DA MARTEDÌ 5 SETTEMBRE A DOMENICA 10 SETTEMBRE, LA DECIMA EDIZIONE DI FRANCAVILLA È JAZZ

Quest’anno Francavilla è Jazz (Francavilla Fontana, provincia di Brindisi) festeggia il decennale. Un traguardo importantissimo quello raggiunto dal festival, grazie al suo deus ex machina Alfredo Iaia, direttore artistico della rassegna, al costante ed encomiabile impegno culturale ed economico dell’Amministrazione Comunale di Francavilla Fontana, che investe sempre più risorse per questo fiore all’occhiello dell’estate francavillese, e al prezioso contributo degli sponsor privati che crescono numericamente di anno in anno per sostenere la kermesse. Anche la decima edizione di Francavilla è Jazz sarà all’insegna di protagonisti assoluti del circuito jazzistico nazionale e mondiale.

Piazza Giovanni XXIII, Largo San Marco e Corso Umberto I saranno le location dei sei concerti, tutti a ingresso gratuito come da tradizione, in calendario per il decennale.

Martedì 5 settembre alle 21:00 (orario d’inizio di tutti i concerti) sarà Richard Galliano New York Tango Trio, in Piazza Giovanni XXIII, ad aprire i battenti del festival. Galliano, uno fra i più grandi fisarmonicisti jazz degli ultimi cinquant’anni, calcherà il palco insieme ai formidabili Adrien Moignard (chitarra) e Diego Imbert (contrabbasso). Il trio alla testa del musicista francese presenterà Cully 2022, suo nuovo disco in cui sono presenti composizioni originali e tributi ad Astor Piazzolla. Un connubio, dunque, fra jazz e tango, ad alta intensità emozionale.

Si proseguirà il 6, a Largo San Marco, con Lisa Manosperti – “Omaggio a Mia Martini”, un caloroso tributo in chiave jazz della raffinata cantante pugliese a una fra le interpreti italiane più amate di sempre. Con lei, i talentuosi Aldo Di Caterino (flauto) e Andrea Gargiulo (pianoforte).

Il 7, in Corso Umberto I, D.U.O. Francesca Tandoi (voce e pianoforte) & Eleonora Strino (voce e chitarra), due giovani e brillanti musiciste che renderanno omaggio alla tradizione jazzistica, segnatamente al bebop, fra standard e proprie composizioni originali.

Venerdì 8, in Piazza Giovanni XXIII, sarà la volta di Enrico Pieranunzi Trio. Questa formazione diretta da uno fra i più conosciuti e acclamati pianisti jazz presenti sulla scena mondiale, completata da due eccezionali partner del calibro di Thomas Fonnesbaek (contrabbasso) e Roberto Gatto (batteria), proporrà un repertorio di sue composizioni originali unitamente ad alcuni standard della tradizione jazzistica, per un live garanzia di eccelsa qualità.

Sabato, ancora in Piazza Giovanni XXIII, Chico Freeman & Antonio Faraò Quartet: il primo, una leggenda vivente del sassofono jazz, il secondo una punta di diamante del piano jazz particolarmente osannato all’estero. A completare la sezione ritmica, due eccellenti compagni di viaggio come Makar Novikov (contrabbasso) e Pasquale Fiore (batteria). Pietre miliari (ri)arrangiate dell’immenso John Coltrane e brani originali autografati da Freeman e Faraò coinvolgeranno il pubblico in un concerto sinonimo di travolgente energia comunicativa e pura adrenalina.

Domenica 10 settembre, sempre in Piazza Giovanni XXIII, i riflettori si spegneranno con Gegè Telesforo – “Big Mama Legacy”, nuovo progetto di uno fra i più famosi cantanti jazz italiani degli ultimi quarant’anni. Accompagnato da un quintetto di giovani talenti della scena jazzistica italiana formato da Matteo Cutello (tromba), Giovanni Cutello (sax alto), Christian Mascetta (chitarra), Vittorio Solimene (organo Hammond e tastiere) e Michele Santoleri (batteria), il noto artista di origine foggiana presenterà un repertorio incentrato su un personale tributo al blues e al sound delle formazioni jazz della fine degli anni Cinquanta.

Gerlando Gatto

I nostri CD

I NOSTRI CD

a proposito di jazz - i nostri cd

Jon Balke Siwan – “Hafla” – ECM
A distanza di tanti secoli ancora sopravvive il mito di Al-Andalus ovvero di quella Spagna medievale musulmana, in cui sotto la guida di colti principi arabi, musulmani, ebrei e cristiani vivevano tutti insieme senza distinzione alcuna di razza e/o di religione. Ecco, questo mito viene ora riattualizzato dalla musica di Siwan, il collettivo musicale transculturale e trans-idiomatico guidato dal tastierista e compositore norvegese Jon Balke, giunto al suo terzo album dedicato alla materia in oggetto. Questa volta uno accanto all’altro troviamo un musicista kemençe turco (Derya Turkan), un maestro iraniano del tombak (Pedram Khavar Zamini), un batterista norvegese di aperte vedute (Helge Norbakken), una nutrita sezione di archi specialisti del barocco guidata da Bjarte Ejke e una cantante algerina, Mona Boutchebak, che interpreta testi e di Wallada bint al-Mustakfi, la principessa omayyade di Cordoba dell’XI secolo e di altri poeti a lei contemporanei quali Ibn Zaydun (1003-1071, suo appassionato amante)  e Ibn Sara As-Santarini (1043-1123). L’album non si presta ad un semplice ascolto né tanto meno ad una facile lettura. Si tratta di musica complessa, caratterizzata da un contesto in cui le parole hanno un peso spesso importante, e da un inusuale impasto sonoro determinato dalla coesistenza di strumenti che appartengono a mondi culturali diversi. Il leader tenta di assemblare il tutto con l’ impegno e la passione che gli sono propri, anche se il risultato non sempre è dei migliori.

Flavio Boltro, Fabio Giachino – “Things to Say” – Cam Jazz
Suonare in duo è sempre molto impegnativo, forse più della prova in solitario. Il fatto è che quando ci si esibisce in due occorre che i musicisti si conoscano molto bene e riescano così a precedere le intenzioni l’uno dell’altro sì da assicurare alla musica una fluidità che non conosce intoppi. Ecco, tutto ciò lo si ritrova in questo album interpretato da due grandi jazzisti italiani. Flavio Boltro (classe 1961) è artista oramai maturo che ha raggiunto una perfetta padronanza dello strumento il che gli consente di evidenziare un bel suono, pieno, ricco supportato da un fraseggio mai fine a se stesso e da una indubbia capacità di intonare suadenti linee melodiche. Giachino (classe 1986) è un pianista che ha conquistato pubblico e critica grazie ad uno stile raffinato in cui sottile ironia e padronanza della dinamica si coniugano mirabilmente, il tutto declinato con una personale dimensione dello spazio (lo si ascolti in “Prelude to Salina”). In programma un repertorio tutto composto da original a firma soprattutto di Fabio Giachino il che conferma vieppiù la maturità di questo pianista. Di qui una musica che scorre fluida caratterizzata spesso da notevole intensità emotiva e soprattutto da una perfetta intesa tra i due musicisti che, pur proveniendo da ambienti diversi, riescono a fondere le loro esperienze in un unicum raffinato. Ed è una sensazione che si percepisce immediatamente sin dall’ascolto del primo brano in programma, “Piccola Nina” di Flavio Boltro, sino a quel “Spicy Blues” ancora di Boltro che chiude l’album.

