Il trio di Giovanni Tommaso a Latina il 18 febbraio

Prosegue intensa l’attività del Latina Jazz Club con la sua stagione concertistica. Giovedì 18 febbraio in programma uno di quegli appuntamenti da non perdere. Di scena il trio di Giovanni Tommaso con Cinzia Gizzi al pianoforte e Marco Valeri alla batteria.

Giovanni Tommaso è uno dei “grandi” del jazz italiano avendo contribuito in maniera determinante al suo sviluppo e conseguente affermazione a livello internazionale. Lucchese, classe 1941, Tommaso si è ben presto affermato come contrabbassista e bassista di grande livello. Al suo attivo una carriera superlativa che l’ha ben presto posto ai vertici della musica jazz non solo nazionale. Tantissimi i riconoscimenti ottenuti che non vale la pena riassumere in questo spazio. Basti solo sottolineare la felicissima intuizione che nei primissimi anni ’70 lo portò alla costituzione del Perigeo assieme a Claudio Fasoli al sax, Tony Sidney alla chitarra, Franco D’Andrea alle tastiere e Bruno Biriaco alla batteria. Importante anche l’attività didattica dal momento che Tommaso è anche titolare della cattedra di musica jazz al Conservatorio di Perugia. Ultime, ma non certo in ordine d’importanza, la piacevolezza e la gentilezza dell’uomo doti che purtroppo oramai facciamo fatica a trovare anche nel nostro microcosmo jazz.

Cinzia Gizzi è pianista che non ha ottenuto, a nostro avviso, i meriti che il suo talento meriterebbe. Nella sua oramai lunga carriera figura, tra l’altro, un diploma in pianoforte e arrangiamento ottenuto nel 1990 negli Stati Uniti con il massimo dei voti; in questa occasione ha avuto modo di studiare anche con alcuni grandi della tastiera quali Jakie Byard e Charlie Banacos. Oltre a guidare propri gruppi, come sidewoman ha presto parte, nell’arco di una carriera lunga qualche decennio, a molti avvenimenti jazzistici con musicisti italiani e stranieri.

Marco Valeri viene unanimemente considerato uno dei migliori batteristi oggi sulla scena. Romano, classe 1978, si è definitivamente imposto all’attenzione di pubblico e critica nell’ultimo decennio grazie ad una squisita sensibilità ben coniugata con una solida preparazione tecnica acquisita durante gli anni di impegnativi studi. Dopo una parentesi negli States (2002-2003), al ritorno in Italia entra a far parte della band di Sandro Deidda. Anche per lui molte le partecipazioni a festival anche internazionali e assai numerose le collaborazioni con artisti quali Jd Allen, Amedeo Tommasi, Gary Smulian , Andy Gravish, Dado Moroni, Dave Liebman, Eddie Gomez, Benny Golson, Rick Margitza, George Garzone, Franco Ambrosetti, Steve Grossman…

Gerlando Gatto

Ciao Franco

La mattina, appena sveglio – maledetta abitudine – per prima cosa do uno sguardo alla rassegna stampa che mi arriva sul telefonino. E così ho fatto anche stamane; ad un certo punto, ancora non del tutto sveglio, noto la foto di un bell’uomo, giovane. Tra me e me penso: ma questo lo conosco. A poco a poco i neuroni si mettono in moto e lo riconosco, è lui, è Franco e capisco immediatamente: Franco Fayenz se ne è andato in un luogo, per chi ci crede, sicuramente migliore di questa terra.

La notizia è di quelle che si fatica a digerire anche se l’età di Franco (92 anni) ci aveva messo tutti in preallarme. Ma, come al solito, una cosa è immaginare altra cosa è vivere una determinata realtà.

Cercherò in questo breve ricordo di non lasciarmi andare a quell’ondata di tristezza che mi ha avvolto questa mattina anche se lo confesso non è facile. Conoscevo Franco non so bene se da 40 o 50 anni. Il nostro era un bel rapporto sempre improntato al sorriso, allo scherzo, al comune amore per il jazz.

Quando ci incontravamo o ci sentivamo per telefono lui amava prendersi gioco di me, inventando giochi di parole sui miei nome e cognome, ma lo faceva in modo così amorevole, col sorriso sulle labbra che sembrava voler dire “non badare alle mie parole, ti voglio bene” che era impossibile arrabbiarsi.

