Odio l’Estate – Storia segreta di un’intossicazione da Real Book

di Alessandro Fadalti –

Il caldo ha mollato la presa solo negli ultimi giorni ed è così che ci siamo accorti che l’estate è effettivamente finita. Questo preambolo può sembrare una chiacchiera spiccia e situazionale sul meteo, se non fosse che settembre sia un mese che porta con sé una forte carica emotiva. Potremmo considerarlo il Capodanno mai festeggiato, anche se non ci sono bottiglie da stappare come durante il cenone a cui segue il più classico dei countdown. Tuttavia, proprio come quando si chiude dicembre, percepiamo il finire di qualcosa e l’inizio di un nuovo ciclo. Finisce il periodo vacanziero, le persone tornano ad affrontare la quotidianità, le giornate si accorciano, le cicale smettono di intontirci con i loro cori e l’idea di un tuffo in mare ci annoia. Per quanto nell’immaginario collettivo sia rilassante come periodo dovremmo ammettere che sotto sotto l’estate fa un po’ schifo. Bruno Martino la odiava veramente? Non potrò mai saperlo ma è spesso a lui che rivolgo i miei pensieri quando ho finito di digerire il pranzo di Ferragosto. Tutto ciò mi diede, mesi fa, lo spunto per pormi nuovamente una di quelle domande a cui nessuno è interessato. Sfogliavo alcuni indici dei Real Book per cercare qualche brano jazz da suonare e mi apparve come un anatema “Estate”; era inizio giugno e già leggere il titolo mi faceva salire la tristezza della fine di qualcosa che non era nemmeno incominciata, una sensazione perversa. A livello più lucido ho cercato risposta al quesito: «come è accaduto che una canzone italiana sia diventata uno standard jazz/latin a livello internazionale?» solo negli ultimi giorni. La storia è complessa e incompleta, vi si intrecciano molti nomi ed eventi, inoltre parliamo di un brano che ha avuto eterogenei adattamenti a livello testuale; proverò dunque ad usare un approccio cronologico per arrivare a un punto della situazione di carattere più speculativo che analitico.
La prima tappa di questo viaggio è a Napoli nel 1960, la storia che si racconta è che all’Hotel Royal Bruno Brighetti scrive il testo in seguito a un’intossicazione alimentare da frutti di mare. Il brano doveva chiamarsi “Odio l’Estate”, una dedica sentimentale a una stagione dove gli amori sono intensi ma fugaci, che causano dolore e che si spera finisca presto. La prima strofa e il ritornello infatti recitano:
Strofa 1 e 2:
Estate
Sei calda come i baci che ho perduto
Sei piena di un amore che è passato
Che il cuore mio vorrebbe cancellar

Odio l’Estate
Il sole che ogni giorno ci donava
Gli splendidi tramonti che creava
Adesso brucia solo con furor


Ritornello:

Tornerà un altro inverno
Cadranno mille petali di rose
La neve coprirà tutte le cose
E il cuore un po’ di pace troverà

Strofa 3:
Odio l’Estate
Che ha dato il suo profumo ad ogni fiore
L’ estate che ha creato il nostro amore
Per farmi poi morire di dolor

Dopo quel “morire di dolor” segue l’intervento orchestrale degli archi, e poi dei fiati, in solo, a commentare questo dolore. Successivamente, il brano si conclude con la ripetizione del ritornello e la terza strofa, per chiudere con quell’anatema fino a sparire nel silenzio: “Odio l’estate”. Rispetto alle atmosfere della canzone leggera della bella vita notturna italiana, durante gli anni del boom, tutto ciò era sicuramente in forte controtendenza, infatti Lelio Luttazzi nello stesso anno, in una trasmissione televisiva, ne fa una parodia “Odio le Statue”. Si dice che Bruno Martino, risentito della parodia, fece togliere dalle riedizioni successive la parola “Odio” dal titolo. Luttazzi non poteva sapere che da lì in poi molti artisti al di fuori dell’Italia si sarebbero cimentati a cambiarne il testo. La canzone, non la parodia ovviamente, riscuote un successo tiepido in patria, si ricordano alcune esecuzioni, tra cui quella di Milva nello stesso anno.

La tappa successiva è la meno citata e forse la più interessante. Helen Merill (nome d’arte di Jelena Ana Milčetić) è una cantante statunitense nota, ha collaborato con nomi del jazz come Clifford Brown, Oscar Pettiford e a incidere alcuni dei suoi successi c’era il tocco magico di Gil Evans, che scrisse degli arrangiamenti appositamente per lei nel ’56 (esperienza che diede i frutti a Evans per il successivo lavoro con Miles Davis). Tuttavia, negli anni ’60, la Merill si trovava in Europa, nello specifico a Roma, e lavorava con Pietro Umiliani, ma l’incontro con Morricone l’ha portata nel ‘62 a cantare “Estate” in una versione arrangiata e diretta dal maestro.
Che sia questo il ponte che ci porta alla terza tappa del brano? Perché misteriosamente nel ’65 compare “Maybe This Summer”, un adattamento inglese scritto da Al Stillman (Albert Irving Silverman) e Arthur Altman, due parolieri e musicisti che restituiranno la canzone grazie alla voce della cantante Peggy Lee. Questo è l’esatto momento in cui, per la prima volta, il testo verrà cambiato.
Strofa 1 e 2:
This summer,
Perhaps I’ll meet the one who’ll be my true love,
The one who won’t be just another new love,
Who’ll still be mine when leaves begin to fall,
Maybe this summer,
I’ll feel the glow of someone’s warm caresses,
And I will know at last what happiness is,
This summer if my lover comes to call.

Ritornello:
Will she whisper she loves me,
And tell me life was empty ‘till she found me,
And say how much she wants her arms around me,
Each day of every winter, spring and fall.
Maybe this summer…

Alla terza strofa, in questo caso, viene sostituita una breve sezione strumentale che fa una variazione sulla melodia del ritornello, raddoppiandone la durata. A livello testuale, scompare la malinconia e tutto il malessere, la canzone parla di un amore che si spera possa perdurare anche durante l’autunno e l’inverno, tutt’altro rispetto a Brighetti che non vedeva l’ora che arrivasse l’inverno e cancellasse i dolori estivi d’amore. Il fatto che il testo sia stato tradotto in inglese è un passo altrettanto inusuale, un brano italiano di musica leggera era arrivato alle orecchie e alla mano di compositori USA.
Da lì in poi il brano resta in un dimenticatoio per una decina d’anni, fino a quando João Gilberto la sente durante un tour in Italia negli anni ‘60, almeno questa è la storia che si racconta. La suona e la canta in lingua originale ma toglie la parola “Odio” addirittura dal testo oltre che dal titolo, come già Brighetti e Martino fecero. Il motivo della scelta può essere molteplice, ma quello più accreditato è di carattere stilistico, a Gilberto non piaceva e in generale, a ben pensarci, forse quella parola, associata all’estate non si adatta all’atmosfera Saudade tanto cara ai bossanovari brasiliani. Nel 1977 la canzone ritorna in auge e Gilberto la porta alla fama inserendola inaspettatamente nel suo album “Amoroso”, ed è forse questo il nodo più importante, perché da lì in poi la melodia viene ripresa senza il canto da alcuni jazzisti statunitensi, tra cui ad esempio Chet Baker, Joe Pass, e Michel Petrucciani da poco trasferitosi nel nuovo continente, ma anche Toots Thielemans in Europa.

