Uscito il nuovo album del cantante e chitarrista Giuliano Ligabue

È uscito il 3 dicembre 2016 nei più importanti Digital Stores il nuovo Album di Giuliano Ligabue, Giuliano Ligabue – Live at Summertime in Jazz, e dal 15 dicembre 2016 è disponbile anche il Compact Disc.

Una registrazione che restituisce l’ultimo grande progetto ideato dal cantante, chitarrista, arrangiatore e compositore italiano, nella sua Prima assoluta, il live inserito nel prestigioso cartellone Summertime in Jazz 2016, organizzato dal Piacenza Jazz Club e tenuto a Travo (PC) lo scorso 15 luglio.

Dodici tracce, sette musicisti, la chitarra e la voce inconfondibile di Giuliano Ligabue che raccontano il nuovo percorso musicale di questo straordinario talento del panorama Jazz, in cui lo Swing si fonde a rivisitazioni di brani Pop e a calde sonorità Bossa nova, in un’intensa, personale e coinvolgente interpretazione vocale e strumentale.

Ad una solida base ritmica – piano, batteria, basso elettrico e la sua chitarra – Giuliano Ligabue ha aggiunto una sezione di quattro fiati – tromba, trombone, sax contralto e sax tenore – a ricreare le suggestioni sonore tipiche delle favolose Big Band che hanno accompagnato dapprima nomi del calibro di Frank Sinatra, Tony Bennett, Nat King Cole, fino ai giorni nostri con quelli di Diana Krall, Michael Bublé e Harry Connick Jr. (altro…)

Prince, il “non Jazz”, e chiedo scusa finalmente liberandomi di un tormento.

Prince

 

Nel 2011 Prince suonò a Perugia, all’Arena Santa Giuliana. Io e Daniela Crevena c’eravamo e seguimmo anche tutte le polemiche solite sulla opportunità di destinare gran parte del budget ad una popstar. Io stessa scrissi ” andiamo a vedere un artista il cui unico legame con il jazz è quello della passione che suscitò in Miles Davis”.
Eppure lo conoscevo bene Prince. Non era un Jazzista ma lo adoravo, non lo avevo mai visto sul palco, e sia io che Daniela non vedevamo l’ ora che arrivasse quel concerto che in teoria con il Jazz aveva poco a che vedere. Questo era ciò che si diceva tra i puristi del Jazz, tra i quali io scrivendo quella frase rientrai di diritto.
Quella frase che sto dolorosamente riesumando qui oggi, che mi ha un po’ tormentata  in questi cinque anni, e che è rimasta scritta nera su bianco in un mio articolo di allora, era connotata da una negazione: Prince non è Jazz.  In realtà avrei dovuto scrivere che Prince non era SOLTANTO Jazz, e per questo Miles se ne appassionò.
Il concerto fu emozionante, e quelle poche righe che gli dedicai dicevano la verità su ciò che avevo provato ascoltandolo e guardandolo: ” spettacolo allo stato puro, effetti speciali, una rockstar mitica che dà i brividi non appena appare sul palco, per chi è cresciuto ascoltando e cantando i suoi successi. Musicisti di livello, costumi fantasmagorici, trucco pesantissimo e tacchi vertiginosi, coriste con voci di grande rilievo, volume altissimo come in ogni concerto pop – rock che si rispetti, e i brani cult eseguiti alla fine, tra cui naturalmente anche un bellissimo (ed emozionante) “Purple Rain” con tanto di pioggia di coriandoli viola e platea luccicante di telefonini accesi.”  Una specie di miraggio, la descrizione quasi adolescenziale di un evento attesissimo e vissuto con il cuore a mille che si cerca di mettere per iscritto per apparire il più dignitosa possibile di fronte ad una star che si vede e si ascolta finalmente, per la prima volta.
E’ rimasta a tormentarmi quella frase di negazione che dal giorno in cui venne pubblicata mi pungeva, ogniqualvolta ascoltavo Prince. Perché non solo il non essere Jazz non può essere un’ accezione negativa, ma anche perché la caratteristica di Prince era il mescolare, era l’innovazione continua, era il progredire in avanti, il contestare, l’ improvvisare, era l’ esplorare. Eccolo il Jazz di Prince, se proprio dobbiamo giustificarne la sua presenza sul palco dell’ Arena Santa Giuliana.
La sua presenza probabilmente sarebbe stata approvata persino da Miles Davis.
Nei tanti concerti che abbiamo seguito a Perugia a dire il vero abbiamo sentito tanto “non jazz” stranamente definito Jazz dai puristi,  anche al “jazzissimo” Morlacchi. Musicisti internazionali acclamatissimi magari deludenti, e tanti, anche italiani, magari in infradito e pantaloncini, che ci hanno asfissiato con i loro infiniti, autocelebrativi, estenuanti assoli.
Prince ora non c’è più, e con lui non ci sono più il suo Jazz, il suo Pop, il suo Blues, il suo Rock, il suo Swing, la sua MUSICA, il suo Purple Rain che ogni volta che lo ascolto, anche con i miei figli, mi commuovo.
Ieri sera mi ha avvisata mio figlio ventunenne, con un sms “Mamma, è morto Prince, mamma hai saputo?”
Mia figlia che ha 18 anni mi ha detto “ma io volevo vederlo” …