 

Ovviamente c’erano anche momenti più seri, quelli in cui si parlava di musica ed era un piacere ascoltarlo anche perché lui ti raccontava eventi, episodi vissuti in prima persona. Eventi che lo hanno visto protagonista della scena jazzistica almeno per trent’anni di fila in cui Franco si è segnalato come un grande divulgatore grazie ai suoi articoli, ai suoi libri e alle sue apparizioni in TV. Non dimentichiamo che negli anni Settanta Fayenz, assieme a Franco Cerri, collabora a “Jazz in Italia”, un programma di Carlo Bonazzi declinato attraverso una serie di interviste ai jazzisti le cui performances in giro per i jazz club della Penisola venivano mandati in onda. La sua brillante carriera è stata costellata da molti riconoscimenti che riteniamo superfluo ricordare in questa sede. Basti solo considerare il fatto che la stima da parte dei musicisti mai è venuta meno nei suoi confronti anche quando, per lunghi anni, ha lavorato per un quotidiano che mai è stato in cima alle preferenze dell’ambiente jazzistico globalmente considerato.

L’ultima volta che ci siam visti è stato nel 2015 durante il Festival Udine Jazz e non è stato un bel vedere dal momento che si vedeva come Franco, purtroppo, accusasse il peso dell’età anche se l’arguzia e la voglia di scherzare erano quelle di sempre.

Adesso non scherza più… almeno su questa terra. Ciao Franco, vai ad ascoltare altre melodie!

 

Gerlando Gatto

Phil Markowitz: è fondamentale suonare creativamente

Pianista e compositore raffinato ma anche uomo di rara disponibilità e gentilezza, Phil Markowitz – classe 1952 – è a mio avviso uno dei tanti musicisti ancora sottovalutato. E dire che nella sua vita di cose ne ha fatte tante. Basti al riguardo scorrere la sua ricca discografia e lo troviamo sia alla testa di proprie indimenticabili formazioni, sia come sideman accanto ad altri veri e propri giganti del jazz quali Chet Baker, Dave Liebman e Bob Mintzer.
Di recente abbiamo ascoltato il doppio album inciso in solitaria durante un concerto all’Auditorium Parco della Musica di Roma il 9 maggio del 2006. Ne siamo rimasti particolarmente colpiti e abbiamo avuto il desiderio di intervistarlo. Ci siamo rivolti all’amico Giorgio Enea, dell’ufficio stampa dell’Auditorium, il quale ci ha fornito un contatto mail. Così ci siamo scritti e Phil ci ha risposto immediatamente. Di qui l’intervista che pubblichiamo di seguito.

-Partiamo da un doppio album registrato live a Roma, all’Auditorium Parco della Musica, il 9 maggio del 2006 ma pubblicato solo poche settimane fa. Ricorda qual era il suo stato d’animo quando suonò questa splendida musica?

“Ero davvero felice di suonare in concerto da solo e ovviamente anche un po’ nervoso prima di salire sul palco, cosa assolutamente normale. Ricordo di essermi molto concentrato per questa performance, considerato che si trattava di una scaletta parecchio impegnativa, e di essere stato infine molto soddisfatto grazie alla magnifica risposta del pubblico, cosa molto incoraggiante. I tre bis, poi, sono stati semplicemente meravigliosi”.

-Nel frattempo, sono trascorsi ben 16 anni; come è cambiato Phil Markowitz in questo lasso di tempo?
“Penso che quando uno arriva ai 50 anni più o meno sa chi è, ergo ci sono stati degli sviluppi da quel giorno ma essenzialmente il mio cammino musicale ha seguito la stessa strada eclettica che ho sempre intrapreso”.

– Qual è attualmente il suo approccio verso la musica?
“Da un punto di vista compositivo il mio approccio è quello di creare strutture in ambienti molto ben definiti e di suonare creativamente e inventivamente all’interno di esse. Per quanto riguarda le performance in gruppo è ed è sempre stato lo stesso: supportare la band, essere preparati e saper giocare di squadra”.

– Adesso riandiamo indietro nel tempo: un po’ come tutti i musicisti di jazz, anche lei prima di guidare propri gruppi ha militato come sideman in formazioni guidate da altri. Quanto ciò è importante nella formazione di un musicista?
“Se sei un musicista che si occupa del ritmo, che sia il pianoforte, il basso, la batteria o altri strumenti a corda, è cruciale per il tuo sviluppo musicale. Si deve saper valutare ogni situazione musicale e ogni musicista che si accompagna; ciò affina le tue abilità musicali e devi essere un artista maturo per avere successo. Io dico sempre ai miei studenti che le abilità di accompagnatore sono la parte più importante della disciplina di ognuno: una cosa è essere un gran solista, altra cosa è saper accompagnare. È la capacità di accompagnare che ti permette di far suonare bene la musica e di farti conservare il lavoro dato che così facendo metti il tuo leader nelle condizioni migliori!”.

