Roma: l’International Jazz Day a Monte Mario – Il jazz quale fattore di aggregazione

Molti sono stati i modi di festeggiare l’International Jazz Day, con grandi e piccole iniziative. Ci piace dare informazioni su “Musica, parole e immagini in jazz”, manifestazione a cura del batterista Ivano Nardi in collaborazione con l’Associazione Laboratorio Stabile, che si è tenuta il 28 aprile scorso, a Roma nel quartiere Monte Mario, presso l’auditorium dell’Istituto Comprensivo “P. Stefanelli”, sede di via Taverna. Siamo, quindi, in una scuola dove – oltre alle consuete ed indispensabili attività didattiche – un’associazione sta realizzando corsi di musica e rassegne, aprendosi ai cittadini e fornendo un servizio culturale che, spesso, sul territorio è limitato se non inesistente.

In questa occasione speciale – dalle 17 alle 20 circa – si sono alternati suoni e discorsi, immagini e suggestioni in una variata alternanza di stili, soggetti, riferimenti a quella musica di matrice afroamericana che è diventata ormai una patrimonio “immateriale” dell’umanità, riconosciuto dall’UNESCO nel novembre 2011, con la proclamazione del 30 aprile come Giornata Internazionale del Jazz. Di questa musica è stata valorizzata proprio la capacità di connettere culture e creare incontro, di unire persone e popoli in un messaggio di fratellanza. Di ciò ed altro ha parlato il promotore Ivano Nardi, sottolineando l’importanza di portare la cultura fuori dai “salotti buoni” e di impegnarsi perché ci siano occasioni di conoscenza in un quartiere che ha le sue problematiche e in una situazione storica in cui chi governa va nella direzione opposta all’accoglienza e all’intercultura. Spesso, ha sottolineato il batterista-organizzatore, le istituzioni sono assenti ed allora emerge il valore di autogestirsi, con le mille questioni aperte del jazz nel suo rapporto con il sociale, con il mercato, con la critica musicale. “Musica, parole e immagini”, dunque, come forma di integrazione e miglioramento delle condizioni sociali.

Sono intervenuti vari musicisti e operatori che è giusto ricordare per la loro presenza disinteressata: il Cermic Duo con Francesco Mazzeo e Lillo Quaratino; il quartetto con Lucia Ianniello, Marco Tocilj, Paolo Tombolesi e lo stesso Nardi; l’altro duo R-Esistenza Jazz con Giulia Salsone e Mauro Nota; l’Ivano Nardi Trio (Eugenio Colombo, Igor Legari) con ospiti Sandro Satta e Marco Colonna; la scrittrice e regista Carola De Scipio che ha mostrato in anteprima immagini dal suo lavoro “Music In, Music Out” dedicato al famoso jazz club romano Music Inn; il duo di Donatella Luttazzi (che ha presentato una nuova composizione dedicata al padre, Lelio) ed un sestetto con la Luttazzi, Sonia Cannizzo, M.Tocilj, P.Tombolesi, Daniele Basirico e Carlo Battisti; l’Esacordo Big Band diretta da Giuseppe Salerno che è espressione di una realtà didattica di quartiere. Un paio delle formazioni erano intitolate e ricordavano la figura di Massimo Urbani, uno dei più grandi jazzisti italiani che è importante rammentare e celebrare a Monte Mario dove è nato e vissuto.

Tra le proposte, tutte di valore, di particolare interesse è stata “Musica e progresso sociale: Horace Tapscott’s Dream. Proeizione e filmato e brani della Pan-Afrikan Peoples Arkestra” di Lucia Ianniello che ha condotto importanti ricerche sulla figura del pianista e compositore di Los Angeles. Tapescott ha volutamente rinunciato ad una carriera internazionale per dedicarsi al suo quartiere e alla creazione di strutture e condizioni che potessero aiutare i suoi abitanti a crescere nella musica e nella speranza. Con varie testimonianze (tra cui quella del batterista Billy Higgins) l’intervento curato da Lucia Ianniello ha fatto vedere come l’utopia di Horace Tapscott si sia trasformata in una realtà anche oltre la sua morte, lasciando al quartiere di Watts una ricca realtà sonora e associativa, proprio quello di cui molte periferie romane – oggi schierate sul fronte del razzismo, del rifiuto e della violenza – avrebbero bisogno.

