Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Enrico Rava, trombettista

Intervista raccolta da Gerlando Gatto

Enrico Rava, trombettista – ph Luca d’Agostino

-Come stai vivendo queste giornate?
“Poiché non posso uscire, perché data l’età sono un bersaglio favorito del virus…”
-A chi lo dici…
“Ecco, sto in casa, non metto neanche il naso fuori e cerco di passare le giornate nel modo più piacevole possibile: improvviso sui dischi di Miles, di Chet… leggo moltissimo, ascolto un sacco di musica e così riscopro delle cose che magari non ascoltavo da 30 anni. Ad esempio sto ascoltando molti dischi di Armstrong… molta vecchia roba mia che non ricordavo nemmeno di aver fatto. Insomma, come ti dicevo, cerco di trascorrere il tempo nel modo più piacevole possibile e quindi, in casa, questo periodo lo sto vivendo bene anche se questa situazione mi preoccupa immensamente. Il fatto più grave è l’incertezza: non si sa niente, non si capisce nulla e questo tende a darti una grossa depressione che cerco di vincere facendo delle cose, rimanendo attivo. Su questo problema si innesta il fatto che io a marzo avrei dovuto essere operato ad un’anca, che mi fa molto male; ti assicuro che soprattutto quando cammino il dolore è davvero tanto; invece hanno bloccato tutto e ancora oggi non so quando sarà possibile operarmi, cosa che ovviamente non mi rende particolarmente felice”.

Come ha influito tutto ciò sul tuo lavoro? Pensi che in futuro sarà lo stesso?
“Ho dovuto cancellare tutto; avevo un sacco di cose da fare incluso un tour con Joe Lovano in Italia e all’estero. Teoricamente tutti questi concerti sono stati rimandati, ma fino a quando? Come ti dicevo l’incertezza è la cosa peggiore di questo momento: non si sa nulla, non si riesce a prevedere quando e come tutto potrà ricominciare, navighiamo a vista. Se si ricomincerà entro un tempo ragionevole ma non ci sarà ancora il vaccino i concerti non si svolgeranno come in passato, si dovrà rispettare la distanza di sicurezza, teatri da mille persone ne potranno contenere trecento, i viaggi… non so. Io ho già detto al mio agente che fino a quando il virus non verrà debellato definitivamente grazie al vaccino, io andrò a suonare solo nei luoghi che potrò raggiungere in macchina senza dover prendere treni, aerei… non voglio rischiare”.

-Quindi in questo periodo stai vivendo attingendo alle tue riserve…
“Sì, per fortuna questo è l’ultimo dei problemi in quanto se alla mia età dovessi avere dei problemi economici significherebbe che avrei sprecato la mia vita. Invece non l’ho sprecata. Quindi, a meno che non affondi il Paese tutto, da questo punto di vista sono tranquillo. Ma, scherzi a parte, il problema c’è ed è grave; bisognerà vedere cosa succederà in quanto la botta all’economia sarà fortissima”.

-Vivi da solo o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante?
“Io vivo con mia moglie e siamo una coppia di quelle che stanno bene insieme; lei mi coccola, mi fa dei pranzetti buonissimi…certo ci soffre anche un po’ perché lei ha una ventina di anni meno di me, quindi avrebbe voglia di uscire, di correre, di camminare ma non lo può fare perché ha paura, rientrando, di portare in casa il virus. Quindi non esce neanche lei, ma per fortuna siamo in due, come ti dicevo e stiamo bene assieme… In questo momento mia moglie mi sta guardando dicendo “non è vero” e invece sì che è vero. La spesa ce la portano… si tira avanti”.

Pensi che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?
“Non te lo so proprio dire. Sicuramente cambieranno molte cose. Tra parentesi non è che prima fosse il “Nirvana”, però era sicuramente meglio di adesso. Io penso, anzi sono sicurissimo di questo per esperienza, che gli uomini non cambiano, uno è come è e rimane tale qualunque cosa succeda. Non penso che si uscirà da questa storia con tutti che ci vogliamo più bene, che ci capiamo di più, manco per niente. Una cosa assurda, ad esempio, è che proprio adesso c’è qualcuno che truffa sulle mascherine. In un momento in cui il senso comune vorrebbe che tutti cercassimo di non danneggiarci a vicenda, c’è gente che pensa solo al proprio tornaconto personale. Quindi non credo che possa migliorare qualcosa”.

-Sono assolutamente d’accordo con te. Credi che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
“Assolutamente sì. A chi la ama sicuramente, ma non a tutto il mondo in quanto c’è gente che è refrattaria alla musica. Anche se tu vedi un teatro pieno, o un festival con quarantamila persone in realtà la percentuale di quanti ricevono qualcosa da ciò che ascoltano è molto, molto bassa. C’è moltissima gente a cui la musica dice poco o nulla. Ripeto: a chi la ama, la musica rappresenta un fattore importantissimo. Ad esempio, per quanto mi riguarda, la musica mi aiuta moltissimo a superare questi momenti: come ti dicevo sto ascoltando tantissima roba, mi fa bene; in più sto ascoltando cose che non sentivo da tempo, come Stravinsky, che non rientra tra le mie attività più frequenti…intendiamoci, mi piace molto la musica classica ma di solito ascolto altre cose. Invece, in questi giorni, dato il molto tempo a disposizione, mi sto dedicando anche ad altri tipi di ascolto. Poi vedo moltissimi film, ho una buona collezione di DVD con film meravigliosi dagli anni trenta ad oggi quindi con il proiettore o con il computer me li guardo. Tra l’altro ho preso i DVD di questa serie televisiva che si chiama “L’amica geniale” – a proposito io non ho la televisione oramai da trent’anni – che ho trovato veramente eccellente, un lavoro ben fatto… sto leggendo un libro sull’analisi critica di tutto il lavoro di Visconti. Ho riletto Zola dopo circa trent’anni… insomma è tempo di fare cose che normalmente non fai”.