La quinta tappa è quella che vede protagonista Joel Edward Siegel, professore d’inglese, critico musicale e cinematografico, produttore musicale e paroliere. Un personaggio polivalente che si avventura a scrivere un altro adattamento con testo in inglese, che l’abbia scoperta tramite Gilberto? Potrebbe essere, infatti l’atmosfera del brano è stravolta definitivamente nel suo senso di quell’estate tanto odiata che tutti conosciamo. Il testo è solo leggermente malinconico:
Strofa:
Estate
You bath me in the glow of your caresses
You’ve turned my eager no to tender yeses
You sweep away my sorrow with your sigh
Estate
Oh how the golden sunlight bends the willow
Your blossoms send the perfume to my pillow
Oh who could know you half as well as I

Ritornello:
I always feel you near me
In every song the morning breeze composes
All the tender wonder of the roses
Each time the setting sun shines on the sea

Qui il ritornello, invece, ha un accompagnamento molto ricco a livello armonico e con alcune risposte del piano tra una frase e l’altra, che anche in questo caso allungano la durata a livello strutturale. Il testo in questo adattamento racconta un amore attraverso metafore legate a questa stagione, non rappresenta soltanto una speranza come in Stillman e Altman, in questa versione l’amore è vissuto a pieno senza paure e dubbi e questo si riflette attraverso immagini estive ricche di sensualità. Siegel ha lavorato come produttore musicale anche per alcuni album della cantante Shirley Horn. Lei, nell’album “Softly” del 1987, ha reso celebre questo adattamento con una interpretazione che dona alla mente la visione di un’estate magica, dalla consistenza del fine velluto e passionale.
La sesta tappa ci porta qualche anno dopo ad ascoltare una delle versioni più uniche, a mio parere. Nel 1990 esce l’album “Sabìa” che porterà al successo la cantante statunitense Susannah McCorkle. La sua voce restituisce una “Estate” dallo spirito molto simile a quella di Brighetti e Martino

Strofa 1 e 2:
Summer,
I met you in the blazing heat of summer
The days were long and nights were sweet at summer
I fell in love with summer in my heart
Summer,
When we drank wine at sunset on a beach
When happiness seems almost at our reach
You held me tight and swore we never part

Ritornello:
Now I dread every summer
When all the world around me is in bloom
Instead of feeling hope I’m filled with gloom
I pray for early autumn every year

Strofa 3:
Summer,
The night you left I laid awake in cry
And in those hours something in me died
As summer turn to winter in my heart

L’estate si trasforma letteralmente in un inverno nel suo cuore, un amore finito nella tristezza assoluta dove sembra che l’unico appoggio confortevole siano i bei ricordi di pace e serenità che collegava due amanti in un sentimento… caldo come un’estate. La nota più particolare di questa versione è che dopo la terza strofa e un solo di Sax, la cantante riprende intonando il ritornello in italiano con il testo originale. Le analogie, inoltre, ci portano alla chiusura, dove con la ripetizione del ritornello in inglese la canzone si spegne con la parola Summer che incede lentamente fino a dissolversi. Il richiamo alla versione originale è forte, non solo perché canta in italiano ma perché la struttura del brano e l’atmosfera che crea è simile al dolore di cui parla Brighetti, a tratti, a mio parere, accentuata dal fatto che la cantante soffriva di depressione; sicuramente la sua interpretazione trasmette la ricchezza dei suoi sentimenti più profondi. Questa vicinanza con la versione originale è inoltre supportata dal fatto che McCorkle ha studiato lettere e si è cimentata nella sua carriera nella traduzione di canzoni brasiliane ed europee, tra cui francesi e italiane. L’adattamento della McCorkle è l’ultima tappa cronologicamente interessante prima di arrivare al punto da cui sono partito, per dare un senso finale a questo viaggio e una risposta a una domanda curiosa ma inutile, sto parlando di quel maledetto Real Book!
Settima tappa: non è un segreto la storia dei Real Book, gli studenti della Berklee College of Music si sono cimentati a trascrivere il più possibile il patrimonio dei cosiddetti standard jazz al fine di renderli accessibili e trasmetterli alle generazioni future per motivi di studio. In questa raccolta di spartiti troviamo nel terzo libro, quello dedicato alle nuove aggiunte, nella sua quinta edizione del ’91: “Estatè”. Una versione che sembra trascritta male a mio dire, oppure, ipotesi più probabile, trascritta da una versione a cui è difficile risalire, siccome tra il ritmo della melodia e gli accordi non ho trovato alcuna corrispondenza con i vari arrangiamenti e interpretazioni. A guidarci in una possibile identificazione è la scritta in alto: “Musica di Bruno Martino, Testo di Joel E. Siegel”. Sicuramente chi l’ha trascritta si sarà basato sulla versione di Shirley Horn a cui poi altri interpreti si sono ispirati, ma il cerchio non si restringe abbastanza per due motivi, il primo è che il brano viene etichettato come “bossanova” nonostante la versione della Horn non abbia per niente questo feeling bossa e in secondo luogo non ho trovato nuovamente corrispondenze. Evitando conclusioni forzate, direi che quella versione sia più una guida all’interprete che una versione pari-pari, così come altri standard presenti in quel libro. Tuttavia, nella sesta edizione del Real Book a cura della Hal Leonard, appare la canzone nell’edizione Real Book Vol II del 2005 (pag.120), nel Latin Book e nel The Real Vocal Book nella Low Voice Edition, queste ultime sono filologicamente affidabili, il ritmo e gli accordi rispecchiano la versione italiana, mentre il Latin Book quella di João Gilberto, ma in entrambe in alto troviamo scritto questa volta: “Musica di Bruno Martino – Testo di Bruno Brighetti. Il passaggio del Real Book è forse la definitiva chiave di volta della fama del brano; infatti, dal ’91 in poi diventa difficile o quasi impossibile tener conto di quante versioni siano state realmente arrangiate, eseguite o registrate.
Real Book o meno, ad oggi “Estate” resta una di quelle canzoni che il jazzista medio, nella sua formazione, probabilmente affronterà, ma di cui pochi hanno conoscenza della sua storia ironica, di come sia arrivata da un Hotel di Napoli ai palchi e studi di registrazione di tutto il mondo. Sull’onda dell’ironia, mi concedo comicamente di ringraziare i frutti di mare andati a male per il loro splendido lavoro con l’intestino di Brighetti, davvero un bel testo.
Ci sarebbero altre interpretazioni da citare ma la carta non ha abbastanza spazio; quindi, in conclusione cito le due più originali che meritano quantomeno una menzione. La prima ci porta in Francia con “Un été” di Claude Nougaro, una traduzione in francese del testo suonata in stile Chanson. L’ultima versione è contenuta in una compilation di brani estivi in stile Italo-disco uscita nell’1988 dal titolo: “Estate…(Odio l’Estate)” di Riviera, nome d’arte della pianista e cantante Elga Paoli, cui particolarità è il titolo: “This Summer” con il testo di Altman e Silverman, un mix bizzarro ma che ho trovato piacevole proprio per questa fusione assurda.