– C’è stato un momento nella sua vita, nel suo percorso artistico che le ha fatto capire di essere in grado di affrontare una sua personalissima carriera?
“Non sono sicuro di aver capito la domanda ma in sintesi è stato il mio amore per la musica improvvisata che suoniamo e ovviamente i numerosi e incredibili maestri che ho avuto durante il mio percorso a spingermi verso una carriera fatta di musica. Inoltre, ho capito molto presto che è assolutamente importante essere un compositore con una propria, ben specifica unicità che ti consente di creare quegli ambienti nei quali s’innesta il panorama sonoro che ti rende immediatamente riconoscibile”.

– Lei ha ottenuto, per l’appunto, una straordinaria visibilità anche come compositore quando ha suonato con Toots Thielemans a NYC. Come ricorda quel periodo?
“New York negli anni Ottanta era magnifica, c’era un sacco di lavoro. Suonavo con Chet Baker, Toots, la Mel Lewis Big Band e, poco prima, con Joe Chambers; mi guadagnavo da vivere suonando nella downtown, in concerti con diversi gruppi. In sintesi, è stato un periodo molto fertile. Ovviamente sono molto grato a Toots, con il quale ho lavorato per quattro anni e che fu anche uno dei miei primi mentori quando studiavo al College nella Eastman School of Music. C’era questa meravigliosa confluenza di circostanze: ad esempio Bill Evans veniva al nostro concerto a N.Y. e noi suonavamo “Sno’ Peas”, un pezzo che Toots eseguiva ogni sera”.

Tra gli artisti con i quali ha suonato a lungo figurano Chet Baker e Dave Liebman, musicisti differenti quasi da ogni punto di vista. Qual è stato il suo rapporto con i due?
“Con Chet avevo un bellissimo rapporto anche se era più anziano di noi. In quel tempo – quando ero più vicino ai trenta che ai vent’anni – suonavo con la band. Lui era molto paziente con noi e dava il buon esempio a tutti. Ho certamente imparato l’arte dell’accompagnamento durante questo periodo; se qualcuno suonava un accordo sbagliato dietro a Chet rovinava le sue meravigliose e incontaminate sortite solistiche degne di Mozart. Quando mi sono trasferito a New York negli ultimi anni Settanta, conoscevo già Dave Liebman dalle sue registrazioni con Miles ed Elvin Jones e la band “Quest”, che aveva con Richie Beirach. Quando ero in città andavo quasi ad ogni concerto in cui c’erano loro; era sempre stato il sogno della mia vita suonare con Dave e nei primi anni Novanta il mio desiderio venne esaudito. Lui è sempre stato per me un assiduo e sincero maestro, mi ha sempre appoggiato ed ha avuto una grande e meravigliosamente positiva influenza nella mia vita. Penso che l’aver avuto, sin da giovanissimo, un interesse molto forte per la musica del XX secolo e per l’armonia cromatica mi abbia reso più pronto per i suoi concerti. La  “Saxophone Summit” è stata senza dubbio la miglior band con cui abbia suonato e quell’esperienza ventennale rimane la più entusiasmante che abbia vissuto nel mondo del jazz. Ci sono moltissime registrazioni meravigliose con quel gruppo e aver suonato con Joe Lovano, Michael Brecker, Ravi Coltrane, Greg Osby e naturalmente Dave Liebman è stata un’esperienza formativa dal valore incommensurabile. Per non parlare di Billy Hart che è senza ombra di dubbio il miglior batterista con cui abbia avuto il piacere di suonare”.

– Lei suona da solo, in combo e in big band. In quale situazione preferisce esprimersi?
“Adoro il piano trio perché come leader ti dà la maggior flessibilità mentre plasmi la musica. Anche il duo è estremamente gratificante, sebbene sia più difficile: devi accompagnare, essere tutta la band e suonare da solo. È un ambiente meraviglioso. D’altro canto, suonare con la sezione fiati è stato molto bello; in effetti per la big band è una lunga storia ma basti sapere che se si è pianisti in quel contesto è necessario sapere tutto ciò che l’arrangiatore ha messo in ogni spartito. La mia band con il violinista Zach Brock (jazzista statunitense, classe 1974, membro degli Snarky Puppy dal 2007 n.d.a.) è stata molto gratificante; ho sempre voluto lavorare con un violinista e ho sempre creduto che piano e violino siano un perfetto abbinamento sonoro”.

