In margine al Festival del Jazz

Il Sicilia Jazz Festival di Palermo, di cui vi abbiamo riferito, non è stato solo musica ma anche un’esplosione di creatività che ha investito soprattutto il settore immagini. Abbiamo, infatti, ammirato una bellissima installazione fotografica che ha impreziosito non poco le atmosfere della manifestazione.

In pieno centro, passeggiando attraverso il Vicolo Valguarnera, la Via Canta Vespri e le Piazze Croce dei Vespri e Teatro Santa Cecilia, costeggiando, in vario modo, Palazzo Gangi di Valguarnera, il Teatro Santa Cecilia e la Galleria d’Arte Moderna, se il nostro sguardo si rivolgeva verso il cielo, non si poteva fare a meno di ammirare qualcosa di straordinario: una sequenza aerea di immagini che racconta la storia di questi ultimi 20 anni del jazz a Palermo. Le immagini, su tela, sono esposte tra gli edifici del quartiere secolare di Palermo, come una tettoia di lenzuola sotto il sole e l’azione del vento. L’artificio urbano, così ideato, nelle intenzioni di progetto, diventava una componente dell’architettura urbana, connotando l’anima popolare dei quartieri siciliani e della stessa musica Jazz. Le immagini, in vario modo disposte, definivano così una sorta di copertura dello spazio urbano interessato.

Una delle zone dell’istallazione è stata interamente dedicata al jazz femminile con uno sguardo di solidarietà alla realtà Ucraina, tema particolarmente delicato in un momento in cui assistiamo ad una serie di distinguo del tutto incomprensibili a parere di chi scrive.

Il progetto è frutto di un lavoro di squadra, in primo luogo dell’architetto Laura Galvano (lavora all’assessorato regionale per il turismo sport e spettacolo) che ha immaginato il posizionamento così ardito e poi di Rosanna Minafò che ha consigliato artisti e ruoli e infine di Arturo Di Vita che grazie alla decennale collaborazione con la Fondazione ha accumulato un archivio fotografico veramente corposo con artisti di fama mondiale.

Ma come sono state scelte le immagini? “La scelta – ci risponde Arturo Di Vita, il responsabile degli “scatti” – oltre all’intensità dei volti e delle posture tiene conto dei cromatismi e delle proporzioni così da dare una visione d’insieme armonica. La tecnica fotografica per realizzare tutti i ritratti è quella dell’osservazione dell’artista durante la sua performance e non appena si presenta una micro espressione si scatta nel tentativo di catturare il vero e il profondo dell’artista e forse anche il suono (come molti dicono).

Le microespressioni facciali sono espressioni del volto di brevissima durata che possono fornire informazioni sulle emozioni di base, se associate ad altre risposte fisiologiche. Questa misurazione quantitativa rientra nella sfera di ciò che ascoltiamo – grazie alle neuroscienze applicate – a livello psicofisiologico. Insieme a sudorazione, movimenti oculari e altri segnali, possiamo indagare l’inconscio e le emozioni in relazione a diversi tipi di esperienza, siano essi legati a un prodotto, un servizio, o a un momento”.

Data la bellezza del tutto, ci permettiamo di lanciare un’idea: perché non rendere l’installazione permanente almeno fino a quando le piogge non consiglieranno diversamente?

Gerlando Gatto

Per dodici giorni Palermo capitale del jazz

Varie produzioni in esclusiva europea e prime assolute per un totale di ben 10 produzioni orchestrali, 6 Direttori d’Orchestra, 110 concerti dislocati in 4 luoghi diversi tra il Teatro di Verdura, il Real Teatro Santa Cecilia, il Complesso Santa Maria dello Spasimo e il Palazzo Chiaramonte, conosciuto come Steri, sede dell’Università cittadina: questa, in poche ma eloquenti cifre, la carta d’identità del Sicilia Jazz Festival che in dodici giorni (dal 24 giugno al 5 luglio) ha trasformato Palermo in una sorta di mecca del jazz.
La capitale della Sicilia è stata come invasa da un’ondata di musica che ha interessato migliaia e migliaia di spettatori che hanno ascoltato con interesse i tanti concerti proposti. Peccato che nessuno di noi possegga il dono dell’ubiquità in quanto, ad esempio, avrei assistito assai volentieri alle performances di Dino Rubino, Giacomo Tantillo, Giuseppe Milici…tanto per fare qualche nome.