Alessandro Fadalti

La Banda dei Carabinieri al Portogruaro Festival: musica salvifica che trasmette i valori fondanti della comunità

Evento speciale e di grande prestigio per il 39esimo Festival Internazionale di Musica di Portogruaro (VE) – curato da Alessandro Taverna – una cittadina che è un piccolo gioiello di arte, storia e cultura con un profondo senso di comunità, valore teorizzato da Platone nel definire la città ideale (“Repubblica”), dove la musica era identificata come “palestra dell’anima”.
Sabato 4 settembre si è svolto in Piazza della Repubblica il concerto della Banda dell’Arma dei Carabinieri, diretta dal M° Massimo Martinelli, per ricordare e celebrare tre importanti anniversari della storia del nostro Paese: i 160 anni dall’Unità d’Italia, i 100 anni del Milite Ignoto (sulla piazza è posizionato dal 1928 un monumento alla memoria dei caduti, opera dello scultore Gaetano Orsolini) e i 75 anni della Repubblica Italiana. Il concerto è stato organizzato con la collaborazione della Fondazione milanese “Enzo Hruby”, dal 2007 in prima linea per il suo impegno nella protezione del patrimonio culturale italiano e nella diffusione della cultura della sicurezza (in calce a questo articolo troverete i contributi di Carlo Hruby, vice presidente della Fondazione e di Alessandro Taverna, direttore artistico del Festival e pianista di indiscussa fama internazionale).
Dopo il concerto, presentato con grazia da Monica Rubele, ho avuto anche modo di incontrare e intervistare il M° Martinelli, ormai un amico, avendo collaborato ai due concerti – che ho poi seguito a Roma e recensito qui – prima dello stop a causa della pandemia, per gli annuali di fondazione dell’Arma, nel 2018 all’Auditorium della “Nuvola” di Fuksas e nel  2019 al Teatro dell’Opera.
Vorrei qui ricordare che nel 2020 Massimo Martinelli ha festeggiato 20 anni di Direzione della Banda dell’Arma, che affonda le sue origini a duecento anni fa ed è attualmente composta da 102 orchestrali. In questi anni, la sua impronta e la sua lungimiranza, che trascende gli impegni istituzionali, si sono fatte sentire. Martinelli è intervenuto sul repertorio, non fermandosi a quello classico ma ampliando l’orizzonte stilistico al jazz, al pop, al rock, alla world, alle musiche da film, con una notevole apertura verso collaborazioni con musicisti che sulla carta sarebbero potute apparire “improbabili” e invece si sono rivelate “magiche”; ha introdotto nuovi strumenti all’organico, sperimentando sonorità inconsuete e colori nuovi; gli estimatori dell’Orchestra sono sempre più numerosi, grazie anche ad apparizioni in programmi televisivi popolari e ai meravigliosi concerti in tutto il mondo! L’ultimo che ho visto è stato semplicemente spettacolare, nella suggestiva scenografia naturale della piana di Castelluccio di Norcia.
Della performance di Portogruaro inizio col dirvi che la Banda dell’Arma si è esibita con un organico ristretto ad una cinquantina di professori d’orchestra, questo a causa delle ancor stringenti disposizioni per il contrasto al Coronavirus.
Il tema del festival di quest’anno è “Ouverture”, che non è un semplice titolo ma una vera e propria dichiarazione d’intenti, un segnale di ottimismo e di apertura verso scelte coraggiose. E ouverture sia, dopo mesi e mesi di fermeture… affinché la sofferenza diventi un’opportunità per ridisegnare una società più solidale e inclusiva e per rendere più umano il futuro.
E il M° Martinelli, in perfetta consonanza con il tema, ha scelto di iniziare da tre delle Ouverture più famose: quelle delle opere rossiniane “Guglielmo Tell” e “La Gazza Ladra” e della verdiana “I Vespri Siciliani”. Per i pochi che ancora non lo sapessero, entrambe le ouverture di Rossini sono state utilizzate da Stanley Kubrick nella colonna sonora del suo “Arancia Meccanica” e quella del “Guglielmo Tell” nel film subisce una vera e propria dissacrazione in una versione accelerata a dir poco schizofrenica…
L’arciere Guglielmo Tell scocca la prima freccia e l’inconfondibile rullo dei timpani, come un tuono in lontananza, preannuncia la tempesta sonora imminente. Tratta dalla tragedia di Schiller, l’opera è l’ultima composta da Rossini, senza dubbio il suo opus magnum, e la Banda esegue l’introduzione evidenziando con impeccabile maestria gli accesi contrasti della natura, elemento primario in tutta l’opera, tanto splendida quanto crudele, in una continua altalena tra l’oscurità e la luce, come in un dipinto caravaggesco.
La melodia iniziale è meravigliosa, così come il  celeberrimo galop finale, introdotto dalle trombe e interpretato da tutta l’orchestra, con le sue figurazioni ritmiche puntate. “L’espressione musicale sta nel ritmo, nel ritmo tutta la potenza della musica”. (G. Rossini)

La sinfonia introduttiva dell’opera di Giuseppe Verdi “I Vespri Siciliani” è un distillato di profondità emotiva e di sentimenti intrisi da quella vis drammatica che avvince e provoca commozione nell’animo dell’ascoltatore.
L’ultima di questa trilogia di Ouverture, e probabilmente la più conosciuta, è quella intramontabile dell’opera la “Gazza Ladra”, che pare sia stata scritta da Rossini chiuso in uno sgabuzzino del Teatro alla Scala e che sia stata anche la preferita da Frédéric Chopin.
Scintillante, marziale, maestosa, a volte giocosa, più spesso tragica, comme il faut in un’opera semiseria, la sinfonia ha un colore orchestrale luminoso, caratterizzato dall’assidua presenza dei rullanti che si rincorrono ed introducono i temi in maniera coinvolgente.
Ad un certo punto dell’esecuzione ho proprio immaginato di vedere una gazza ladra svolazzare sulla piazza di Portogruaro, attirata dalle luccicanti spalline in metallo dorato con le frange in canutiglia sull’uniforme del Maestro Martinelli!
“Una sera di Settembre” è un personale tributo in musica di Martinelli alla figura simbolo del Generale Dalla Chiesa. Il brano è un poema sinfonico che si sviluppa come la trama di un film, nella quale il Maestro inserisce una silloge di stili diversi, a segnare i diversi momenti e le vicissitudini della vita del Generale, sia del soldato sia dell’uomo. Dalla marcia militare, alla beguine, al valzer… usando anche strumenti della tradizione popolare come il friscaletto siciliano, lo scacciapensieri, i tamburelli. Avvincente!