– Oggi il jazz è diventato materia di insegnamento e Lei se ne occupa appieno. A suo avviso, quanto è importante per il futuro della ‘nostra’ musica questo tipo di formazione?
“L’educazione jazz è una sorta di spada a doppio taglio. Ritengo che in questo momento sia importante perché la scena è molto più ristretta adesso rispetto a quanto lo fosse negli anni ’70 e ’80. Sono grato per la mia esperienza universitaria alla Eastman School of Music, dove ho incontrato Gordon Johnson (contrabbassista e chitarrista statunitense classe 1952 n.d.a) e il batterista Ted Moore con i quali ho fondato una band chiamata “Petrus” che vinse un concorso nazionale per il miglior gruppo jazz giovane con in palio una performance al Newport Jazz Festival del 1973. Nei prossimi mesi rilasceremo finalmente le nostre registrazioni in studio, che avevo conservato nel mio armadio… suonano come se fossero di oggi. Tutto ciò non sarebbe mai successo se non ci fossimo incontrati in Conservatorio. Le connessioni che si creano in ambito musicale con le persone che incontri, gli insegnamenti che puoi ricevere da grandi musicisti che normalmente non avresti opportunità di incontrare e la musica che crei, durano per la vita. E sono cose che non si dimenticano. È chiaro che per avere una preparazione più approfondita si deve studiare in Conservatorio, e ciò prevede dei costi; certo, si possono trovare insegnanti anche tra i musicisti di strada, ma non è la stessa cosa; tuttavia, nella scena attuale ognuno deve avere la consapevolezza di ciò cui va incontro: non tutti diventano star o super star, spesso i migliori musicisti non sono i più famosi, e spesso i più famosi non sono i migliori. Io ritengo che la pedagogia, come io l’ho sviluppata nei numerosi anni in cui sono stato educatore, specie negli ultimi 20 anni nel programma di laurea e dottorato nella “Manhattan School of Music”, mi abbia aiutato a definire il mio stile. Imparare ad insegnare può agevolare notevolmente il proprio sviluppo”.

– C’è qualche musicista che ritiene particolarmente importante per la Sua di formazione?
“Tutta la gente che ho menzionato in precedenza è molto importante: Chet Baker, Dave Liebman e posso aggiungere Bob Mintzer e Maurizio Giammarco in Italia. Queste sono le persone principali con cui ho avuto lunghe collaborazioni. Ma ovviamente ce ne sono state tante altre lungo il cammino dalle quali, ogni qualvolta si suoni assieme, si impara qualcosa”.

– Quando pensa di tornare in Italia?

“Si spera il prima possibile: È il mio posto preferito dove suonare”.

E noi ce lo auguriamo di tutto cuore; a presto Phil…

Gerlando Gatto

Dario Chiazzolino: dalla Mole Antonelliana alla “Grande Mela” per amore del jazz

Quando si affronta il tema della «fuga di cervelli» dall’Italia, bisognerebbe tener presente anche quella di molti giovani musicisti di talento che, per maggiori opportunità o soprattutto per assenza di meritocrazia, decidono di abbandonare il nostro Paese per cercare di affermarsi all’estero. Fra questi casi c’è anche quello di Dario Chiazzolino, trentasettenne chitarrista jazz e compositore che vive stabilmente a New York dal 2016.
Il jazzista torinese suona professionalmente la chitarra dall’età di quattordici anni. Laureatosi al conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino con il massimo dei voti, successivamente ottiene un master di chitarra jazz presso l’Università della Musica. Nel corso della sua brillante carriera condivide palco e studio di registrazione insieme a numerosi jazzisti di statura mondiale, tra i quali: Bob Mintzer, Dave Liebman, Peter Bernstein, Andy Sheppard, Aaron Goldberg, Billy Cobham, Russel Ferrante, Roy Hargrove, Dominique Di Piazza, Antonio Faraò, Willie Jones III, Sylvain Luc, Richard Bona, Eric Harland, Greg Spero, Ugonna Okegwo, Jonathan Kreisberg, Francisco Mela. Le sue qualità artistiche sono particolarmente apprezzate in tutto il mondo, ad esempio in Francia, Spagna, Germania, Svizzera, Inghilterra, Scozia, Polonia, Finlandia, Norvegia, Olanda, Belgio, Islanda, Stati Uniti, nazioni nelle quali è ospite di rinomati jazz club e prestigiosi festival jazz. Le sue doti musicali sono riconosciute anche grazie al conseguimento di vari e importanti premi: “Best Guitarist” (Umbria Jazz Award, 2006), “Artist of the Year Award” (D-Magazine, Critics Poll, 2013), “Best Guitarist” (Guitarlist Magazine, Critics Poll, 2015), “Best Jazz Album” (“Spirit Fingers”, Soul and Jazz Magazine, Critics Poll, 2018), “Best Jazz Guitarist of the Century Award” (Jazz Guitar Magazine, Critics Poll, 2019), “Louis Armstrong Foundation Award” (2020). Anche per ciò che concerne la produzione discografica, Dario Chiazzolino è molto attivo con la pubblicazione (fra dischi da leader, co-leader, sideman e produttore) di oltre venticinque album.