Altra caratteristica del Festival: il ruolo dato all’ Orchestra Jazz Siciliana che ha avuto l’onore e l’onere di accompagnare alcuni dei grandi solisti presenti al Festival, e la possibilità fornita ai giovani musicisti dei conservatori siciliani di esibirsi finalmente in pubblico. Ed è proprio questa attenzione ai talenti locali che rende un Festival del Jazz degno di essere pensato, realizzato e sostenuto con fondi pubblici. In effetti il Festival, organizzato dalla Regione Siciliana – Assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo – con il coordinamento artistico affidato alla Fondazione The Brass Group, istituita con legge del 1° febbraio 2006, n. 5,  si avvale della preziosa collaborazione del Comune di Palermo, dell’Università di Palermo, delle produzioni originali del Brass Group e degli apporti dei Dipartimenti jazz dei Conservatori “Alessandro Scarlatti” di Palermo, “Arcangelo Corelli” di Messina, “Antonio Scontrino” di Trapani, “Arturo Toscanini” di Ribera e dell’Istituto superiore di studi di musica “Vincenzo Bellini” di Catania. L’obiettivo: come si accennava, coinvolgere in una concreta sinergia strutturale le istituzioni didattiche regionali, i musicisti del territorio e le maestranze locali.

Ma veniamo adesso al lato più strettamente musicale.

Per motivi di lavoro ho potuto assistere solo agli ultimi cinque concerti, tutti comunque di spessore e tutti svoltisi nel magnifico scenario del “Teatro di Verdura”

Ma procediamo con ordine. Il primo luglio è stata di scena la vocalist Dianne Reeves con il suo quintetto completato da John Beasley al piano, Romero Lubambo alla chitarra, Itaiguara Brandao al basso e Terreon Gully alla batteria. A parere di chi scrive, la Reeves è oggi una delle voci più interessanti, suggestive, personali del mondo del jazz e tutto ciò è stato ampiamente evidenziato anche durante il concerto palermitano. Ben supportata dal gruppo, la Reeves ha sciorinato un repertorio godibile dalla prima all’ultima nota in cui le parole lasciavano spesso campo libero a vocalizzi che richiamavano la grande tradizione del canto afro-americano. A conferma della versatilità di un’artista che oltre a vincere vari Grammy Awards (gli ultimi nel 2006, per la colonna sonora del film “Good night, and good luck” diretto da George Clooney, e nel 2015, per l’album “Beautiful life” dopo i precedenti quattro conquistati nel 2001, 2002, 2003 e 2006), in questo ultimo scorcio di tempo si è maggiormente concentrata, come si diceva, sul solco tracciato da voci leggendarie quali quelle di Billie Holiday, Ella Fitzgerald e, soprattutto, di Sarah Vaughan, cui tempo fa ha dedicato un intenso omaggio discografico. Tra le interpretazioni più convincenti le originali versioni di “Morning has broken” scritta da Cat Stevens e “Talk” di Pat Metheny. Insomma un concerto straordinario, sicuramente tra i migliori ascoltati a Palermo, che resterà sicuramente nel cuore e nella mente di chi, come il sottoscritto, ha avuto il piacere di parteciparvi.

Il giorno dopo grande attesa per il concerto di Ivan Lins con Jane Monheit e l’Orchestra Jazz Siciliana, diretta dal maestro Riina. Ora, fermo restando il piacere di aver riascoltato dopo un po’ di tempo Ivan Lins, devo confessare che sono rimato un po’ deluso dall’andamento del concerto. Ed il perché è presto detto: Ivan Lins ha scritto vagonate di musica e quindi mi sarei aspettato di ascoltarlo quasi totalmente in brani di sua composizione. Invece ci ha offerto versioni di brani già iper-noti come “Dindin”, “Insensatez”, “Garota de Ipanema”, “Check to check” che nulla tolgono ma nulla aggiungono alla statura di un artista che, come si diceva, si caratterizza per essere non solo un grande performer ma anche – e forse soprattutto – per le sue straordinarie capacità compositive. Ovviamente non sono mancate sue composizioni ma non abbastanza.

Bene Jane Monheit che ha messo in mostra una bella voce, ben intonata ed equilibrata, accompagnata da una sicura presenza scenica. Altro elemento positivo, il ruolo dato ad alcuni solisti dell’orchestra quali Gaetano Catiglia e Fabio Riina alle trombe, Francesco Marchese e Alex Faraci al sax tenore, Claudio Giambruno e Orazio Maugeri al sax alto, Salvo Pizzo al trombone, Elisa Zimbardo alla chitarra.

Durante l’esibizione di Ivan Lins un siparietto simpaticamente comico: mentre il cantante brasiliano intonava la sua “Ai, Ai, Ai, Ai, Ai” il maestro Riina scivolava senza alcuna conseguenza ma dando così corposa consistenza al titolo del pezzo.