E parlando di film e di sicilianità non poteva certo mancare il valzer in Fa Maggiore da “Il Gattopardo”. Nelle note del concerto, viene indicato come compositore unicamente Giuseppe Verdi. In realtà è vero che il brano è costruito sul manoscritto inedito di un valzer brillante che Verdi dedicò alla contessa Maffei, acquistato in una libreria antiquaria di Roma da Serandrei, montatore del film nonché amico di Visconti e di  Rota, e poi donato a Visconti, ma è altrettanto vero che Nino Rota lo orchestrò magistralmente, facendolo diventare il valzer più iconico del cinema, ballato da Angelica/Claudia Cardinale e don Fabrizio/Burt Lancaster. La versione classica della Banda dei Carabinieri ci restituisce tutto il fascino, l’eleganza e lo sfarzo che Visconti aveva saputo regalarci nella sequenza del gran ballo nel favoloso salone delle feste di Palazzo Gangi.
Nel 2021 ricorrono anche i cent’anni dalla nascita del compositore argentino e bandoneonista Astor Piazzolla, che con le sue prospezioni sulle strutture ritmiche e la commistione con il jazz ha scardinato la stratificata tradizione del tango con geniale lungimiranza, attraversando da protagonista il Novecento lungo le rotte di Buenos Aires, Parigi e Roma, rincorrendo amori travolgenti…

Del padre del nuevo tango, Martinelli sceglie due delle composizioni più note: “Libertango” e “Oblivion”. Se – e qui ritorno al mio Platone –  la musica dona ali al pensiero e fascino alla tristezza, mai parole furono più adeguate per definire la musica di Piazzolla! Certo, per me ascoltare “Libertango” è come ricevere una folgorazione elettrica ad alta tensione, sarà per il suo irresistibile groove ritmico o per la sensualità che trasuda da ogni nota, sarà per il jazz che si fonde con la classica nelle sue armonie estese, sarà per il suo magico crescendo finale… purtuttavia… le sensazioni che mi regala “Oblivion” sono inarrivabili. Nel 2018 lo ascoltai anche alla Nuvola di Fuksas e scrissi: “la vibrazione dell’ancia dell’oboe di Francesco Loppi, che ha duettato con la violinista Anna Tifu, ha fatto vibrare tutta la platea, riuscendo a ricreare, in tutta la sua valenza, il pathos insito nelle note del musicista argentino…”
Ecco, la Tifu in quest’occasione non era presente (si sarebbe esibita al Festival il 9 settembre con l’Orchestra di Padova e del Veneto n.d.a.) ma l’oboe del prof. Loppi mi ha ipnotizzata.
“Oblivion” è la perfetta sintesi tra passione e struggimento, un tòpos poetico-musicale, l’oblio  dove i sogni irrealizzati vanno a morire…
Due i bis concessi: la frizzante “Tritsch Tratsch Polka” di Johann Strauss II, che conosco molto bene per essere, sin dall’infanzia, una fedele spettatrice del Concerto di Capodanno dei Wiener Philharmoniker dal Musikverein di Vienna e per averla ballata  nei miei saggi di danza classica e “La Cumparsita” di Gerardo Hernán Matos Rodríguez, che viene dai più considerata il tango per antonomasia, “el tango de los tangos”. “Dai più…”
In effetti neppure Piazzolla l’amava molto ma si divertiva a proporla nelle sue esibizioni perché – diceva maliziosamente – «un buon abito migliora sempre l’aspetto».
Dopo i saluti istituzionali di Florio Favero, Sindaco di Portogruaro, di Alessandro Taverna, direttore artistico del Festival e di Carlo Hruby, vice-presidente della Fondzione Enzo Hruby, in Piazza della Repubblica sono risuonate le note della marcia d’ordinanza dell’Arma dei Carabinieri, “La Fedelissima” del Maestro Cirenei e “Il Canto degli Italiani”, l’Inno Nazionale Italiano. Ad accompagnare il Maestro Martinelli e i suoi valenti orchestrali, lo speciale coro dei numerosi spettatori presenti.