Un altro aspetto fondamentale della sua attività artistica è legato alla didattica, ambito nel quale è attualmente impegnato alla “Jazz Faculty” del famoso “Borough of Manhattan Community College” (TribecaNew York), parte della più grande rete universitaria statunitense denominata “City University of New York” (CUNY), oltre a dirigere masterclass in tutta Europa e negli Stati Uniti in alcuni importanti college, università e conservatori come la “Purdue University” (Indiana) e il noto “Musicians Institute” (Los Angeles), così come le significative esperienze sempre nel ruolo di docente di chitarra presso il “Long Island Music Conservatory” (New York) e al “Music Conservatory of Westchester” (White PlainsNew York). Anche in qualità di ricercatore musicale e collaboratore didattico, Chiazzolino scrive articoli di didattica chitarristica, analisi e armonia jazz per svariate riviste specializzate, fino ad arrivare alla pubblicazione di alcuni metodi elaborati negli ultimi sei anni. Inoltre, da endorser, collabora con tantissimi marchi di strumenti musicali conosciuti in tutto il mondo.
Soffermandosi invece sul suo stile, Dario Chiazzolino è in possesso di una notevole padronanza strumentale che gli consente di esprimersi al meglio delle sue possibilità. Il suo fraseggio, carico di swing, è fluido, limpido, vibrante e lirico allo stesso tempo, assai energico e, al contempo, caratterizzato da un sopraffino senso melodico. Il tutto impreziosito da un frequente utilizzo dell’Out Playing, sua peculiarità tecnica ben definita, attraverso cui crea tensione armonica e dà libero sfogo al suo fervido estro improvvisativo. Profondo conoscitore della grammatica jazzistica, è un chitarrista poliedrico in grado di spaziare con naturalezza dal jazz alla fusion, dalla world music al contemporary jazz, generi che mettono in luce anche la sua toccante sensibilità comunicativa, sovente arricchita da un imprinting mediterraneo e da una concezione moderna della chitarra, comprendente finanche un esteso uso della poliritmia.
Dario Chiazzolino è un musicista dall’inestimabile valore che, purtroppo, come tanti suoi giovani colleghi italiani, è paradossalmente più conosciuto all’estero che nel nostro Paese. A dir la verità questo è un gran peccato, perché i fulgidi talenti come lui – senza ombra di dubbio – meriterebbero molto più spazio, visibilità e gratificazioni professionali in una nazione che, troppo spesso e ingiustamente, non valorizza al 100% le nostre eccellenze artistiche lasciando che, al netto di rinunce e sacrifici enormi, si trasferiscano altrove per inseguire i propri sogni, coltivare le loro passioni, per amore del proprio lavoro e per costruirsi una carriera degna di tale nome.

Stefano Dentice

Gerlando Gatto & Francesco Venerucci “Jazz & Covid tra Parole e Musica alla Civica Scuola delle Arti di Roma

Proseguono le presentazioni dal vivo del terzo libro del nostro direttore Gerlando Gatto, “Il Jazz Italiano in Epoca Covid”, che avevano subito una battuta d’arresto a causa della pandemia.
L’evento, inserito nel cartellone di Inside The Music, un progetto a cura di Fabrica Harmonica, si svolgerà alla Civica Scuola delle Arti di Via Bari, 22 (II piano) a Roma, domenica 27 febbraio 2022 con inizio alle ore 18.30

Si tratta di un’occasione unica perché, in realtà, le presentazioni saranno due! Infatti, in abbinamento a quella del libro di Gerlando, il pianista e compositore Francesco Venerucci presenterà il suo nuovo CD “Tramas”, un disco che vede la partecipazione speciale di Dave Liebman, flautista e sassofonista statunitense e dove le liner notes sono a cura dello stesso Gatto.