Eccellente prova il 3 luglio della vocalist Simona Molinari accompagnata dall’Orchestra Jazz Siciliana, diretta dal maestro Vito Giordano. A mio avviso la Molinari matura di giorno in giorno in quanto riesce sempre meglio ad attare le sue notevolissime capacità vocali al repertorio che ha scelto di presentare. Un repertorio che sembra fatto apposta per accontentare sia il pubblico del jazz (con una serie di straordinari pezzi quali “Fly Me To The Moon”, “All Of Me”, “The Look Of Love”, “Summertime”) alternate con pezzi più vicini ai giorni d’oggi come “Fragile”. Ma intendiamoci: ciò nulla toglie alla cantante che anzi, come si accennava, evidenzia una versatilità che sicuramente le gioverà nel corso di una carriera già luminosa. Non a caso il suo concerto a Palermo è stato tra i più applauditi con numerose richieste di bis.

Il 4 luglio un mostro sacro del jazz, Christian Mc Bride; quando si parla di questo artista è difficile definirlo dal momento che si tratta di un grande virtuoso del contrabbasso, ma allo stesso tempo di un grande compositore, grande arrangiatore, eccellente didatta e, ciliegina sulla torta, direttore artistico del Newport Jazz Festival. Nato a Filadelfia il 31 maggio 1972, in soli 50 anni ha avuto una carriera davvero incredibile. E come i grandi artisti, fuori dal palco è una persona estremamente gentile e disponibile concedendomi una lunga intervista che pubblicherò nei prossimi giorni.

Venendo al concerto di Palermo, McBride ha evidenziato tutti gli aspetti della sua variegata personalità, suonando magnificamente il contrabbasso ma allo stesso tempo presentando alcune sue composizioni da lui stesso arrangiate per big band e dediche particolarmente sentite: è il caso di “Killer Joe” di Benny Golson, del sempre splendido “Spain” di Chick Corea, “Full House” di Wes Montgomery, “I Should Care” di Axel Stordahl, Paul Weston e Sammy Cahn mentre l’altro hit, “Come Rain or Come Shine” è stato interpretato con bella pertinenza dalla moglie di Christian, Melissa Walker. Quasi inutile sottolineare come la performance di McBride sia stata salutata con applausi a scena aperta da parte dal numeroso pubblico che, d’altro canto, non ha fatto mancare il proprio supporto ai numerosi solisti dell’orchestra che grazie agli arrangiamenti di McBride hanno avuto l’opportunità di mettersi in luce.

Gran finale il 5 luglio con Snarky Puppy ovvero la band del momento. Nato nel 2004 come progetto estemporaneo di un gruppo di studenti di un college del Texas, il collettivo statunitense che ruota attorno al perno costituito dal bassista, compositore e produttore Michael League (la formazione è variabile e a volte comprende anche alcune dozzine di musicisti) ha consolidato il percorso artistico non solo con dischi accolti assai bene da pubblico e critica, ma soprattutto attraverso un’attività live che sembra costituire la loro dimensione ideale. Dimensione che è stata pienamente confermata dal concerto palermitano in cui il gruppo si è presentato in nonetto. Ma questo appuntamento è risultato particolarmente interessante in quanto il gruppo ha presentato tutta musica nuova, una serie di brani che andranno a costituire il prossimo lavoro discografico. Come al solito la loro musica è risultata coinvolgente essendo il risultato di una ricerca che riesce a mescolare jazz, fusion, funk, prog e rhythm’n blues in una miscela con cui  hanno rapidamente scalato le classifiche discografiche di questi ultimi tre lustri, conquistando anche vari Grammy Awards.

Gerlando Gatto

Grandi voci…e non solo al Sicilia Jazz Festival

La Sicilia è terra di jazz non solo perché ha dato i natali a tanti musicisti di livello (alcuni dei quali hanno davvero scritto la storia del jazz italiano) ma anche perché ogni anno vi si svolgono manifestazioni di grande interesse.
Tra queste figura senza dubbio alcuno il “Sicilia Jazz Festival” che ha aperto i battenti con la sua nuova edizione ricca di grandi nomi e con progetti artistici inediti.
La manifestazione si svolgerà da oggi, venerdì 24 Giugno, al 5 Luglio nel cuore del centro storico di Palermo ed in alcuni dei più bei suggestivi siti monumentali, e sarà impreziosita da concerti tra big, musicisti residenti, Maestri e giovani talenti dei Conservatori siciliani. In tutto sono previsti 110 concerti al Teatro di Verdura, Real Teatro Santa Cecilia, Complesso Monumentale Santa Maria dello Spasimo e Steri. Peculiarità di quest’anno sarà la direzione dell’OJS, affidata per ogni concerto a Direttori diversi al Teatro di Verdura, il M° Gabriele Comeglio, il M° Giuseppe Vasapolli, il M° Piero Romano, il M° Domenico Riina, il M° Antonino Pedone, il M° Vito Giordano.

