Lettera aperta al Presidente della RAI

Caro Presidente,

Le indirizzo questa lettera aperta ben sapendo che con tutta probabilità non la leggerà o che comunque se la caverà con una alzatina di spalle. E farà male.

Non so quali siano i suoi contatti con il pubblico degli utenti ma forse saprà che il canone, unitamente alle tasse automobilistiche, è tra i balzelli più odiati degli italiani. Per quanto riguarda la RAI i motivi di malcontento sono davvero tanti, troppi ma non pare ci sia l’intento di cambiare strada.

Comunque Le segnalo l’ultimo episodio in ordine di tempo che ha indignato me e molti di coloro che professionalmente si occupano di Musica.

Ieri, 2 marzo, è andato in onda su RaiUno un ricordo di Lelio Luttazzi. In studio, ovviamente, l’onnipresente vedova Luttazzi (seconda moglie del Maestro); peccato che i curatori del programma si siano dimenticati di invitare anche la figlia di Luzzatti, Donatella, affermata artista (vocalist e chitarrista) che porta avanti l’eredità musicale del padre oltre ad aver scritto un eccellente libro sulla figura di Lelio. Che dice, sarebbe stato il caso di sentire anche lei o qualche altro fattore ne ha vietato la partecipazione? Se così fosse sarebbe grave e credo che lo scrivente, nella duplice veste di giornalista che segue queste materie nonché di semplice abbonato RAI abbia tutto il diritto di sapere perché ancora si commettono simili cappellate (per usare un eufemismo).

In attesa di una risposta assai improbabile.

Cari e ossequiosi saluti

Gerlando Gatto

L’altra metà del Jazz, il secondo libro di interviste di Gerlando Gatto, continua a far parlare di sé…

Il secondo libro di interviste di Gerlando Gatto, “L’Altra Metà del Jazz – Voci di donne nella musica Jazz” (2018, KappaVu – Euritmica edizioni) continua a far parlare di sé, anzi a far parlare il suo autore e, soprattutto, le trenta musiciste intervistate! (Redazione)

Cliccando qui potrete accedere all’articolo completo di Guido Michelone pubblicato su Doppio Jazz, con l’intervista in esclusiva a Gerlando Gatto 

Riportiamo il testo dell’intervista:

quote
«Gerlando Gatto, giornalista professionista, decano della critica jazz italiana di alto livello, negli ultimi anni ha composto una sorta di trittico librario (destinato forse a diventare un polittico) con tre volumi dedicati alla realtà locale, sia pur con apertura internazionali: il primo testo è Gente di Jazz. Interviste e personaggi dentro un festival jazz e l’ultimo, al momento, è Il Jazz Italiano in Epoca Covid. Parlano i jazzisti. Nel mezzo c’è questo originalissimo L’Altra Metà del Jazz. Voci di donne nella musica jazz, di cui l’autore stesso ci parla approfonditamente in quest’intervista esclusiva.

-Gerlando, come ti è venuta in mente l’idea di un libro di interviste a sole donne jazziste?
La genesi di questo libro è piuttosto particolare. Nel maggio del 2017, quando si trattava di dare l’ok alla stampa, in fase di impaginazione del mio primo libro Gente di Jazz, per ragioni di spazio saltarono due interviste a Tiziana Ghiglioni e Rita Marcotulli. Così il libro uscì con interviste solo a “maschietti”. La prima ad accorgersi di questa anomalia fu mia moglie di solito molto attenta al mio lavoro; lei mi rimproverò aspramente anche perché poteva venir fuori l’immagine di un giornalista (il sottoscritto) che non considerava le musiciste di jazz mentre nella vita privata aveva molte amicizie reali con jazziste quali la stessa Marcotulli, Maria Pia De Vito, Marilena Paradisi, Antonella Vitale… e l’elenco potrebbe allungarsi di molto.

