le sue innumerevoli incursioni in spazi sempre nuovi come i recenti Lean Left; e da Yannis Kyriakides, compositore definito come “fondamentale della nostra epoca”, non solo nell’ambito della classica contemporanea, ma anche in quello delle arti visive e come esploratore di combinazioni di pratiche tradizionali con i media digitali. Sono accomunati anche da un’urgenza espressiva che li ha portati a essere molto prolifici, seppur su traiettorie diverse tra loro, con migliaia di concerti e innumerevoli collaborazioni per Moor e oltre novanta composizioni per Kyriakides, che è anche direttore artistico dell’Ensemble MAE e docente al conservatorio de L’Aia.

Si prosegue con una formazione che si è guadagnata ormai il titolo di ‘leggendaria’, il trio australiano The Necks, che quest’anno festeggia i trent’anni di attività, composto da Chris Abrahams, Lloyd Swanton, Tony Buck. In un recente, lungo articolo comparso sul New York Times, lo scrittore Geoff Dyer li ha definiti “il più grande trio della terra”. Il seguito e il culto di cui sono da tempo circondati sono giustificati dal risultato di un paziente e costante lavoro di ricerca che i tre musicisti hanno svolto a partire da una formula convenzionale, quella jazzistica del piano trio, che è stata, con tanto metodo quanto intuito, smontata e riassemblata fino a divenire tutt’altro dall’idea di partenza.

La chiusura è affidata a un evento che illuminerà questa terza edizione, Open Border, un progetto appositamente commissionato, in prima mondiale e in esclusiva, che vedrà sul palco due esponenti tra i più rilevanti della musica contemporanea, Gianni Trovalusci e Luigi Ceccarelli e due dei più noti esponenti della musica jazz attuale, Hamid Drake e Ken Vandermark, già membri dei DKV.

Trovalusci, flautista e performer, interprete di un centinaio di opere di autori contemporanei, come Sylvano Bussotti, Alvin Curran, Hubert Howe e tanti altri, ha tenuto concerti in tutto il mondo, dal NYCEMF New York City Electroacoustic Music Festival all’Ars Electronica – BrucknerHaus di Linz, dal Neue Alte Musik di Colonia all’Estonian Music Days a Tallinn. Il suo tratto artistico lo ha portato a frequentare mostri sacri di diversi ambiti, come Roscoe Mitchell, che gli ha dedicato un brano per flauto solo, Fabrizio Ottaviucci, Soo Yeon Lyuh e David Ryan.

Stella luminosa del panorama della musica contemporanea italiana, il percorso di Luigi Ceccarelli parte dal Conservatorio di Pesaro, dove si dedica alla composizione musicale con le tecnologie elettroacustiche. Alla fine degli anni ’70 incontra Achille Perilli e Lucia Latour, con i quali approfondisce il rapporto tra musica, arti visive e danza. Da allora la sua attività si svolge parallelamente sia nel campo della musica elettroacustica, sia nel teatro musicale, inteso nelle sue forme più disparate. Ha ricevuto numerosissimi riconoscimenti internazionali tra cui il premio OPUS del Conseil Québécois de la Musique; l’Euphonie d’Or al Concorso dell’IMEB di Bourges; il Premio UBU, premio della critica italiana dello spettacolo, per la prima volta assegnato a un musicista; e l’Honorary Mention al concorso Ars Elettronica di Linz. Le sue opere sono state inoltre selezionate dall’International Computer Music Conference in sette diverse edizioni.

Questa unione deriva dall’urgenza avvertita da più parti di avvicinare l’ambito della musica etichettata come “colta”, che guarda, già a partire dalla seconda metà del ‘900, alle possibilità offerte dalla composizione istantanea, all’ambito del free jazz, sempre più vicino agli stilemi della musica contemporanea strutturata. Questa fusione può avvenire solo attraverso le sensibilità più alte possibili che il panorama mondiale può offrire e questo evento segnerà una traccia indelebile sul percorso che si seguirà da qui in avanti.