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
“A sé stessi, a quello che ci interessa, che ci piace. Noi che amiamo profondamente qualcosa, ad esempio la musica, ma anche altre cose come la letteratura, il cinema, siamo dei privilegiati, in quanto da tutto ciò ricaviamo un piacere reale, che ci aiuta a vivere. Ma tu pensa a quelli che sono costretti a stare in casa, senza alcuno di questi interessi, sicuramente daranno fuori di testa. Certo, poi, anche noi “privilegiati”, se per un attimo ci assentiamo da questi “piaceri” e torniamo alla realtà, c’è davvero da angustiarsi perché la situazione è grave, drammatica in quanto, come ho detto più volte, non si sa bene come e quando ne usciremo. Io ho due case, una a Milano e una qui a mare; per fortuna quando è scoppiato il fattaccio, io ero al mare e quindi sono stato costretto a fermarmi qui, altrimenti a Milano la situazione sarebbe stata molto ma molto più pesante. Questa è una cittadina di 30.000 abitanti quindi tutto è più facile”.

-Dove stai esattamente?
“A Chiavari. In realtà mentre ero qui stavo aspettando una telefonata per il pre-ricovero legato all’operazione di cui ti ho parlato, ma poi tutto si è bloccato e quindi sono rimasto qui”.

-Secondo te quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?
“Ad onor del vero non capisco cosa vuol dire nella pratica. Cosa dobbiamo fare? Uscire e cantare tutti assieme…non lo so. Ripeto, in termini pratici non so cosa voglia dire ‘restiamo uniti’. Sì, c’è molto di retorica. Invece sarebbe importante che ci fosse maggiore condivisione tra chi ci governa e l’opposizione; tutti approfittano del Coronavirus per fare campagna elettorale”.

-Sei soddisfatto di come si stanno muovendo i V/si organismi di rappresentanza?
“Non so risponderti. Nel mio campo stanno cercando di dare una mano, ma non so se ci riescono; una cosa che mi preoccupa onestamente è la situazione dei musicisti giovani, ad esempio quelli del mio gruppo. Mi chiedo come facciano a sopravvivere perché non hanno avuto una vita per mettersi nelle condizioni di sicurezza e quindi se non suonano non guadagnano. Questi provvedimenti che hanno varato, ad esempio i 600 euro che fanno ridere i polli anche se sono sempre meglio di un calcio in faccia, non ho capito bene se sono mensili o una tantum. In ogni caso sono solo per chi l’anno scorso ha avuto trenta giorni lavorativi ma per chi conosce il mondo del jazz sa che si tratta di un traguardo molto ma molto difficile da raggiungere. Vorrebbe dire all’incirca tre concerti al mese, regolarmente retribuiti con i relativi contributi, ma non esiste. Questi giovani spesso suonano nei club dove le cose non è che siano particolarmente regolari. Poi, una volta che nei hai diritto, ci si mette di mezzo la burocrazia: io ho un amico, un musicista giovane, che ha passato 24 di fila sul portale INPS prima di riuscire ad avanzare la richiesta. Capisci che così diventa una roba impossibile. Non so se è così dappertutto. Mi risulta, ad esempio, che in Germania è tutto più semplice, i soldi sono già arrivati mentre da noi non si sa bene quando questi soldi arriveranno. D’altro canto bisogna anche dire che mentre il musicista professionista lavora con i turni, le registrazioni e quindi è tutta un’altra cosa, è un lavoratore come gli altri, ha i sindacati e via discorrendo, noi musicisti di jazz siamo su un piano diverso, siamo degli artisti… ad esempio i poeti, non c’è un sindacato dei poeti, non è che facciamo un lavoro di routine, ognuno è diverso dall’altro, uno lavora perché c’è gente che lo vuol sentire… questo per dire che non si può avere una cosa eguale per tutti”.

-Partendo da queste premesse, se avessi la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederesti?
“Non lo so. Se io fossi in grado di avere delle idee in questo campo mi sarei dedicato alla politica. Per chiedere qualcosa bisognerebbe avere innanzitutto contezza che si tratti di qualcosa realizzabile, almeno una infarinatura di come funziona la macchina pubblica”.

-Un’ultima domanda. Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
“Ne ho tantissimi e qualche volta sul mio Facebook avanzo qualche suggerimento. Ad esempio ho riascoltato un disco di cui non ricordavo l’esistenza, ovvero Dizzy Gillespie che suona Duke Ellington con arrangiamenti di Claire Fisher (“A Portrait of Duke Ellington” – Verve MG-VS-68386 n.d.r.) con un Gillespie in grande spolvero, in uno dei momenti più brillanti della sua carriera, ho riascoltato un paio di dischi che amo moltissimo e che consiglio a tutti, “Armstrong e Ella Fitzgerald”, i tre capolavori di Miles con Gil Evans, e volendo anche il quarto che non è male, “Quiet Night”, poi bisognerebbe risentire Monk…senza trascurare la musica classica… “Il concerto per pianoforte e orchestra in sol maggiore” di Ravel, il cui secondo movimento è a mio avviso una delle cose più belle della storia della musica. Poi c’è una cantante brasiliana meravigliosa, che si chiama Rosa Passos; è fantastica, è una sorta di Joao Gilberto al femminile, veramente molto, molto brava, emozionante. Per quanto riguarda le nostre io consiglierei a tutti di ascoltare i dischi di Barbara Casini che è una cantante strepitosa di musica brasiliana. Barbara, che io ho definito una Mina con gusto, pur avendo tutte le carte in regola, questa straordinaria capacità di colpire direttamente al cuore, in più suona bene la chitarra e compone altrettanto bene, ha però questa incredibile capacità di perdere tutti i treni, non ha mai saputo cogliere l’occasione giusta, occasioni che si presentano se sei fortunato una volta nella vita, difatti non ha minimamente lo spazio che meriterebbe. In questi giorni ho poi il piacere di sentirmi quasi giornalmente con Dino Piana, con il quale siamo amici da circa 60 anni e in quest’ultimo periodo ci siamo ancor più avvicinati, mi sto sentendo spesso anche con Ambrosetti, Franco, che mi ha appena mandato una copia del suo libro, la sua autobiografia con, tra l’altro, bellissime foto; io l’ho consigliato sull’acquisto di uno strumento, lo strumento che io ho adesso e di cui sono molto felice. Poi, ovviamente, ogni tanto sento i ragazzi del gruppo, Morello, Diodati, Giovanni Guidi…”

Gerlando Gatto

 

“PEACE HOTEL” Il nuovo album del sassofonista Paolo Recchia

“Peace Hotel” è il nuovo album del giovane sassofonista Paolo Recchia pubblicato in contemporanea in Giappone, Italia, Olanda e Sati Uniti, prodotto dall’etichetta giapponese Albòre Jazz. Composto da brani originali e standard della tradizione jazzistica totalmente riarrangiati e rivisitati dal sassofonista di Fondi per il trio in versione pianoless e drumless, “Peace Hotel” si contraddistingue per uno stile attento alle dinamiche, fatto di atmosfere calde e misteriose. La formazione si completa con Enrico Bracco alla chitarra, abile, sofisticato con uno spettacolare mix di tradizione e modernità; e Nicola Borrelli al contrabbasso, con uno swing solido e un impeccabile senso del ritmo.