-Anche per esperienza personale, i rimproveri delle mogli hanno spesso risvolti positivi…
Infatti, questa ramanzina mi fece riflettere molto e mi rafforzò in un’idea che già da tempo mi frullava in testa: dedicare un libro di interviste solo alle jazziste e non già per ghettizzarle ancora una volta ma per dimostrare con i fatti quale importanza abbiano oggi le musiciste jazz, concetto che stenta a passare nella mentalità comune. Parlai, quindi, di questo progetto con Giancarlo Velliscig presidente di Euritmica che insieme a KappaVu avevano curato l’edizione di Gente di Jazz e con Marina Tuni che mi è stata accanto nella stesura di tutti e tre i libri che ho pubblicato. Ambedue trovarono l’idea giusta e così il libro è uscito ottenendo un grande successo. Una precisazione: grande successo non di vendite ma di attestati di stima.

-In che modo le hai prevalentemente intervistate? Telefono, e-mail, prima o dopo i concerti? In hotel? O altro ancora?
Ovviamente un po’ di tutto. Tengo a precisare che il libro contiene alcune interviste storiche, tra cui una a Dora Musumeci mai pubblicate in precedenza e interviste – la maggior parte – realizzate proprio per questa pubblicazione. Ovviamente se dovessi raccontare la storia di ogni singola intervista forse potrei scrivere un altro libro, ma colgo l’occasione per segnalartene qualcuna. Innanzitutto, in questa sede vorrei ancora una volta ricordare la figura di Dora Musumeci la prima vera jazzista italiana, pianista e vocalist, di grandissimo spessore del tutto ignorata dai critici vecchi e nuovi, così come evidenziato anche nelle più recenti Storie del jazz. Ebbene la intervistai nel 1998 come primo atto di un libro a lei dedicato. Purtroppo, un pirata della strada la falciò nel pieno centro di Catania e ovviamente non fu possibile proseguire. Nel 2017 era a Roma Sarah Jane Morris un’artista che in famiglia amiamo tutti e tre: io, mia moglie e mio figlio.

-Un’occasione da cogliere al volo, come si suol dire

Così quando l’artista ci concesse un appuntamento per intervistarla ci recammo tutti e tre e lei [Sarah Jane Morris] fu di una straordinaria dolcezza. Un altro episodio: ho sempre ammirato la pianista e compositrice Myra Melford ma non avevo avuto l’occasione di incontrarla; quasi per caso, decisi di contattarla su Facebook ed ebbi così modo di conoscere non solo un’artista formidabile ma una persona di squisita gentilezza. Non altrettanto potrei dire di una celebre vocalist statunitense di cui non farò il nome che aveva delegato tutto a un portavoce, il quale voleva indicarmi lui quali domanda fare e quali no, al che si beccò un bel… infine vorrei ricordare l’intervista a Radka Toneff, una straordinaria cantante norvegese che ebbi modo di intervistare durante il mio soggiorno in quel Paese e che purtroppo se ne andò suicida nel 1983 a soli 30 anni. Ma, come accennavo, ogni intervista contiene in sé un’altra storia per cui mi fermo qui.

-Pensi che in questa fase storica (il XXI secolo grosso modo) ci sia stata davvero un’emancipazione per la donna che vuole occuparsi di jazz?
In una certa misura sì… ma solo in una certa misura.

-Come spieghi la cronica scarsa presenza nella storia del jazz dell’universo femminile (a parte quello canoro)?
Questa domanda si riallaccia alla precedente. Il jazz è nato in un ambiente prevalentemente maschilista e anche quando negli anni Venti si affermò il blues classico portato in auge da vocalist donne, queste donne faticarono non poco per far assurgere in primo piano tematiche femministe. Al riguardo consiglierei di leggere il bel libro di Angela Davis Blues e femminismo nero. In buona sostanza i maschi l’hanno sempre fatta da padroni nel micro-universo jazzistico anche quando si sapeva benissimo che c’erano moltissime musiciste al di fuori dell’ambito vocale che potevano suonare in qualsivoglia contesto.

-Nel tuo libro su 31 intervistate ben 11 sono straniere da tutto il mondo. Riveli diversità d’approccio, nel parlare e nel dialogo, tra italiane e straniere?
Sostanzialmente no. Ho notato invece diversità di approccio a seconda del rapporto con le intervistate. Ad esempio, Marilena Paradisi si è aperta in modo davvero straordinario, così come Enrica Bacchia si è rivelata nella sua complessa umanità al limite del commovente. Con le straniere questo non è stato possibile in quanto con nessuna c’era un vero e proprio legame di amicizia.