Ed ora, spazio alle interviste da me raccolte nel corso della serata:
Maestro Massimo Martinelli, direttore della Banda dei Carabinieri
Maestro Martinelli, ordunque possiamo ridare vita al forte legame affettivo che ha sempre unito la Banda dei Carabinieri con il suo pubblico, essendo ripartiti i concerti in presenza dopo la pausa forzata dovuta al Covid. Ci racconti come voi musicisti avete vissuto questo periodo? Che avete fatto?
«Il periodo buio appena trascorso è stato un momento di ‘pausa’ per noi musicisti che ci ha consentito di fare delle riflessioni oppure, come nel mio caso, dei bilanci. Le riflessioni riguardano il senso della nostra professione, che senza pubblico perde gran parte del significato, ovvero è come avere delle partiture o degli spartiti musicali da poter eseguire e non avere nessuno a cui farli ascoltare. Tutto rimane a livello di lettura non letta o lettera morta. La musica è viva se ha una destinazione se  incontra l’altro,  l’ascoltatore, il fruitore dell’opera musicale,  altrimenti, come una partitura mai eseguita, scompare, non esiste. Per quanto riguarda me, che tra l’altro ho passato un breve periodo di malattia a letto per il covid, la sospensione forzata dall’attività musicale ha ingenerato un irrefrenabile desiderio di scrittura; in particolare mi sono dedicato ad argomenti che riguardavano l’essere musicista e compositore all’interno di una Forza armata come l’Arma dei carabinieri, nel caso specifico ho scritto dei pezzi per celebrare la figura di alcune grandi personalità, umane e militari,  come Salvo D’Acquisto e Carlo Alberto Dalla Chiesa. Sono nati così due pezzi: “Presente” dedicato a Salvo D’Acquisto e “Una sera di settembre” che avete ascoltato stasera».
-Già. Ho dato una scorsa al repertorio di questa sera, Rossini, Verdi, Piazzolla e… Martinelli! C’è appunto il brano “Una sera di Settembre” che tu hai composto e dedicato al Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (ispirato dal bel libro “Il mio valzer con papà”, scritto da Rita, sua figlia), in occasione del centenario della nascita, nel 2020, e il cui trentanovesimo anniversario della morte è stato celebrato proprio ieri (3 settembre n.d.a). Lui fu un uomo eccezionale ed “eccezione” è un termine che proviene dal latino “exceptio”, da excipĕre, ovvero “estrarre, tirare fuori”. Lui, anche nei momenti più bui o quando gli fecero terra bruciata intorno, riuscì a tirar fuori da sé stesso quelle virtù che lo rendono ancora oggi straordinariamente unico, al punto da  essere riuscito a cambiare il corso della storia con il proprio immanente pensiero e con le azioni compiute. “Vi sono pochissimi uomini − e sono le eccezioni − capaci di pensare e sentire al di là del momento presente”. Sono parole del Generale prussiano Karl von Clausewitz,  che scrisse “Della guerra”, 8 libri in cui ne analizzò tutti gli aspetti, e quella alla mafia è una guerra… all’epoca di Dalla Chiesa come ora. Io credo che la tua dedica sia la testimonianza di quanto il Generale sia sempre molto amato da voi Carabinieri e di quanto il suo pensiero, le sue azioni e la sua integrità morale siano una guida. Come hai pensato di strutturare musicalmente i tanti episodi della la sua vita militare e di uomo?
«”Una sera di settembre” è un brano descrittivo che ripercorre le tappe più importanti della figura del generale più amato dell’Arma dei Carabinieri. Un uomo che aveva un grande senso della famiglia e che doveva dividersi tra delicati incarichi istituzionali, che comportavano lunghe assenze per motivi  di lavoro, e la sua famiglia, per la quale doveva ritagliare il poco tempo che gli rimaneva a disposizione…»
In un’intervista ad un direttore d’orchestra chiesero: “Quale è la tua musica preferita?”. Lui rispose: “Qualunque cosa io stia dirigendo in questo momento è la mia musica preferita”. Ti ritrovi in queste parole di Nachev, che dirige la Shen Yun Symphony Orchestra? C’è comunque una musica che prediligi?
«Cara Marina, circa la tua domanda anche io ho le mie preferenze, ad esempio adoro autori come Bach, Beethoven, Bartok, Bernstein! Quattro B. per dire che avendo una formazione di tipo classico ma essendo particolarmente interessato alle declinazioni musicali più varie ti confido che mi trovo a mio agio con la musica che mi piace e questi autori rappresentano per me quello che mi si addice di più. Bisogna a parer mio, come un Giano bifronte, guardare alla grande musica del passato con il rispetto che essa merita ma al contempo, come faceva Bernstein declinarla sempre al presente e possibilmente, ammesso di esserne capaci, come lo era Mozart, al futuro!
Scusami per l’estrema sintesi di questa risposta alla tua bellissima domanda!»
Carlo Hruby – Vice-Presidente della Fondazione Enzo Hruby, Milano
Dottor Hruby, dopo aver ascoltato il suo intervento alla fine del concerto di Portogruaro, ho pensato che mi sarebbe piaciuto proporre ai nostri lettori un approfondimento sulle attività della Fondazione Enzo Hruby, che credo rappresenti un unicum in Italia.
Dunque, da imprenditore di un’azienda leader nel campo della sicurezza, decide di dare vita alla Fondazione Hruby e poi ancora all’Associazione Musica con le Ali, affiancandola ad un ottimo strumento di diffusione della classica quale è la webradio MCA.
Ognuna di queste attività di patronage riveste una considerevole  importanza nei settori in cui opera: la prima nella protezione e la sicurezza dell’immenso patrimonio storico, culturale e architettonico del nostro Paese, le altre due nella meritevole azione volta alla conoscenza e alla valorizzazione della musica classica e dei suoi giovani talenti, attraverso molteplici iniziative. Forse il paragone potrà apparirle un po’ audace, tuttavia, documentandomi su ciò che state facendo, non ho potuto non andare con il pensiero al mecenatismo rinascimentale e ad uno dei suoi personaggi più rappresentativi: Lorenzo il Magnifico. Per lui il mecenatismo non era solamente un’arte per governare ma una necessità del suo animo sensibile. Anche nel suo caso è stata la sua anima, oltre alla consapevolezza di svolgere un meritorio servizio per la collettività, a guidarla nelle scelte che ha portato avanti? Avrebbe piacere di raccontarsi un po’?
«Lei ha citato un personaggio immenso, a cui non posso certo paragonarmi. Le scelte portate avanti nel corso degli anni e che hanno determinato la nascita della Fondazione Enzo Hruby – a cui si è aggiunta, più recentemente, l’Associazione Musica con le Ali – sono scaturite da una formazione umanistica che mi ha dato le basi per apprezzare la bellezza dell’Italia nelle sue infinite sfaccettature e dal desiderio, mio e della mia famiglia, di impegnarci concretamente per offrire un valore alle nuove generazioni e al Paese che ha visto nascere, alla fine degli anni Sessanta, la nostra realtà imprenditoriale, diventata nel corso del tempo un punto di riferimento nel mercato della sicurezza elettronica. Le tecnologie più evolute ci hanno sempre accompagnato nella nostra attività e dunque abbiamo desiderato sostenere con quelle stesse tecnologie la protezione del patrimonio culturale che rende così unica e straordinaria l’Italia. Ma non solo: attraverso la Fondazione Enzo Hruby il nostro desiderio costante è stato fin dall’inizio e continua ad essere tuttora quello di far crescere la cultura della sicurezza e la consapevolezza del valore del nostro tesoro-Italia. Un tesoro che per poter essere valorizzato deve essere per prima cosa protetto contro furti, sottrazioni, atti di vandalismo e danneggiamenti. Per raggiungere questo obiettivo le tecnologie da sole non bastano ma occorre creare un dialogo costante tra gli operatori della sicurezza e gli operatori dei beni culturali, e allo stesso tempo, sensibilizzare le nuove generazioni sul valore dei tesori che ci circondano e sull’importanza di conoscerli, proteggerli e difenderli.
È proprio attraverso l’attività della Fondazione Enzo Hruby che ho avuto l’occasione di approfondire la conoscenza del mondo della musica classica. Questo è avvenuto sia in occasione di progetti  destinati alla protezione del patrimonio musicale italiano sia in occasione di eventi organizzati dalla nostra Fondazione, che hanno visto l’esibizione di giovani musicisti di talento. Nel 2016 ho dunque istituito insieme a mia moglie e ai miei figli l’Associazione Musica con le Ali, che svolge un’azione di Patronage Artistico unica nel suo genere in Italia e all’estero sostenendo i migliori giovani talenti italiani, e che parallelamente si propone di diffondere sempre più la conoscenza e l’ascolto della musica classica tra le nuove generazioni. Oggi, anche attraverso uno strumento così utile e innovativo come Radio MCA, portiamo avanti il nostro percorso verso nuove avventure e nuovi traguardi. Pensando sempre –  ad ogni progetto, ad ogni nuova iniziativa che ci sta a cuore e che vorremmo tentare – che quasi nulla è impossibile, bisogna sono iniziare. Ecco, forse questa è in sintesi la massima che mi ha più guidato da sempre».
Alessandro Taverna, neo direttore artistico del Festival Internazionale di Musica di Portogruaro:
-Prof. Taverna, abbiamo assistito ad una serata speciale, prestigiosa e densa di significati. Un ottimo biglietto da visita per il nuovo corso del Festival che lei ha iniziato a curare quest’anno.
«Si, per celebrare al livello più alto gli anniversari legati alla nostra Storia (75° anniversario della Repubblica, 100° del Milite Ignoto e 160° dell’Unità d’Italia) abbiamo fortemente desiderato nel Festival la presenza di una compagine di indiscusso prestigio musicale internazionale e che nello stesso tempo incarna al massimo grado i valori della nostra Repubblica. Sono sicuro che per tutti quelli che vi hanno assistito, il concerto di sabato 4 settembre resterà come un ricordo indelebile: una serata magica, e il merito va anzitutto al maestro Massimo Martinelli e a tutti i professori della Banda dell’Arma dei Carabinieri, che con grande maestria ci hanno regalato una lettura memorabile di alcuni dei più celebri capolavori della storia della musica. Un grazie particolare alla Fondazione Enzo Hruby per aver permesso che il nostro desiderio diventasse realtà».
Chiudo questo mio reportage con la citazione completa di Platone, che avevo usato parzialmente per commentare la musica di Piazzolla: “la musica è una legge morale. Essa dà un’anima all’universo, le ali al pensiero, uno slancio all’immaginazione, un fascino alla tristezza, un impulso alla gaiezza, e la vita a tutte le cose”.