PROGRAMMA

Sabato 13 ottobre  

20.30     Enrico Pace-Igor Roma (data unica in Italia)

21.45     Irvine Arditti (GB) (in esclusiva)

22.30     DKV (USA) (data unica in Italia)

Domenica 14 ottobre

15.00     Open Day Istituti Musicali Forlì

17.30     Yannis Kyriakides & Andy Moor (GR, GB) (in esclusiva)

18.15     The Necks (AUS) (data unica in Italia)

19.15      Open Border (ITA, USA)

Luigi Ceccarelli, Gianni Trovalusci, Hamid Drake, Ken Vandermark

(prima mondiale – in esclusiva)

 

Ufficio Stampa

Michela Giorgini – mob +39 339 8717927 – giorginimichela@gmail.com

 

Ici France, Ici Paris. I festival del jazz del 2015, le prime date da ricordare

DidierTraduzione: Gerlando Gatto – Anthony Braxton, i cui concerti in Francia sono estremamente rari, sarà la principale vedette della 24° edizione dei “Sons d’Hiver” (Val-de-Marne – regione parigina – dal 23 gennaio al 15 febbraio). Poli-sassofonista (suona praticamente tutti gli strumenti inventati da Adolphe Sax) e multistrumentista (flauto, piano) questo membro fondatore dell’AACM di Chicago, la città ove è nato circa 69 anni fa, è anche un compositore inclassificabile che, attraverso brani dai titoli talvolta esoterici, è riuscito ad abbattere i limiti della creazione e soprattutto dell’improvvisazione.
Il suo concerto (in apertura il 23 gennaio al Kremlin-Bicêtre) preceduto da quello del pianista Matthew Shipp (in trio), sarà l’evento clou della manifestazione. Tanto più che si esibirà con molto materiale elettronico: Il festival, che si propone come vetrina d’un jazz concettualmente libero e avanguardista, ospiterà anche Graig Taborn (piano), Nicole Mitchell (flauto), James “Blood” Ulmer (chitarra), il gruppo sperimentale americano “Massacre”, guidato da Bill Laswell (contrabbasso) e Fred Frith (chitarra), Archie Shepp alla guida dell’”Attica Blues Big Band” e uno dei cantori del free jazz, il tedesco Petr Brotzmann (sax in trio con Hamid Drake alla batteria e Williams Parker al contrabbasso). Senza dimenticare una delle stelle più luminose del jazz odierno, il trombettista Ambrose Akinmusire o ancora la Compagnie Lubat condotta dal batterista francese Bernard Lubat.

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3 Agosto – Brötz Festival 2013 – Hjartum (Sweden)

Stage

Il Brötz Festival è stato una lunga giornata di musica, istallazioni e performances, che lo staff del club svedese organizza in luogo davvero incantato. Siamo a Hjartum, una sessantina di chilometri ovest di Gotheborg; seguendo il fiume Älv, si arriva in aperta campagna. E’ questa, forse, la faccia più “swedish” di questo Paese, dove la sera si possono seguire le scie luminose delle barche a vela che risalgono il fiume fino a Nord.

Il Festival è anche, e soprattutto, il modo per celebrare le attività e la presenza di questa associazione che da 25 anni si occupa di divulgare l’Improvvisazione in ogni sua forma: Musica, Pittura, Scultura, Poesia e Danza.

La seconda edizione del giovane Brötz Festival è stata da me vissuta in qualità di staff member (come ultimo atto del mio soggiorno semestrale del progetto Leonardo Working with Music 2013) e come pianista. Il Brötz Festival ha tenuto fede alla sua cifra stilistica proponendo un evento decisamente multidisciplinare con concerti, istallazioni, mostre, laboratori on stage in cui scultori ed artisti si sono dati appuntamento sugli immensi campi di grano e di avena per esporre i propri lavori ed incontrare il numeroso pubblico accorso.

Si è infatti trattato di un festival ”itinerante”, dislocato sul terreno di una tenuta agricola dei primi dell’800. I fienili e le stalle, ormai in disuso, dunque sono diventati le sedi indoor per i concerti, le mostre e le esibizioni degli artisti. I campi di cereali hanno ospitato istallazioni che si spingevano fin dentro la foresta ed esposizioni a cielo aperto. Il tutto scandito da un preciso programma di eventi che permettevano a tutto il pubblico di esplorare liberamente l’area del Festival andando ora ad ascoltare un set nella sala della musica, ora ad ammirare sculture ed oli su tela in un campo di colza. Come ogni mercoledì di rito durante il periodo invernale, il Brötz, anche in questa occasione, ha potuto fare affidamento sulla totale collaborazione di tutto lo staff, costituito in maggior parte dagli stessi artisti. Questo non voglia essere “screditante” per la figura dell’Artista, ma anzi, pone sotto una luce positiva la totale e completa libertà e serenità di considerare un Artista anche colui che magari il giorno prima del festival prepara con martello e chiodi il bancone del Bar. Ecco la Svezia e la sua lezione di vita in campo artistico ed umano…