-E fra le straniere noti particolari differenze fra le jazziste?
C’è poco da fare: tranne qualche eccezione le star mai dimenticano di essere tali e non vorrei aggiungere altro.

-A differenza delle straniere (dove per circa metà incontriamo strumentiste o bandleader) le jazz woman tricolori sono tutte cantanti: perché questa penuria in Italia di donne che non suonano uno strumento (salvo qualche eccezione che tu hai ovviamente evidenziato)?
Hai ragione… ma solo in parte. Tornando al mio libro ci sono, infatti, ben sei musiciste che non sono solo vocalist: Giulia Barba si sta sempre più confermando eccellente sassofonista, Marcella Carboni è arpista di assoluto livello, Rita Marcotulli è pianista che tutto il mondo ci invidia, Silvia Bolognesi è considerata una delle migliori contrabbassiste a livello europeo, Donatella Luttazzi oltre a cantare suona bene la chitarra mentre di Dora Musumeci ho già parlato. Questo per dire che anche in Italia la situazione sta cambiando anche se attraversiamo un momento particolarmente difficile e delicato le cui responsabilità, a mio avviso, ricadono anche sugli stessi musicisti alcuni troppo ideologizzati, altri troppo poco.

-Vero o no che sembra essere tornato (magari con ironia) lo stereotipo della cantante jazz un po’ vamp o sexy o dark lady rispetto alle femministe alla Jeanne Lee o Nina Simone degli anni ’60-’70?
Francamente non mi sembra. Ma la mia opinione vale per quel che vale dal momento che negli ultimi anni ho di molto diradato la mia presenza ai concerti e quindi non ho avuto modo di percepire ciò che tu affermi.

-Da quanto ti hanno raccontato, rispetto alle narrazioni del passato, il jazz è ancora un ambiente maschilista?
A questa domanda ho già risposto seppur tra le righe in precedenza. Comunque lo ribadisco in modo chiaro e netto: il jazz rimane un ambiente maschilista e ci vorrà ancora qualche tempo perché le cose cambino realmente e non solo di facciata”.

-Come mai nel giornalismo, nella critica, nell’insegnamento, nella fotografia, nell’organizzazione del jazz la donna è largamente e tristemente assente (o minoritaria)?
Innanzitutto vorrei sottolineare come in tutti gli ambiti che hai citato si prosegue lungo la vecchia strada per cui il merito, le capacità sono all’ultimo posto. Vedi ciò che accade nell’editoria, nei Conservatori per cui gli studenti pagano cifre rilevanti per avere un’educazione al massimo livello e i direttori viceversa pensano a risparmiare a scapito della qualità dell’insegnamento. Purtroppo, valgono altri elementi. Ciò detto la risposta alla tua domanda va ricercata nel fatto che gli spazi sono veramente pochi e dato il maschilismo imperante per le donne non è facile trovare un terreno su cui avventurarsi».
unquote

Vi parlo di Amedeo Tommasi

Il 13 scorso è mancato, all’età di 85 anni, uno dei grandi personaggi della musica italiana, Amedeo Tommasi. Lo ricordiamo attraverso le parole di un’altra musicista che lo conosceva bene, Donatella Luttazzi.

*****

Gerlando vorrebbe che parlassi del mio rapporto intimo con Amedeo, ma come si fa a parlare di cose così private? Ho avuto con Amedeo un rapporto affettivo molto profondo di cui si è arricchita anche la mia musicalità, anche se, pur essendo io formica e lui elefante, mi permettevo di non essere sempre al cento per cento d’accordo con lui su certe sonorità, sui suoni emessi dai suoi pur meravigliosi programmi campionati, preferendo comunque e sempre le sonorità acustiche. Costretta dal poco tempo a disposizione, sono qui al PC, cercando di tirare fuori qualcosa di sincero da una mente annebbiata e sofferente e dai miei occhi ancora arrossati. Negli anni della mia adolescenza, Amedeo Tommasi era un mito (e ne ho avuti pochissimi). Non lo conoscevo, ma sapevo di lui, del fatto che era refrattario, che mollava una cantante in piena prova se non lo rispettava, che non si concedeva facilmente, che chiedeva molti soldi a differenza di altri, il che significava che non si svendeva e che aveva un grande amor proprio. Ma soprattutto sapevo che insegnava e sapevo che era il Maestro dei Maestri. E infatti ho verificato che è stato l’insegnante di tutti i pianisti amici miei che apprezzo di più.