 

Luigi Onori

Alla riscoperta del Music Inn

 

E’ stato da poco pubblicato su facebook (https://www.facebook.com/carola.descipio;https://www.facebook.com/robcosmo) e youtube  (https://www.youtube.com/watch?v=VZSqNsyIqIc) un breve filmato di grande interesse: dal Vivo al Music Inn – Trailer. Poco meno di un minuto in cui – su un serrato assolo di batteria – si susseguono in modo incalzante i volti di una serie di testimoni “speciali” della vita di uno dei più celebri jazz club europei, quello sito a Roma in Largo dei Fiorentini, animato da Pepito e Pichi Pignatelli.

Il trailer è tratto da un lungometraggio (durata non inferiore all’ora) attualmente in corso di montaggio. Cinquanta sono stati gli intervistati al di qua ed al di là dell’Oceano Atlantico: musicisti soprattutto, ma anche giornalisti e registi. Autori del documentario sono Carola De Scipio (regista) e Roberto Carotenuto (direttore della fotografia): la prima è nota soprattutto per il bel volume dedicato a Massimo Urbani “L’avanguardia è nei sentimenti” (prima edizione nel 1999, ripubblicato nel 2014 da Arcana editrice)  ma ha anche realizzato un apprezzato film a fumetti nel 2012, “Moloch”, sempre a soggetto jazzistico; Carotenuto è fotografo e filmaker. I due costituiscono un’affiatata coppia di lavoro.

Il proposito è quello di ricostruire l’atmosfera – “magica e folle” come ha  affermato la De Scipio – del Music Inn, locale che ha ospitato e fatto crescere più generazioni di jazzisti italiani, in un processo ed in una dimensione analoga con quanto accaduto al newyorkese Village Vanguard, ancora oggi operativo sotto la guida di Maxine Gordon e di sua nipote. Il romano Music Inn, fondato dal “principe batterista” Pepito Pignatelli, ha avuto una storia più breve quanto significativa e di un ventennio (1973-1993) parlerà il documentario lumeggiato dal trailer.

Chi sta producendo, con coraggio e lungimiranza, il lavoro di Carola De Scipio e Roberto Carotenuto è l’Associazione Jazz Mobile del sassofonista e compositore torinese Alfredo Ponissi: la stessa che ha prodotto il citato “Moloch” (Ponissi vi ha direttamente collaborato) il quale è arrivato finalista al “RFF Rome Indipendent Film Festival”, unico lavoro italiano tra i primi dieci nella sezione “cinema di animazione”.

Non resta che avere un po’ di pazienza per immergersi di nuovo (grazie al documentario) nell’atmosfera “magica e folle” del Music Inn, in una “palestra di vita e di musica” che ha allenato tantissimi jazzisti di valore, da Antonello Salis ad Enrico Pieranunzi.