Avishai Cohen – “Naked Truth” – ECM

Tra le stelle di primaria grandezza che rifulgono nel panorama jazzistico internazionale, un suo posto di rilievo ce l’ha sicuramente il trombettista israeliano Avishai Cohen. Registrato negli Studios La Buissonne a Pernes-les-Fontaines nel Sud della Francia, nel settembre del 2021, sotto la produzione ECM, l’album ci consegna un Cohen sotto certi aspetti inediti. Abbandonate le atmosfere “elettriche” del precedente album, il trombettista si consegna al suo pubblico in estrema sincerità, con una musica tutta giocata sul coté dell’intimismo e declinata attraverso otto parti di una lunga suite intitolata “Naked Truth” e da un brano conclusivo, “Departure”. Avishai suona con la perizia che ben conosciamo ma è l’atmosfera generale dell’album che, come si diceva, lo proietta in una luce diversa. Perfettamente coadiuvato da Yonathan Avishai al piano, dal bassista Barak Mori e dal batterista Ziv Ravitz, il leader disegna una sorta di percorso che si snoda coerentemente quasi illustrando vari stati d’animo. Così si passa da pezzi di chiara impronta crepuscolare a frammenti in cui la tromba pare schiarirsi e aprirsi ad orizzonti più rosei fino a sfiorare il clima tipico delle ballad.
Da sottolineare come, accanto al leader, suona uno splendido Yonathan Avishai il cui pianoforte si pone come autentico alter-ego del leader prendendo egli stesso in mano il pallino del discorso (si ascolti al riguardo la convincente Part.V).
Come si accennava, il disco si chiude con la poesia “Departure”, dell’autrice israeliana Zelda Schneurson Mishkovsky (1914.1984), recitata dallo stesso Cohen sul tappeto strumentale degli altri musicisti.

Claudio Cojaniz – “Orfani” – Caligola

Poeta della tastiera. Così mi sento di definire Claudio Cojaniz dopo l’ascolto di questo bell’album registrato nell’aprile del 2021 a Treviso dall’oramai rodato quartetto del pianista completato da un sempre straordinario Alessandro Turchet al contrabbasso (a mio avviso uno dei migliori bassisti italiani), Luca Colussi alla batteria e Luca Grizzo percussioni. In repertorio sette composizioni dello stesso Cojaniz. Conosco Claudio oramai da tanti anni ma francamente non so dire con precisione a quali “orfani” si riferisce. Orfani di cosa? Di chi? Personalmente ho avvertito, comunque, nella musica di Cojaniz una sorta di dolore di fondo, di grande malinconia come se l’artista volesse farci riflettere sui tanti guai che in questo momento affliggono l’umanità. Certo, non ci si riferisce alla guerra ché l’album è stato inciso prima, ma resta egualmente la sensazione di un disagio, di un modo di vedere una realtà che non ci piace più di tanto. Ecco, penso che in questo caso il riferimento al blues, non tanto come struttura, ma come musica che rispecchia uno stato d’animo, sia assolutamente presente. E la cosa non stupisce più di tanto ove si tenga presente da un canto la lunga militanza di Cojaniz nell’ambito del jazz (il suo pianismo è ancora una volta coerente, del tutto idoneo alle sue volontà espressive), dall’altro i frequenti richiami africaneggianti che il musicista ha già fatto nei precedenti lavori. Insomma un artista che dimostra, ancora una volta, una profonda conoscenza del linguaggio jazzistico non solo dal punto di vista musicale ma anche da ciò che questo linguaggio ha rappresentato – e ancora oggi rappresenta – per le popolazioni di colore negli States…e non solo.

Lorenzo De Finti Quartet – “Mysterium Lunae” – Losen

Strano ma vero, un quartetto italiano che incide per una etichetta norvegese e non è la prima volta dato che il pianista Lorenzo De Finti ha già inciso per la Losen altri due album. Ma veniamo a quest’ultimo “Mysterium Lunae” registrato a Torino nei primi tre giorni del luglio 2021. Per quest’ultima fatica discografica, il gruppo si è arricchito di un prestigioso elemento, il trombettista e flicornista Alberto Mandarini unanimemente considerato musicista a 360 gradi. A completare il gruppo Stefano Dall’Ora al basso e Marco Castiglioni alla batteria. In programma sei brani firmati congiuntamente da De Fanti e Dall’Ora. De Finti è musicista di larga esperienza avendo suonato in orchestre sinfoniche, nella celebrata Instabile Orchestra e accanto a Paolo Conte in molte tournées. Ciò gli ha permesso di elaborare un proprio stile caratterizzato da un sound originale e dalla capacità di scavare a fondo in ogni composizione per trarne ogni possibile implicazione. E tutto ciò si evince dall’ascolto dell’album in oggetto che si apre con la composizione forse più interessante, “Mysterium Lunae”, che si richiama espressamente all’antica metafora per cui un oggetto freddo può diventare fonte di bellezza riflettendo, però, una luce più grande proveniente da qualcos’altro. Ecco quindi questo vero e proprio richiamo alla speranza, sentimento che nel corso della pandemia (periodo in cui è stato registrato il CD) purtroppo è andato quasi perso. Ma i quattro non si limitano a focalizzare uno stato d’animo ché l’album prosegue con una serie di atmosfere cangianti grazie all’attento uso dei colori e delle dinamiche che appaiono già patrimonio consolidato del quartetto.

Joey DeFrancesco – “More Music” – Mack Avenue
Non c’è dubbio alcuno che tra quanti suonano ancora oggi l’organo Hammond Joey DeFrancesco sia tra i più bravi. Ma il nostro non si limita a maneggiare con maestria l’organo dal momento che suona bene anche la tromba, il sax tenore, le tastiere e il piano. E ce ne dà prova in questo album in cui presenta undici composizioni (ben dieci a sua firma) in cui, accompagnato da una ritmica composta da Michael Ode alla batteria e Lucas Brown chitarra, organo e tastiere, si diverte ad evidenziare il suo multistrumentismo. E lo fa già in apertura interpretando alla tromba il brano “Free” che, a scanso di equivoci, nulla a che vedere ha con il free jazz. Eccolo ancora alla tromba nel blues “Where to Go”, mentre nelle due ballads, “Lady G” ed “Angel Calling”, si misura con il sax tenore… ma tutto ciò non sarebbe stato sufficiente senza un brano cantato… e voila “And If You Please”, cosicché in alcuni brani l’Hammond B3 viene suonato da Lucas Brown, anch’egli polistrumentista di assoluto livello. Da quanto sin qui detto risulta abbastanza evidente come tutto l’album sia all’insegna della gioia di suonare, di poter eseguire senza tema di essere criticati la musica che piace. Certo, se ci si dovesse poi chiedere in quale veste preferiamo Joey, la risposta non può che essere una ed una sola: all’organo Hammond di cui DeFrancesco rimane uno straordinario interprete, capace di trarre dallo strumento tutta una serie di nuances, di sfumature che pochi altri sanno imitare.