L’album si snoda attraverso nove tracce, tutte originali, nel quale il comune denominatore è l’assoluta qualità di composizioni ed esecuzioni, ed un gusto che fa di questo lavoro una bellissima conferma del talento del cinquantunenne pianista romano. Jazz ma non solo; si va dalle sponde del Mar Mediterraneo a quelle atlantiche direzione New Orleans, dall’Africa all’Europa. Fra le composizioni spicca la dedica alla tragedia del Ponte Morandi di Genova del 2018, testimoniata dall’intensità del brano “August 14th”.

“Il Jazz Italiano in Epoca Covid” (Lulu ed.), è il terzo libro di interviste firmato dallo storico giornalista di Jazz Gerlando Gatto, dopo “Gente di Jazz (2017, due ristampe) e “L’altra metà del Jazz” (2018), pubblicati entrambi per i tipi di KappaVu Edizioni/Euritmica.
Si tratta di un instant book che raccoglie, attraverso 41 interviste, pensieri, speranze, progetti, consigli di ascolto ma anche paure e preoccupazioni di musicisti e musiciste del Jazz italiano, immortalati in un periodo compreso tra marzo e maggio 2020, durante il lockdown dovuto alle misure di contenimento della pandemia da Covid-19.
Tra gli artisti intervistati in “Il Jazz Italiano in Epoca Covid” troviamo: Maria Pia De Vito, Paolo Fresu, Enrico Intra, Enrico Rava, Franco D’Andrea, Rita Marcotulli, solo per citare alcuni di essi, tutti personaggi di riferimento del jazz nazionale, che compaiono nel volume.
Per l’ideazione e la realizzazione dell’opera, Gatto si è avvalso della collaborazione della scrivente, la giornalista musicale Marina Tuni, che ha anche raccolto alcune delle interviste assieme a Daniela Floris.
A concludere la serata, una degustazione di vini bio della Cantina Ponziani, nata dalla passione di un gruppo di donne che producono vini caratterizzati dal grande amore per il territorio, vocato alla viticoltura, qualità, sperimentazione e cura del dettaglio per i vini IGT Umbria della Tenuta, situata nel verde delle colline di Orvieto, a metà strada tra Roma e Firenze.
INGRESSO A NUMERO CHIUSO con prenotazione obbligatoria fino esaurimento posti – 5€
CLICCA QUI PER ACQUISTARE IL BIGLIETTO ONLINE
info: 393 914 5351 – evento disponibile anche su Facebook Live Streaming alla pagina di Inside the Music

Marina Tuni

“Suoni del Futuro Remoto” tra i 100 greatest Jazz album del 2021

500 copie in edizione limitata, copertina bellissima realizzata dal giovane Nicola Andrulli sulla quale è riportato uno dei simboli della città di Matera, la scultura dedicata al contadino che attende giornalmente nella piazza di Matera di essere scelto dal proprietario terriero per il lavoro nei campi. Ma nel disco, etichetta Onyx, l’immagine riprende il contadino che indossa una cuffia audio che lo trasforma in un attento ascoltatore di musica.
È così che si presenta “Suoni del Futuro Remoto (Partitura per Orchestra e Suoni Naturali)” il vinile prodotto dall’Etichetta Onyx Jazz Club di Matera (numero di catalogo CdOnyx 029 e 030), del Collettivo Onyx diretto da Joe Johnson con ospite Paolo Fresu e Massimo Ottoni, con i suoni campionati da UniBanda SFR, curato nella parte tecnica da Francesco Altieri di LabSonic.
Il disco testimonia il percorso di ricerca sonora che l’E.T.S. di Matera ha realizzato nel 2019 nella città dei Sassi in occasione dei festeggiamenti di Matera Capitale Europea della Cultura. Progetto di Matera Capitale Europea della Cultura 2019 ideato e co-prodotto da Onyx Jazz Club e Fondazione Matera Basilicata 2019.
Pochi giorni fa, il disco è stato selezionato dalla prestigiosa rivista specializzata JazzIT tra i 100 GREATEST JAZZ ALBUM DEL 2021.