Il nuovo album trae ispirazione da un luogo reale che diventa, nell’immaginario del leader Paolo Recchia, anche un luogo metafisico di equilibrio perfetto, “Peace Hotel”, che rappresenta la serenità, la gioia, l’amore per gli affetti. In senso strettamente musicale, questa raccolta di brani rappresenta un passo ulteriore nella realizzazione di un progetto intimo, creativo e di ricerca personale, pensato per il trio come conseguenza naturale del feeling musicale ed umano creatosi nell’album precedente (“Three for Getz”, Albòre Jazz, 2013).

L’album “Peace Hotel” è composto da 9 brani che portano la firma di ogni componente del trio oltre a standard della tradizione jazzistica e del songbook americano. Le tracce dell’album sono state selezionate in modo da rispecchiare il giovane leader sia nel modo di essere sia nel fare musica jazz: in piena libertà e nel rispetto delle regole, sia nella ricerca della qualità sia dell’originalità. «Ci sono le mie passioni, i miei riferimenti musicali di Oggi e di Ieri – racconta senza induci Paolo Recchia – Credo che ci sia una sostanziale differenza tra la registrazione di un disco e l’intento di far crescere e portare avanti nel tempo un progetto musicale, come è in questo caso – e continua – La bellezza sta nel lavoro di crescita costante e nel rinnovato amore quotidiano per quello che si fa; la difficoltà sta nella tentazione di fare qualcosa di nuovo stravolgendo ogni lavoro precedente. Questo nuovo disco, “Peace Hotel”, – il sassofonista Paolo Recchia conclude – è la prosecuzione in termini di sinergia e di impegno costante sulla strada dello sviluppo di un progetto musicale in cui credo molto».

Paolo Recchia esordisce a livello discografico nel 2008 con  “Introducing Paolo Recchia featuring Dado Moroni”; nel 2011 pubblica il suo secondo cd “Ari’s Desire” con ospite il noto trombettista Alex Sipiagin, entrambi per la Via Veneto Jazz e distribuiti EMI Music. “Three for Getz”, che vanta le note di copertina di Dino Piana – uno dei più prestigiosi musicisti della storia del jazz italiano – è il suo terzo album (Albòre Jazz, 2013) che ha riscosso grandi consensi di pubblico e di critica sia a livello nazionale sia internazionale in due anni consecutivi di tour ed arrivato alla sesta ristampa.

Paolo Recchia nasce nel 1980 a Fondi, piccola città del sud pontino a metà strada tra Roma e Napoli. Rimane affascinato e si appassiona al sassofono contralto fin da bambino, grazie al padre; inizia a suonare all’età di 11 anni, dedicandosi dapprima agli studi classici e poi al jazz, che scopre ed inizia profondamente ad amare ascoltando alcuni dischi di Charlie Parker e Massimo Urbani.  Ha frequentato master class tenute da Bob Mintzer, Rick Margitza, Billy Harper, Harry Allen, Dave Liebman, Enrico Pieranunzi, Chris Potter, Rosario Giuliani, Paolo Fresu. Il suo modo di comunicare attraverso il sassofono è ricco di sensibilità, di forza e chiarezza espressiva. Un sound bilanciato e spesso composto, ma capace di incredibili impennate emotive dove arriva a toccare corde più passionali a volte nostalgiche, o semplicemente rivelatrici di un gusto intimistico. Il suo stile compositivo fonda le radici negli albori del bebop, anche se poi si libera verso una contemporaneità più tangibile. E’ forse proprio questa la sua forza che deriva da anni di studio e di intenso approfondimento sulla cultura afroamericana. Molte le collaborazioni illustri, come quella con il pianista David Kikoski (nel 2013) e con Joel Frahm (2008) ospiti delle formazioni a suo nome fino alle più recenti in duo con Danny Grissett, con l’Andrea Pozza UK Connection Trio, con George Garzone e tanti altri nomi illustri del jazz nazionale ed internazionale. Ad ottobre del 2015, Paolo Recchia vince il primo premio alla terza edizione del Festivalul International de Jazz “Johnny Raducanu” a Brăila in Romania, aperto a giovani musicisti jazz provenienti da ogni parte del mondo, in memoria del contrabbassista soprannominato “Mr. Jazz of Romania” – che fondò la Romanian Jazz School e che formò numerose generazioni di musicisti jazz, morto nel 2011 all’età di 79 anni. Oltre alla sua intensa attività concertistica, Paolo Recchia tiene regolarmente lezioni ed è docente di sassofono presso i corsi di formazione per big band a Lanciano. (altro…)