Giù il cappello quando un musicista travalica così le generazioni.
Sono contenta solo che Prince non abbia mai letto il mio articolo che lo definiva “non jazz”.  Che questo mio articolo valga come richiesta di scuse, troppo tardi lo so, a lui e a chi mi ha letta nel 2011.

I NOSTRI CD. Novità da tutto il mondo

I NOSTRI CD

Weather Report “The Legendary Live Tapes: 1978-1981″ – Legacy Recordings
wheaterreportAnche nel jazz il mercato discografico attraversa un momento particolarmente difficile: si producono molti, forse troppi dischi che poi nessuno compra anche perché, diciamolo chiaramente, gli album davvero interessanti, degni di essere ascoltati con attenzione e di essere conservati sono pochi. A questa seconda categoria appartiene la sontuosa realizzazione della Legacy Recordings, una divisione della Sony Music Entertainment: un cofanetto di 4 album contenente concerti inediti della band le cui concezioni avrebbero rivoluzionato il mondo del jazz – e non solo – influenzando generazioni di musicisti. Registrato dal vivo tra il 1978 e il 1981, “Weather Report, The Legendary Live Tapes” presenta quella che a detta di molti è stata la migliore formazione del gruppo, vale a dire, Joe Zawinul (tastiere), Wayne Shorter (sassofono), Jaco Pastorius (basso elettrico) e Peter Erskine (batteria) cui si aggiunge nei concerti in quintetto  Robert Thomas, Jr. (percussioni). Questa sorta di compilation da concerti inediti è stata curata e prodotta da Peter Erskine e Tony Zawinul (figlio del compianto Joe); le performances sono state registrate o dal data mixing engineer Brian Risner o direttamente dal pubblico (bootleg). Il tutto è completato da un libretto di 32 pagine scritto da Peter Erskine, con rare fotografie del periodo. I risultati sono assolutamente apprezzabili: abbiamo, infatti, l’opportunità di riascoltare il gruppo in uno dei momenti di maggiore creatività grazie anche all’innesto di quello straordinario fenomeno che fu Jaco Pastorius (lo si ascolti, tra l’altro, in due strepitosi assolo alla fine del CD 1 e nel quarto pezzo del CD 4). Ma è tutta la band ad esprimersi su livelli di eccellenza, evidenziando grande coesione con Zawinul e Shorter impegnati sempre a ricercare nuove vie espressive e un Peter Erskine che già allora dimostrava di essere uno dei batteristi più inventivi e originali della storia del jazz. Venendo ad una disamina più particolareggiata del cofanetto, va subito rilevato che lo stesso non è organizzato in forma cronologica: il primo e il terzo CD si riferiscono ai concerti effettuati in quintetto nel 1980 e ’81 mentre il secondo e il quarto sono dedicati al quartetto registrato durante il 1978. L’ascolto di questi album ci consente alcune considerazioni di fondo: innanzitutto se è vero che i Weather Report ottenevano grandi risultati in studio, è altrettanto vero che dal vivo la qualità delle loro esibizioni non era inferiore e questo indipendentemente dal fatto che il gruppo si esibisse in quartetto o in quintetto. In secondo luogo risalta evidente la maestria pianistica di Zawinul: troppo spesso si è considerato Joe un abilissimo assemblatore di suoni e un grande tastierista trascurando la sua dimensione pianistica: ebbene lo si ascolti nel duetto con Wayne Shorter che apre il secondo CD sulle note di una medley ellingtoniana (“Come Sunday” e “Sophisticated Lady”) per avere un’esatta percezione del suo pianismo. Infine viene ribadita sia la grande capacità del gruppo di controllare sempre e comunque le dinamiche sia la sagacia compositiva di Zawinul i cui temi resteranno nella storia del jazz: due titoli per tutti “Birdland” e “Black Market” registrati in quartetto alla Koseinenkin Hall di Tokyo il 28 giugno del 1978.