Ma andiamo al nostro incontro: mio marito malato di tumore, io che avevo bisogno di un Maestro di musica come dell’aria che respiravo. Lo chiamo, abita a due passi da casa mia, accetta di darmi lezione. Mi trovo di fronte a un genio: divertente, giovane, appassionato, incazzato quando non riuscivo a fare un esercizio… ho la presunzione di credere che la sfuriata che ha avuto con me quella volta prendendomi le mani e mettendomele sull’accordo facendomi quasi male non l’abbia avuta con nessun altro, o altra. Era il segno della sua passione per la musica, e forse un piccolo segno premonitore del suo interesse per questa signora/ragazzina figlia del suo amico Lelio che in età avanzata, del tutto sconosciuta nonostante i natali, voleva approfondire la sua conoscenza della musica. E l’ha capito dopo qualche anno (a volte l’insegnante è accecato dal suo ruolo) che un po’ la musica già la sapevo…
E ha imparato ad apprezzarmi col tempo, musicalmente dico, e io, intimidita fino al midollo per la grandezza di chi mi trovavo davanti e con cui nel tempo si è creato un rapporto di amicizia/amore e reciproca stima, mi cullavo nella piacevole sensazione che ormai, dopo almeno cinque anni, mi considerava una sua pari. Il che ovviamente non è proprio vero. Quindi, tornando alla mia prima lezione con lui, gli porto il mio libro sul rapporto con mio padre “L’unico papà che ho”. Lui, come aveva fatto mio padre, da triestino, non si fida e lo fa “valutare” da una sua amica insegnante. L’amica gli dice che si aspettava una biografia, cosa che il libro non ha mai voluto essere. Quindi il libro resta inerte sul suo comodino. Non l’ha mai letto: dice che salto da un argomento all’altro… allora inizia questo gioco: io minaccio di riprendermelo, lui dice che lo leggerà dopo quello su Chet che gli ho regalato. Mai letto invece. Né il mio né quello su Chet. Pigro. Lo diceva lui stesso di sé. Quindi, lezioni, un CD insieme, “I Love You Chet”, anche tante risate, tante battute, il tutto nel più assoluto ma affettuoso rigore. (A questo punto se leggesse questo mio scritto direbbe “Rigor mortis”!). Aveva un grande rispetto per la Musica. Quando comunicavamo su Messenger giocavamo, inventavamo situazioni, giochi di parole, e un linguaggio tutto nostro.

Pochi concerti con lui perché già non riusciva a fare le scale, essendo i club sempre con scale ripide. Poi tante volte l’ho accompagnato al St. Louis, divertendomi un mondo per come insegnava, per la passione, l’ottimismo… ma per questo vi consiglio di parlare con i suoi innumerevoli allievi o cercare materiale su YouTube. Per quanto mi riguarda posso dire (e non sono la sola a dirlo) che insegnava la Musica nella sua accezione più alta, più che la tecnica pianistica. Dava molto di più della media degli insegnanti, perché lui era la Musica. Esigente sull’intonazione fino allo spasimo, e io a dirgli che secondo me la voce umana non è un computer, e che un comma in più o in meno è un segno di espressività di una voce. Ma non è importante quello che penso io. È importante invece che grazie a lui le mie stonature, secondo lui dovute a pigrizia – e aveva ragione – me le ha corrette a forza di scudisciate morali benevole. Adesso mi rendo conto del capitale che mi ha lasciato. Io so la sua intelligenza, il suo humour, la sua sensualità. E da musicista a musicista, da triestina a triestino, so il suo rigore, ma anche la sua fantasia. E quando penso: peccato che visto il mio impegno con mia madre anziana e visto il mio carattere incostante, ma anche visto il maledetto Covid, negli ultimi tempi ci siamo visti e sentiti di meno, cioè non tutti i giorni più volte al giorno come prima, almeno mi consolo del fatto che forse senza di me non avrebbe fatto quel concerto a Foligno, senza di me non avrebbe fatto l’ultimo CD di jazz della sua vita, dopo tanto tempo che non ne faceva, senza il mio pungolarlo non avrebbe fatto il libro degli undici standard, meraviglioso, che ho trascritto su Finale assieme a Vito Andrea Morra, senza di me non avrebbe avuto qualcuno da tormentare e da “mastruzarcome se disi a Trieste.

