Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Gaetano Valli, chitarrista e compositore

Intervista raccolta da Marina Tuni

Gaetano Valli, chitarrista – Foto Luca A. d’Agostino/Phocus Agency

-Come stai vivendo queste giornate?
«In linea di massima in modo piuttosto apatico e pigro. All’inizio, la tensione dovuta alla novità della situazione mi aveva comunque dato una carica di strana energia, tra l’eccitazione di vivere un momento storico e la paura di dover affrontare dei pericoli. Mettiamoci pure il fatto che ho avuto due giorni di febbre alta e non è stato un bel momento. Una volta fatto il tampone, con esito negativo, piano piano la tensione è calata fino ad arrivare all’attuale stato di “depressione da carcerato”. Ora le giornate passano scandite dai pasti e dalle ordinarie mansioni domestiche. Quest’esperienza ci sta insegnando il valore della libertà e il disagio della reclusione. Si diventa appunto apatici e pigri perché mancano le motivazioni. Senza il lavoro l’uomo è perso».

-Come questo forzato isolamento ha influito sul tuo lavoro?
«In modo assolutamente negativo proprio perché, come ti dicevo, manca la motivazione. L’attività del musicista deve essere finalizzata all’incontro col pubblico. Non riesco a suonare se non ho un obbiettivo. Ogni volta che prendo in mano lo strumento lo faccio perché sto suonando per qualcuno, in un club, in un teatro, oppure sto provando per preparare un concerto o per registrare un disco. Se non c’è lo stimolo del progetto, non c’è il carburante per il motore della musica. Questi giorni ho “suonicchiato” annoiandomi ogni volta dopo cinque minuti».

-Pensi che nel prossimo futuro sarà lo stesso?
«Credo che purtroppo dovremo abituarci sempre di più a queste esperienze. Per fortuna la tecnologia digitale favorisce sempre di più le comunicazioni. Finirà che dovremmo abituarci a suonare attraverso le piattaforme internet. Ma è abbastanza avvilente perché il contatto diretto nella musica è fondamentale».

-Come riesci a sbarcare il lunario?
«Da diversi anni ormai affianco all’attività musicale quella del designer. Anche prima della pandemia avrei comunque avuto difficoltà a vivere di sola musica, sia sotto l’aspetto economico ma anche sul piano della libertà di espressione. L’ho sempre sentita come un’esigenza quella di potermi esprimere nei due campi, musica e design. Sono entrambe attività creative. La musica però non offre garanzie economiche rassicuranti…
Fortunatamente lo smart-working mi ha salvato perché ho potuto continuare a lavorare come designer. Come musicista sarebbe stato impensabile. Ho visto che molti hanno continuato in qualche modo ad insegnare on-line ma credo con scarse soddisfazioni. Certo, se non hai alternativa ti adatti ma non credo che la didattica musicale online possa sostituire quella fatta vis-à-vis. In questi giorni, nella mia regione, è in corso un’apprezzabile iniziativa curata da Euritmica che offre ai musicisti la possibilità di lavorare esibendosi in concerti regolarmente retribuiti e poi messi in rete. Penso sia una proposta valida che potrebbe essere un ottimo esperimento pilota per capire se ci possano essere degli sviluppi futuri in questo tipo di performance».

-Vivi da solo/a o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante?
«Sposatissimo con figlia a carico. A dir la verità, per l’attività musicale, diciamolo senza ipocrisie, la famiglia non aiuta. Parlo ovviamente della particolare condizione del lock-down. Se non si hanno gli spazi per lavorare in autonomia, la concentrazione va a farsi benedire. Penso che molti musicisti saranno d’accordo con me col dire che vivere uno attaccato all’altro non si concilia affatto col suonare in modo ottimale. Questo ovviamente non ha nulla a che fare con l’amore che la famiglia ti da e che certo influisce positivamente su di te e quindi sulla tua musica».

-Pensi che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e  professionali sotto una luce diversa?
«Spero proprio di no. Prima del maledetto Covid-19 si stava bene e non c’era nessun bisogno di cambiare nulla. Sono convinto, così com’è già successo nel passato, che una volta trovato il vaccino tutto tornerà a posto e torneremo ad abbracciarci alla fine dei concerti».

-Credi che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
«Dobbiamo ovviamente distinguere tra i semplici fruitori della musica e i musicisti. I primi certamente possono vedere migliorata la loro condizione di forzata clausura. La musica, lo abbiamo visto con il fenomeno del flashmob, è un conforto indiscutibile, unisce e aumenta lo spirito solidale. In certi casi diventa terapeutica contro la solitudine. Ma cantare e suonare nei balconi non può essere di conforto ai musicisti. Confesso che nei primi giorni della pandemia sono stato tentato anch’io di mettermi a suonare fuori di casa in modo che i vicini potessero ascoltare. Vedevo che molti lo stavano facendo e mi sembrava una cosa dovuta ma allo stesso modo non mi pareva fosse serio suonare in un momento così critico. Poi ho letto che anche Morricone ha considerato inopportuno fare una cosa del genere e mi sono convinto a non farlo».