Les Ambassadeurs – “Rebirth” – World Village 479113
rebirth“Pop mandingo e groove inalterabile…Il gruppo faro delle nuove musiche africane è di ritorno”. Così recita la fascetta di presentazione di quest’album ed in effetti queste poche parole racchiudono mirabilmente il senso dell’album: il ritorno sulle scene di una band che ha fatto la storia della musica africana. Si era nel 1969 e il vocalist Salif Keita, stella di primaria grandezza, diede vita a questo gruppo che in breve conquistò dapprima il pubblico del Mali e poi dell’intera Africa dell’Ovest grazie alla fortissima carica ritmica, all’inimitabile groove e alla sincerità di ispirazione. E l’orchestra ha avuto anche una ragguardevole importanza sociale dal momento che ha indirizzato verso la musica moltissimi ragazzi che probabilmente avrebbero intrapreso strade diverse, più pericolose. Dopo l’esperienza africana e la fine di questa esperienza, in questi ultimi quaranta anni i singoli componenti degli “ambasciatori” si sono affermati singolarmente nel resto del mondo, divenendo tutti musicisti di primissimo piano . Anche di qui il favore con cui è stata accolta la rinascita della band nel 2015, per una tournée europea e questo EP di quattro titoli uscito a fine giugno in formato CD ed LP. L’organico è straordinario: oltre al già citato Keita, abbiamo – tanto per fare qualche nome – Amadou Bagayoko et Ousmane Kouyate alla chitarra, Cheikh Tidiane Seck et Idrissa Soumaoro alle tastiere, Sékou Diabaté al basso. E la musica non è da meno: fresca, trascinante, coinvolgente come nei primissimi anni ’70. Infine c’è un risvolto umanitario che non ci sentiamo di trascurare: Salif Keita è un albino e gli albini in Africa sono fortemente discriminati; lui ce l’ha fatta, ma per aiutare gli albini in Mali, è stata creta la fondazione “Salif Nantenin Keita” cui andranno i proventi ricavati dalla vendita dell’album.

The David Benoit Trio – “Believe” – Concord 37154
BelieveA chi predilige la musica d’avanguardia e/o improvvisata, poco o nulla dirà l’ascolto di questo album che invece presenta notevoli motivi di interesse per chi ama un jazz più tradizionale. In primo luogo la bontà degli esecutori. Il pianista, compositore e arrangiatore David Benoit si è conquistata negli anni una solida reputazione che gli ha fruttato per ben tre volte la nomination ai Grammy: nel 1989 per Best Contemporary Jazz Performance – Every Step Of The Way; nel 1996 per Best Large Jazz Ensemble Performance – GRP All_Star Big Band; nel 2000 per Best Instrumental Composition – Dad’s Room from Professional Dreamer. Identico discorso per la vocalist Jane Monheit anch’essa insignita di due nomination ai Grammy: nel 2003 , per Best Instrumental Arrangement Accompanying Vocalist(s)- “Since You’ve Asked” e nel 2005 per Best Instrumental Arrangement Accompanying Vocalist(s) – “Dancing in the Dark” , per non parlare della vittoria – nell’ormai lontano 1998 – alla Thelonious Monk International Vocalist Competition. I due avevano già collaborato pochi mesi or sono incidendo il cd ‘2 in Love’ dedicato alla voce e si sono ritrovati per questo disco che, pur nascendo con l’etichetta di ‘album natalizio’ in effetti è perfettamente fruibile in ogni stagione dell’anno. I due sono accompagnati dall’eccellente flautista Tim Weisberg e da una sezione ritmica di assoluta eccellenza composta da Jamey Tate alla batteria e David Hughes al basso cui si aggiunge in alcuni brani un’eccellenza della musica corale, l’ All-American Boys Chorus diretto da Wesley Martin. Come si accennava, il gruppo affronta un repertorio di canzoni natalizie che gli appassionati di jazz gradiranno certamente… anche perché tra queste figura la celebre “My Favorite Things” arrangiata dal trio e dalla vocalist. A questo punto è opportuno sottolineare ancora la levità, la delicatezza con cui i musicisti affrontano un repertorio facile se si vuol produrre semplicemente della buona musica d’ascolto, assai difficile se si pretende qualcosa di più. E crediamo che sia proprio questo il caso di David Benoit e Jane Monheit.