Kit Downes – “Vermillion” – ECM
Dopo i suoi due precedenti album per ECM, “Dreamlife of Debris” del 2019 e “Obsidian” del 2017 in cui suonava un organo da chiesa a canne, il musicista inglese Kit Downes si ripresenta alla testa di un classico piano-trio coadiuvato dallo svedese Petter Edh già ammirato nel trio di Django Bates al contrabbasso e il britannico James Maddren alla batteria. In realtà al momento della registrazione di questo album, i tre si conoscevano già bene avendo suonato assieme sotto l’insegna di Trio Enemy. Questo “Vermillion” risente molto della formazione musicale del leader: abituato a frequentare quasi indistintamente territori classici, moderni e jazzistici, il pianista infonde alla sua musica uno spirito affatto particolare che la pone piuttosto lontana da ciò che normalmente si immagina debba essere un trio di jazz. In effetti qui non troviamo una continua pulsazione ritmica, né linee melodiche facilmente identificabili ma un flusso costante di musica tutta giocata su toni meditativi. Ovviamente – Evans insegna – non c’è alcuna gerarchia fra i tre strumenti che dialogano su un piano di assoluta parità alla ricerca di un’espressività interiore che mai viene meno. Di qui la sensazione, non si sa bene quanto veritiera, che la scrittura la faccia da padrona sull’improvvisazione. Insomma una sorta di viaggio introspettivo declinato attraverso dieci composizioni di pianista e contrabbassista e la cover di Jimi Hendrix, “Castles Made of Sand” tratto da “Axis: bold as Love” del 1967che chiude meravigliosamente l’album.

Mathias Eick – “When We Leave” – ECM
Il trombettista Mathias Eick è uno di quei musicisti che mai ti delude. Ogni suo album è una summa di quel che oggi dovrebbe rappresentare, a nostro avviso, la figura del jazzista, vale a dire un musicista che pur conoscendo perfettamente la tradizione, volge lo sguardo al futuro. E lo fa con la piena consapevolezza dei propri mezzi espressivi. Ingredienti, questi, che si ritrovano appieno in “When We Leave” registrato a Oslo nell’agosto 2020 da un organico piuttosto ampio guidato da Mathias Eick (nell’occasione anche alle tastiere) e completato da Andreas Ulvo al piano, dal bassista Audun Erlien, da Hakon Aase violino e percussioni, dai due batteristi e percussionisti Torstein Lofthus e Helge Andreas Norbakken e dal chitarrista Stian Carstensen il cui apporto risulta tutt’altro che secondario. Come abbiamo già avuto modo di apprezzare nei suoi precedenti lavori, la musica di Eick si mantiene su atmosfere intimiste, malinconiche, declinata attraverso il fitto colloquio dei musicisti che sembrano aderire perfettamente a quelle che sono le linee guida dettate dal leader. Di qui una insieme di linee melodiche sempre riconoscibili, un perfetto controllo del ritmo ben supportato da una sezione quanto mai precisa ed efficiente, ed un gioco sulle dinamiche che spesso si fa apprezzare per la sua originalità. Tra i vari strumentisti precedentemente citati, da sottolineare ancora una volta la prova del violinista Hakon Aase che oltre ad eseguire spesso il tema all’unisono con la tromba del leader, si produce in pregevoli assolo. Ma il fulcro di tutto è sempre lui, Mathias Eick il cui strumento si staglia sempre preciso, puntuale, così come le sue capacità compositive dato che tutti i brani dell’album sono dovuti alla sua penna.

Antonio Flinta – “Secrets of a Kiri Tree” – Autoprod.
Sono passati circa due anni da quando, discutendo con Antonio Flinta, gli chiesi come mai non si fosse ancora cimentato al piano-solo dopo una intensa carriera. Antonio mi rispose che l’avrebbe fatto solo se si fosse sentito pronto. Il momento è arrivato ed ecco questo “Secrets of a Kiri Tree” in cui il pianista cileno ci spinge a guardarci nel profondo, a riscoprire quel che abbiamo dentro, anche se per farlo probabilmente abbiamo bisogno di qualcuno che si spinga in tal senso. E per ottenere tale scopo Flinta sceglie un repertorio tanto vasto quanto difficile. Ecco quindi Paco de Lucia con “Cancion de amor”, accanto a George Fragos (“I Hear a Rhapsody”), la straordinaria Violeta Parra (“Gracias a la vida”) assieme al gigante del jazz Thelonious Monk (”’Round Midnight”) il tutto completato da tre originals di Antonio. A nostro avviso il meglio dell’album lo si ritrova nelle composizioni dello stesso pianista. Scevro da qualsivoglia preoccupazione se non quella di lasciarsi andare al proprio istinto, Flinta inanella una serie di improvvisazioni davvero notevoli in cui mai si perde il filo del discorso tanto è solida la base su cui l’artista costruisce i suoi edifici musicali. Così risulta quanto mai arduo distinguere le parti improvvisate da quelle scritte, ammesso poi che la cosa abbia un minimo di importanza. Così il pianismo di Flinta scorre fluido sicuro, lucido, essenziale, mai sovracaricato di orpelli inutili e pur tuttavia sempre in grado di incuriosire l’ascoltatore. Quanto agli altri brani, abbiamo particolarmente apprezzato la versione di “Gracias a la vida” che conserva intatta la sua dolce e malinconica linea melodica.