Il jazz italiano tra piccoli gruppi e grandi organici

a proposito di jazz - i nostri cd

Acoustic Time – “Acoustic Time” – Audio Records

acousticbAlbum di grande raffinatezza questo del trio Acoustic Time ovvero Antonella Vitale alla voce, Roberto Genovesi alla chitarra e Karl Potter alle percussioni con l’aggiunta, quale special guest, di Ruggero Artale al djembé e dun dun; ma allo stesso tempo album “prezioso” in quanto raccoglie le ultime registrazioni di Karl Potter che sarebbe morto pochi mesi più tardi di queste incisioni nel gennaio del 2013. Ma questo genere di emozione per nulla influisce sulla valutazione dell’album che, come accennavamo, si raccomanda per i suoi contenuti prettamente musicali. In possesso di una voce calda, suadente, Antonella Vitale sciorina le sua armi migliori nella presentazione di 14 brani attraverso cui ha inteso sganciarsi dal jazz, per sperimentare qualcosa di nuovo e diverso dai suoi precedenti lavori. “Interpretare canzoni degli Earth wind & Fire, o degli Eagles e poi brani come Barco Abandonado di Ennio Morricone – spiega la stessa vocalist – ha rappresentato una ricerca personale da un punto di vista tecnico vocale”. Ricerca che ha raggiunto ottimi risultati: l’atmosfera generale dell’album è gradevole dal primo all’ultimo istante, con la Vitale tutta tesa a comunicare il proprio mondo emozionale ben sostenuta dal ritmo incalzante seppure mai invadente di chitarra e percussioni. Così , ad esempio, si ascolta una versione straniante ma di grande interesse di “Stranger in Paradise” hit di molti anni fa, seguito subito dopo da “Choro pro zè” di Guinga, personaggio tra i più significativi dell’odierna musica brasiliana. E così di successo in successo, in una cavalcata attraverso la musica degli anni ’80, cavalcata interrotta solo da tre brani dovuti alla penna dei quattro protagonisti: “Andeja”  (K. Potter – R. Genovesi – A. Vitale) , “Libero” (R. Genovesi) e  “Ghirinbaduè” (R. Artale – R. Genovesi) .

Theo Allegretti – “Memorie del Principio” – Dodicilune 353

Ecco un album cui non fa certo difetto l’ambizione: rappresentare in musica un viaggio lungo un percorso che attraversa idealmente i primordi del pensiero filosofico. Di qui i titoli dei brani, sette dei quali richiamano apertamente antichi filosofi quali Talete, Anassimandro, Senofane, Eraclito, Parmenide, Anassagora, Democrito. In apertura e in chiusura altri due brani, il primo, “Verso Mileto”, introduce Talete, mentre l’altro, “Il Caos vi era…”, rappresenta il pensiero mitologico ed è dedicato ad Orfeo. Per meglio seguire il percorso tracciato, il libretto riporta alcuni passi degli scritti che hanno ispirato la musica. Tutto ciò potrebbe apparire quanto mai macchinoso ove non si consideri che inizialmente si trattava di uno spettacolo di teatro-musica, un reading di musica d’atmosfera con testi di poesia e prosa degli albori del pensiero filosofico. I materiali sono stati poi sintetizzati nei nove brani confluiti nel cd. Responsabile del progetto, in piano-solo, Theo Allegretti, artista a 360 gradi che si va sempre più affermando per ora in ambito nazionale. Francamente ascoltando solo la musica, si fatica a collegarla ai filosofi di cui sopra; ciò non toglie, comunque, che l’album abbia una sua valenza grazie alla statura artistica di Allegretti. Nella duplice dimensione di pianista e compositore Theo è riuscito ad elaborare uno stile personale in cui confluiscono input provenienti da generi diversi quali il jazz, il folk, la classica con alcuni accenni – nell’album in oggetto – a stilemi della musica greca antica. Di qui un pianismo di forte suggestione e a tratti chiaramente evocativo (si ascolti al riguardo come il brano d’apertura introduca alla perfezione il clima che caratterizzerà l’intero CD).

Banda del Bukò – “Rosmarinus” – Riverberi

rosmarinusChi segue “A proposito di jazz” sa bene quanto non amiamo gli album a soggetto preferendo soffermarci sulla qualità della musica piuttosto che sull’idea che la sottende. Ma, more solito, ogni regola soffre la sua brava eccezione è questo è proprio uno di questi casi ché il progetto, pensato e realizzato nel beneventano, è davvero meritevole di nota. In breve il tentativo – ben riuscito – è stato quello di costituire un ensemble “aperto” in cui potessero confluire tutti coloro che avessero voglia di fare musica; di qui una Band in cui assoluti principianti si sono trovati accanto a veri e propri professionisti tra i quali, tanto per fare un solo nome, Luca Aquino. Il trombettista ha preso così a cuore il progetto da partecipare attivamente alla produzione di questo primo album presentato in occasione della serata inaugurale del festival beneventano “Riverberi” dello scorso anno. Indicativo anche il titolo: “Rosmarinus” , pianta simbolicamente accostata a molte tradizioni e leggende, nel caso specifico rappresenta i sentimenti, le emozioni che hanno caratterizzato un anno e mezzo di vita della Banda ed è dedicato ad Emanuele Viceré, uno dei fondatori del gruppo, scomparso prematuramente. Dal punto di vista squisitamente musicale, l’album si fa ascoltare per la varietà dei temi proposti: otto tracce di cui sei pezzi tradizionali, caratterizzati da una profonda  contaminazione tra musica balcanica, popolare, jazz. In buona sostanza il merito maggiore della Banda è l’aver saputo coniugare la musica di Nino Rota (“Saraghina Rumba”) con la tradizione klezmer (“Odessa”, “Froggy Waltz”, “Sem Sorok”), la tradizione kosovara in lingua serba (“Ajde Jano”) con la tammurriata napoletana (gustosa la rielaborazione della “Tarantella Schiavona” di Mario Salvi rinominata “Tammurriata Balcanica” per gli evidenti richiami alla musica balcanica), senza trascurare un riferimento alla musica araba (“Lamma Bada”); il tutto completato da un original intestato a tutta la band, “Ornitorippo Freshness”.

Rosa Brunello Y Los Fermentos – “Upright Tales” – CamJazz7901-2

UPRIGHT TALESDopo il debutto nel 2014 con “Camarones a la plancha”, questo è il secondo disco da leader della contrabbassista veneziana Rosa Brunello, accompagnata nell’occasione da David Boato alla tromba e flicorno, Filippo Vignato al trombone (già collega negli Omit Five) e Luca Colussi alla batteria ai quali si aggiungono in alcuni brani Francesca Viaro alla voce, Dan Kinzelman al sax tenore e clarinetto e Enzo Carniel al pianoforte. Il repertorio consta di undici brani di cui cinque della stessa Brunello, quattro di Boato e due di Vignato, a costituire – come afferma la contrabbassista – una raccolta di singoli racconti, uniti dall’aspetto melodico e dalla sonorità del gruppo. Gruppo guidato con professionalità da veterana dalla Colussi che riesce a coinvolgere tutti nel suo progetto senza mai essere invadente, senza dare in alcuna occasione l’impressione di voler occupare tutti gli spazi. Anzi, agendo al centro della scena, tratteggia atmosfere cangianti in cui la tromba di Davide Boato e il trombone di Filippo Vignato danzano liberamente in continuo dialogo con la batteria di Luca Colussi, altro elemento fondamentale per la riuscita del progetto. Il clima raccolto è alle volte interrotto dalle impennate free dei fiati di Dan Kinzelman sempre più presente sulla scena jazzistica nazionale. Ciò detto resta il fatto che a nostro avviso l’album non convince appieno denotando una forse eccessiva staticità e dei momenti – seppur rari – in cui sembra venir meno l’ispirazione dal punto di vista compositivo. Peccati sicuramente veniali dato che, come sottolineato in apertura, siamo solo al secondo album da leader.