Chick Corea & Bela Flech – “Two” – Stretch Records 37992 02
twoPersonaggio complesso, immaginifico, visionario, Chick Corea sta attraversando molte stagioni del jazz lasciando sempre un’impronta ben visibile della sua arte. Egli appartiene a quella schiera di artisti che mai riposa sugli allori tentando sempre nuove vie, sperimentando continuamente contesti diversi, sonorità inusuali. E’ in quest’ambito che si iscrive la sua collaborazione con il banjoista Bela Fleck che oramai data da lunga pezza. In particolare Corea fu invitato da Bela Flech dapprima a suonare in tre brani nell’album “Tales From The Acoustic Planet” inciso con i Flecktones nel ’94 e quindi ad essere presente in altri tre brani nel doppio “Live art” pubblicato nel ’96. Dal canto suo Corea ricambiò la cortesia invitando il banjoista come ospite d’onore nel DVD “Rendezvous in New York” del 2005. Di qui una fertile collaborazione declinata attraverso varie tournées in duo e la realizzazione dell’album “The Enchantment” nel 2007 che ottenne grandi consensi tanto da guadagnarsi il sesto posto nella classifica di Billboard dei Top Jazz albums mentre Fleck riceveva una nomination al Grammy award per “Spectacle” nella categoria “Migliore composizione strumentale”. E non c’è dubbio che anche questo “Two” ottenga gli stessi favori di pubblico e di critica. I due CD contengono quattordici brani , di cui cinque scritti da Corea e sei da Fleck, cui si aggiungono il celeberrimo “Brazil” di Barroso & Russell presentato in versione tanto originale quanto convincente, “Bugle Call Rag” di Pettis, Meyers, Schoebel e “Prelude en Berceuse” di Henri Dutilleux compositore francese venuto meno nel 2013. Brani che provengono tutti dagli spettacoli che i due hanno portato in giro per il mondo negli ultimi sette anni. Quindi registrazioni live che ,come facilmente intuibile da quanto sopra detto, evidenziano la perfetta intesa tra i due: Chick e Bela sanno benissimo come rapportarsi, quando prendere l’iniziativa e quando lasciarla al compagno, in un gioco di rimandi che non conosce attimi di stanca. La loro comunicazione va al di là del fatto squisitamente musicale articolandosi anche su un piano molto più intimo tanto da toccare chi li ascolta con attenzione e partecipazione.

Bill Frisell – “When You Wish Upon a Star” – Okeh 88751
When you vishPersonalità complessa come quella del già citato Chick Corea, anche Bill Frisell è artista che non disdegna le sfide misurandosi su terreni non proprio facili. E’ il caso di questo album in cui Frisell affronta un repertorio tratto da film e dalla TV che sarebbe potuto risultare banale se non fosse stato illuminato dai lampi di classe di questo chitarrista. Frisell ci riporta ad un periodo non troppo lontano in cui James Bond imperversava sul grande schermo e i programmi televisivi si mantenevano ancora su standard accettabili; di qui una sorta di viaggio onirico in un passato ancora presente – ci si consenta l’ossimoro – in cui vengono rivisitati brani che ben conosciamo. Ecco quindi organizzati in forma di suite “To Kill A Mockinbird” di Elmer Bernstein, “Psycho” di Bernard Herrmann, “Once Upon a Time in the West” di Morricone, “The Godfather” di Nino Rota… e poi altri classici tratti e da film (“When You Wish Upon a Star” una canzone contenuta nel film Pinocchio, con testo di Ned Washington e musica di Leigh Harline, “Moon River” di Henry Mancini e Johny Mercer, “The Shadow of Your Smile” di Heywood, Mandel e Webster da “Castelli di sabbia”, “You Only Live Twice” di John Barry dal celebre “Goldfinger”, “The Bad and the Beautiful” scritto da David Raksin da “Il bruto e la bella” di Minnelli) e da serie televisive (“Bonanza” di Livingston-Evans, “Happy Trails” di Dale Evans) il tutto completato da un eccellente original di Frisell “Tales From The Far Side”. Come si accennava in apertura, Frisell affronta questi brani in modo assolutamente originale rivitalizzando il mistero insito in questa musica che oramai fa parte del patrimonio collettivo. In particolare Frisell e Kang dialogano mantenendo un grande equilibrio tra parte scritta e improvvisazione con Royston e Morgan che supportano il tutto con grande levità. Dal canto suo Petra Haden, pur non essendo un’interprete jazz, si presta assai bene all’intento narrativo del leader.