Un prestigioso traguardo che ripaga gli sforzi fatti in questi anni dall’associazione lucana. Fanno parte del JAZZIT Awards 2021 registrazioni di musicisti del calibro di Chris Potter, Enrico Rava, Dave Liebman, Joe Lovano, Brandford Marsalis, Pat Metheny e tanti altri ancora.
“Suoni del Futuro Remoto” non è solamente un disco, ma, come in un libro, è possibile ritrovare il racconto di uno dei luoghi più belli del mondo, un progetto voluto da un gruppo di soci, quelli dell’Onyx, che nonostante alcune paure iniziali e defezioni, ha condotto in porto una esperienza esaltante attraverso il coinvolgimento di tanta gente.
Tutto ciò lo avverti scartando la cellophanatura che sigilla il disco e aprendo la busta gatefold, che contiene all’interno un libretto di 12 pagine ricche di fotografie e contributi scritti da parte di numerosi testimoni del progetto come ad esempio Paolo Verri, Paolo Mele allora rispettivamente Direttore e Project Manager della Fondazione Matera Basilicata 2019, di Antonella Ciervo ufficio stampa Onyx, Angelo Palmas, Presidente di Nuoro Jazz e Mauro Calderoni, Sindaco di Saluzzo.
Spiccano subito all’interno due cd che riproducono il concerto completo registrato in Piazza San Francesco il 26 agosto 2019 e un progetto nel progetto: “Passeggiando di notte”, che riporta i suoni della città registrati in una notte d’estate.
Dalla tasca laterale della copertina scivola una busta bianca contenente il vinile. Questo disco nero, con un diametro di circa 33 cm, che dopo anni di abbandono, sostituito dal più piccolo e maneggevole compact disc, ritorna prepotentemente sulla scena dell’ascolto dell’alta qualità per gli audiofili più incalliti.
Non resta altro che poggiare il nero disco sul piatto dello stereo e accompagnare il braccio del giradischi sui primi solchi, sedersi in poltrona e dedicarsi all’ascolto.
«Suoni del Futuro Remoto è frutto di un lavoro sinergico fatto tra la Fondazione e il project leader Onyx Jazz Club, che nel 2019 ha raccontato la città di Matera in modo del tutto inedito, attraverso la suggestione dei suoi suoni più simbolici, da quelli urbani a quelli naturali, trasformati poi in una partitura orchestrale – sottolinea il Direttore della Fondazione Matera Basilicata 2019, Giovanni Oliva -. Il prestigioso riconoscimento ottenuto dal progetto è l’attestazione della grande qualità prodotta nel percorso di co-creazione con la scena creativa lucana per Matera Capitale Europea della Cultura 2019, che intendiamo rilanciare con forza nei prossimi mesi».

Redazione

SUONI DEL FUTURO REMOTO
Testo a cura di Luigi Esposito progettazione Direzione SFR.
Onyx Jazz Club, project leader