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
«Ciò che a me personalmente ha aiutato molto è stato leggere ed interessarmi alla cultura in generale. Il fatto di non poter uscire mi ha costretto a ricercare in casa le risorse necessarie a farlo. Pensa che ho riletto persino I Promessi Sposi e l’ho visto sotto una luce totalmente diversa rispetto ai periodi del liceo. Tutta la parte che racconta la diffusione della peste è di straordinaria attualità.
Anche se la musica si è quasi fermata per la frustrazione di non poterla finalizzare, i libri e i programmi culturali, che finalmente abbondano, mi hanno sicuramente aiutato a compensare la sua assenza».

-Quanto c’è di inutile retorica in questi continui richiami all’unità?
«Se parli di unità in senso politico, credo sia un’utopia. Anche in questi momenti di difficoltà nessuno si è risparmiato nello screditare il lavoro altrui e per molti ogni occasione è stata buona per continuate a fare propaganda politica. Se invece parliamo di unità europea, mai come in questo momento si è corso il rischio di disgregarla. Personalmente sono sempre stato un europeista convinto e, anche da musicista, spero che questa unità resti solida e porti ancora più occasioni di interscambio. Se ci riferiamo allo specifico mondo dei musicisti, credo che questa unità sia ancora più solida. Da musicista siciliano che vive nel profondo nord, è bello constatare che quella dei musicisti è un’unica grande famiglia senza distinzioni di provenienza.  Altrove purtroppo non è così».

-Sei soddisfatto di come si stanno muovendo i vostri organismi di rappresentanza?
«Dopo un inizio in sordina, ma si sa il musicista non è un attaccante, qualcosa si è mosso per far sentire che la categoria esiste ed ha le sue esigenze. Io stesso, su invito dell’amico Fulvio Sigurtá, ho aderito ad un’iniziativa di Francesco Bearzatti che, attraverso i social network, aveva lo scopo di richiamare l’attenzione sulle criticità che sta attraversando il nostro settore. Altre iniziative analoghe hanno fatto passare più o meno lo stesso tipo di messaggio: “dal momento che nessuno ci sta considerando, noi musicisti non suoneremo più in forma gratuita”».

-Se avessi la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederesti?
«Ci sono veramente troppe cose che andrebbero pretese. Più che sul piano dei provvedimenti assistenzialistici, che oggi in clima populista vanno per la maggiore, ciò che cercherei di incentivare è tutto quello che può incrementare le occasioni di lavoro per il musicista ed aumentare la diffusione della musica di qualità per gli ascoltatori. L’atteggiamento di fondo deve essere quello di investire nella cultura musicale. Se andremo incontro ad un periodo in cui i concerti saranno problematici, andranno fatti degli investimenti mirati. Spiace dover dire che i grandi eventi rock e pop dovranno cambiare modalità e forse disincentivati. D’altra parte esiste la possibilità che una musica come il jazz possa costituire un’alternativa da iniziare a proporre con maggiore fiducia. All’inizio sarà difficile convincere un fan di Vasco Rossi a venire ad un concerto di jazz ma forse questa è l’occasione giusta per piantare un seme, e chissà che almeno suo figlio…».

-Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
«Miles, Bill Evans, Chet Baker, Wes Montgomery… i classici funzionano sempre, come per i libri».

Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Claudio Cojaniz, pianista e compositore

Intervista raccolta da Marina Tuni

Claudio Cojaniz, pianista e compositore

-Come stai vivendo queste giornate?
«Molto studio e composizione. Ascolto la lettura dei giornali su Rai Radio 3 al mattino e basta. Non mi
faccio inondare da troppe notizie. In casa curiamo molto la gastronomia».

-Come questo forzato isolamento ha influito sul tuo lavoro?
«L’incubo mi sta spremendo ancora di più, sollecitando la mia creatività».