L’apertura è stata affidata ad un doppio concerto: la Concertgebouw Jazz Orchestra con la grande artista olandese Trijntje Oosterhuis sul palco dello Steri nel JazzVillage alle ore 19.30 presenta “Sing Sinatra”; due ore dopo al Teatro di Verdura il pubblico potrà ascoltare le orchestrazioni e gli arrangiamenti di canzoni d’autori italiani appositamente commissionati al Grammy Award, Michael Abene, già Associate Professor of Jazz Composition at Manhattan School of Music, interpretati da Paolo Fresu in prima assoluta, accompagnato dall’Orchestra Jazz Siciliana, diretta dal resident conductor, Domenico Riina.

Il giorno dopo di scena una delle mie preferite: la vocalist Sarah Jane Morris; oramai da tanto tempo sulle scene la Morris nulla ha perso dell’originario fascino conservando una naturalezza ed una squisita gentilezza che raramente si riscontrano in artiste del suo calibro.
Il 26 Raphael Gualazzi e il 27 i New York Voices sempre con l’Orchestra Jazz Siciliana; il gruppo vocale statunitense è stato fondato nel 1987 da Peter Eldridge, Caprice Fox, Sara Krieger, Darmon Meader e Kim Nazarian.

Il 28 e 29 ancora spazio alle voci con le performances, rispettivamente, di Max Gazzé e della vocalist olandese Fay Claassen ( Nijmegen, 2 dicembre 1969 ) che bene hanno fatto gli organizzatori ad invitare dato che ancora nel nostro Paese non è molto conosciuta.

Il 30 giugno sarà di scena Tom Seals; il pianista e vocalist sta ottenendo un grande successo di pubblico e di critica grazie da un canto ad un pianismo a tratti elettrizzate sostenuto da una solida tecnica, dall’altro ad un modo di cantare con brillantezza e un pizzico di ironia che mai fa male. Il confronto con la formazione siciliana diretta da Vito Giordano si preannuncia, quindi, elettrizzante anche per l’inedito repertorio costituito prevalentemente da composizioni originali dello stesso Seals.

Il I luglio appuntamento da non perdere con un’altra delle grandi voci del jazz di oggi: Dianne Reeves che si presenterà con il suo quintetto insieme all’Orchestra Jazz Siciliana, diretta da Giuseppe Vasapolli. Artista versatile e di grande comunicativa, Dianne Reeves conosce assai bene non solo l’intero universo della musica “nera” ma anche tutti quei territori affini con cui il jazz si è misurato nel corso degli ultimi 100 anni; di qui le sue brillanti collaborazioni con musicisti di ambito assai diverso come Sergio Mendes, Harry Belafonte, Charles Aznavour e Salomon Burke.

Sabato 2 luglio escursione nel mondo della grande musica brasiliana con due artisti di assoluto livello mondiale: Ivan Lins, che si esibirà insieme a Jane Monheit e l’Orchestra Jazz Siciliana diretta da Domenico Riina. Lins è artista di fama internazionale che per oltre 30 anni ha scritto e interpretato i brani più belli di Música Popular Brasileira e jazz. È anche pianista di squisito tocco jazzistico e da mezzo secolo le sue canzoni, ricche di bellezza melodica e seduzioni armoniche, impreziosiscono il repertorio di grandi voci come Elis Regina, Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald, Barbra Streisand, Dionne Warwick, Michael Bublé e, appunto, di Jane Monheit. Quest’ultima è una acclamata stella della nuova generazione del canto jazz statunitense che proprio col musicista di Rio De Janeiro vanta una intensa e felice collaborazione; la vocalist ha da poco pubblicato il suo ultimo album “Come What May”, prodotto da Joel Lindsey e Sharon Terrell e dedicato ad alcuni standard del jazz, ben coadiuvata da Michael Kanan (piano); Rick Montabano (drums); David Robaire (bass); Kevin Winard (percussion); Miles Okazaki (guitars).

Il 3 luglio una delle più belle voci del panorama musicale nazionale, Simona Molinari, con l’Orchestra Jazz Siciliana diretta da Vito Giordano, in un programma che accanto ad alcuni capolavori del jazz propone anche canzoni del nostro tempo.