Potrei continuare a parlarne, sarebbero tante le cose da dire, potrei parlare della sua poetica, del suo modo di finire i pezzi sempre sul primo grado, alla Beethoven (infatti aveva iniziato con la musica classica con suo padre al violino) ma non so quanto debba essere lungo questo scritto propostomi dal mio caro amico Gerlando, il quale mi ha chiesto appunto un racconto personale. Quindi mi fermo qui. Due giorni fa, nell’ultima conversazione su Messenger, gli ho detto che stavo studiando “Very Early” di Bill Evans. “Uhm..” mi fa. “Perché, non ti piace?” Lui: “È noiosa”.  I musicisti capiscono cosa intendeva per “noiosa”. Tengo a precisare che considera Evans tra i più grandi, ovviamente. Se provo ad analizzare la struttura melodica del pezzo, forse capisco perché lo riteneva noioso: perché questi continui salti di 5a bemolle lo rendono monotono, perché non ne emerge una gerarchia di accordi secondo il classico sistema tonale, che è quello che lui negli anni maturi della sua vita ha prediletto nelle sue canzoni. Una “classicità” che aveva fatto parte della sua infanzia e che voleva ritrovare. Ho azzardato nell’interpretazione, spero di non essermi sbagliata di troppo. E mi chiedeva un parere su canzoni che stava scrivendo. Quando gli ho proposto di scrivere le parole sul suo pezzo “Hannie’s Dream”, che aveva scritto giovanissimo, si è rifiutato, scontroso, dicendo che era stato scritto per essere strumentale. L’ho convinto e ho scritto i testi di tre pezzi addirittura, che lui orgogliosamente ha fatto cantare a una sua allieva del St. Louis.  E ne avrebbe volute altre. Mi chiamava Lutt a volte, e a volte invece usava epiteti affettuosi e sempre divertenti, e sempre nuovi per combattere la noia. Un Artista vero. Aveva capito l’essenza della Musica. Guai sedersi al suo pianoforte se non ne eri degno. Non gli ho mai detto che l’amavo, ma lo sapeva. Ciao amore mio, dormi che sei stanco.
PS Mio marito, che amavo moltissimo, è morto nel 2017. Io col pianoforte, per colpa solo mia, non ho mai fatto grandi progressi, ma ho imparato molte cose di musica perché sono stata la compagna, in via ufficiosa, della Musica fatta persona.

Donatella Luttazzi

Una nuova recensione del libro “L’altra metà del Jazz” di Gerlando Gatto

Continua il percorso del secondo libro del nostro direttore, Gerlando Gatto, “L’altra metà del Jazz”, tra presentazioni in tutta Italia e recensioni. Pubblichiamo con grande piacere l’ultima di esse, scritta dal filosofo e critico musicale Neri Pollastri, pubblicata su All About Jazz, che ringraziamo.

L’altra metà del jazz
Gerlando Gatto
255 pagine
ISBN: 978-88-97705-81-9
Kappa Vu, Udine
2018″Circa un anno dopo il suo Gente di Jazz (clicca qui per leggerne la recensione) Gerlando Gatto torna a pubblicare un nuovo libro di interviste. La novità—come annuncia il titolo parafrastico—sta nel tipo di protagonisti delle interviste: L’altra metà del jazz sono infatti le interpreti femminili di questa musica, quelle “voci di donne nella musica jazz”—come recita il sottotitolo—spesso trascurate in misura perfino maggiore rispetto a quanto già non avvenga in altri ambiti della società e ciononostante—come ben mostra l’ampiezza del libro—tutt’altro che marginali sia numericamente, sia qualitativamente.