Franco Cerri – “Barber Shop 2” – abeat 150

Barber Shop 2Ci sono artisti per i quali lo scorrere del tempo non sembra avere alcuna conseguenza, anzi! A questa categoria appartiene il chitarrista Franco Cerri che a “Novant’anni suonati” (come recita il sottotitolo dell’album) ci ha regalato queste registrazioni effettuate a Milano nell’ottobre del 2015. L’album è stato presentato ufficialmente il 29 gennaio 2016, giorno del compleanno dell’artista, in una grande festa organizzata dalla città di Milano, presso il Teatro dal Verme , con 1400 persone ed altrettante fuori dalla sala. Ad un paio d’anni di distanza, “il negozio del barbiere” ha riaperto i battenti, ospitando sempre gli stessi elementi: Cerri,  Dado Moroni (piano), Riccardo Fioravanti (contrabbasso) e Stefano Bagnoli (batteria), come a dire un vero e proprio gruppo “all stars”. Il quartetto affronta un repertorio costituito da nove standard (tra cui “Roma nun fa’ la stupida stasera” di Armando Trovajoli) e due originals dello stesso Cerri. Un banco di prova, quindi, severo, ma Cerri e compagni lo affrontano quasi in surplace, con bella leggerezza che non significa sottovalutazione del materiale affrontato ma, viceversa, piena consapevolezza di ciò che si suona e soprattutto assoluta lucidità sul come si vuole eseguire le partiture. Ecco quindi un Cerri che, ad onta dell’età, appare fresco, in grado di portare nuova linfa a brani già ampiamente battuti, grazie ad un fraseggio sempre misurato, sobrio, con quelle note staccate, udibili una per una che da tempo caratterizzano il suo stile a conferma di una personalità elegante, discreta, gentile che tutti gli riconoscono. Accanto al chitarrista ancora una prova superba di Dado Moroni che personalmente consideriamo uno dei pianisti più sensibili dell’attuale panorama jazzistico non solo nazionale; il suo pianismo è di grande modernità, ricco di swing, di inventiva, capace di adattarsi alle varie atmosfere volute dal leader: lo si ascolti particolarmente nel brano d’apertura “Take The “A” Train” e nella intro di “Roma nun fa’ la stupida stasera”.

Cojaniz, De Mattia, Feruglio, Mansutti – “Il grande drago” – Setole di maiale

Il Grande DragoAlbum di grande fascino questo realizzato da un quartetto sotto certi aspetti anomalo, in quanto, pur essendo costituito da artisti che operano prevalentemente nel Nord-Est, accomuna sensibilità diverse. Così accanto al pianista Claudio Cojaniz, che vanta un robusto bagaglio accademico, troviamo il flautista Massimo De Mattia a ben ragione considerato uno dei massimi esponenti europei della nuova musica improvvisata tanto che questo album si allontana non poco da quelle che sono le strade da lui tradizionalmente battute; assieme a loro Franco Feruglio titolare della cattedra di Contrabbasso presso il Conservatorio “J. Tomadini” di Udine, che si divide tra jazz e musica classica in special modo del XX secolo e il batterista Alessandro Mansutti che si è fatto le ossa collaborando spesso con lo stesso Cojaniz, nonché con Juri Dal Dan e Marco Cisilino. I quattro formano un combo compatto, equilibrato in grado di proporre una musica in cui il richiamo alla tradizione si coniuga con direzioni astratte in cui le facoltà improvvisative sono messe a dura prova. Così le linee disegnate da pianoforte e flauto si intersecano con naturalezza ben sostenute da una sezione ritmica il cui ruolo va ben al di là del semplice supporto ritmico-armonico (si ascolti, ad esempio, la ‘Variazione IV’), con gustose figurazioni ritmiche che alle volte richiamano addirittura il funky. In definitiva, cosa più unica che rara, un disco che riesce a coniugare l’interesse per la sperimentazione, per la modernità, per la ricerca di qualcosa di nuovo, con una certa gradevolezza d’ascolto.

Oscar Del Barba – “Two Suites For Jazz Orchestra” – Dot Time 9036

two suitesIl fisarmonicista, pianista, tastierista e compositore bresciano Oscar Del Barba è personaggio ben noto negli ambienti jazzistici: in passato si è fatto notare come musicista attento, appassionato in grado di ben figurare nei contesti più diversi: così, ad esempio, lo ricordiamo nell’album “Scale mobili” del gruppo Pentagono in cui compose otto delle nove tracce incise, o ancora con Simone Guiducci, con Toni Melillo e in duo con il chitarrista Francesco Saiu. Questa volta il discorso è completamente diverso: Oscar ha assemblato una vera e propria big-band, con elementi di tutto rispetto quali, tanto per fare qualche nome, i sassofonisti e clarinettisti Achille Succi e Rossano Emili, il trombonista Beppe Caruso, il chitarrista Domenico Caliri, il contrabbassista Salvatore Maiore e il batterista Vittorio Marinoni cui si è aggiunto, classica ciliegina sulla torta, il grande “altista” Dave Liebman presente nella prima composizione. Per questo ensemble Del Barba ha composto due suites, ambedue in cinque tempi, intitolate, rispettivamente, “Cinque scene per big band” e “Variazioni sopra un canto popolare bresciano”: Come lascia intendere il titolo della seconda suite, l’artista si è ispirato alle musiche della sua terra cui si era già rivolto per altre composizioni. Il risultato è eccellente. Oscar Del Barba conosce la musica, scrive e arrangia bene trovando un giusto equilibrio tra pagina scritta e improvvisazione. Così i singoli hanno modo di esprimere le proprie potenzialità senza per questo mortificare il giuoco d’assieme che rappresenta, in realtà, il vero punto di forza dell’album. Le melodie , accattivanti nella loro non banale semplicità, galleggiano su un tappeto ritmico-armonico piuttosto complesso mentre a tratti avvincente è l’alternarsi tra tensione e distensione che il leader sembra conoscere assai bene. Superlativa, come al solito, la prestazione di Dave Liebman… ma forse questo non c’era bisogno di aggiungerlo!