Massimo Urbani rivive a Monte Mario

Per la seconda volta il quartiere di Monte Mario ha ospitato un festival jazz dedicato a Massimo Urbani, che tra piazza Guadalupe e S.Maria della Pietà è precocemente cresciuto. Si tratta di una “vittoria” per gli organizzatori, l’Associazione Culturale Scuola di Musica L’Esacordo, animata da Giuseppe Salerno, più una serie di artisti legati alla figura di “Max”: il fratello sassofonista Maurizio, il percussionista ed amico Ivano Nardi, lo zio Luciano Urbani, fotografo e batterista, il “maestro” Tony Formichella. Come nella precedente edizione, “Il Jazz di Monte Mario” ha avuto l’appoggio del XIV municipio, spostandosi però dalla centrale piazza Guadalupe in via Cesare Castiglioni, dove c’è una vasta area più adatta per vari motivi logistici.
Qui dal 9 all’11 settembre si è tenuta la manifestazione che, nonostante qualche temporale, è riuscita ad offrire iniziative e concerti, coinvolgendo un buon numero di spettatori. C’è stato spazio, infatti, per i gruppi nati all’interno della scuola di musica (Esacordo Percussions, Esacordo Jazz Ensemble), per una mostra fotografica (con scatti noti o inediti del grande sassofonista, una microstoria del jazz italiano dagli anni ’70 ai ’90), per l’animazione dedicata ai bambini, per la proiezione di filmati (tra cui il documentario “Massimo Urbani nella fabbrica abbandonata” di Paolo Colangeli) e la presentazione di due libri. Il primo è la riedizione de “L’avanguardia è nei sentimenti “ di Carola De Scipio (edizioni Arcana), uscita nel 2014 con sostanziosi arricchimenti sia nelle interviste che negli apparati (come una preziosa discografia con rimandi a YouTube). Il secondo testo è, invece, “Go Max Go” di Paola Musa (Arkadia) edito nel febbraio 2016: definito “romanzo musicale”, è in realtà una riuscita sceneggiatura della vita di Urbani, fitta di dialoghi, ricca di “quadri” storici, scritta con stile e profondità sulla base delle testimonianze dirette di tanti musicisti. Alle presentazioni sono intervenuti vari jazzisti tra cui Eugenio Colombo, Maurizio Urbani e Ivano Nardi.
Molti gli artisti ed i gruppi che hanno partecipato a ”Il Jazz di Monte Mario” ma non c’è stata la possibilità di seguirli tutti. È il caso quantomeno di citarli, dato che la loro presenza è stata spesso contrassegnata da legami affettivi e sonori con l’indimenticabile “Max”: Tears Trio (Giuseppe Sorrentino, Stefano Napoli, Sasà De Seta), duo Donatella Luttazzi / Riccardo Biseo, Trio Fuorimisura (Alessandro Salis, Francesco Mazzeo, Alessandro Gwis), Antonio Faraò trio (con Dario Rosciglione e Roberto Pistolesi), Maurizio Urbani Septet “I remember Max” (oltre al leader, Mauro Verrone, Claudio Corvini, Mario Corvini, Ettore Gentile, Massimo Moriconi, Giampaolo Ascolese), Roberto Gatto trio “Mr. Jones” (con Carlo Conti e Francesco Puglisi). (47)
Pieno di pathos, imprevedibile nei suoi svolgimenti, avventuroso e rischioso come la musica di Massimo Urbani il set dell’Ivano Nardi Trio + 2: il percussionista-batterista con Eugenio Colombo (sax soprano e flauto basso), Roberto Bellatalla (contrabbasso), Carola De Scipio e Cristina Di Patrizio (letture e voce). Seppur limitato nel tempo (a causa dei ritardi dovuti alla pioggia), il concerto si è snodato in un unico flusso sonoro, costruito dai cinque artisti con un interplay empatetico che ha fuso le differenti individualità. Eugenio Colombo ha utilizzato il soprano in un’impressionante varietà di timbri e registri, da un suono pieno e tagliente (evocante, a tratti, Steve Lacy) ad uno nasale simile all’oboe, dall’andamento del fraseggio danzante e sciamanico all’effetto ipnotico del fiato continuo. Il flauto basso è stato, altresì, usato per note vellutate come per bordoni ottenuti utilizzando lo strumento a mo’ di didgeridoo. Bellatalla ha sfoggiato l’attenta sensibilità di un autentico “militante” del free, a lungo coltivata nei gruppi Viva-La-Black di Louis Moholo ed in mille altre esperienze. Il contrabbasso nelle sue mani è diventato violoncello, si è disteso nei suoni gravi o acuti prodotti con l’arco, ha viaggiato in un pizzicato saturo di swing. Di Ivano Nardi si conosce l’arte percussiva “poetica”, il suo lavoro di sottrazione e di enfasi, la capacità di dare spessore emotivo ad ogni intervento sullo strumento. Carola De Scipio ha estratto brevi frammenti dalle testimonianze su “Max”, privilegiando i primi anni della carriera, il senso dell’ironia, la particolare concezione dello spazio-tempo; Cristina Di Patrizio ha letto-recitato-cantato una poesia di David S.Ware intrisa di spiritualità. La messa a fuoco dei singoli performer non rende quanto espresso nel recital, nato dall’intreccio e dal dialogo che l’Ivano Nardi Trio + 2 ha creato, in un clima di dolente e misteriosa attesa, di forte tensione, di rapimento narrativo.
Il trio del chitarrista (e didatta) Matteo Brandani ha visto al basso Antonio Rubino ed alla batteria Simone Quarantini. Funky, rock-blues, jazz elettrico sono emersi nel linguaggio della formazione, dal suono “aggressivo” e personale mentre il leader – diplomato in jazz a S.Cecilia, con esperienze formative e concertistiche negli Usa – ha mostrato un fraseggio non derivativo ispirato a John Scofield.
Molto applaudito il Formichella / Arduini quintet (con l’originale Enzo Pecchenedda alla chitarra, il propulsivo Mauro Nota al contrabbasso e l’energico Lucio Turco alla batteria), dato che Tony Formichella è solista e compositore di qualità – oltreché da decenni una presenza carismatica a Monte Mario e nella scena romana – e Stefano Arduini uno degli apprezzati docenti di sassofono dell’Esacordo (insieme a Mauro Massei). Nel loro set si sono ascoltate composizioni di Formichella (come la ballad “You and Me”) e standard quali “All the Things You Are”, giocate sull’alternanza/compresenza dei sax tenori dei due leader, aromatizzate dall’accompagnamento e dagli interventi solistici di Pecchenedda. (altro…)