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Brotz: focus sullo Strid-De Heney-Norstebo Trio

Trio Broz2

Come alcuni di voi sanno, da Gennaio 2013 sto lavorando come staff member presso il Brötz Club, in qualità di pianista e collaboratore, grazie alla borsa di studio “Leonardo 2013” in collaborazione con il Conservatorio di Musica “L. Refice” di Frosinone. L’occasione è stata delle più ghiotte in quanto ha significato il mio ritorno in terra Svedese dopo due anni di soggiorno come studente presso l’Academy of Music and Drama di Gothenburg (2010-2012). Inoltre la mia presenza presso l’associazione Brötz mi ha indirettamente concesso il lusso di poter assistere a tutti i concerti in programmazione ogni mercoledi sera. L’appuntamento settimanale, oltre ad essere un ottima occasione per ascoltare musica ed incontrare musicisti eccezionali, è anche il giro di boa settimanale per quanto riguarda il lavoro svolto all’ interno del Club.

Per quanto riguarda il mio abituale appuntamento mensile con “A proposito di Jazz”, stavolta ho scelto di raccontarvi un solo concerto, concentrando la mia attenzione su un solo set e non come solitamente faccio, sull’intera programmazione mensile. Ho scelto questa strategia fondando la motivazione sul fatto che mercoledì 22 aprile, il concerto del Trio Strid-De Heney-Norstebo ha non solo impreziosito la programmazione del Brötz, ma ha decisamente dato un segnale maturo di Arte dell’Improvvisazione in senso lato.

Come ogni evento straordinario, il peggior modo di poterne parlare è proprio la scrittura. Un concerto, sopratutto se capolavoro, andrebbe semplicemente ascoltato nei suoi suoni e nelle sue coloriture, ma la tentazione di cercare una condivisione in questa sede è davvero troppo allettante.

Intanto è una questione di equilibrio: due veterani ed un giovane. Come dire…il corpo e le ali. I due grandi nomi della “scena impro” scandinava sono la contrabbassista Nina De Heney (Svizzera, ma ormai naturalizzata Svedese) ed il batterista Reymond Strid (di Stoccolma). I due musicisti hanno rappresentato quelle che io definisco “voci” nel proprio strumento. Quando si arriva ad una certa maturità artistica e strumentale, al di là dei gusti, si esprime un se sincero ed autentico, allora si entra in una zona franca in cui si può solo continuare a seguire se stessi. Quindi non parliamo di riferimenti artistici, di musicisti per forza fenomeni supernaturali, ma di artisti che, negli anni, si sono presi la briga di lavorare su se stessi senza cedere alle lusinghe del Jazz , del Free o del Cool…ma just themselves. In linea generale la bellezza di questa terra (la Svezia), è che si tende sempre a coltivare una propria identità il prima possibile. E molte volte il cerchio si chiude.

Il giovane del trio si chiama Henrik Munkeby Nørstebø, Norvegese di Trondheim, trombonista di appena 27 anni (www.henriknorstebo.com). Da tenere d’occhio questo trombonista farà cose interessanti.

La Musica del Trio inizia sicura e senza esitazioni come se fosse scritta. Nella loro performance sono insiti dialogo, comunicazione, ascolto reciproco, gestione dei ruoli e del fluire del tempo in relazione alla musica, condotta delle dinamiche e del “cosa” con cura quasi maniacale al “come”. Tutti elementi, quelli sopra elencati, che in realtà fanno parte della Musica tutta, in senso lato del termine. Ci si scopre dunque inventori di niente. Il piccolo miracolo di quando, però, tutti questi fattori si strutturano in maniera logica “ora e qui”, riguarda esclusivamente l’atto improvvisativo. I trenta minuti di musica sono scanditi da due set che terminano con due rispettivi finali che convincono ancora una volta il sottoscritto, ed il pubblico presente in sala, che la Musica Improvvisata è un Arte e che non si limita a confini stilistici o esecutivi, ma si matura nel tempo, e che in se, conserva una sua alchimia basata sulla naturale empatia dei musicisti. La caratteristica principale del Trio Strid-De Heney-Norstebo è la totale intercambiabilità dei ruoli durante la performance. Come la batteria di Strid può essere il riferimento metrico di una sezione, un secondo dopo il trombone può prendere le redini del metro e lasciare alla batteria un ruolo melodico ed allo stesso tempo il contrabbasso della De Heney adesso è complice, e fra un minuto sarà pulsione ritmica da far tremare il palco. Questo continuo passarsi il ruolo fa si che la musica non si chiuda mai in uno schema o in un “già detto”. Tutto quindi è in perfetto equilibrio e mutevole attimo dopo attimo.