Gianluca Esposito – “The Hammer “ – Wide 205

The HammerUna tonnellata di groove quella che il sassofonista abruzzese Gianluca Esposito scarica sugli ascoltatori attraverso questo riuscito “The Hammer”. Il gruppo è di quelli che non si esiterebbe a definire “all stars”: accanto al leader ci sono, infatti, Mauro Grossi al piano e all’organo Hammond, Daniele Mencarelli al contrabbasso e basso elettrico, Andrea Dulbecco al vibrafono e, udite udite, Gregory Hutchinson alla batteria. Il programma comprende sei originals scritti dallo stesso Esposito, due standard rispettivamente di Pat Metheny e Kurt Weill e un brano tratto dal repertorio pop vale a dire “Fragile” di Sting. Le composizioni di Esposito appaiono ben strutturate, anche se non presentano elementi di particolare novità; comunque le melodie sono spesso godibili e si sviluppano su un tessuto ritmico-armonico di rara eleganza. L’approccio del gruppo al materiale tematico è incentrato sulle invenzioni soliste di Esposito e Grossi, magistralmente coadiuvati da una sezione ritmica semplicemente stellare in cui Hutchinson si conferma un mostro sacro della batteria, con Dulbecco bravissimo nel lavoro di punteggiatura e di contrappunto oltre che di solista (“Question and Answer” di Pat Metheny). Ovviamente gli spazi solistici maggiori sono riservati al leader che si esprime compiutamente sia al sax alto sia al soprano, con un linguaggio moderno, con un sound rotondo, pieno, un senso del ritmo veramente notevole e una spiccata capacità improvvisativa: di qui la difficoltà di segnalare un solo brano in cui si mette in particolare evidenza. Discorso quasi identico per Mauro Grossi di cui comunque vi consiglieremmo di ascoltare con particolare attenzione “The Hammer” (con l’organo Hammond) e “Like a Dream” (al pianoforte) . Puntuale il sostegno di Mencarelli, notevole anche in alcuni assolo (“Play for Kenny”) mentre su Hutchinson è quasi inutile spendere ulteriori parole dal momento che tutti lo considerano giustamente uno dei massimo esponenti della moderna batteria jazz.

Dario Faiella meets Monday Orchestra – “Recurring Dreams” – abeat544

Recurring dreamsMauro Negri (clarinettol), Emanuele Cisi, Michael Rosen (sax ten), Giulio Visibelli (flauto), Emilio Soana (tromba), Marco Brioschi (flicorno) sono alcuni degli “ospiti” che impreziosiscono questo bel cd del chitarrista Dario Faiella che in questo caso si misura al cospetto di una big band , la “Monday Orchestra” diretta da Luca Missiti, responsabile quest’ultimo di tutti gli arrangiamenti, eccezion fatta per “Estrelas” e il monkiano “Pannonica” dovuti a Gabriele Comeglio. Diciamo subito che è un piacere ascoltare la musica di questo CD: la band è ben rodata e altrettanto ben diretta, con gli arrangiamenti che funzionano alla perfezione riuscendo a mettere in risalto sia la compattezza dell’insieme sia la capacità improvvisativa dei singoli. Così abbiamo la possibilità di ascoltare assolo di tutti gli “ospiti” a partire da Mauro Negri in “Conception” di George Shearing, per chiudere con Bonacasa nel già citato Pannonica. Dal canto suo il leader si dimostra non solo eccellente strumentista (ma questo già lo si sapeva) ma anche dotato compositore: tre brani (“Cyber Blues”, “Estrelas” e “Care”) sono dovuti alla sua penna e non sfigurano accanto a standard quali “Moment’s Notice” di John Coltrane o “Celia” di Bud Powell. Ma quel che veramente colpisce in questo album è il sound, un sound pieno, corposo, carico di swing proprio come quello delle big-band di una volta, un sound che purtroppo si ascolta sempre più raramente nei dischi e ancor più di rado nei concerti per ovvii motivi economici.

FunSlowRide – “FunSlowRide” – SAM 9039

FunSlowRide_1I FunSlowRide – International Collective of Music Travellers – sono un collettivo di talentuosi musicisti ; prodotto da Gegè Telesforo con la supervisione di Leo Sidran (figlio di Ben) e realizzato in due anni di lavoro in vari studi di registrazione (Brooklyn, Madison, Londra,….), FunSlowRide vede la collaborazione di artisti e vocalist del calibro di Alan Hampton, Sachal Vasandani, Joanna Teters, Mosè Patrou, Joy Dragland, Ainé, Greta Panettieri oltre naturalmente a Gegè Telesforo alla voce, tastiere e percussioni. A tutti questi si aggiunge il grande Ben Sidran con uno “spoken-words” sul tema di un emozionante brano dedicato ai bambini (“Let The Children”). Il risultato è dei più positivi: proprio grazie all’innesto di tante voci, di tanti artisti così differenti, l’ album acquista una sua specificità rafforzata da alcune linee guida che Telesforo ha voluto seguire: la ricerca di un groove incessante e la proposta di melodie ampie, ariose, riconoscibili. Di qui un ritmo incalzante che caratterizza tutto il disco con una tensione che mai si dilegua. In programma nove originals scritti prevalentemente da Gegé Telesforo (musica) e Greta Panettieri (parole) con l’aggiunta di “I Shot The Sheriff” di Bob Marley; tra questi ci piace segnalare “Next”, una dolce melodia scritta da Telesforo e dedicata alla figlia Joana per raccontarle – spiega lo steso vocalist pugliese – “le emozioni contrastanti di una storia d’amore”: convincente la prestazione vocale di Alan Hampton, sicuramente un grande talento, ben accompagnato da Domenico Sanna al pianoforte; assolutamente trascinante il già citato brano di Bob Marley con in bella evidenza il vocalist Moses Patrou e il sassofonista Alfonso Deidda.