Ahmad Jamal – “Live in Marciac” – Jazzbook Records – CD + DVD 570078.79
lIVE IN mARCIACRecensire un album del genere è impresa quanto mai difficile: cosa, infatti, si può aggiungere che già non si sappia dell’arte di Ahmad Jamal? Praticamente nulla . Né, a memoria, ricordo un solo album del pianista che non sia stato all’altezza della situazione. E anche questo doppio (CD+DVD) non fa eccezione alla regola. L’ottuagenario pianista di Pittsburgh è registrato durante un concerto svolto a Marciac il 5 agosto del 2014 accompagnato dal bassista Reginald Veal, dal percussionista Manolo Badrena e dal batterista Herlin Riley. Il repertorio è lo stesso del concerto di Londra pochi mesi prima, vale a dire alcuni classici dello stesso Jamal e due standards con l’aggiunta, nell’occasione , di altri due pezzi “Silver” sempre di Ahmad e “Strollin’” di Horace Silver presentati proprio per omaggiare Silver venuto meno proprio pochi mesi prima del concerto di Marciac il 18 giugno del 2014. Quasi inutile aggiungere che Jamal nulla ha perso dell’originaria classe. Il suo pianismo è sorretto da grande tecnica, da un groove incessante e soprattutto dalla personalissima capacità di passare con grande disinvoltura da atmosfere raccolte e intimiste a brani caratterizzati da una forte carica ritmica, mantenendo intatta la sua cifra stilistica. Così, ad esempio, dal clima latineggiante di “Sunday Afternoon” eccoci trasportati nel delicato lirismo, in alcuni passaggi, di “The Gipsy”, per transitare successivamente allo spumeggiante swing di “Strollin”… fino al ben noto “Blue Moon” tutto giocato su un tempo veloce ottimamente sostenuto dai partners del pianista. E al riguardo non si può non evidenziare e l’affiatamento fra i quattro e il valore dei singoli che hanno avuto tutti la possibilità di porsi in primo piano, con uno strepitoso Reginald Veal spesso impegnato ad introdurre i brani sia da solo sia in trio con batteria e percussioni.

Stacey Kent – “Tenderly” – Okeh – Sony Music
TenderlyUna splendida voce, un’interpretazione intensa ma sempre ben calibrata, arrangiamenti raffinati, un repertorio che pesca a piene mani nel classico songbook americano: questa, in estrema sintesi, la carta d’identità dell’album in oggetto assolutamente sconsigliabile per quanti cercano la sperimentazione ad ogni costo. La vocalist si muove, infatti, in un contesto jazzisticamente canonico, potendo contare sulla collaborazione di eccellenti strumentisti quali Jim Tomlinson (suo compagno nella vita oltre che nell’arte), al sax tenore e flauto, il bassista Jeremy Brown e soprattutto il celebre chitarrista, compositore e produttore Roberto Menescal, a ben ragione considerato oramai da molti anni una delle personalità più importanti della scena musicale brasiliana. Nonostante Kent e Menescal appartengano a due generazioni diverse e abbiano background non assimilabili, sono tuttavia legati da un idem sentire musicale assolutamente straordinario. In effetti come la Kent era rimasta sin da piccola affascinata dalla musica brasiliana e dalla bossa nova, così Menescal aveva trovato in Julie London e in Barney Kessel una delle prime fonti di ispirazione. Sulla base di questi comuni amori per il jazz e la bossa nova, la loro reciproca stima si era già in qualche modo concretizzata nel 2013 quando il chitarrista aveva partecipato alla realizzazione dell’album “The Changing Lights” della Kent sonando in due brani, “O Barquinho” una composizione dello stesso Menescal e un original di Jim Tomlinson/Antonio Ladeira “A Tarde”. Visto il buon esito dell’operazione, i due hanno deciso di rincontrarsi per una collaborazione più estesa, che ha trovato un’esauriente esplicazione nelle dodici registrazioni contenute nell’album . Alle prese, come si accennava, con una serie di standard (cui si aggiunge “Agarradinhos” di Roberto Menescal e Rosalia De Souza) è stato quasi naturale trovare un terreno d’intesa nella modalità di approccio al materiale tematico quasi minimalista, con la voce di Stacey non particolarmente estesa ma sempre calda, suadente, a tratti emozionante, mai comunque sopra le righe, con la chitarra di Menescal a sottolineare ogni passaggio, ad evidenziare ogni più piccola sfumatura, con Brown e Tomlinson ad assecondare i preziosi arrangiamenti di Menescal tanto da non far minimante avvertire la mancanza della batteria. (altro…)