Tord Gustavsen – “Opening” – ECM
Ancora un piano-trio questa volta di marca norvegese. A costituirlo sono infatti il pianista Tord Gustavsen, il contrabbassista Steinar Raknes (responsabile anche di un sapiente e sobrio uso dell’elettronica) e il batterista Jarle Vespestad ovvero tre dei migliori musicisti che il panorama jazz norvegese possa oggi offrire. E il risultato è in effetti di grande rilevanza. Certo non scopriamo in questa sede lo straordinario talento del pianista, ma fa immenso piacere constatare come uno dopo l’altro tutti i lavori di Tord si mantengano su un livello di assoluta eccellenza. In programma, questa volta, dodici brani di cui nove a firma del leader cui si aggiungono un brano traditional e due pezzi firmati rispettivamente da Geir Tveitt – figura centrale del movimento culturale norvegese negli anni ’30 – e da Egil Hovland, compositore classico che si formò studiando tra gli altri con Aaron Copland e a Firenze con Luigi Dallapiccola. E da queste poche note si può già comprendere quanto ampio sia l’universo musicale di riferimento di Gustavsen e quindi dell’intero trio. Di qui una musica saldamente ancorata al patrimonio norvegese, e nordico più in generale. Ecco quindi la rivisitazione, già al secondo pezzo, di un brano abbastanza celebrato in Svezia, “Visa från Rättvik” (Vista dalla città di Rättvik), già inserito da Jan Johansson – uno tra i più grandi pianisti svedesi di cui Gustavsen ha dichiarato di sentire l’influenza – nell’album del 1964, “Jazz pa Svenska”, album che all’epoca vendette la stratosferica cifra di 250.000 copie. Gustavsen stravolge il pezzo rendendolo praticamente suo e lo stesso fa per tutta la durata dell’album mai offrendo musica banale o scontata. Si ascolti, ad esempio, il suo modo di intendere il tango in “Helensburgh Tango”, lontano che più non si potrebbe dalle atmosfere tipiche tanguere. Splendida la versione di “Var Sterk, Min Sjel” assolutamente rispettosa dell’originale del già citato Egil Hovland.
Roberto Laneri – “Musica finta / Blue Prints” – Da Vinci Classics
Roberto Laneri – “South of No Border” – Black Sweat Records
Il polistrumentista Roberto Laneri si ripresenta con due album registrati rispettivamente nel 1998 e in un arco temporale che va dal 2014 al 2018. Ma procediamo con ordine. “Musica finta / Blue Prints”, registrato come si diceva nel 1998 ma pubblicato solo nei primi mesi del 2020, va inquadrato correttamente grazie al sottotitolo “A Study in Metamusicology”. Si tratta, cioè, di un album assai complesso, di lettura difficile, in cui Laneri – come egli stesso afferma, suonando al sax soprano alcuni rags di Scott Joplin ha provato ad introdurre dei cambiamenti nel testo, dapprima minimi, poi sempre più articolati, fino ad arrivare alla composizione di pezzi autonomi e paralleli, da suonarsi assieme ai pezzi originali. “L’effetto di questa estremizzazione – aggiunge Laneri – è paragonabile alle prospettive impossibili di Escher, oppure ai disegni tridimensionali generati al computer, dai quali possono emergere immagini complementari eppur assai diverse da quelle immediatamente apparenti”. Fin qui le premesse metodologiche. Ma il risultato musicale? Laneri presenta composizioni originali, unite a quelle di Schumann, Schubert ma anche Joplin e Jelly Roll Morton. Quindi linguaggi differenti ricondotti ad unità per una sorta di opera di ampio respiro divisa in cinque capitoli. Per questa impresa Laneri (sax soprano, sampling e sound treatment) ha chiamato accanto a sé la pianista Maria Jolanda Masciovecchio e Alan Ferry come spoken voice.
“South of No Border” (come si diceva registrato tra il 2014 e il 2018 ma anch’esso pubblicato poche settimane fa) vede Roberto Laneri (clarinetto, clarinetto basso, sax sopranino, sax soprano e alto, didjeridoo, shruti box, voce e percussioni) alla testa di un gruppo comprendente Giuppi Paone voce, Raffaela Siniscalchi voce, Eleonora Vulpiani chitarra, Luigi Polsini contrabbasso e Laugi Marino zarb. Contrariamente al primo album, in questo caso il repertorio è come una sorta di finestra affacciata sulle musiche del mondo. Ecco, quindi, dopo l’apertura affidata alle melodie orientaleggianti di “Malia” (scritta da Laneri), il choro brasiliano “Tico-Tico no fubá” (scritto da Zequinha de Abreu nel 1917, accanto al bolero cubano “Contigo En La Distancia” scritto dal cantautore César Portillo de la Luz quando aveva 24 anni nel 1946, il tutto impreziosito da 4 original del leader. A confronto con un tale repertorio, Laneri dà ancora una volta prova non solo della sua indiscussa preparazione tecnica ma anche della profonda conoscenza del panorama musicale internazionale. Le sue interpretazioni risultano, quindi, assolutamente pertinenti: traendo feconda ispirazione da svariate tradizioni, riesce a produrre una sintesi che non conosce confini geografici grazie ad una concezione visionaria della musica senza barriere. Insomma un disco originale nella concezione e nell’esecuzione.

Roberto Magris – “Match Point” – JMood /
Roberto Magris – “Duo & Trio” – JMood
Tra i musicisti che riescono a conservare un alto livello delle proprie produzioni, lavorando in ambedue le sponte dell’Atlantico, c’è sicuramente il pianista Roberto Magris di cui segnaliamo due nuove uscite. Il primo – “Match Point” – registrato a Miami l’8 dicembre del 2018, è stato a ben ragione considerato da critici statunitensi come uno degli album più interessanti pubblicati negli ultimi mesi.  “Match Point” vede il pianista triestino alla testa di un quartetto dai mille colori completato dal cubano Alfredo Chacon al vibrafono e percussioni, dal batterista Rodolfo Zunica proveniente dal Costa Rica e dallo statunitense Dion Kerr al basso. In repertorio otto brani equamente divisi tra composizioni dello stesso Magris e brani di giganti della tastiera quali Richard Kermode tastierista americano, noto soprattutto per essersi esibito con Janis Joplin, Malo e Santana, McCoy Tyner, Thelonious Monk, Randy Weston. Da quanto sin qui detto è già possibile avere un’idea della musica che Magris ci propone, una musica che, saldamente ancorata alla produzione, presenta quel tocco di “latino” che impreziosisce il tutto. Al riguardo basti ascoltare “Caban Bamboo Highlife” di Randy Weston, uno dei jazzisti preferiti da Magris, con Chacon e Zuniga in grande evidenza.
In “Duo & Trio” Magris adotta una formula diversa esibendosi in sei brani in duo con il sassofonista Mark Colby e in cinque pezzi in gruppo con Elisa Pruett al basso, Brian Steever alla batteria mentre Pablo Sanhueza alle congas  è presente solo in “Melody for C” di Sonny Clark e “Samba Rasta” di Andrew Hill. Per il resto i compositori visitati da Magris fanno parte dell’Olimpo della musica quali Elmo Hope, Bernstein, Ray Noble, Shuman, Kurt Weill; il tutto completato, come al solito, da alcune composizioni dello stesso Magris. L’ascolto dell’album lascia pienamente soddisfatti per almeno due ordini di motivi: innanzitutto la straordinaria maestria di Roberto Magris che, dall’alto della sua immensa preparazione pianistica, affronta con estrema disinvoltura partiture assai diversificate tra di loro (eccolo intimista e toccante in “Old Folks”, classico nell’accezione più completa del termine in “Cherokee”, trascinante improvvisatore in “Melody for C”); in secondo luogo per la scelta di collaboratori sempre di livello. Da segnalare, in questa occasione il lavoro del sassofonista Mark Colby che sia al tenore sia al soprano evidenzia una forte personalità scevra da qualsivoglia intento di stupire chi ti ascolta.

Dino & Franco Piana Ensemble – “Reflections” –Alfa Music

Attualmente l’ensemble diretto dalla premiata ditta “Dino & Franco Piana” è una delle migliori formazioni del jazz attuale. Ciò anche perché nel suo ambito, oltre ai citati leader, figurano artisti di grande spessore quali la pianista Stefania Tallini, il bassista Dario Deidda e il batterista Roberto Gatto. In quest’ultima fatica discografica il gruppo è affiancato dalla B.i.m. Orchestra mentre il repertorio comprende dieci brani di cui ben sei composti da Franco Piana (altresì flicornista e arrangiatore del gruppo), altri due original dovuti rispettivamente a Lorenzo Corsi e Stefania Tallini e due standard, “Skylark” di Hoagy Carmichael e “Embraceable You” di George Gershwin. Il progetto nasce durante il lockdown dalle riflessioni dei due leader che hanno focalizzato l’attenzione sulle molteplici possibilità d’espressione che i vari organici possono offrire. Di qui il far ricorso, per ogni brano, ad un organico diverso. Si inizia così da “Skylark”, suonato dal trombone di Dino Piana in solo, passando poi a brani in duo – trio – quartetto – quintetto – sestetto, fino ad arrivare ad arrangiamenti per quartetto d’archi (B.i.m. Orchestra), 4 flauti, piano e flicorno. Come le precedenti prove dei Piana, anche questo album entra di diritto tra i migliori album di jazz italiano pubblicati negli ultimi mesi in quanto la bellezza dei temi è supportata e valorizzata da arrangiamenti ben strutturati e altrettanto ben eseguiti da una formazione che presenta anche individualità di tutto rispetto. Senza dimenticare i due leader – di cui comunque spesse volte abbiamo tessuto le lodi – bisogna sottolineare l’apporto di Stefania Tallini che si conferma jazzista a tutto tondo capace sia di sviluppare suadenti linee melodiche sia di imporre un ritmo preciso e coinvolgente (la si ascolti in “D and F”). Ma la citazione di questo brano è solo un esempio ché tutto l’album merita di essere ascoltato.