-Pensi che nel prossimo futuro sarà lo stesso?
«Non so cosa sarà il futuro, non ne ho minimamente idea. Dipenderà da dove andiamo. Mai l’umanità si è trovata davanti ad un bivio così tremendo: tra estinzione o rinascita, tra involuzione definitiva o salto evolutivo. Le crisi non sono né positive, né negative: sono una opportunità, invece… dipende da come se ne esce. C’è tanta brava gente in giro e le riflessioni che tutti siamo costretti a fare spero spingano la maggior parte delle persone a rimettere in ordine le gerarchie dei valori. Se prevale la paura, il “dopo” potrebbe diventare una guerra dell’uno contro l’altro, in una società con disuguaglianze ancora più indecenti e la sfiducia totale nei confronti degli stati. Se prevale il rispetto si potrebbe dire che questo disastro ci ha dato l’occasione di ripensare ad un mondo nuovo, a partire per esempio dall’integrazione definitiva delle migliaia di persone che dall’Asia e dall’Africa stanno cercando accoglienza in Europa. In sostanza dobbiamo lavorare per superare la vergogna degli egoismi nazionalisti. Il fare musica è di questo mondo ed il suo futuro, il nostro futuro, dipenderà per quale strada l’umanità intenderà procedere».

-Come riesci a sbarcare il lunario?
«Come posso…».

-Vivi da solo/a o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante?
«Condivido la mia vita con un’altra persona. Fa la differenza, ci aiutiamo a vicenda ».

-Pensi che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e  professionali sotto una luce diversa?
«Come dicevo sopra, dipende da che parte cammineremo».

-Credi che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?

«È la consapevolezza con cui si ascolta ad aiutare, non tanto la musica in sé, visto che la parola “musica” abbraccia varie situazioni, mercificate quasi tutte. Districarsi là dentro è complesso e implica studio appassionato. La musica è ascolto, altrimenti non esiste…».

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
«A qualunque arma sia capace di aumentare il volume della coscienza. Consiglierei la letteratura e la
poesia per viaggiare dentro sé ed ascoltarsi un po’ di più».

-Quanto c’è di inutile retorica in questi continui richiami all’unità?
«Credo si tratti di una reazione allo spavento cosmico che sta chiudendo ancora di più le persone in una sorta di eremitismo di massa, atterrite dall’apocalisse mediatica messa in atto, sullo sfondo, a colonna sonora della nostra ridicola attuale esistenza».

-Sei soddisfatto di come si stanno muovendo i vostri organismi di rappresentanza?
«E chi sarebbero mai costoro, i “nostri” organismi? No comment come minimo. Plaudo invece a tutti i produttori musicali, organizzatori di concerti e operatori culturali vari, che dovranno essere capaci di rimettere in piedi almeno una parte di tutto ciò che si stabilì prima di questa schifezza: al massimo sento loro come i “nostri”».

-Se avessi la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederesti?
«Niente».

-Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
«Tutto. Poi quando cominci ad ascoltare una seconda volta lo stesso pezzo a quel punto hai fatto una scelta e comincia a dispiegarsi la tua verità. Sarà utile comunque tener presente che non è vero che tutte le strade portano a Roma: quella di mezzo non va da nessuna parte e ci fa smarrire in tanto mare, rendendoci facili prede di scaltri pirati».

Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Nicola Mingo, chitarrista

Intervista raccolta da Gerlando Gatto

Nicola Mingo, chitarra – foto Fabrizio Sodani

-Come sta vivendo queste giornate?
“Beh, sono a casa ormai dal 4 marzo, ultimo giorno in cui sono regolarmente andato ad insegnare musica nella Scuola dove lavoro abitualmente. Che dire? Restare a casa è la condizione necessaria per tutti per cercare di uscire dalla Pandemia. Non è facile vivere l’isolamento per tutti noi e, nel caso specifico, noi Musicisti ed artisti in generale, abituati al contatto diretto con il pubblico e la gente, soffriamo particolarmente la condizione di reclusione. Nonostante ciò, cerco di reagire mantenendo un contatto diretto con il pubblico e con tutti gli appassionati di Jazz e della mia Musica attraverso i Social: Facebook You Tube ecc. Organizzo dirette e video party con miei home concerts, invitando i followers e gli appassionati per stare in compagnia e far ascoltare la mia musica. Il vantaggio dei social è che ti mettono in contatto con tutto il mondo e consentono la comunicazione diretta con musicisti ed appassionati da ogni parte del mondo”.

-Come ha influito tutto ciò sul suo lavoro? Pensa che in futuro sarà lo stesso?
“Questa situazione ha sicuramente influito in modo negativo sul mio lavoro per vari motivi. Il primo è di ordine pratico. Le scuole di Musica dove insegno sono chiuse e, seppure organizzano lezioni online, non è la stessa cosa, in quanto nella didattica a distanza viene a mancare il contatto diretto con gli allievi. In secondo luogo, siamo stati tutti penalizzati dalla cancellazione di date e soprattutto dei Tour di promozione, nella fattispecie del mio nuovo lavoro discografico “Blues Travel” (Alfa Music), che avrebbe dovuto essere presentato in varie Manifestazioni e Festival estivi che, allo stato attuale, non si sa se potranno svolgersi regolarmente”.