Ultime due giornate col botto, se ci consentite l’espressione: il 4 avremo modo di ascoltare uno dei grandi del jazz in assoluto, il contrabbassista Christian McBride, con l’orchestra Jazz Siciliana diretta nell’occasione da Domenico Riina, in un omaggio a Jimmy Smith, Wes Montgomery e Oliver Nelson, ovvero lo stesso progetto che proprio da poco ha guadagnato al contrabbassista l’ottavo Grammy Awards della sua carriera. Christian McBride è a ben ragione considerato uno degli indiscussi maestri del contrabbasso jazz, per virtuosismo tecnico, senso dello swing, gusto musicale e sapiente uso dell’archetto. Inutile in questa sede ricordare gli artisti con cui McBride ha collaborato…forse sarebbe più facile elencare quelli con cui non ha suonato, esercizio che comunque rimandiamo ad altra occasione. Per il momento è importante sottolineare come il musicista abbia scelto Palermo e il Sicilia Jazz Festival per inaugurare il suo tour europeo.

Martedì 5 luglio chiusura straordinaria con Snarky Puppy . Nato nel 2004 come progetto estemporaneo di un gruppo di giovani musicisti attorno al compositore e produttore Michael League, nel corso di questi ultimi anni la formazione ha ottenuto straordinari riconoscimenti di pubblico e di critica grazie ai notevoli album presentati ma soprattutto alle esibizioni live in cui riesce a dare il meglio di sé evidenziando eclettismo, presenza scenica e ovviamente preparazione musicale di ogni singolo partecipante.

Il Festival è organizzato dalla Regione Siciliana – Assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo, il cui coordinamento artistico è affidato alla Fondazione The Brass Group, e si avvale della preziosa collaborazione del Comune di Palermo, dell’Università di Palermo, delle produzioni originali del Brass Group e degli apporti dei Dipartimenti jazz dei Conservatori “Alessandro Scarlatti” di Palermo, “Arcangelo Corelli” di Messina, “Antonio Scontrino” di Trapani, “Arturo Toscanini” di Ribera e dell’Istituto superiore di studi di musica “Vincenzo Bellini” di Catania.

Gerlando Gatto

Dora Musumeci. Una “grande” dimenticata

Uno dei miei maggiori crucci, musicalmente parlando, è l’incredibile oblio in cui è caduta Dora Musumeci una delle primissime pianiste jazz di caratura apparsa sulle scene non solo italiane.
Ora, che un autore straniero, scrivendo della storia del jazz, magari non sappia chi era Dora appare plausibile anche se non del tutto giustificabile. Ma se nel medesimo errore incappa una delle più recenti storie del jazz, scritta a più mani da autori italiani, che in mezza riga si limita a citare Dora Musumeci semplicemente come una pianista molto attiva a Roma agli albori degli anni ’50, allora non mi pare possano esistere scusanti salvo la poca o nulla conoscenza di questa straordinaria artista.

Per fortuna negli ultimi tempi qualcosa si sta muovendo … almeno in Sicilia sua terra d’origine (Dora era nata a Catania nel 1934).
Così di recente la Commissione comunale per la toponomastica, presieduta dal sindaco Salvo Pogliese, ha individuato otto nuovi toponimi di slarghi e strade cittadine a catanesi celebri. In particolare la traversa al numero civico 55 di via San Nullo porterà il nome della musicista.

Poco tempo prima il collega Giuseppe Attardi aveva pubblicato sul “Sicilian Post” un bell’articolo su Dora Musumeci che è stato ripreso da “A proposito di jazz”.

In questa carrellata di iniziative tese a rivalorizzare la pianista catanese si inserisce ora un prezioso documentario curato dalla vocalist Rosalba Bentivoglio, “Rosalba Bentivoglio racconta Dora Musumeci musicista, pianista e cantante di jazz” trasmesso on line il 30 marzo scorso nell’ambito de “La Sicilia delle donne – Festival del genio femminile di Sicilia” svoltosi sempre a marzo. << Ho trovato da subito interessante e quasi naturale partecipare al “Festival delle Donne” – afferma la Bentivoglio – e trovo quasi doveroso parlare di una artista e Donna come Dora Musumeci per poter compensare almeno in parte alla colpevole “amnesia” da parte delle istituzioni verso un’artista che ha dato molto alla sua città (Catania) e alla sua Sicilia. Ho aperto un sipario che si era chiuso tristemente con l’oblio nel 2004, riaccendendo così antichi fuochi di passione e arte >>.