Valentina Ranalli, Enrico Pieranunzi – “Cantare Pieranunzi” – Alfa Music
Enrico Pieranunzi Quintet – “The Extra Something” – Cam Jazz
Quasi contemporaneamente sono usciti due pregevoli album che vedono impegnato Enrico Pieranunzi. Nel primo – “Cantare Pieranunzi” – il pianista romano si presenta nella triplice veste di leader dello Youth Project (con Giuseppe Romagnoli al basso, Cesare Mangiocavallo alla batteria e Giacomo Serino alla tromba), compositore e arrangiatore. Il tutto al servizio della vocalist Valentina Ranalli. La genesi dell’album è assai particolare e ce la illustra lo stesso Pieranunzi nelle note che accompagnano il CD: in buona sostanza “Cantare Pieranunzi” è il frutto della tesi di laurea in canto jazz presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma di Valentina Ranalli che ha presentato un lavoro incentrato su pezzi del pianista, cui ha aggiunto le parole in italiano, inglese, francese e napoletano. Incuriosito dall’iniziativa e dopo aver ascoltato la vocalist, Pieranunzi decide di mettere il tutto su disco e bene ha fatto dal momento che l’album è di assoluto livello. Le undici tracce contenute nell’album sono interpretati dalla Ranalli con sincera partecipazione dialogando intensamente con il pianoforte di Enrico: si ascolti, ad esempio, “You Know”. Ma è tutta la performance della cantante che convince e che fa ottimamente sperare per il suo futuro; fra i pezzi da segnalare “Suspension points” fatto di poche note ma di tanta emozione, e “Persona” in cui la Ranalli si trova particolarmente a suo agio esprimendosi nella lingua della sua terra, il partenopeo.
Completamente diverso il secondo album – “The Extra Something” – registrato live il 13 e 14 gennaio 2016 al Village Vanguard da un quintetto che vedeva il pianista romano in compagnia di Diego Urcola tromba e trombone (semplicemente straordinario nella title tracke), Seamus Blake sax tenore (particolarmente convincente in “Atoms”), Ben Street basso e Adam Cruz batteria. E per quanti seguono il jazz non c’è bisogno di altre parole per sottolineare il valore assoluto della band. Valore assoluto che si evidenzia in tutto il repertorio, sette brani tutti composti dal pianista. Pieranunzi, come spesso gli capita, è in uno stato di grazie e conduce il gruppo con mano sicura, del tutto consapevole dell’intesa che ha raggiunto con i compagni di viaggio. Dal punto di vista compositivo non scopriamo certo oggi il suo senso della struttura che mai l’abbandona, per cui se consideriamo tutti questi elementi si capisce bene perché il ben noto Brian Morton abbia incluso Enrico tra “i più significativi musicisti contemporanei”. Nelle note di copertina Pieranunzi dedica espressamente questo terzo CD Live at The Village Vanguard a Lorraine Gordon in memoriam, senza la quale né questo né i precedenti due si sarebbero potuti realizzare. Ricordiamo per inciso che il pianista romano è forse l’unico musicista italiano nella veste di leader ed uno dei pochissimi europei ad aver suonato nel leggendario jazz club a forma di diamante aperto da Max Gordon nel 1935 al 178 Seventh Avenue South di Manhattan.

Serena Spedicato – “Io che amo solo te” – Dodicilune

Non sempre la bellezza della confezione corrisponde alla bontà del contenuto. In questo caso, la Dodicilune ha realizzato qualcosa di eccellente affidando alla vocalist Serena Spedicato (utilizzata anche come splendida voce narrante) un repertorio per noi italiani impossibile da dimenticare, all’interno di una confezione sobriamente elegante. In realtà Serena Spedicato e lo scrittore Osvaldo Piliego avevano dato vita a questo loro progetto originale come concerto/spettacolo con la regia di Riccardo Lanzarone, che solo successivamente è approdato alla forma libro/cd. Così la Dodicilune ci presenta un prezioso libretto, con la grafica di Marina Damato, autrice delle foto con Maurizio Bizzochetti, e i testi inediti di Osvaldo Piliego che accompagnano dodici brani tra i più belli e rappresentativi del cantautorato italiano, rielaborati in una forma nuova grazie agli arrangiamenti del fisarmonicista Vince Abbracciante coadiuvato da Nando Di Modugno (chitarra classica) e Giorgio Vendola (contrabbasso). Le canzoni proposte appartengono tutte alla cd. “scuola genovese” vale a dire Luigi Tenco, Fabrizio De André, Gino Paoli, Sergio Endrigo, Umberto Bindi, Bruno Lauzi. In buona sostanza tutto il lavoro ruota attorno ai cantautori che sono cresciuti e si sono formati in quel di Genova, ove sul finire degli anni Cinquanta si sviluppò un movimento culturale e artistico che rivoluzionò il mondo della canzone italiana. Ed è proprio questo clima che si respira ascoltando l’album. Molte le positività del lavoro: le centrate interpretazioni della vocalist che evidenzia una musicalità ed una sensibilità non comuni, i testi intelligenti che aiutano (soprattutto i più giovani) a capire ciò che si ascolta, ma soprattutto gli arrangiamenti di Vince Abbracciante che oramai non ne sbaglia una. Misurarsi con dei veri e proprio mostri sacri della musica non è certo impresa facile: ebbene il fisarmonicista ha affrontato l’impresa con passione e professionalità regalandoci degli arrangiamenti che, senza alcunché togliere al fascino originario, hanno rivestito i brani di una patina jazzistica pertinente ed affascinante. Ovviamente più che positiva anche l’apporto di Nando Di Modugno e Giorgio Vendola per un album di sicuro rilievo.

Andrés Thor – Hereby – Losen
Siamo veramente grati alla norvegese Losen Records per la possibilità che ci offre di far conoscere al pubblico italiano dei veri e propri talenti che, non avendo ancora raggiunto fama internazionale, difficilmente raggiungono le nostre platee. E’ il caso del chitarrista islandese Andrés Thor che, giunto al suo settimo album da leader, si presenta al pubblico alla testa di un trio completato dall’altro islandese Magnús Trygvason Eliassen batteria e dal francese Nicolas Moreaux contrabbasso. Quello di Thor è un fraseggio molto personale, pulito, chiaro, senza alcuna pretesa di sperimentalismo o di sensazionalismo. La sua idea di guidare il trio si avvicina molto alla lezione impartita da Bill Evans con Scott LaFaro. Quindi una formazione che si muove su basi paritetiche in cui ognuno può improvvisare ed esprimere la propria personalità all’interno di una cornice ben delineata dalle nove composizioni tutte a firma dello stesso Thor. Da un punto di vista prettamente chitarristico, Thor è chiaramente ispirato da tre grandi esponenti della chitarra jazz – Jim Hall, John Scofield e Pat Metheny – mentre sotto un profilo più generale tra i suoi maggiori interessi figurano rock band come i Led Zeppelin e i Doors nonché Jimi Hendrix e John Coltrane. Come si nota un universo di riferimento assai ampio che Thor dimostra di aver assorbito molto bene soprattutto nel modo in cui costruisce le sue composizioni, dotate tutte di un eccellente senso architettonico e ben arrangiate. Da sottolineare che mentre nei primi sette brani Andrés utilizza la chitarra elettrica, negli ultimi due imbraccia lo strumento acustico senza che ciò influenzi minimamente l’omogeneità dell’album.