nuFlava workshop with Joe Farnsworth

L’ultimo appuntamento 2015 con la didattica firmata nuFLAVA International Jazz Workshop è dedicato ai batteristi che avranno l’opportunità di confrontarsi con un drummer di fama planetaria come Joe Farnsworth. La due giorni, realizzata grazie al sostegno di Regione Emilia-Romagna e ARCI Bologna, si svolgerà nei pomeriggi di domenica 20 e lunedì 21 dicembre (dalle 14.30 alle 18.30) presso il Bravo Caffè di via Mascarella.
Joe Farnsworth (South Hadley – Massachussetts, 1968) è iscritto nell’alveo dei migliori batteristi a livello mondiale. Nato da una famiglia di musicisti, inizia a “masticare” jazz fin da piccino quando il fratello maggiore gli fa ascoltare vinili di Count Basie, John Coltrane e Charlie Parker. È a Boston, ai tempi del college, che il giovane Farnsworth ha l’opportunità di conoscere artisti del calibro di Harold Mabern e George Coleman che identificherà presto come suoi mentori. Al trasferimento nella Grande Mela corrisponde l’assidua attività presso lo Smoke Club dove ha modo di sviluppare il proprio talento e di intrecciare una serie di importanti collaborazioni che conducono al sodalizio in primis con Jon Hendricks e successivamente con Diana Krall. Con oltre una settantina di album come sideman e alcune fortunate produzioni come leader (l’album d’esordio dal titolo Beautiful Friendship per Criss Cross Jazz risale al 1998), numerose tournée che lo hanno visto calcare i palcoscenici dei più famosi jazz club e festival di tutto il mondo, Joe Farnsworth è altresì apprezzato didatta oltre ad essere endorser per Zildjian. (altro…)

Festival di San Remo 2011: Gualazzi, Vecchioni e poco più

Gualazzi e Bosso

Gualazzi e Bosso

San Remo 2011: per fortuna questa volta non è valsa la regola del “non c’è due senza tre” per cui Emma, reduce da “Amici”, ha dovuto accontentarsi di un secondo posto per altro prestigioso alle spalle di Vecchioni (“Chiamami ancora amore”) e precedendo un immarcescibile Albano.

A questo punto qualcuno di voi si starà chiedendo: ma perché ti occupi del Festival di San Remo in uno spazio dedicato al jazz? Me ne occupo per una ragione di carattere più generale ed un’altra di carattere più strettamente cronachistico legata, cioè, all’edizione di quest’anno.

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GRANDE ATTESA PER LA VOCALIST JANE MONHEIT

SEACILY JAZZ FESTIVAL

Famosissima negli Usa, è stata addirittura paragonata spesso a Ella Fitzgerald e Diana Krall: la bellissima cantante jazz Jane Monheit sarà protagonista, in esclusiva nazionale,  questa sera, venerdì 30 luglio, presso i Giardini sopra le Mura dello Spasimo alle 22 per il “Seacily Jazz Festival“,organizzato dalla Fondazione The Brass Group.

E’ uno degli appuntamenti più attesi dell’intero cartellone estivo. La Monheit si esibirà accompagnata dall’Orchestra del Conservatorio Vincenzo Bellini di Palermo, diretta per l’occasione, dal M° Gaetano Randazzo. Nel suo prestigioso curriculum vanta una nomination ai Grammy per due incisioni. (altro…)