Come riesce a sbarcare il lunario?
“Come per molte categorie, anche e soprattutto per gli artisti, è un difficile periodo perché non abbiamo, nella maggior parte dei casi, entrate fisse. Nonostante ciò, un po’ mettendo da parte qualcosa negli anni di lavoro, un po’ grazie alle lezioni e a qualche introito dalla Siae per concerti e vendite di dischi si va avanti così. Non ci è dato sapere, allo stato attuale, per quanto tempo ancora”.

Vive da solo o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante?
“Sono sposato dal lontano 1993 e vivo felicemente con mia moglie. Mia figlia, laureata in psicologia, non vive più con noi, ma col suo compagno ed ha una sua attività lavorativa. Indubbiamente questo Tsunami si è presentato all’improvviso e mi ritengo fortunato della convivenza con mia moglie perché credo che in buona compagnia (detto alla Catalano) sia molto meglio che vivere la Pandemia da solo e in solitudine”.

-Pensa che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?
“Sì, credo che questo brusco arresto del ritmo frenetico della società a livello mondiale ci abbia un attimo messo tutti in standby e forse ci abbia dato la possibilità di riflettere e valutare cosa è realmente importante e necessario e cosa no”.

– Crede che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
“Credo nel valore terapeutico e comunicativo della musica, e questo è stato il Leitmotiv della mia scelta a suo tempo ossia comunicare attraverso la mia musica. Quindi sono ben contento quando nel pieno di una diretta social la gente mi ringrazia e scrive frasi tipo “Ci voleva proprio”, “Ci aiuta a star meglio” ecc ecc”.

– Se non la musica a cosa ci si può affidare?
“La Musica tutto sommato può rappresentare una fede! la Fede nel Bello, nell’Estetica e nella Comunicazione. Altra possibilità è la Fede religiosa vera e propria! Ma credo che bisogna, oltre che sperare, soprattutto agire ognuno nel proprio campo e con le proprie possibilità”.

– Quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?
“Beh, al Primo Flash Mob sono stato uno dei primi musicisti ad aderire e con piacere suonare in diretta dalla finestra di casa mia FRATELLI D’ITALIA! Era un brutto momento e non si era capito ancora bene cosa stesse accadendo; questo primo flashmob è stato molto sentito da parte di tutti noi e credo fosse giusto così. Nei giorni successivi, però, non ho più aderito al flashmob, divenuto ormai una routine anche un po’ fuori luogo, dal momento che alle ore 18 si sentiva in tv il bollettino delle vittime giornaliere da Covid 19”.

– È soddisfatto di come si stanno muovendo i Vostri organismi di rappresentanza?
“Se per organismi di rappresentanza musicale intendiamo Midj, Jazzit, la petizione su change.org e tutta l’informazione della comunità jazzistica, sto dando loro il mio pieno appoggio a tutte le iniziative”.

-Se avesse la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederebbe?
“Non credo che in una situazione di emergenza totale da Pandemia Mondiale mi riceverebbero in qualità di artista e nella fattispecie Musicista di Jazz! Ciononostante ci sarebbero tante cose da dire ma non credo che questo sia il momento appropriato”.

-Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
“Su You Tube c’è tutto il MEGLIO del jazz mondiale e di ogni epoca, Coltrane, Parker,Rollins, Wes Montgomery, Clifford Brown etc. Ma se volete sostenere il Jazz, e nella fattispecie la mia musica, sarebbe molto gradita, e non costa nulla, l’iscrizione al mio canale You Tube dove do la possibilità di ascoltare integralmente tutta la mia produzione discografica ed in particolare l’ultimo lavoro, “BLUES TRAVEL”,registrato in compagnia di Giorgio Rosciglione, Gege’ Munari e Andrea Rea, CD già ottimamente recensito proprio su questa autorevole rubrica da Gerlando Gatto. Insomma restiamo in contatto tutti e soprattutto gli artisti, gli operatori del settore, i manager e facciamo RETE in Rete! Ecco questa è la chiave di Lettura del Futuro per me”.

 

Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Roberto Magris, pianista

Intervista raccolta da Gerlando Gatto

Roberto Magris, pianoforte

-Come sta vivendo queste giornate
“Cercando di promuovere on-line il mio nuovo Cd uscito in questi giorni, ascoltando musica e tenendomi costantemente in contatto con i miei figli che vivono a Madrid e Tampere.

-Come ha influito tutto ciò sul suo lavoro? Pensa che in futuro sarà lo stesso?
“Io faccio il musicista per passione e missione, ma ho un lavoro extra-musicale (manager pubblico) che fortunatamente non verrà messo in discussione in futuro ma, anzi, semmai potrà veder aumentato il mio impegno. Per quanto riguarda la mia attività musicale, comunque impegnativa e costante, e che si svolge soprattutto all’estero, negli USA e nel centro-Europa partendo da Praga, tutto quel che avevo in programma nei prossimi mesi è stato cancellato o posticipato. Spero che a partire da ottobre sia possibile riprendere. Il futuro sarà forse un po’ diverso ma credo che ci sarà senz’altro un futuro musicale”.