Altra cosa che differenzia il presente lavoro dal suo antecedente è che le interviste siano state in larga misura realizzate appositamente per questa raccolta, quindi quasi tutte piuttosto recenti. Con qualche eccezione, talvolta eccellente—l’intervista a Tiziana Ghiglioni unisce un’intervista del 1990 con una del 2013, così da integrare momenti diversi della sua vita, mentre quella a Karin Krog è del 1991—talvolta anche dolorosa—come nel caso di due artiste oggi scomparse, la cantante norvegese Radka Toneff, suicidatasi nel 1982, e la pianista catanese Dora Musumeci, brillante pioniera del nostro jazz investita da un ignoto pirata della strada nel 2004.

Tra le ben trenta artiste intervistate—delle quali undici sono straniere—troviamo figure di primo piano accanto ad altre meno conosciute, scelta che permette da un lato di vedere più da vicino musiciste delle quali già si apprezza la produzione, dall’altro di venire a conoscenza di artiste ignote ai più. Per tutte, comunque, le interviste toccano tanto il versante artistico, quanto quello personale, per provare a comprendere in che modo le donne vivano un mondo popolato perlopiù di uomini e anche in come questi ultimi si relazionino con loro. Da questo punto di vista, la buona notizia è il fatto che le intervistate alle quali venga richiesto (non tutte, ma molte) se si siano imbattute in più o meno pressanti “richieste indecenti,” rispondono nella quasi totalità negativamente e anche le poche che non lo fanno affermano di essersi liberate con un semplice diniego. Ma ovviamente l’esplorazione fatta da Gatto del rapporto tra femminilità e attività artistica in ambito jazz non si limita a questo e tocca molteplici temi, intrecciandosi con quelli relativi all’attività artistica.

Anche la selezione delle artiste è piuttosto varia sia per tipo di interpretazione, sia per genere: molte, ovviamente, le cantanti, da Dee Dee Bridgewater a Youn Sun Nah, passando per Karin KrogSarah Jane Morris e molte delle migliori voci nostrane; diverse le pianiste, con Myra MelfordIrene Schweizer, e Hiromi Uehara, senza dimenticare Rita Marcotulli e appunto la Musumeci; ma non mancano giovani sassofoniste come Giulia Barba, contrabbassiste come Silvia Bolognesi, fino all’arpista Marcella Carboni.

Lo spessore delle singole interviste dipende ovviamente dall’interlocutrice. A nostro personalissimo giudizio sono sembrate particolarmente interessanti quelle della Melford e della Schweizer, mentre tra le italiane quelle di Petra Magoni e Ada Montellanico. Una nota particolare meritano tuttavia le interviste a Enrica Bacchia, vocalist dallo straordinario percorso di ricerca, e a Donatella Luttazzi, figlia di Lelio, per lo spessore umano che vi traspare. Ma, con pochissime eccezioni, tutte le interviste sono interessanti, vuoi per quanto le artiste hanno da comunicare, vuoi per il garbo con cui sono realizzate.

Un bel libro, che Gatto confessa di aver messo in cantiere dopo alcune critiche ricevute per l’assenza di figure femminili nel suo lavoro precedente. In effetti, da questo punto di vista si tratta di un libro che si può a buon diritto definire necessario.” (Neri Pollastri)

courtesy: All About Jazz

 

Roma: l’International Jazz Day a Monte Mario – Il jazz quale fattore di aggregazione

Molti sono stati i modi di festeggiare l’International Jazz Day, con grandi e piccole iniziative. Ci piace dare informazioni su “Musica, parole e immagini in jazz”, manifestazione a cura del batterista Ivano Nardi in collaborazione con l’Associazione Laboratorio Stabile, che si è tenuta il 28 aprile scorso, a Roma nel quartiere Monte Mario, presso l’auditorium dell’Istituto Comprensivo “P. Stefanelli”, sede di via Taverna. Siamo, quindi, in una scuola dove – oltre alle consuete ed indispensabili attività didattiche – un’associazione sta realizzando corsi di musica e rassegne, aprendosi ai cittadini e fornendo un servizio culturale che, spesso, sul territorio è limitato se non inesistente.