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Parla Toni Lama L’epopea dello Swing Club nella Torino degli anni ’60 e ‘70

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“Compro oro” non è certo un titolo che abbia molto a che fare con il jazz…se poi, però, leggiamo il sottotitolo “Vivere Jazz Vivere Swing” la faccenda diventa più chiara: in realtà stiamo parlando di un bel documentario, uscito proprio in queste settimane, che illustra l’attività dello storico “Swing Club” di Torino. Ne abbiamo parlato a lungo con uno degli autori , Toni Lama, personaggio ben noto nel mondo del jazz anche per la sua attività di promoter che l’ha portato a produrre più di 400 concerti l’anno in tutta Europa

Da quale motivazione nasce questo documentario?
Innanzitutto dal fatto che nella mia vita quello è stato un periodo interessante, bello e che ho sempre ricordato volentieri per cui pensavo di poterlo condividere con altre persone che hanno vissuto gli stessi anni. La seconda motivazione era quella di documentare un locale e un periodo storico di una città come Torino che ritengo, per molti motivi, non tornerà: sono cambiate le situazioni ambientali, è cambiata la situazione storica , è cambiata anche e soprattutto la situazione del jazz. Il jazz di quei tempi era una musica che gli appassionati andavano a cercare sui dischi avuti o trovati in modo quasi carbonaro , si dovevano tirare giù gli spartiti da dischi vecchi, spesso rovinati… era tutto molto difficile per cui ho pensato di fare un piccolo documento su quel periodo storico.

Stiamo parlando dello “Swing Club” di Torino…
Certo. Il locale è lo “Swing Club” di Torino e il periodo va dal 1965 al 1982 quel periodo che vedeva in altre città d’Italia la nascita di altri due locali storici, il Capolinea a Milano e il Music Inn a Roma. Questi due locali, assieme allo “Chat qui pêche” a Parigi e il “Domicil” a Berlino costituivano un po’ i caposaldi del jazz d’oltre oceano in Europa. Poi c’era tutta l’attività dei Paesi scandinavi ma quella era un po’ troppo lontana dai nostri obiettivi. Lo Swing si trovava in via Botero …e oggi sarebbe un posto anacronistico perché era un piccolo locale a livello strada, poi si scendeva in una cantina che poteva ospitare da legge 99 persone ma che in realtà durante i concerti ne ospitava più di 200 e oggi potremmo veramente definirla una trappola per topi : c’era una scala di legno che scendeva ripida in questa cantina e sotto, come in tutti i locali di quei tempi, si fumava liberamente e in più c’erano anche le cucine… con il risultato che si respirava un’ aria … irrespirabile…. C’era poi una sorta di uscita di sicurezza costituita da una piccola porta situata dietro le cucine che dava su un’altra cantina che a sua volta dava in un corridoio che poi, attraverso tutte le altre cantine, portava finalmente in un cortile. Dopo i fatti dello Statuto (L’incendio del Cinema Statuto la sera del 13 febbraio 1983, con la morte di 64 persone n.d.r.) fu impossibile mettere a norma, se non con cifre iperboliche questo posto che infatti chiuse.

E’ possibile tracciare una sorta di parallelismo tra questi tre locali italiani cui prima facevi riferimento?
Sì; direi che tutti e tre erano innanzitutto caratterizzati dalle persone che lo gestivano. A Roma c’era Pepito Pignatelli, personaggio storico che ha dedicato la sua vita al jazz ma soprattutto al rapporto con i musicisti, lui era l’amico dei musicisti . A Milano c’era Vanni , Giorgio Vanni al Capolinea era anche lui un batterista come Pepito e come Pepito anche lui aveva un cuore da musicista che lo rendeva prima che gestore di un locale, amico dei musicisti. A Torino c’era questa signora che si chiamava Ninni Questa che non era una musicista, ma un’appassionata che amava il rapporto con i musicisti, infatti nel documentario Tullio De Piscopo ricorda il sorriso di questa signora che non rideva spesso – in realtà non aveva molti motivi per ridere anche perché gestire un locale per una donna in quegli anni a Torino era un’impresa molto dura… Torino era allora una città spaccata dai clan, marsigliesi e catanesi si spartivano la città sia per la prostituzione sia per le sigarette – ebbene, nonostante tutto ciò, lei aveva deciso di mantenere pulito questo locale che era uno dei pochi a rimanere aperto fino alle cinque del mattino… per cui, ovviamente, dopo le 2 arrivava di tutto.

Abbiamo parlato delle consonanze; c’erano anche delle differenze sostanziali?
Le differenze erano soprattutto di carattere ambientale. Il Music Inn di Roma rispecchiava una città che già allora, nelle sue molteplici sfaccettature, nel bene e nel male, era sempre la Capitale per cui c’erano dai nobili veri ai nobili decaduti, gente del cinema… era un locale molto variegato … definirlo alla moda è forse un po’ troppo, ma di sicuro era un locale che in quegli anni faceva tendenza. Il club di Vanni a Milano, il Capolinea, era un vecchio garage sui Navigli , quindi un po’ fuori Milano, e fu lui il precursore di questo posizionare i locali un po’ nelle periferie, ed era il ritrovo di tutti i musicisti milanesi che finivano di suonare… arrivavano lì verso mezzanotte, l’una e potevano dare sfogo alla propria passione, perché i più erano musicisti di sala, facevano liscio , facevano discoteca, facevano i turnisti … e lì potevano finalmente suonare il jazz che era la loro passione; poi verso le due, le tre, Vanni, come Pepito a Roma, si metteva alla batteria e aveva la gioia di accompagnare calibri come Dexter Gordon, Art Farmer, Johnny Griffin, Mal Waldron… e tanti, tanti altri. Lo Swing di Torino era ancora una cosa diversa perché l’habitat della città era diverso, Torino era una città in bianco e nero, una città grigia comunque non priva di un certo fascino, era una città che offriva attraverso questo locale uno spaccato di fantasia, uno spaccato di creatività; scendendo quelle scale, la gente, come fa notare Pupi Avati nella sua intervista, dimenticava un’Italia brutta, perché in quegli anni era un’Italia non bella, e immaginavi di essere a New York al Blue Note, a New Orleans…, sognavi, avevamo un angolo di sogno. Poi uscivi alle 3 alle 4 del mattino e spesso ti incrociavi con quelli che in piemontese si chiamano i “baracchini” quelli, cioè, che portavano il “baracchino” il posto dove mettevi il cibo, perché alle 6 dovevano aprire il turno in fabbrica (leggi Fiat) per cui molti uscivano da casa alle 4,30 alle 5 per essere puntuali sul posto di lavoro. Queste due realtà quasi si accarezzavano, per motivi di tempo, ma in vero erano due realtà che vivevano in modo profondamente diverso. E lo Swing era un’isola – diciamo – felice. (altro…)