-Vive da solo o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante?
“Vivo con mia moglie, alternandomi tra Trieste e la mia seconda abitazione in Slovenia. Poi negli USA ed a Praga. Adesso invece me ne sto molto volentieri ed in via esclusiva a casa assieme a mia moglie e questo è ovviamente essenziale per me. Purtroppo non posso vedere un nipote di pochi mesi, se non via telefono. Ma sono in contatto quotidiano con una molteplicità di persone, sia di ambiente musicale che mio lavorativo. Per cui, non sono in ferie… né mi sento abbandonato a me stesso”.

-Pensa che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?
Non credo, a meno che non ci si faccia prendere definitivamente dal mondo virtuale continuando anche in futuro a rimanersene chiusi a casa. La cosa non deve diventare patologica anche perché i rischi nella vita ci sono sempre e dappertutto, in ogni caso. Vado a fare una passeggiata dietro casa e mi morde una vipera… Per cui i rapporti riprenderanno così come erano prima, magari con una mascherina in più ed qualche ristorante in meno”.

-Crede che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
“La musica, i libri, certi film sicuramente aiutano e soprattutto l’elenco delle cose che si scrive in agenda che si dovranno o si vorranno fare non appena sarà possibile riprendere”.

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
“Alla consapevolezza che nella vita accadono momenti spiacevoli, per la singola persona e/o per la collettività, che bisogna cercare di superare, come in un percorso ad ostacoli, come crescita individuale. E questo è inevitabile anche se reputavamo di essere una generazione per sempre fortunata ed immune da guerre, pandemie e quant’altro, magari ignorando di far parte della stessa umanità di cui fanno parte anche gli esuli siriani, che possono ugualmente prendersi il covid virus… Penso che la parola sia: maturità, umana ed intellettuale”.

-Quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?
“Non credo ci sia molto spazio per la retorica. In una comunità, in una nazione, ognuno deve fare la sua parte, direi, o con le buone o con le cattive. Anche quando si devono pagare le tasse, mantenere un senso civico, guardare gli altri che stanno peggio… per tutti gli altri motivi che non sono il Covid virus di oggi. Per cui, fatti e non chiacchiere. L’Italia sa rinunciare alla mafia/camorra/corruzione/furberie ecc.? Vedremo se dopo il Covid si ritornerà alle solite usanze di inciviltà. Temo di sì ed in “unità”. Domanda: devo confidare nella redenzione dei criminali e gli affossatori del nostro Paese o aspettarmi una nuova generazione di furbetti ed approfittatori? Maturità nell’unità”.

-È soddisfatto di come si stanno muovendo i Vostri organismi di rappresentanza?
Se si intendono gli organismi di rappresentanza dei musicisti jazz, non li conosco e dubito siano di qualche utilità in un contesto dedicato all’individualità. Ritengo che i musicisti (quelli jazz come quelli che suonano nelle balere o i pianobar) sono lavoratori così come, ad esempio, i cuochi dei ristoranti. Quindi se il piano è quello del lavoro (e non dell’arte) è giusto che le organizzazioni sindacali facciano la loro parte e lo Stato aiuti i più bisognosi. Senza fare i soliti inaccettabili “di cui”, per privilegiare qualcuno. Credo che lo Stato debba assumere misure generali per tutto il mondo del lavoro, cercando di entrare sempre più, man mano che il tempo passa, nelle varie specificità, aiutando secondo bisogna. Ma, ripeto, senza creare sacche di privilegiati o dare ascolto ai cosiddetti “piagnoni” per professione, tra cui identifico, ahimè, anche molti lavoratori della musica. Emerge una volta di più la vecchia questione: musicista è chi fa il mestiere del musicista? Io credo di no. Non esiste esclusività e neanche il “tengo famiglia”. E tutti gli altri? Si parlava di unità poco sopra… Anche perché molta gente che fa il mestiere del musicista lo fa a suo rischio e pericolo non rendendosi conto che forse farebbe meglio a fare altro (sia in base alle proprie doti musicali che in generale). E, a volte, chi se ne rende conto, opta per un comodo, mi va bene così. Ognuno faccia come vuole ma lo Stato è di chi paga le tasse. Altrimenti di quale patto sociale parliamo?”.