Jazz Club Ferrara – venerdì 18 aprile con “Somethin’else” cucina romana, letture e il jazz del Carlo Atti 4et per uno speciale omaggio a Massimo Urbani

Venerdì 18 aprile (a partire dalle ore 20.00) il Jazz Club Ferrara dedica l’ultimo appuntamento firmato Somethin’Else alla figura di Massimo Urbani, sassofonista romano unanimemente considerato uno dei massimi interpreti della storia del jazz a cui è stato dedicato l’omonimo premio internazionale giunto quest’anno alla diciottesima edizione.
Grandi classici della tavola capitolina come bucatini all’amatriciana e coda alla vaccinara saranno conditi dal travolgente swing del sax di Carlo Atti alternato alla lettura di alcuni passi del saggio “L’avanguardia è nei sentimenti – Vita e musica di Massimo Urbani” a cura dell’autrice Carola De Scipio.
Il repertorio affrontato da Atti, affiancato per l’occasione da Emanuele Tondo al pianoforte, Marco Palmieri al contrabbasso e Lorenzo Bonucci alla batteria, verterà su composizioni originali dello stesso Urbani e da brani che amava particolarmente eseguire.

È consigliata la prenotazione della cena al 333 5077079 (dalle 15.30). Ingresso a offerta libera riservato ai soci Endas.

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IVANO NARDI: UN PROFILO DISCOGRAFICO

Nardi 1

Batterista, performer, compositore, didatta… in alcuni casi organizzatore visionario e generoso (le iniziative nel quartiere romano di Monte Mario dello scorso anno, dal “MoMa” ai “Venerdì del jazz”). Ivano Nardi è un personaggio e un musicista “underground” che non vuol dire “nascosto”. I jazzisti romani ed una certa area di quelli nazionali ben conoscono il suo drumming personale e passionale, tagliente, rumoristico, a tratti “teatrale” ma con un preciso senso del tempo e della quadratura. La ricercatezza dei timbri del suo set, la forza – a tratti la violenza – espressiva del suo approccio ne fanno un batterista paragonabile a Tony Oxley, Milford Graves, Sunny Murray. Da sempre attivo nel sociale, ha al suo attivo – a partire dagli anni ’70 – collaborazioni con Mario Schiano, Evan Parker, Steve Lacy, i Cadmo di Antonello Salis, Don Cherry e Lester Bowie. Moltissimi i jazzisti italiani con cui ha lavorato, dal fraterno amico Massimo Urbani a Larry Nocella, da Sandro Satta a Maurizio Giammarco.