Marina Tuni

A Proposito di Jazz desidera ringraziare: l’Arma dei Carabinieri, lo Studio Sandrinelli, ufficio stampa e comunicazione del Festival di Musica di Portogruaro (dott.ssa Clara Giangaspero) e il fotografo Andrea Pavan per la gentile concessione delle immagini, la dott.ssa Simona Nistri, Responsabile Relazioni Esterne Fondazione Hruby/Musica con le Ali

Addio a Claude Bolling – Fu tra i primi a coniugare jazz e classica

Questo terrificante 2020 si è chiuso col botto, ma non quello di Capodanno bensì con la triste notizia giunta da Parigi. La scomparsa di Claude Bolling, eclettico e geniale artista ben noto anche al pubblico italiano. Al riguardo pubblichiamo un contributo del nostro corrispondente da Parigi, Didier Pennequin.

Pianista, compositore/arrangiatore e direttore d’orchestra, Claude Bolling se n’è andato il 29 dicembre scorso come a chiudere questo terribile anno, all’età di 90 anni all’ospedale di Saint-Claude nella regione parigina. Personalità eclettica, aveva un senso geniale della musica.

Se la storia della colonna sonora originale di film gli deve in particolar modo la musica dei due “Borsalino” (con Alain Delon e Jean-Paul Belmondo), “Le magnifique”, “Flic story” o ancora “Les brigades du Tigre” è grazie al jazz che Bolling – nativo di Cannes nel 1930 – è annoverato tra l’élite dei musicisti francesi.

In effetti, dalla fine degli anni ’40, il pianista – che venerava Duke Ellington, al punto che un altro poliedrico e celebre personaggio quale Boris Vian l’aveva soprannominato “Bollington” – collabora con jazzisti americani di passaggio a Parigi come Lionel Hampton, Roy Eldridge, Cat Anderson, Paul Gonsalves e la cantante Carmen McRae. E proprio grazie a queste frequentazioni partecipa a numerose sedute di registrazione.

Il suo stile pianistico, formatosi sotto l’influenza di Maestri quali Earl Hines, Fats Waller, Art Tatum e soprattutto del già nominato Duke Ellington, di cui fu un reale discepolo, fu uno dei suoi migliori atout per questi incontri e per l’allargamento dei suoi orizzonti non solo musicali.

Nel 1955 forma la sua prima Big Band, che si è esibita fino a questi ultimi anni e che è stata una sorta di incubatrice per molti jazzisti francesi, tra cui Claude Tissendier (alto-sax/clarinetto) e André Villéger (tenor-sax e clarinetto).

Oltre alle musiche da film (più di un centinaio) e per serie televisive (più di una quarantina) Bolling ha collaborato anche con personalità della canzone francese quali Juliette Gréco, Henri Salvador o ancora Brigitte Bardot, ed è stato l’ispiratore, nonché supervisore, di un quartetto di sole donne molto in voga negli anni ’60, “Les Parisiennes”.

Nella sua straordinaria carriera non ha trascurato la musica colta riuscendo a coniugare jazz e musica classica, in particolar modo con il flautista Jean-Pierre Rampal: straordinaria, al riguardo, la “Suite pour flûte et piano jazz”, classificata dalla rivista americana Billboard per ben 530 settimane, vale a dire 10 anni di seguito.

Insignito della Legion d’Onore nel 2010, tanto per non farsi mancare alcunché, Claude Bolling è stato anche un grande specialista del ragtime di cui era un vero appassionato.

Didier Pennequin

La Banda dei Carabinieri a Roma con Paolo Fresu e Caroline Campbell: le affascinanti contaminazioni sinestetiche della musica

L’arte e le emozioni rappresentano un connubio inscindibile e potrebbe sembrare quasi un’ovvietà dire che, tra tutte le arti, la musica è forse quella che più riesce ad indurre ciò che Aristotele definiva gli “accadimenti dell’anima”.
Di qualunque genere le emozioni siano, nella paletta di colori della musica non ne manca nessuna!

Certo, la musica mette in moto la Mnemosine (figura della mitologia greca, madre delle Muse e personificazione della memoria) che è in noi ed accende i nostri ricordi, evocatori primari di emozioni, ma non sempre.
Accade, a volte, che ciò avvenga per una sorta di misteriosa, quanto affascinante contaminazione sinestetica, che si compone sullo spartito della nostra psiche.