-Se avesse la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederebbe?
“Chiederei che fossero emanate norme a sostegno della cultura in generale e degli artisti italiani (sì, a discapito di quelli stranieri, almeno in una prima fase iniziale) prevedendo iniziative “a numero limitato di posti” per il pubblico. I teatri non sono mai stati sempre pieni e quindi si possono ottenere delle situazioni di “mezza capienza” organizzata. Idem per i locali che volessero fare musica, con tasse locali ribassate. Lo Stato potrebbe anche finalmente potenziare l’insegnamento della musica (e dello sport) nelle scuole dell’obbligo e, utopia socialista?, attivare una etichetta discografica di stato, una collana editoriale di stato ecc. (fuori dalle logiche del business) per dar modo agli artisti di produrre la loro arte con il sostegno diretto (e non mediato da direttori artistici la cui ragione di essere sono i finanziamenti pubblici o il do ut des), appunto, dello Stato. Da vendersi poi a prezzo simbolico. Sarebbe concorrenza di Stato? Ben venga. Del resto come la mettiamo con la concorrenza della sanità privata su quella pubblica? Lo stato sociale va ripensato, anche nelle espressioni artistiche e culturali. Per non parlare dello sport”.

-Ha qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
“Un po’ di grinta non guasta. E anche uscire un po’ dal mondo ECM… suggerisco di ascoltarsi il  “Live in Los Angeles” di Brian Auger. O magari “Brazilian Soul” degli Azymuth. Assolutamente jazz? Bene: Billy Harper “The Black Saint”…”.

Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Max De Aloe, armonicista

Intervista raccolta da Gerlando Gatto

Max De Aloe, armonicista

-Come sta vivendo queste giornate?
“Per tre settimane sono stato isolato da tutto e tutti perché ho avuto il Covid 19 per cui è solo da pochi giorni che sto bene e sto ricominciando a suonare, a studiare e a godermi la famiglia”.

-Come ha influito tutto ciò sul suo lavoro? Pensa che in futuro sarà lo stesso?
“La mia scuola di musica è chiusa e i concerti sono tutti annullati. L’unica speranza è che si riesca a salvare almeno una parte della stagione estiva. Mediamente i musicisti di jazz hanno la maggior parte degli introiti dei concerti tra la primavera e l’estate quando ci sono rassegne e festival per cui per ora è tutto fermo e molti organizzatori stanno già cancellando le rassegne estive”.

-Come riesce a sbarcare il lunario?
“Con i risparmi”.

-Vive da solo o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante?
“Ho una famiglia ed ovviamente in questo momento è un sostegno soprattutto dal punto di vista psicologico”.

-Pensa che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e    professionali sotto una luce diversa?
“No. Non penso che qualcosa migliorerà. Nel campo della cultura e della musica era già un continuo piagnisteo di mancanza di soldi e stimoli. Sarà solo peggio. Ma cercheremo di farcela. Non ho nessuna fiducia in aiuti statali a questo riguardo. Siamo stati sempre ignorati e continuerà ad essere così. Saremo l’ultima categoria professionale che potrà ricominciare a lavorare perché nella visione italiana siamo solo qualcosa di più che un gioco”.

-Crede che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
“La musica è sogno, vita, stupore, luce, impegno, sacrificio, bellezza. Certamente che in questo momento può aiutare. Aiuta sempre. Io non posso pensare alla mia vita senza musica. Nella mia vita è totalizzante. Un amore mai sopito che porto con me fin da quando ero bambino”.

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?

“Ai veri rapporti tra le persone che ci vogliono bene. In questi giorni in cui sono stato male ho avuto delle bellissime testimonianze di persone che mi hanno scritto e telefonato tutti i giorni o quasi. Persone che erano preoccupate per me. Che non avevano timore di mostrare il loro affetto e le loro paure. Questa cosa mi ha aiutato moltissimo a sorpassare dei momenti non molto facili”.

-Quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?

“Un po’ ma ognuno la vive a sua maniera ed è giusto che sia così”.

-È soddisfatto di come si stanno muovendo i Vostri organismi di rappresentanza?
“Se intende gli organi di rappresentanza della categoria dei musicisti devo dire che non seguo moltissimo il loro operato ma comunque li stimo per la loro voglia di fare. Non potrei mai criticarli perché per avere il diritto di criticare bisogna essere disposti a rilanciare idee, darsi da fare, investire del tempo. Troppo facile la critica rimanendo a casa davanti a un computer”.