Tanto Jazz nei programmi di “Musica per Roma”

Presentata nei giorni scorsi la stagione 2014-2015 all’Auditorium Parco della Musica

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Nei giorni scorsi è stato presentato alla stampa il programma di “Musica per Roma” (leggi Auditorium) per la stagione 2014-2015.

Ancora una volta gli organizzatori hanno predisposto un cartellone ove c’è ampio spazio per le varie manifestazioni artistiche pur cercando di mantenere un qualche filo rosso che le unisca; così, ad esempio, eventi musicali si intersecano con attività teatrali, artistiche e culturali, mentre performance di natura scenica, letteraria o visuale presentano contiguità con il mondo delle sette note.

Ed è proprio a quest’ultimo settore, con specifico riferimento al jazz, che come al solito si indirizza la nostra attenzione. Dobbiamo, al riguardo, constatare come, dopo un periodo di magra, l’Auditorium torni a riproporci una serie di appuntamenti jazzistici notevoli per numero e qualità.

E’ già ai nastri di partenza l’annuale edizione del “Roma Jazz Festival” condotto more solito, con mano sicura, da Mario Ciampà. Il tema scelto per quest’anno è lo swing in un accostamento con gli USA ove lo swing divenne la colonna sonora di quel “New Deal” con cui si riuscì a superare la gravissima crisi del ’29.

Parallelamente a questo filo conduttore ci sono altri due elementi giustamente tenuti in considerazione da Ciampà: il 40° anniversario della scomparsa di Duke Ellington, considerato uno dei più importanti compositori di tutta la storia del jazz, e i 70 anni della liberazione di Roma da parte delle truppe angloamericane.

Insomma una serie di elementi musicali e non che si incontrano e si intersecano per delineare un momento importante . Il programma si svolge dal 14 al 30 novembre con alcuni appuntamenti davvero degni di rilievo: Dave Holland/Kenny Barron in apertura; 3 Cohen’s Sextet e Jason Moran/Robert Glasper rispettivamente il 16 e 17; Dee Dee Bridgewater il 25 novembre; Bireli Lagrene & Gipsy Project il 27. Anche quest’anno molto spazio ai musicisti italiani: Fabrizio Bosso Quartet & Paolo Silvestri Ensemble in “Swinging Duke” il 19 novembre; Enrico Rava – Parco della Musica Jazz Lab il giorno dopo; Franco D’Andrea/Daniele D’Agaro/Mauro Ottolini il 24 novembre. La chiusura del Festival è affidata all’ Orchestra Operaia “Swing Era”.

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Andrea Pozza Trio il 26 agosto a Posada per Nuoro Jazz

 Il pianista jazz Andrea Pozza, martedì 26 agosto 2014, sarà di scena in trio a Posada (Casa delle Dame, Piazza Eleonora d’Arborea, ore 21.00) in occasione della rassegna Nuoro Jazz. Il pianista genovese sarà supportato da una ritmica di prestigio, formata da Nicola Muresu al contrabbasso e Stefano Bagnoli alla batteria. Il trio proporrà famosi standard e brani originali tratti dall’ultimo album del pianista genovese “A Jellyfish from the Bosphorus”.

Andrea Pozza si caratterizza per uno stile elegante, costruito su un pianismo attento ai colori, alle sfumature, in perfetto equilibrio fra la solidità di un impianto formale di stampo europeo e l’inventiva fresca e ammaliante di un sound oltre oceanico. Il trio regalerà atmosfere intimistiche e calde, oscillando fra omaggi al passato come “In a sentimental mood” di Duke Ellington o “Blue room” e “Where or When” di Rodgers & Hart e “Get Happy” di Harold Arlen e creazioni contemporanee nelle quali prevale un gusto “classico” di estrema compostezza: si pensi a “Love is the way” o “As Usual” dello stesso Pozza.

Andrea Pozza ha una solida carriera nazionale ed internazionale ed è riconosciuto dalla critica e dal pubblico come una delle personalità più rappresentative in ambito jazz attualmente in circolazione. Pianista eclettico capace di affrontare con grande disinvoltura qualsiasi repertorio, è sia leader carismatico sia partner ideale per grandi artisti che trovano in lui empatia e innato interplay. Andrea Pozza ha debuttato a soli 13 anni e da allora si è esibito al fianco di alcuni “mostri sacri” della storia del jazz: Harry “Sweet” Edison, Bobby Durham, Chet Baker, Al Grey, George Coleman, Charlie Mariano, Lee Konitz, Sal Nistico, Massimo Urbani, e molti altri ancora. Intensa la sua attività concertistica che lo porta costantemente in tour in Italia e in Europa alla guida delle formazioni a suo nome. Pozza collabora stabilmente, tra gli altri, con Enrico Rava, Fabrizio Bosso, Scott Hamilton, Steve Grossman, Tullio DePiscopo, Luciano Milanese, Dado Moroni, Ferenc Nemeth, Bob Sheppard, Antony Pinciotti, Furio Di Castri e tanti altri. Andrea Pozza è inoltre protagonista di numerosi progetti discografici a suo nome. Gli album più recenti sono “I could write a book” (2013, Foné Jazz, super audio cd e in Vinile 180gr) in duo con Scott Hamilton, sassofonista americano, di una straordinaria eleganza, noto per il suo impeccabile fraseggio e innata dolcezza; e “A Jellyfish From The Bosphorus” (ABEAT REC, 2013). Del 2011 è invece il suo esordio discografico con l’Andrea Pozza European Quintet, intitolato “Gull’s Flight” (ABEAT REC, 2011).

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