TEMA DEL DOSSIER DI CANDIDATURA
Futuro Remoto
Progetto di Matera Capitale Europea della Cultura 2019 ideato e co-prodotto da Onyx Jazz Club e Fondazione Matera Basilicata 2019
COSA
Ogni luogo ha un suono e ogni città ne possiede a volte senza esserne consapevole. È da questi elementi che è nato “Suoni del futuro remoto”, il progetto di Onyx Jazz Club coprodotto dalla Fondazione Matera-Basilicata 2019. L’attività di soundscaping e soundrecording effettuata dagli studenti del Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo dell’Università della Basilicata (UniBanda) si è unita al lavoro ultratrentennale dell’Onyx, che punta da sempre al rapporto stretto fra territorio e musica e che in questo caso ha contato su collaborazioni e partnership che vanno dalla Scuola di Alto Perfezionamento Musicale e dal Comune di Saluzzo, fino all’Università di Hannover. Il risultato è passato da una serie di collaudi sonori e concerti nei quali gli artisti provenienti da tutta Europa si sono lasciati ispirare dal luogo nel quale si sono esibiti, dal chiostro di un museo, al ventre della terra nella profondità di un pozzo, fino ai cortili dei Sassi. Un viaggio nel tempo che non ha trascurato nessuno degli elementi forti di una città millenaria come Matera.
Uno degli eventi più suggestivi è stato il concerto che ha chiuso la serie di sperimentazioni, il 26 settembre 2019, che ha visto sul palco naturale di piazza San Francesco il Collettivo Onyx, composto da Marta Gadaleta, voce; Gianfranco Menzella, sax tenore; Mike Rubini, sax alto, Pepi Romaniello, sax tenore e soprano; Biagio Orlandi, sax tenore e soprano; Nicolò Petrafesa, pianoforte; Gianni Vancheri, chitarra e clarinetto basso; Rino Locantore, voce, tamburi a frizione, bottiglia, metallofonia (frangizzolle); Pasquale Gadaleta, contrabbasso; Giacomo Mongelli, batteria, musicisti provenienti dalla Basilicata e dalla Puglia diretti dallo statunitense  Joe Johnson con ospiti il video artist Massimo Ottoni e il trombettista Paolo Fresu, impegnati nella prima del concerto basato sulla partitura per “Orchestra e Suoni Naturali” composta dallo stesso Johnson con il materiale campionato nelle strade della città e nel Parco della Murgia Materana dagli studenti.
Immaginate, dunque, un’orchestra sinfonica composta da centinaia di elementi: i falchi grillai, il tufo bianco, i mulinelli della Gravina, i pendii della Murgia, le distese di malva selvatica. Il racconto di Matera attraverso uno spartito in grado di leggere l’acustica dei luoghi.
Suoni del Futuro Remoto (SFR) presenta all’Europa Matera e il suo paesaggio attraverso i suoi suoni naturali che sono stati catturati, analizzati, mappati, rielaborati in digitale, per coglierne la voce più autentica e trasformarli in diversi linguaggi, dalla musica, all’installazione artistica e sonora, fino ad essere tradotti in performance dal vivo.
COME
Il progetto, nato all’interno del percorso di co-produzione avviato dalla Fondazione Matera-Basilicata2019 nel 2017, ha avviato le sue attività nel 2018 con una serie di “collaudi sonori” di luoghi acusticamente interessanti della città.  Performance dal vivo di musicisti e artisti hanno sperimentato le particolari sonorità per raccontare un inedito itinerario sonoro.  Il compito di registrare i suoni è stato affidato agli studenti dell’Università della Basilicata, i ragazzi di UniBanda, che hanno lavorato con i loro colleghi dell’Università di Hannover e ai volontari del Servizio Volontario Europeo (SVE) dopo aver appreso alcune tecniche di post-produzione audio in una residenza presso la Scuola di Alto Perfezionamento Musicale di Saluzzo. Dai suoni naturali della Gravina a quelli delle Festa Patronale passando attraverso i suoni delle piazze, dei vicoli, delle botteghe artigiane, tutto si è trasformato, come per magia in note musicali.
RISULTATI
I suoni campionati sono diventati i protagonisti di due percorsi paralleli, uno più narrativo-performativo, l’altro più artistico-musicale. Nel primo caso l’UniBanda ha utilizzato le tracce per ideare, progettare e realizzare in autocostruzione sei installazioni sonore in alcuni dei luoghi più significativi della città, il campus universitario, ma anche il palombaro di S. Giovanni da Matera (antica cisterna di raccolta delle acque piovane), Casa Cava e la Piazza Vittorio Veneto.
Il progetto artistico-musicale si è avvalso di numerosi compositori e musicisti che hanno dato la loro personale lettura del territorio trasformando i suoni della città in partiture musicali originali, tra questi i Gaze of Lisa (Italia), Niels Berg Cinemascope (Svezia), Hilde Marie Holsen (Norvegia) e Joe Johnson (Stati Uniti). Quest’ultimo ha rielaborato i suoni naturali in note musicali dando vita a una partitura per orchestra e suoni naturali eseguita in prima mondiale assoluta dal Collettivo Onyx e dal trombettista jazz Paolo Fresu il 26 settembre 2019 nella splendida cornice di Piazza S. Francesco a Matera. Il progetto è stato successivamente presentato con grande successo di pubblico nel Teatro Magda Olivero della città di Saluzzo, partner di ferro del progetto, il primo novembre 2019.
Il concerto di Matera del 26 settembre 2019 è oggi conservato nei solchi di questo vinile e nei 2 cd allegati come testimonianza di un processo di condivisione di decine tra artisti, volontari, appassionati, tecnici, studenti, professionisti, Istituzioni, donne e uomini che hanno espresso serenità e competenza. SFR è un omaggio alla città di Matera, ai suoi luoghi fuori dal tempo, ai suoi suoni, agli abitanti permanenti e temporanei, protagonisti di uno spettacolo unico e irripetibile.
Grazie Matera, Capitale Europea della Cultura 2019!