-Se avesse la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederebbe?
“Questa è una domanda difficile perché richiederebbe molto tempo per rispondere. Se la domanda è riferita a cosa chiederei rispetto alla mia categoria sicuramente mi accontenterei che venga veramente riconosciuta la nostra professione, spesso relegata a un ruolo da saltimbanchi di fine Ottocento. Suggerirei ai nostri politici di studiarsi il trattamento che viene riservato ai musicisti in Francia. Ma non ho neanche più voglia di lamentarmi e tanto meno di sperare. Le dico solo che in questo paese l’IVA sulla didattica musicale e sui CD è del 22%. Se va nel ristorante di Cracco scoprirà che l’IVA è del 10% e che se compra un libro di Ezio Greggio l’IVA è del 4% perché è un bene culturale. Per cui un CD di Stravinsky ha l’Iva al 22% e un libro di Ezio Greggio iva al 4%. Questo è il paradosso che purtroppo è realtà. Pensiamo a quanto non si sta facendo per salvare i negozi di dischi. Possiamo continuare a suonare e cantare su tutti i balconi ma in questo Paese non riusciremo probabilmente ad acquistare una dignità professionale. Se poi dovessimo parlare dei contributi pensionistici dei musicisti si aprirebbe un capitolo ancora più imbarazzante”.

-Ha qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
“Ne avrei tantissimi:
NOCTURNE – Charlie Haden; DIANE – Chet Baker & Paul Bley; SAIL AWAY – Tom Harrell; PARKER’S MOOD – Roy Hargroove; Trio TOOTS THIELEMANS – Only trust your heart; DJAVAN – Rua dos Amores; DANIELE DI BONAVENTURA – Ritus; JORDI SAVALL- Les Voix Humaines; NILS PETTER MOLVAER – Solid Ether; FRANK MAROCCO – Ballads…
e mille altri dischi

Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Antonella Vitale, vocalist

Intervista raccolta da Gerlando Gatto

Antonella Vitale, vocalist – foto Víctor Sokolowicz

-Come stai vivendo queste giornate?
“Non è stato facile accettare una condizione così “surreale”. Ricordo che dopo il primo Decreto restrittivo dell’8 Marzo sono stata sopraffatta dall’ansia, dall’incredulità, poi come tutti mi sono dovuta adattare alla nuova condizione cercando di mettere a fuoco l’unico aspetto positivo e anche anomalo della quarantena, cioè il “tempo libero”, pare assurdo ma la sensazione di avere 12 ore libere a disposizione senza nessun impegno mi ha spiazzata!  Il grande silenzio per le strade completamente svuotate dalla routine giornaliera, che magari in altri momenti sarebbe   stato un fantastico generatore di creatività, questa volta suonava strano e un po’ inquietante, così la capacità di concentrazione è venuta meno anche solo per leggere la pagina di un libro. Adesso va meglio, riesco a ritagliarmi i miei spazi, non vedo i TG, ho la giornata scandita da incombenze familiari e domestiche, dipingo, canto e registro video con amici musicisti (ognuno rigorosamente a casa propria) e cerco di non pensare. L’amara consapevolezza di quanto il famoso delirio di onnipotenza dell’uomo in circostanze come questa esca di scena per lasciare posto al sentimento della paura che forse è più pandemica di ogni altro virus,  mi passa nella testa come insidiose interferenze radio”.

-Come ha influito tutto ciò sul tuo lavoro? Pensi che in futuro sarà lo stesso?
“Non credo che tutto ritorni come prima, per un buon periodo le misure restrittive impediranno sicuramente che le nostre abitudini tornino alla normalità. L’allontanamento sociale cui siamo sottoposti avrà delle conseguenze future e per tutto il settore artistico rappresenterà un problema serio. Proprio giorni fa in una conversazione telefonica io e te caro Gerlando, ci chiedevamo come potranno in futuro riempirsi nuovamente le platee dei teatri, dei cinema, dei Festival… saremo tutti condizionati dal “contagio” dal mantenimento delle distanze almeno fino a che non troveranno delle cure mirate… e che questo virus non scompaia del tutto.
I social come FB, Instagram,  in giornate così particolari, permettono a tutti, specie a chi è costretto a vivere questi giorni in solitudine, di sentirsi in compagnia. Il musicista poi ha  bisogno di quel pizzico di visibilità che rappresenta un nutrimento necessario per vivere, vedo molte dirette FB in cui chi può organizza delle piccole session o delle brevi interviste… insomma cerchiamo tutti  di mantenere alto lo stato vitale e per il momento ci adattiamo  così. Io stessa ogni tanto pubblico dei video “#ai tempi del coronavirus” registrati a casa con mezzi rudimentali, insieme ad  amici musicisti,  è un modo per sentirsi  in una collettività dove come sempre la Musica fa da collante e panacea per l’anima”.

-Come riesci a sbarcare il lunario?
“Io fortunatamente ho un impiego part-time che mi permette un minimo garantito, i concerti rappresentavano un piccolo incentivo in più (l’esiguo cachet degli ultimi anni,  non permette certo un’agiatezza economica) ma il punto è che noi  musicisti  abbiamo la sindrome da “palco”, e questo non perché siamo malati, anzi! Le esibizioni live rappresentano l’unico momento di contatto reale con il pubblico con il quale  dialoghi attraverso la tua musica le tue emozioni, la tua espressività. Questa è la vera magia”.