Lunedì 27 maggio 2019, nello splendido e neo-rinascimentale Teatro dell’Opera di Roma, in occasione del concerto che la Banda Musicale dell’Arma dei Carabinieri, diretta con la consueta, energica verve dal M° Massimo Martinelli, le emozioni sono giunte da più fronti. Quando parlo di contaminazioni sinestetiche, infatti, non mi riferisco soltanto a quelle di genere, avendo il repertorio spaziato dalla classica, al jazz, dalle marce militari alle colonne sonore da film, dal pop (si, avete letto bene!) alla musica tradizionale sarda, grazie anche ai contributi di due musicisti di vaglia quali la violinista americana Caroline Campbell e il “nostro” – ma di levatura altrettanto internazionale – trombettista Paolo Fresu; ciò di cui desidero rendervi partecipi è il mio percepire le emozioni della serata attraverso impulsi sensoriali inusuali, propri della sinestesia, come vedere il suono, sentire i suoi colori, assaporare l’emozione estetica delle forme…

Kandinsky, nel 1911, presenziò a Monaco ad un concerto di Arnold Schönberg, tra i padri della musica del Novecento. Il “Quartetto per archi op.10” e i “Klavierstücke op.11” divennero, il giorno dopo, un quadro: “Impressione III” o “Konzert”. Kandinsky aveva visto la musica, trasformandola in colore.

La ricchezza dei colori sinfonici di Rossini apre, dunque, la serata, presentata con eleganza dalla giornalista e conduttrice Rai Barbara Capponi, con l’esecuzione della Sinfonia dell’Otello, opera che il compositore amava più di ogni altra. Un bel duello a colpi di virtuosismo, dei legni soprattutto, che hanno sfoderato un gran carattere timbrico e ritmico; la musica rossiniana è un turbinio di rosso, il colore della passione, il cui eccesso sfocia ineluttabilmente nella gelosia, e che si fonde con quello dei pennacchi e delle strisce delle uniformi degli strumentisti e dei tanti carabinieri presenti in sala.

Purtroppo ancora oggi, quando si parla di “banda”, il pensiero corre immediatamente ad una musica che sta a metà strada tra le melodie popolari e le marcette militari. Ma la verità è molto più complessa, più articolata… e non sempre facile da decifrare. Per non parlare di quanto le bande siano state determinanti per la nascita e lo sviluppo del jazz!
Identica importanza rivestono le bande militari, che nel nostro Paese godono di un grande prestigio per aver mantenuto, nel tempo, un eccelso livello artistico. In particolare la Banda dell’Arma dei Carabinieri si è fatta apprezzare in tutto il mondo con svariate esibizioni e tournée, la prima nel 1916 a Parigi.
Attualmente è composta da 102 elementi, secondo i dettami della riforma varata nel 1901 dal maestro Alessandro Vessella, il quale prevedeva tre differenti organici a seconda che si trattasse di piccola banda (35 esecutori), media banda (54 esecutori) e grande banda (per l’appunto 102 esecutori). A dirigerla, dal 2000, è il Maestro Massimo Martinelli al quale va dato atto di saper imbastire un programma variegato ed interessante e di invitare, di volta in volta, degli ospiti di assoluto livello internazionale.

Tornando alla serata romana, lo stretto rapporto tra immagini e suoni ritorna con il medley dedicato al genio del M° Nino Rota, del quale ricorre il quarantennale della scomparsa, il cui talento ha dato vita a capolavori sempervirens e ad un vero e proprio genere, non catalogabile banalmente come “musica da film”. Nella mente, grazie al magico potere evocativo e di suggestione della musica, si affacciano a forti tinte le gelsomine, i clown, le angeliche, le saraghine, le gradische, le cabirie e tante altre figure create dai grandi Maestri del cinema italiano e mondiale.

La prima ospite internazionale, la violinista americana Caroline Campbell, irrompe sulla scena di rosso vestita e con la sua fisicità scultorea. Dotata, oltre che di straordinaria tecnica e squisita sensibilità, anche di una completa padronanza scenica, la Campbell si è fatta conoscere soprattutto come primo violino del Sonus Quartet, un quartetto d’archi costituito a Los Angeles nel 2003. Se non l’avete mai ascoltata, come primo approccio vi consiglio un inizio soft ma molto intenso: “Oblivion”, stupendo brano di Astor Piazzolla, in duetto con il trombettista Chris Botti. Nell’esiguo spazio del proscenio, concessole dalla mastodontica presenza dell’orchestra che riempie tutto il palcoscenico, la Campbell propone “America” di Leonard Bernstein, da “West Side Story”. L’intro è affidata al suo violino, e sono subito fuochi d’artificio multicolori!
Coinvolgenti, come sempre, i ritmi frammentati, d’ispirazione stravinskijana e intrigante l’hand clapping di parte dei musicisti.

Quanto a Paolo Fresu, credo che per i lettori di “A proposito di Jazz”, come si diceva una volta, “basta la parola!”. Eppure, nella mia particolare lettura pluri-sensoriale della serata, mi sento di dire che Paolo è riuscito a trasportarci, con la sensibilità che gli è propria, in un emozionante sorvolo sulla sua Sardegna, terra dai sorprendenti contrasti cromatici che vanno dalle gradazioni di azzurro del cielo e del mare a quelle del verde della macchia mediterranea, con gli ocra delle rocce a fare da sfondo. Bastava chiudere gli occhi e attraverso la musica si sentiva anche il profumo degli oleandri.

In “Sardinia Incanto”, arrangiata dal M. Martinelli, le anime dell’orchestra – più classica – e quella di Paolo – più jazz – si sono amalgamate in una sequenza di brani della tradizione popolare: “Deus ti salvet Maria” (più celebre come Ave Maria sarda), “Ballo sardo” e la toccante “A Diosa” (No Potho Reposare). Fresu termina l’esecuzione con il suo flicorno che emette una nota prolungata, una corona… un suono meccanico e ipnotico al contempo. Poesia jazz per cuori curiosi (calza alla perfezione il titolo del recente libro di Paolo!)

Dalla Sardegna alle cascate dell’Iguazù ci si arriva in un attimo, in una piovosa serata romana!
Per “Gabriel’s Oboe” di Morricone, la main track del film “Mission”, ritorna sul palco la bionda violinista statunitense, che duetta con Francesco Loppi, 1° oboe della Banda dei Carabinieri. Performance impeccabile, come lo stile della Campbell, la sua intonazione e l’abilità negli incroci di corde con il suo strumento.