Mark Turner – “Return From The Stars” – ECM
Registrato a New York nel novembre del 2019, questo album vede impegnato un quartetto piano-less guidato dal sassofonista Mark Turner e completato da Jason Palmer alla tromba, Joe Martin al contrabbasso e Jonathan Pinson alla batteria. L’album si inserisce in quella nuova corrente musicale che si allontana molto dal jazz mainstream per inserirsi in ciò che si può definire “musica moderna” tout court. Ma, a questo punto, qualcuno potrebbe chiedersi: si tratta ancora di jazz? Lasciamo ad altri la risposta a questo inutile quesito per soffermarci su un altro interrogativo molto più pregnante: si tratta di musica di qualità o no? La risposta non può che essere positiva: si, si tratta di musica di qualità dal momento che risponde ad alcuni requisiti facilmente individuabili. Intendiamo riferirci, innanzitutto, alla natura delle composizioni: Turner scrive benissimo, con perfetto senso delle proporzioni, lasciando ad ognuno dei suoi collaboratori il giusto spazio pur essendo comunque in condizione di ricondurre il discorso ad unità; il tutto corroborato dalla capacità di creare una omogeneità di fondo. Ma ciò sarebbe stato inutile se ad interpretare queste complesse partiture non ci fossero stati dei musicisti completi, preparati. Si ascolti, ad esempio, con quanta pertinenza il trombettista segua il leader nelle sue escursioni o di come il batterista riesca ad inserire il suo drumming nelle complesse trame disegnate dal leader mentre il basso non perde un colpo nel supportare il ritmo del gruppo. Insomma un disco tutto da gustare, per palati raffinati.

Cristina Zavalloni  – “Parlami di me” – Egea

“Parlami di me” è il suggestivo titolo di questo nuovo album dedicato alle musiche di Nino Rota, all’anagrafe Giovanni Rota Rinaldi, scomparso nel 1979 e a ben ragione considerato, a livello mondiale, uno dei massimi esponenti dei compositori che hanno dedicato la loro vita al cinema. Basti ricordare le colonne sonore di quasi tutti i film di Fellini nonché le colonne sonore del Padrino e Il padrino – Parte II vincendo, per quest’ultimo, il Premio Oscar alla migliore colonna sonora. Evidentemente il connubio tra jazz e musiche da film non è certo una novità eppure ogni nuovo album del genere va ascoltato con la massima attenzione data la delicatezza della materia. In effetti estrapolare tale musiche dal contesto per cui sono nate e farne un qualcosa a sé stante è impresa tutt’altro che banale. A cimentarsi con questo difficile compito è ora una delle nostre migliori vocalist, Cristina Zavalloni, accompagnata da quattro musicisti di assoluto livello quali Gabriele Mirabassi al clarinetto, Cristiano Arcelli al sax soprano (nonché responsabile degli ottimi arrangiamenti), Massimo Morganti al trombone e Manuel Magrini al pianoforte, cui si aggiunge il ClaraEnsemble, sestetto costituito da flauto, contrabbasso, due violini, viola e violoncello. Un organico, quindi, piuttosto ampio che si attaglia perfettamente sia alla voce della Zavalloni sia agli arrangiamento di Arcelli. La vocalist entra quasi in punta di piedi nell’universo di Nino Rota, ma subito dopo se ne appropria, lo fa suo e lo reinterpreta con chiavi sempre originali pur nulla perdendo dell’originario fascino. Così riascoltiamo alcune perle del Maestro che hanno stupendamente accompagnato le immagini volute dai più grandi registi italiani da Fellini a Visconti, da Wertmuller a Zeffirelli…Il repertorio dell’album si completa con l’unica canzone scritta integralmente, dalla Zavalloni, “Prova tu”, che si integra perfettamente nel discorso generale portato avanti da “Parlami di me”.

Gerlando Gatto

A Latina il Jazz è di casa!

Come abbiamo altre volte evidenziato, il jazz è di casa a Latina. A confermarlo per l’ennesima volta ecco la nuova rassegna 2021 che si apre venerdì prossimo (25 giugno) per concludersi il 6 agosto.
Quattro i concerti in programmi. Ad aprire le danze sarà l’Enrico Pieranunzi Youth Ensemble. Pianista di fama internazionale (personalmente lo ritengo uno degli artisti più prestigiosi che attualmente calchino i palcoscenici del jazz non solo italiani), Pieranunzi ha dato vita a una formazione di giovani emergenti che ha già ottenuto significativi riconoscimenti. Il gruppo, che  propone un repertorio di brani originali dello stesso leader, è completato da Valentina Ranalli, talentuosa cantante e autrice di testi che racconteranno i brani composti dal pianista romano, il batterista ventenne Cesare Mangiocavallo, il contrabbassista ventiseienne Giuseppe Romagnoli, il trombettista ventitreenne Giacomo Serino. Insomma un segno di speranza in una situazione oggettivamente non facile-
Il 9 luglio sarà la volta del batterista e percussionista Giampaolo Ascolese con il suo “My Heart for Art”, ovvero Claudio Corvini, tromba; Mauro Verrone, sax alto; Mauro Zazzarini, sax tenore; Andrea Beneventano, pianoforte; Elio Tatti, contrabbasso. Il sestetto propone un repertorio dedicato ad Art Blakey e vista la statura dei musicisti impegnati sarà davvero un  bel sentire

Il 23 luglio, “Ialsax” di Gianni Oddi, con Special Guest Elio Tatti al contrabbasso e Pietro Iodice alla batteria. Il gruppo è un laboratorio di ricerca musicale afroamericana composto da musicisti provenienti da varie aree artistiche della scena musicale romana. In particolare, accanto al leader al sax tenore e ai due ospitati su menzionati, ci saranno Filiberto Palermini al sax alto,  Alessandro Tomei al sax tenore, Marco Guidolotti al sax baritono. Da evidenziare la singolarità dell’organico che non comprende pianoforte e batteria.
Ultima data il 6 agosto con il Giorgio Rosciglione Quartet. Il gruppo del noto contrabbassista è completato da Fabiana Rosciglione alla voce, Oliver Von Essen al pianoforte e Lucio Turco alla batteria.
A ospitare tutta la rassegna sarà l’Arena del Circolo Cittadino “Sante Palumbo”, location idonea anche per l’ingresso a persone con disabilità.
Per tornare a godere dello spettacolo di questi artisti, sarà necessario mantenere ancora il distanziamento sociale e indossare la mascherina.

Gerlando Gatto

Esce “I Siciliani”, l’album di Ninni Bruschetta e Cettina Donato

Reduci dai successi e dai sold out teatrali de “Il mio nome è Caino” di Claudio Fava, torna in un nuovo sodalizio artistico la vulcanica coppia Ninni Bruschetta-Cettina Donato. Una sinergia unica, entusiasmante. Dopo aver interpretato un testo di teatro civile come una jam session per pianoforte e voce commuovendo il pubblico dei teatri di tutta Italia, il duo propone adesso un’altra faccia della Sicilia, quella poetica e letteraria.
A fare da sfondo all’ispirazione artistica stavolta è lo stretto di Messina, patria comune, passaggio che ha condotto i due artisti sui palcoscenici di tutta Italia e all’estero. Lo stesso varco è stato attraversato molte volte dallo scrittore Antonio Caldarella, originario di Avola e cresciuto tra Napoli, Messina e il resto del mondo.