-Vivi da solo o con qualcuno. E quanto ciò risulta importante?
“Vivo con mio marito e mio figlio. Ho dato sempre alla famiglia la priorità assoluta. Ho costruito qualcosa di importante cui non posso prescindere. Mio marito è un uomo che stimo molto anche per le sue qualità professionali, Oltre ad essere un docente di Storia dell’arte è anche un eccellente fonico con il quale ho realizzato praticamente tutti i miei lavori discografici. La musica ti accende, ti nutre ma spesso può anche spegnerti e interferire nei tuoi stati d’animo, la famiglia è il mio angolo protetto dove trovare rifugio nella routine quotidiana e dove ritrovare un po’ di me stessa”.

-Pensi che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa? 

“Credo proprio di sì. Abbiamo bisogno delle relazioni senza di cui la vita non avrebbe senso. Attraverso gli altri abbiamo modo di conoscere meglio noi stessi e credo che un evento come questo ci stia facendo riflettere. Vedo i segnali ovunque… ci telefoniamo… ci video-chiamiamo… ci scriviamo… abbiamo bisogno di conforto reciproco e di sapere che non siamo soli. Non saprei se i rapporti professionali subiranno dei cambiamenti, al momento c’è un grande spirito di collaborazione che speriamo continui anche in futuro con lo stesso entusiasmo”.

-Credi che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
“Come ogni forma d’arte la musica è molto importante perché lavora sulle emozioni attraverso i suoni, smuove l’immaginazione, attiva la corteccia cerebrale, il pensiero, insomma è terapeutica, universale e non lo affermo io ma lo hanno  da sempre dichiarato filosofi, musicologi  e scienziati. Cosa potrei dire di più? È evidente che se oggi la musica nel nostro Paese venisse considerata un elemento di alto valore educativo e culturale per la nostra società, probabilmente sarebbe di grande aiuto sotto tanti aspetti primo tra tutti quello di fungere da supporto psicologico in un momento così particolare in cui il nostro stato d’animo è stato messo a dura prova”.

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?

“Ci si può affidare a noi stessi, alla nostra umana capacità di resistere ai cambiamenti. È sempre stato cosi, abbiamo risorse infinite, i nostri antenati vivevano nelle caverne e si trovavano in un habitat sconosciuto in balia di ogni pericolo. Ne è passato del tempo, tra glaciazioni, carestie guerre… insomma la specie umana è ancora qui e siamo miliardi di persone, forse un motivo ci sarà”.

Quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?
“La retorica è diventata d’uso comune, si parla per stereotipi, c’è l’appello continuo rivolto ai cittadini di restare uniti, compatti, si tira spesso in ballo il termine “resilienza”. Va tutto bene, in Italia vivono circa 60 milioni di persone ed è giusto uniformarsi a delle direttive prese dal governo per arginare la pandemia, ma l’unità fino a quando? Cosa accadrà dopo questo lockdown? E soprattutto quanto durerà?”.

Sei soddisfatta di come si stanno muovendo i Vostri organismi di rappresentanza?
“Al momento quello che noto è una grande confusione. La quarantena dura da più di un mese e la mancanza a tutt’oggi di terapie per sconfiggere il virus ci lasciano timorosi, preoccupati, stanchi del distanziamento imposto. La politica dovrebbe essere coesa a garantire a tutti un sostegno immediato veloce, lasciando da parte la burocrazia farraginosa. Il governo manterrà l’impegno di tutelare tutte le classi lavorative più fragili e colpite, nessuna esclusa? Il settore “Cultura e spettacolo” per il quale la conta dei danni è una voragine enorme, lascia sospesi nel vuoto della precarietà artisti di ogni categoria e purtroppo sento sollevare pochissimo il problema da parte dei vari ministri. Questo mi spiace, perché siamo un paese che ha insegnato l’arte al mondo e non dovremmo dimenticarlo mai”

Se avessi la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederesti?
“È partita una petizione  #velesuoniamo, diretta al Governo proprio per chiedere un tavolo interministeriale tra MiBACT, Inps e Ministero del Lavoro per la tutela previdenziale e la protezione per tutto il settore dei lavoratori dello spettacolo promossa da Paolo Fresu, Ada Montellanico e Simone  Graziano e sono state già raggiunte quasi 60.000, firme… speriamo bene. Chiederei a questo al Governo di prendere in seria considerazione gli incentivi e gli aiuti alla Cultura e al mondo dello Spettacolo e siccome sono una musicista lo farei citando una bellissima frase di Nietzsche che recita…”Senza la musica la vita sarebbe un errore” “.