E’ di nuovo la volta di Fresu con un suo classico: “Fellini”, arrangiato per banda (e non so quanto sia stato facile)… eseguito in versione ballad, dolce, onirica. Il brano ha come sottotitolo “Elogio alla lentezza” e ascoltandolo comprendiamo che abbiamo bisogno anche del silenzio per apprezzare di più la musica, e di lentezza per riappropriarci del nostro tempo. Suggerimenti poetici.
Il sogno non finisce qui. Nel teatro spunta la luna, l’astro più celebrato dai poeti, la musa, per definizione, degli innamorati. Con “Moonlights”, una compilation dedicata al simbolo del romanticismo ma anche ai 50 anni dal primo sbarco dell’uomo sulla luna, con la Banda, il suo 1° Trombone tenore, Massimo Panico, il 2° Sax Baritono, Alessio Porcello, la Campbell e Fresu  ascoltiamo in successione: “Moonlight Serenade” di Glenn Miller, “Blue Moon” di Rodgers e Hart, “Tintarella di Luna”, portata al successo nel 1959 da Mina, l’incantevole “Moon River” di Mercer e Mancini, dal film “Colazione da Tiffany” e, dulcis in  fundo, la magnificamente ricca di significato e di metafore “La settima luna” di Lucio Dalla. Il teatro non è più un luogo ma un altrove opalino… sospeso tra la luna e il tempo.

Il tempo è ora quello della Csárdás, celeberrimo brano di Vittorio Monti, che inizia con un mood struggente e prosegue in un crescendo rapsodico di grande tensione emotiva, dove la talentuosa Campbell avrebbe potuto farci saltare sulle poltrone per il suo virtuosismo; invece l’ha “solo” suonata bene, con grande pulizia ma senza quelle ardite digressioni che fanno la differenza e che lei, peraltro, sarebbe stata in grado di eseguire. Colore associato? Kandinsky l’avrebbe inserita nella sua opera sperimentale “Der Gelbe Klang”, il suono giallo!
Prima della chiusura con “La Fedelissima”, ovvero la marcia d’ordinanza dell’Arma dei Carabinieri, scritta nel 1929 dal maestro Luigi Cirenei, cui è seguito il sempre emozionante inno di Mameli, intonato da tutto il pubblico in piedi a celebrare l’omaggio alla Repubblica… ma anche alla bella musica offertaci dal maestro Martinelli e dalla sua Banda, è salito sul palco il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, il Gen. di C.A. Giovanni Nistri.

Il massimo vertice dell’Istituzione, con il suo solito forbito e brillante eloquio, ha ringraziato le varie Autorità militari e civili presenti, un vero e proprio parterre de roi, congratulandosi con i musicisti e, soprattutto, richiamando alla memoria i valori dei Carabinieri ed il loro ruolo, citando momenti tristi, come il sacrificio dei tanti uomini caduti nell’espletamento delle proprie funzioni, e quelli felici. Tra questi, il salvataggio dei 51 studenti della scuola media di Crema, tenuti in ostaggio su uno scuolabus dirottato e incendiato e le parole del Presidente Mattarella, che nel suo discorso di fine anno ha ricordato l’anziana signora che la notte di Capodanno ha chiamato i carabinieri, presenza capillare e amica, per lenire la sua solitudine.

Come bis, una musica che è entrata nel cuore di tutti, il tema di “Nuovo Cinema Paradiso” di Ennio Morricone. Il bianco, che racchiude in se l’intera gamma delle frequenze cromatiche, è il colore perfetto, il colore della fiducia e dei sentimenti nobili.

Se siete arrivati fino a qui, leggendo il racconto di una giornalista “sinesteta” in balia di flussi sensoriali mutevoli, sperando non vogliate bollare questa esperienza come una sorta di antropoformismo musicale, sappiate che i confini della sinestesia si fanno sempre più ampi e che le emozioni più profonde e viscerali e gli accadimenti dell’anima più intensi vengono percepiti attraverso l’ascolto; tanto da farne materia di studi scientifici che hanno permesso di sviluppare tecnologie che consentono ai non vedenti di “guardare” un’opera d’arte associando i suoni ai colori, per rendere visibile l’invisibile.

Marina Tuni

A Proposito di Jazz ringrazia il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Generale di Corpo d’Armata Giovanni Nistri, il Maestro Direttore della Banda, Colonnello Massimo Martinelli, l’Ufficio Cerimoniale e l’Ufficio Stampa per la collaborazione.

Photo courtesy: Fototeca Ufficio Cerimoniale Arma dei Carabinieri

 

 

Swing Elite per il Capodanno jazz all’Elegance Cafè

Capodanno all’Elegance Cafè di Ostinese con gli Swing Elite, una combo che intratterrà il pubblico dalla metà cena al nuovo anno con un repertorio swing Anni ’20-’30 e colonne sonore dei musical, e da mezzanotte in poi divertimento a tutto funk e swing.
Anna Maria di Marco, che guida la formazione, insegna tecnica vocale e repertorio pop al conservatorio “Licinio Refice” di Frosinone, vocalist eclettica, in grado di affrontare diversi repertori (jazz, soul e musica leggera), compreso quello lirico e barocco. La perfetta conoscenza dell’inglese e dello spagnolo le permettono di cantare in questi due idiomi come una madrelingua. L’aspetto fonetico della lingua inglese è, inoltre, uno dei principali punti del suo programma didattico. Per il Capodanno dell’Elegance Cafè il programma includerà un vasto repertorio che abbraccia brani pop, rock e R&B degli Anni ’60 come Beatles, Elvis Presley o BB King, i classici della canzone americana come Frank Sinatra, Fred Astaire o Burt Bacharach, ma anche momenti disco, soul e pop degli anni ’70 e ’80 come Bee Gees, Gloria Gaynor o Barry White.
Sul palco Stefano Caturelli (piano,tastiere), Giancarlo Civiletti (basso), Angelo Chiodi (batteria), Claudio Topani (voce) e Anna Maria Di Marco (voce).

Lunedì 31 dicembre
ore 20
Elegance Cafè Jazz Club
Via Francesco Carletti, 5 – Roma
Euro 165 (cena e concerto)
Infoline +390657284458

New Year Jazz Combo

Due grandi voci jazz della Capitale, quelle di Valeria Rinaldi e Pierluca Buonfrate, si esibiranno sul palco dell’Elegance Cafè jazz club nella notte di Capodanno, accompagnate da una band di grande talento che vedrà sul palco anche Luca Filastro, uno dei più giovani talenti del piano jazz contemporaneo. Tutto questo è il New Year Jazz Combo, con un repertorio che spazierà dalle melodie del jazz tradizionale degli Anni ’20 e ’30, alle celebri composizioni dei musical, per trascorrere una sera di divertimento accompagnati da ottima musica. Lo spettacolo sarà accompagnato con le prelibatezze scelte dallo chef Gabriele Cordaro, unite al mixology bar del maestro Anton Khella.
Sul palco Valeria Rinaldi (voce), Pierluca Buonfrate (voce), Luca Filastro (piano), Giuseppe Ricciardo (sax), Vincenzo Florio (contrabbasso) e Emanuele Zappia (batteria).

Sabato 23 dicembre
Ore 22.30
Elegance Cafè Jazz Club
Via Francesco Carletti, 5 – Roma
Euro 165 (concerto e cenone)
Infoline 0657284458