È la sua poesia che nell’album “I Siciliani”, in uscita il 14 maggio 2021 – e disponibile in streaming e nei digital store https://believe.ffm.to/isiciliani – torna a vivere nella travolgente interpretazione di Ninni Bruschetta, in equilibrio tra recitazione e canto, e le suggestive composizioni originali firmate da Cettina Donato accompagnata da un quartetto jazz e gli archi della BIM Orchestra. Ad anticipare la pubblicazione del disco, il singolo “Alcol”, uscito venerdì 16 aprile https://youtu.be/aSOt_yvGuAI.

Il disco, prodotto dall’etichetta AlfaMusic, è una suite di 8 brani e 3 preludi per pianoforte, tutti composti e arrangiati da Cettina Donato, impegnata in questo disco al piano e – nel brano che dà il titolo al disco “I siciliani” – alle percussioni.
Con la sezione archi della BIM Orchestra unita al quartetto jazz, Cettina Donato torna al suo antico amore per il large jazz ensemble: a completare la formazione il sassofonista Dario Cecchini (Lee Konitz, Natalie Cole Band, Kenny Wheeler Hot Eleven, Funk Off, Paolo Fresu, Enrico Pieranunzi, Dave Liebman), il contrabbassista Dario Rosciglione (Cedar Walton, Joe Lovano, Randy Brecker, Phil Woods, Tony Scott, Danilo Rea) e il batterista Mimmo Campanale (Paolo Fresu, Bob Mintzer, Phil Woods, Lee Konitz, Randy Brecker, Dee Dee Bridgewater).
Le Siciliane è interpretata dall’attrice e cantante Celeste Gugliandolo (seconda a X Factor 2011 con I Moderni). Ninni Bruschetta presta la voce a tutti gli altri brani, che così descrive:
I Siciliani è un’idea moderna.
Le Siciliane è un’idea antica.
Alcol è un’ubriacatura di acquavite di Sardegna: Filu ‘e ferru malidittu!
Amico Fragile l’aveva scritta per me, ma mi disse di no. Io ero a Belgrado il giorno del suo funerale e lui l’aveva già scritto.
Amore Segreto è per chi sa amare tutte le donne insieme, ma una alla volta.
Amuri miu è solo questo.
Ninna Nanna è una profezia.
Vorrei nuotare… nel tuo stesso mare. E dove sennò?

Attore di teatro, cinema e tv, Ninni Bruschetta ha firmato più di 40 regie teatrali, dirigendo, tra gli altri, Anna Maria Guarnieri, Claudio Gioè, Donatella Finocchiaro, Roberto Citran, David Coco, Edy Angelillo e Angelo Campolo.E’ stato per due volte direttore artistico dell’EAR Teatro di Messina. Tra cinema e televisione ha preso parte a quasi cento titoli, spaziando dalle grandi serie generaliste (Squadra Antimafia, Borsellino, Distretto di Polizia,I bastardi di pizzo falcone) al cinema d’autore (Luchetti, Giordana, Corsicato, Guzzanti, Pif, Von Trotta, Woody Allen, Paolo Sorrentino) al record di incassi di “Quo Vado?” di G. Nunziante, con Checco Zalone. E’ uno dei protagonisti della serie cult “Boris” e del relativo film di Ciarrapico, Torre e Vendruscolo nonché dell’ultimo capolavoro televisivo di Mattia Torre (La linea verticale). Premio Tony Bertorelli alla carriera nel 2018. Ha pubblicato tre sceneggiature con Sellerio e due saggi critici sul lavoro dell’attore con Bompiani e Fazi.

Pluripremiata pianista, compositrice e direttore d’orchestra, Cettina Donato da anni è annoverata tra i migliori arrangiatori italiani al Jazzit Award. Conduce la sua carriera concertistica prevalentemente tra Europa e Stati Uniti. Docente di jazz in diversi Conservatori italiani, ha ricoperto il ruolo di International President del Women of Jazz del South Florida. Ha diretto diverse orchestre italiane, mentre a Boston ha fondato big band a suo nome con musicisti provenienti dai cinque continenti. Nella sua carriera ha collaborato con importanti solisti del panorama jazz nazionale e internazionale, pubblicando cinque album a suo nome.

Antonio Caldarella (1959 – 2008), attore, poeta e pittore, è nato ad Avola ed è cresciuto a Napoli, a Messina e in giro per il mondo. In teatro ha lavorato con Antonio Neiwiller, Mario Martone, Elio De Capitani, Ninni Bruschetta e al cinema con Daniele Luchetti, Francesco Calogero, K.M. Brandauer e altri. Le sue poesie sono edite da piccole Case Editrici Siciliane che avevano capito il suo genio, senza che lui si sforzasse di fare qualcosa di più che non fosse scriverle. Persino Jean Paul Manganaro ha scritto parole meravigliose su di lui. Ma dev’essere stato un caso. Forse si erano parlati una sera davanti al mare. I suoi quadri, gli acquerelli e persino i bigliettini da visita dipinti a mano, sono sparsi nelle case di amici e conoscenti che li custodiscono gelosamente.
Il disco “I Siciliani” è dedicato a Stefania Marazzita.

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email: info@fiorenzagherardi.com – tel. +39.328.1743236

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Label: www.alfamusic.com

Claudio Filippini presenta la masterclass online “Il pianoforte come un’orchestra” nell’ambito di Celano Jazz Convention

Sabato 15 maggio 2021, dalle ore 16 alle 19, Celano Jazz Convention presenta “Il pianoforte come un’orchestra”, una masterclass online condotta da Claudio Filippini.

La masterclass si svolgerà sulla piattaforma Zoom: la partecipazione costa 20€ e per iscriversi occorre prenotarsi con una mail all’indirizzo conferenze@celanojazzconvention.com con oggetto, obbligatorio, ”Prenotazione Seminario” e utilizzando un indirizzo mail valido, al quale poi sarà inviato il link di partecipazione al seminario.

Attraverso collaborazioni importanti, una discografia ricca e sfaccettata, una visione musicale capace di unire rispetto per la tradizione del jazz e dimensione acustica ed orchestrale del pianoforte con le sonorità elettriche e con l’attenzione ad altri linguaggi musicali, Claudio Filippini ha sviluppato, nel corso degli anni, un percorso musicale personale, ormai maturo e sempre capace di sorprendere l’ascoltatore con connessioni trasversali e con un’estrema capacità di sintesi.

Nato nel 1982, Claudio Filippini coltiva la passione per la musica sin da bambino quando all’età di 7 anni intraprende lo studio del pianoforte. A soli 11 anni si iscrive al corso di pianoforte jazz dell’Accademia Musicale Pescarese dove ha l’occasione di studiare prima con Angelo Canelli e in seguito con Marco Di Battista, terminando il suo corso quinquennale di studi diplomandosi con il massimo dei voti e la lode.

Dal 1997 segue corsi di perfezionamento sotto la guida di Kenny Barron, George Cables, Jimmy Owens, Cameron Brown, Steve LaSpina, Garrison Fewell, Giulio Capiozzo, Bobby Durham, Pete Bernstein, Keter Betts, Shown Monteiro, Enrico Pieranunzi, Stefano Battaglia, Franco D’Andrea, Otmaro Ruiz e Stefano Bollani. Nel 2004 consegue brillantemente il diploma di pianoforte presso il conservatorio “G.B. Pergolesi” di Fermo.

Sono numerosissimi i premi e le borse di studio vinte da Filippini, a partire dal primo premio assoluto al concorso Kamerton di Pescara per due anni consecutivi. Vince, poi, il terzo premio al “Baronissi Jazz” nel 2001, aggiudicandosi il primo posto l’anno successivo. È vincitore di diverse borse di studio al “Pescara Jazz”, a Siena e a Roma.