In questa occasione speciale – dalle 17 alle 20 circa – si sono alternati suoni e discorsi, immagini e suggestioni in una variata alternanza di stili, soggetti, riferimenti a quella musica di matrice afroamericana che è diventata ormai una patrimonio “immateriale” dell’umanità, riconosciuto dall’UNESCO nel novembre 2011, con la proclamazione del 30 aprile come Giornata Internazionale del Jazz. Di questa musica è stata valorizzata proprio la capacità di connettere culture e creare incontro, di unire persone e popoli in un messaggio di fratellanza. Di ciò ed altro ha parlato il promotore Ivano Nardi, sottolineando l’importanza di portare la cultura fuori dai “salotti buoni” e di impegnarsi perché ci siano occasioni di conoscenza in un quartiere che ha le sue problematiche e in una situazione storica in cui chi governa va nella direzione opposta all’accoglienza e all’intercultura. Spesso, ha sottolineato il batterista-organizzatore, le istituzioni sono assenti ed allora emerge il valore di autogestirsi, con le mille questioni aperte del jazz nel suo rapporto con il sociale, con il mercato, con la critica musicale. “Musica, parole e immagini”, dunque, come forma di integrazione e miglioramento delle condizioni sociali.

Sono intervenuti vari musicisti e operatori che è giusto ricordare per la loro presenza disinteressata: il Cermic Duo con Francesco Mazzeo e Lillo Quaratino; il quartetto con Lucia Ianniello, Marco Tocilj, Paolo Tombolesi e lo stesso Nardi; l’altro duo R-Esistenza Jazz con Giulia Salsone e Mauro Nota; l’Ivano Nardi Trio (Eugenio Colombo, Igor Legari) con ospiti Sandro Satta e Marco Colonna; la scrittrice e regista Carola De Scipio che ha mostrato in anteprima immagini dal suo lavoro “Music In, Music Out” dedicato al famoso jazz club romano Music Inn; il duo di Donatella Luttazzi (che ha presentato una nuova composizione dedicata al padre, Lelio) ed un sestetto con la Luttazzi, Sonia Cannizzo, M.Tocilj, P.Tombolesi, Daniele Basirico e Carlo Battisti; l’Esacordo Big Band diretta da Giuseppe Salerno che è espressione di una realtà didattica di quartiere. Un paio delle formazioni erano intitolate e ricordavano la figura di Massimo Urbani, uno dei più grandi jazzisti italiani che è importante rammentare e celebrare a Monte Mario dove è nato e vissuto.

Tra le proposte, tutte di valore, di particolare interesse è stata “Musica e progresso sociale: Horace Tapscott’s Dream. Proeizione e filmato e brani della Pan-Afrikan Peoples Arkestra” di Lucia Ianniello che ha condotto importanti ricerche sulla figura del pianista e compositore di Los Angeles. Tapescott ha volutamente rinunciato ad una carriera internazionale per dedicarsi al suo quartiere e alla creazione di strutture e condizioni che potessero aiutare i suoi abitanti a crescere nella musica e nella speranza. Con varie testimonianze (tra cui quella del batterista Billy Higgins) l’intervento curato da Lucia Ianniello ha fatto vedere come l’utopia di Horace Tapscott si sia trasformata in una realtà anche oltre la sua morte, lasciando al quartiere di Watts una ricca realtà sonora e associativa, proprio quello di cui molte periferie romane – oggi schierate sul fronte del razzismo, del rifiuto e della violenza – avrebbero bisogno.

 

Luigi Onori

A Proposito di Jazz si stringe con affetto all’amica Donatella Luttazzi

Il direttore Gerlando Gatto, assieme alla redazione di A Proposito di Jazz, si stringe con affetto all’amica Donatella Luttazzi porgendole le più sentite condoglianze per il grave lutto che l’ha colpita. Sabato, dopo una lunga e dolorosa malattia, si è spento a Roma suo marito, lo scrittore e commediografo Gilles Fallot.
Per quanti volessero portare un saluto, nella giornata di oggi, lunedì 7 agosto, sarà possibile farlo alla camera mortuaria del Gemelli, dalle 13.30 alle 14.30.