Da alcuni anni ha il suo quartetto Open Door, il duo con Marco Colonna ed intreccia le sue bacchette con le ance di Eugenio Colombo, la tromba di Angelo Olivieri, il trombone di Giancarlo Schiaffini, il piano di Gianni Lenoci, il vibrafono di Francesco Lo Cascio ed il contrabbasso di Silvia Bolognesi, collocandosi in una precisa area dell’avanguardia jazzistica di derivazione free e post-free (lo si può ascoltare anche nel bel disco-progetto dedicato a Mario Schiano, “If Not”, di un paio d’anni fa). A quest’artista, conosciuto meno dei suoi meriti musicali, da tempo “A proposito di Jazz” voleva dedicare un ritratto, realizzato ripercorrendo alcune delle ultime registrazioni del batterista, anch’esse dal carattere “underground”, spesso incise dal vivo.

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Massimo Urbani, una presenza vitale ancora oggi

massimourbaniAll’improvviso – forse – tra il 23 ed il 24 giugno di vent’anni fa moriva Massimo “Max” Urbani. Trentasei anni, una tecnica strumentale eccellente coniugata con un’ispirazione autentica ed esistenziale, l’altosassofonista era sulla scena del jazz italiano ed europeo da almeno più di due decenni. Ora in posizione centrale ora marginale – e il suo talento non fu valorizzato sempre come avrebbe dovuto – Max era comunque un punto di riferimento per una vasta cerchia di jazzisti e in pochi immaginavano la sua fine in un periodo migliore di altri: stava per diventare padre, una decina di giorni prima aveva suonato ad Orvieto, c’era un tour pronto in ottobre ed un gruppo di amici musicisti stava mettendo su un gruppo di fiati appositamente per lui. La dose di eroina che si iniettò nella sua casa nel quartiere Monte Mario, cui era profondamente legato, fu letale e a nulla servì il ricovero nel vicino ospedale S.Filippo.

A mantenere viva la memoria di Max ci ha pensato, negli anni e con lucida passione, l’”Associazione Massimo Urbani” (con Mauro Verrone e Paolo Tombolesi tra gli animatori). A ricostruire di recente la carriera e la musica di Massimo Urbani si sono adoperati Paolo Carradori su “Il Giornale della Musica” di giugno con un acuto articolo, Libero Farnè con un dossier di dieci pagine pubblicato (ancora in giugno) dal mensile “Musica Jazz” (con una ricca appendice on-line di interviste a vari jazzisti, più un Cd registrato in duo con Mike Melillo per la Philology nel 1987). Radiotre Suite Jazz (curata da Pino Saulo) presenta, dal canto suo, un Omaggio a Massimo Urbani (Roma, 8 maggio 1957 – Roma, 24 giugno 1993) nella sala A di via Asiago proprio il 24 giugno, a partire dalle ore 21. Parteciperanno Maurizio Urbani ‘Animali Urbani’ Quintet (Maurizio Urbani, sax tenore; Tiziano Ruggeri, tromba; Federico Laterza, pianoforte, tastiere; Luca Pirozzi, basso elettrico; Alessandro Marzi, batteria); duo Luigi Bonafede – Mauro Verrone (Luigi Bonafede, pianoforte; Mauro Verrone, sax contralto, sax soprano); trio Ivano Nardi-Eugenio Colombo-Marco Colonna (Ivano Nardi, batteria; Eugenio Colombo e Marco Colonna, ance); Rosario Giuliani Quartet (Rosario Giuliani, sax contralto; Roberto Tarenzi, pianoforte; Alex Boneham, contrabbasso; Marco Valeri, batteria). Sono previsti interventi dello storico del jazz Adriano Mazzoletti e di Carola De Scipio, autrice di un inteso libro testimoniale (“L’avanguardia è nei sentimenti. Vita, morte, musica di Massimo Urbani”, Stampa Alternativa / Nuovi Equilibri, 1999).

Vorrei, quindi, provare a ricordare Massimo Urbani in modo frammentario e disorganico, con delle citazioni e delle riflessioni che userò (ho usato) in “To Max with love (da un’idea di Ivano Nardi”; si tratta di una performance (21 giugno, ore 21, Museo Laboratorio della Mente a S.Maria della Pietà, Roma, nel cuore del quartiere in cui Max è nato e cresciuto) che vede (ha visto) le musiche di Nardi, Eugenio Colombo e Silvia Bolognesi interagire dal vivo con le immagini di Massimiliano Carboni e le parole di Carola De Scipio e di chi scrive.

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