Rosalba Bentivoglio ci racconta, quindi, con i suoi colori, la sua arte, le sue ricerche, di un’artista, Dora Musumeci (1934/2004), che nel suo periodo storico è stata tra le più rappresentative musiciste, pianiste. Dora, non è esagerato sottolinearlo, ci ha rappresentati nel mondo con uno stile, lo ‘swing’, fatto conoscere nel nostro Paese dagli americani sul finire della guerra e che ha saputo fare breccia nei cuori e nei sentimenti dei nostri padri. La Bentivoglio ci racconta di questa artista speciale con la semplicità di cui è stata sempre rappresentante; con pacatezza e rispetto fa scorrere i ricordi di vita su Dora musicista, pianista e anche cantante jazz, accompagnandoci in un viaggio che si sviluppa come in un diario con date, tappe, nomi, amori soffocati, vita vera vissuta sempre sulla corda come un funambolo in perenne attività, ma sulle righe di un pentagramma. Il documentario offre uno spaccato esauriente di ciò che Dora Musumeci ha rappresentato per la musica jazz in Italia e proprio per questo “A proposito di Jazz” ve lo ripropone nella sua interezza non senza aver ringraziato Rosalba Bentivoglio e tutti i responsabili dell’opera che ci hanno concesso di ripubblicare il video.

Grazie di cuore.

In ricordo di Marvin Gaye e Dora Musumeci

Ebbene sì, lo confesso: uno dei brani che amo di più, che risento spesso e che ancora oggi riesce a toccarmi nel profondo non è un pezzo di jazz ma un brano di musica soul, “What’s Going On” di Marvin Gaye.
Sono passati circa 50 anni da quando, nel maggio del 1971, usciva l‘album la cui title track avrebbe avuto una influenza tangibile ancora oggi.
In effetti il brano di Gaye tocca temi sempre di drammatica attualità: la violenza della polizia, troppo spesso ingiustificata, una guerra che continua senza fine in molte parti del mondo, l’esigenza di amore che porti un po’ di pace.

Gaye rilasciò il singolo “What’s Going On” dopo che il suo co-scrittore e membro dei Four Tops, Renaldo ‘Obie’ Benson, vide alcuni poliziotti a Berkeley in California che picchiavano brutalmente dei protestanti contro la guerra del Vietnam. Il tutto aggravato dai racconti che il fratello di Marvin inviava dal Vietnam stesso. Spinto da questi elementi, Marvin aggiunse il suo tocco alle parole per raccontare una storia socialmente consapevole di disordini razziali e violenza. Benson in seguito dirà: “(Marvin) ha aggiunto alcune cose che erano più da ghetto, più naturali, che l’avrebbe fatta sembrare più una storia che una canzone… gli abbiamo preso le misure per l’abito e lui l‘ha adattato fino al midollo.” Di qui un testo fortemente impegnato nell’accezione migliore del termine. Quando Gaye canta:
“Madre, madre
Ce ne sono troppe come te che piangono
Fratello, fratello, fratello,
Ce ne sono davvero troppi come te che muoiono
Sai, dobbiamo trovare il modo
Per portare un po’ di amore qui oggi…
Padre, padre,
Non c’è bisogno di far inasprire le cose
Vedi, la guerra non è la risposta
Perché solo l’amore conquista l’odio
Sai, dobbiamo trovare il modo
Per portare un po’ di amore qui oggi…
Picchetti e cartelli
Non punirmi con brutalità
Parlami, cosi puoi vedere, quello che sta succedendo…”
Come non restare profondamente intristiti nel constatare come mezzo secolo sia passato sostanzialmente invano, con una serie di problemi rimasti sul tappeto in attesa di una soluzione che chiama a rapporto tutti noi.
Non è quindi un caso che dei protestanti Black Lives Matter abbiano fatto risuonare “What’s Going On” come una fonte di ispirazione durante le manifestazioni dell’estate del 2020 a Minneapolis e a Kenosha, nel Wisconsin; che canzoni dell’album siano state usate internazionalmente per promuovere l’unità globale, lottare contro l’AIDS e combattere contro regimi totalitari in America Latina; che ogni domenica, il novantacinquenne DJ della California del sud Art Laboe suoni canzoni da ‘What’s Going On’ dopo che alcune figlie messicano-americane mandano messaggi in diretta ai loro padri incarcerati.
Un riconoscimento ufficiale alla potenza del brano arriva dalla governatrice del Michigan Gretchen Whitmer la quale ha recentemente indetto il “What’s Going On Day” per il 20 gennaio, per commemorare il rilascio del singolo “What’s Going On”.
Riconoscimenti sono arrivati anche dal mondo artistico e letterario: l’album  ottenne il disco di platino, e Rolling Stone l’avrebbe in seguito inserito tra i migliori album di tutti i tempi.  Dal canto suo lo scrittore Chicano nato a Los Angeles Matt Sedillo ha detto: “È sì musica politica, ma la si può anche ballare. C’è dolore, ma c’è anche amore. Ecco perché così tanti di noi continuano ancora oggi ad ascoltarla” mentre M. L. Liebler, professore di inglese nell’università di Wayne State e poeta di Detroit insegna ogni anno “What’s Going ON” e gli studenti sono stupefatti da quanto sia ancora rilevante la musica dei loro nonni: “Questo è lo scopo di quest’opera d’arte più vecchia, è per ricordare che abbiamo lavoro da fare, che abbiamo cose da fare, abbiamo cose di cui la gente per decenni e decenni ha cantato e parlato e che noi dobbiamo finire.”
Gaye alla sua hit fece seguire un progetto che toccava alcuni dei più prominenti problemi sociali di quel tempo.
“Mercy Merci Me (The Ecology)” parla alla distruzione dell’ambiente.
“Inner City Blues (Make Me Wanna Holler)” parla di povertà urbana, diseguaglianza economica, guerra e violenza della polizia.
“What’s Happening Brother” parla di un alienato veterano nero della Guerra del Vietnam confuso dal suo ritorno a casa.
“Flyin’ High (In the Friendly Sky)” tocca il dolore della dipendenza da eroina.
Più tardi Gaye dirà a proposito del suo innovativo progetto: “Ciò che importava era il messaggio. Per la prima volta, mi sentivo come se avessi qualcosa da dire.”
*****