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Brötz: Marzo 2013 varietà nell’unità

trio facet

Ogni mese la programmazione del Brötz (http://www.brotznow.se) sembra farsi carico di un carattere innato ben distino dal mese precendente. Chi legge questi report ricorderà che Febbraio è stato il mese dell’apertura ai Paesi Europei ed Extraeuropei con ospiti da molte parti del mondo. Marzo 2013 è stato sicuramente il mese più variegato in termini di programmazione artistica.

Iniziamo: il ”Jazz art club”, composto da tre veterani del Brotz, Håkan Stränberg  (trombone), Gunnar Lindgren (sax) ed  Anders Waernelius (percussioni) ha proposto un “classico” , esibendosi in trio con l’aggiunta di opere d’arte e dipinti. I tre musicisti si muovono su ritmiche molto ben definite cercando un dialogo fra loro stessi e ”qualche altra cosa” che possa arrivar loro da grandi tele appese sulle pareti del club. Decisamente interessante  e creativo lo sforzo di cercare il quarto elemento della band, nella presenza visiva di dipinti sul palco. Ho già ribadito in atri articoli l’importanza della maturità in molti progetti di Musica Improvvisata Svedese. Il “Jazz art club” è senza dubbio uno di quelli meglio riusciti per cui forse spendere troppe parole scritte risulta riduttivo. Il buon vino va assaggiato dal calice.

Secondo set della serata dedicato ai “Facet” .Adrian Fiskum Myhr (contrabbasso, dalla Svezia), Joris Rühl (clarinetto, Francese) ed Maciej Sledziecki (chitarra preparata, dalla Germania). Oltre a rappresentare un trio quanto meno variegato in termini di provenienza, i tre musicisti hanno regalato al pubblico una pregevole performance di Musica Improvvisata. La tecnica eccellente del clarinettista francese ha sbalordito il pubblico soprattutto per la capacità, apparentemente semplice, di creare suoni, sibili, armonici ed ipertoni riuscendo ad essere allo stesso tempo musicale e comunicativo. Maciej, di suo, ha fatto un egregio lavoro di elettronica ed “art sound” portando avanti un discorso di chitarra preparata intelligente ed al servizio della musica. Meno incisivo, ma forse “giusto” proprio per questo, il contrabbassista svedese Adrian Fiskum Myhr, meno a suo agio si è limitato in maniera impeccabile a partecipare al gioco senza mai proporre o lanciare un idea. Ma forse, ripeto, il suo pregio è stato proprio quello di collocarsi fra i due infaticabili leader e compagni di gioco.

La serata del 6 Marzo è stata chiusa dal gruppo “Svelia”, band capitanata dalla cantante Svedese Casey Moir e coadiuvata da Reuben Lewis (tromba), Luke Sweeting (piano), Johan Moir (contrabbasso) e Aidian Lowe (batteria). Il set degli “Svelia” ha rivelato il lato debole della Musica Scandinava, quando ancora una band non ha le idee chiare su cosa e come suonare, ma vuole comunque esibirsi in concerto. E’ questo il caso del gruppo della Moir che oltre ad essersi dilungato molto nei tempi, in realtà ha dato una prova acerba e con parecchie pecche da un punto di vista esecutivo. Forse gli arrangiamenti poco equilibrati, forse solo poca cura nel suono o forse semplicemente un set andato storto. D’altra parte bisogna dare atto alla band, che il rischio di chi vuole proporre qualche cosa di “nuovo” è sempre in agguato nel concerto “che non riesce”, e che proprio per questo, il tempo, lo studio e l’esperienza fanno maturare i progetti.

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