Sia con i progetti a suo nome che con prestigiose collaborazioni, ha suonato nei festival e nei club più importanti del panorama italiano ed internazionale. Ha condiviso il palco ed ha registrato con musicisti come, tra gli altri, Luca Bulgarelli, Marcello Di Leonardo, Max Ionata, Fabrizio Bosso, Palle Danielsson, Olavi Louhivuori, Maria Pia De Vito, Fulvio Sigurtà, Giovanni Guidi, Mirko Signorile, Stefano Di Battista, Roberto Gatto, Ares Tavolazzi, Rosario Giuliani, Aldo Romano e Mario Biondi.

Il percorso didattico online di Celano Jazz Convention, tracciato dal direttore artistico della rassegna Franco Finucci, prosegue nelle prossime settimane con i seminari condotti da alcuni tra i musicisti più importanti del panorama jazzistico italiano. Dopo gli appuntamenti dedicati alla voce (condotto da Ada Montellanico, sabato 24 aprile), alla batteria (tenuto da Roberto Gatto, sabato 8 maggio) e al pianoforte (questo con Claudio Filippini, in programma sabato 15 maggio), i prossimi incontri saranno tenuti dal chitarrista Umberto Fiorentino (sabato 22 maggio) e dal sassofonista Tino Tracanna (sabato 29 maggio).

Roberto Gatto presenta la masterclass online “Stili ed Evoluzioni del Jazz Drumming” nell’ambito di Celano Jazz Convention

Sabato 8 maggio 2021, dalle ore 16 alle 19, Celano Jazz Convention presenta “Stili ed Evoluzioni del Jazz Drumming”, una masterclass online condotta da Roberto Gatto: nel corso dell’incontro, il grande batterista romano ripercorrerà la storia della batteria e, in generale, delle soluzioni ritmiche che hanno caratterizzato il jazz, fino ad arrivare alle esperienze dei più importanti batteristi di oggi.

La masterclass si svolgerà sulla piattaforma Zoom: la partecipazione costa 20€ e per iscriversi occorre prenotarsi con una mail all’indirizzo conferenze@celanojazzconvention.com con oggetto, obbligatorio, ”Prenotazione Seminario” e utilizzando un indirizzo mail valido, al quale poi sarà inviato il link di partecipazione al seminario.

Roberto Gatto è sicuramente il più rinomato batterista Italiano all’estero e vanta importanti partnerships con artisti del mondo del jazz e non solo. Nato a Roma il 6 ottobre 1958, il suo debutto professionale risale al 1975 con il Trio di Roma (Danilo Rea, Enzo Pietropaoli) e da allora ha suonato in tutta Europa e nel mondo con i suoi gruppi e a fianco di artisti internazionali. Oltre ad una ricerca timbrica raffinata e a una tecnica esecutiva perfetta, i gruppi a suo nome sono caratterizzati dal calore tipico della cultura Mediterranea: questo rende senza dubbio Roberto Gatto uno dei più interessanti batteristi e compositori in Europa e nel mondo.

Nella sua carriera musicale, Roberto Gatto ha collaborato come sideman con i più importanti interpreti della storia e dell’attualità del jazz internazionale: da Chet Baker a Freddie Hubbard e Lester Bowie, da Gato Barbieri a Kenny Wheeler e Randy Brecker e poi con Enrico Rava, Ivan Lins, Vince Mendoza, Kurt Rosenwinkel, Joey Calderazzo, Bob Berg, Steve Lacy, Johnny Griffin, George Coleman, Dave Liebman, Phil Woods, James Moody, Steve Grossman, Lee Konitz, Barney Wilen, Ronnie Cuber, Sal Nastico, Michael Brecker, Jed Levy, George Garzone, Tony Scott, Paul Jeffrey, Bill Smith, Joe Lovano, Curtis Fuller, Kay Winding, Albert Mangeldorff, Cedar Walton, Tommy Flanagan, Kenny Kirkland, Stefano Bollani, Mal Waldron, Ben Sidran, Enrico Pieranunzi, Dave Kikosky, Franco D’Andrea, John Scofield, John Abercrombie, Billy Cobham, Bobby Hutcherson, Didier Lockwood, Richard Galliano, Christian Escoude, Joe Zawinul, Bireli Lagrene, Palle Danielsonn, Scott Colley, Eddie Gomez, Giovanni Tommaso, Paolo Damiani, Emmanuel Bex, Pat Metheny, Adam Rogers, Rita Marcotulli, Niels Henning Pedersen, Mark Turner, Lew Tabackin, Chris Potter, Mike Moreno, Dado Moroni.

Come leader ha registrato molti album: Notes, Fare, Luna, Jungle Three, Improvvisi, Sing Sing Sing, Roberto Gatto plays Rugantino, Deep, Traps, Gatto-Stefano Bollani Gershwin and more, A Tribute to Miles Davis Quintet, Omaggio al Progressive, The Music Next Door, Roberto Gatto Lysergic Band, Remebering Shelly, fino ai più recenti Sixth Sense e Now.

Nel corso degli anni ha composto musica per il cinema, in particolare insieme a Maurizio Giammarco la colonna sonora di “Nudo di donna” per la regia di Nino Manfredi, e, in collaborazione con Battista Lena, le colonne sonore di “Mignon e Partita”, che ha ottenuto cinque David di Donatello, “Verso Sera” e “Il grande cocomero”, tutti diretti da Francesca Archibugi.

Nel 1983, è stato eletto il primo batterista Italiano dal sondaggio della rivista mensile Fare Musica. Nel 1983 e nel 1987 con il gruppo Lingomania ha vinto il referendum Top Jazz della rivista Musica Jazz nella categoria miglior gruppo. Nel 1988, 1989, 1990 è stato al primo posto della categoria batteristi dei “vostri preferiti” di Guitar Club. Nel 2007, 2009 e 2010 è stato votato come il miglior batterista dal referendum Top Jazz della rivista Musica Jazz.

Nel 1993, ha realizzato due video didattici “Batteria vol. 1 e 2”. È stato il direttore artistico di Jazz in progress presso il Teatro dell’Angelo a Roma. Per oltre dodici anni ha insegnato batteria e musica d’insieme presso i seminari di Siena Jazz. Ha frequentato il Conservatorio di Santa Cecilia a Roma e il Conservatorio de L’Aquila.

Nel 1997, il direttore Laurent Cugny della francese Orchestre National de Jazz lo chiama per un tour in Francia ed alcune date in Italia. Ultimamente si dedica all’attività solistica e suona spesso con la formazione del trombettista Enrico Rava.

Roberto Gatto è titolare della cattedra di batteria jazz al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma.

Il percorso didattico online di Celano Jazz Convention, tracciato dal direttore artistico della rassegna Franco Finucci, prosegue nelle prossime settimane con i seminari condotti da alcuni tra i musicisti più importanti del panorama jazzistico italiano. Dopo gli appuntamenti dedicati alla voce (condotto da Ada Montellanico, sabato 24 aprile) e alla batteria (questo con Roberto Gatto, in programma sabato 8 maggio), i prossimi incontri sarano tenuti dal pianista Claudio Filippini (sabato 15 maggio), dal chitarrista Umberto Fiorentino (sabato 22 maggio) e dal sassofonista Tino Tracanna (sabato 29 maggio).