Una buona notizia arriva dalla “mia” Catania. La Commissione comunale per la toponomastica, presieduta dal sindaco Salvo Pogliese, ha individuato otto nuovi toponimi di slarghi e strade cittadine a catanesi celebri. In particolare la traversa al numero civico 55 di via San Nullo porterà il nome della musicista Dora Musumeci, celebrata come prima pianista Jazz d’Italia, tanto che nel 1994 venne nominata Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica, come eccellenza italiana nel mondo.
Finalmente, quindi, qualcosa si muove anche se al momento solo in ambito locale. Solo poche settimane fa abbiamo ripubblicato un articolo del collega Giuseppe Attardi il quale poneva in rilievo come Dora Musumeci sia stata la prima pianista e cantante jazz italiana. Un incomprensibile oblio ha, nel corso di lunghi anni, obnubilato la mente di quanti si occupano di jazz ad onta del fatto che la Musumeci venne considerata, non a torto, considerata la “Regina dello swing”, tanto da essere corteggiata da Broadway.
I grandi soloni del jazz, quelli che scrivono libri di storia, di estetica… e quant’altro, finalmente si accorgeranno di questa grandissima artista? Francamente lo spero… ma non ci credo.

Gerlando Gatto

I nostri CD. Dalla Sicilia con… tanto jazz

Sissy Castrogiovanni – “Terra” – Manū Records
Il jazz ha radicate ascendenze nella Sicilia di Nick La Rocca, Leon Roppolo, Louis Prima, Morgana King, Tony Scott… Si vuol dire che fra i sicilians most famous figurano musicisti di varie epoche che vanno dalla prima alla più recente generazione. Fra i pronipoti, in bella mostra, si colloca oggi la catanese Sissy Castrogiovanni, cantante nonché compositrice, arrangiatrice e docente in quel di Boston al Berklee College of Music. Per la quale l’Isola in questione non è un dettaglio meramente anagrafico. Nell’album “Terra” (Manū Records) la jazzista sposa il proprio parlato col linguaggio jazzistico “pronunciato” dai partners Tim Ray (pf), Jesse Williams (b), Lili Haruvi (sax s), Jamey Haddad (perc), Jorge Perez-Albela (dr.), tutta gente di indiscussa levatura e caratura internazionale. Ma l”esperimento” non si esaurisce cosí e va avanti nel segno del cultural heritage.
Qua e là vengono sparsi strumenti popolari come zampogna, ciaramella, marranzano (a cura di Puccio Castrogiovanni). Per dare “mille colori” all’insieme vi figura il brano popolare “E vui durmiti ancora” ed un altro del moderno cantautorato trinacre come “Stranizza d’amuri” da “L’era del cinghiale bianco” di Franco Battiato che si affianca al traditional USA “Gandalf (Wayfaring Stranger)”. Prevalgono, su un totale di dieci incisioni, le composizioni della Castrogiovanni che si qualifica anche come ispirata paroliera e provetta traduttrice. Il disco, trilingue nel suo approccio italo-siculo-angloamericano, merita, e veniamo al punto, per gradevolezza. È arricchito, oltre che da un sicuro quartetto (5et in un brano) d’archi, da un forgiato gruppo vocale di otto elementi che appare e riappare secondo l’oculato piano di arrangiamenti (a cui hanno collaborato anche Ray, Ospina e Michelin) dosato a misura sulle tappe di questo viaggio spirituale al “centro” del pianeta. Terra è habitat di piante, animali, esseri umani, ed è il mondo di fascinosa saggezza millenaria cantato in Magia, Ancili, Terra… ed in “A Panza”, “’Nsonna”, “Ama”, “Paci”. A intervalli dati si susseguono nell’ideale palcoscenico del disco gli ospiti Claudio Ragazzi alla chitarra, Fabio Pirozzolo al tamburello e Marcus Santos alle percussioni, a degno suggello di una ritmica “globale”. Un cd che incuriosisce, già a partire dalla cover dove compare, impastato di terra, il viso di Sissy, principessa del canto, vestale del suono Earth.

Francesco Guaiana – “Bandha” – Dodicilune
L’incipit è affidato alla voce filtrante ed aerea di Daniela Spalletta: il tempo per Francesco Guaiana di affilare le … corde e il chitarrista palermitano intona “Useful Step”, primo dei dieci brani dell’album “Bandha”, enunciando i cardini che stanno a base della propria musica. Intanto l’Essenzialità, opposta a certa logorrea che si ascolta in giro. Il suo groove, estratto e astratto, è come fosse il risultato di una selezione che, nella veste di compositore, lui effettua a volte in maniera “Introverse” (brano seguente) poi in maniera “estroversa” in “Barcodes”, quando entrano in scena i fiati.
”Bandha”, lo ricordano le liner notes, in sanscrito significa afferrare, prendere, fissare e fa riferimento a tecniche yoga “che aiutano a migliorare la respirazione ed a canalizzare le energie” in una parte del corpo per prevenirne la dispersione. Ed ecco delineata l’altra componente nel jazz profiling che si tenta di abbozzare: la solare Pensosità che vi traspare, meditativa com’è nell’assicurare il predominio dell’arte, nata in mente, che indirizza gli arti, le mani che imbracciano lo strumento, per riprodurre armonie fino ad un attimo prima solo immaginate. Succede in “Go back” dove è sempre più evidente il ruolo della batteria di Carmelo Graceffa (lo sostituisce in tre brani Giuseppe Urso) e del basso di Gabrio Bevilacqua (sostituito da Luca Lo Bianco in “Omistic”). Ma “Bandha” richiama anche per assonanza fonetica la parola Banda ed allora si ha cognizione di quanto sia centrale, nel leader, l’idea di un ensemble leggero, che non faccia da prepotente testuggine nell’irrompere sulla scena musicale. Il trombettista Filippo Schifano, il saxsopranista Gianni Gebbia e poi Letizia Guastella all’alto sax e Alex Faraci al sax tenore completano, con il pianista Mauro Schiavone, l’asset della “giusta” formazione per l’interazione degli “interplayers”. Rimarchevoli anche i rimanenti pezzi, da “For L.C.”a “These Violent Delights”, da “Secret Trip” a “Sweet Witch” fino a “Insoliti Equilibri”. Come quelli messi in campo in questo album targato Dodicilune.

Urban Fabula – “Movin’” – TRP Music
Sembrerebbero un no-standard trio i siciliani Urban Fabula nel cd “Movin'” prodotto da Riccardo Samperi. Se si esclude “Englishman in New York” che è di Sting vi figurano infatti sette brani in cui si alternano le firme del pianista Seby Burgio, del bassista Alberto Fidone e del batterista Peppe Tringali. Il lavoro è un concept album ma lo si potrebbe definire una raccolta di fotogrammi sonori che delineano tre figure di musicisti, le loro aspirazioni, i points of view, le stesse modalità di fare musica d’insieme che fanno da primo collante del gruppo. La cover, fra metafisico e surreale, istrada sul tipo di movimento circolare – “Circle” è uno dei brani più significativi- che il trio modella raccontando in jazz “favole urbane”.
Ed ecco così spiegata l’alternanza dei temi ma soprattutto di atmosfere, timbrica e chiaroscuri in un caleidoscopio cangiante al variare dell’ispirazione e delle suggestioni che la determinano.
Si può passare allora dal cocktail di pulsazioni di ” Cubanito ” alla vibrante poesia di “Yoro” (Ndao), dal mediterraneo ” Value of Duty” alle intermittenze metriche di “Jet Lag ” (con Burgio al Rhodes), dalla sagoma femminile richiamata in “Manu” allo sradicamento del viaggio migrante a cui allude “Opportunity the Rover”, pezzo dalle propaggini cameristiche che prende spunto dal rover Nasa atterrato su Marte nel 2004 in una missione conclusasi solo nel 2019. Non c’è che dire, un compact che la TRP Music di Catania può fieramente esibire in catalogo. Like aggiudicato!