È tempo di Udin&Jazz Winter – seconda edizione!

È tempo di Udin&Jazz Winter 2!
Dal 6 all’8 dicembre, tre giorni di grande jazz da vivere in presenza, sul palco e in sala, al Teatro Palamostre di Udine. Jazz di qualità anche per questa seconda edizione che propone artisti internazionali, italiani e il meglio della produzione regionale.

Torna a Udine uno degli appuntamenti più attesi dagli amanti della musica jazz, la seconda edizione di Udin&Jazz Winter – finalmente nella sua collocazione invernale – porterà a Udine i grandi protagonisti del jazz internazionale. Tre giornate di concerti, incontri, conversazioni, proiezioni, approfondimenti, per raccontare il poliedrico universo artistico che si muove nel mondo del jazz, cercando di restituire alcune delle sue innumerevoli declinazioni.
Il festival si presenta (dopo la prima edizione dello scorso maggio) con la convinzione che musica dal vivo e cultura possano aiutarci nell’affrontare le sfide del nostro vivere quotidiano.
Udin&Jazz Winter è organizzato dall’Associazione Culturale Euritmica e gode del sostegno di: Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, Fondazione Friuli, Banca di Udine, Reale Mutua Assicurazioni Udine Franz&Dilena e si svolgerà al Teatro Palamostre dal 6 all’8 dicembre 2021.
Si parte lunedì 6 dicembre alle 18.00 con una speciale proiezione – realizzata in collaborazione con il CEC – Centro Espressioni Cinematografiche – il Visionario ospiterà Jazz Noir, il film sulla morte di Chet Baker. Il film, firmato dal regista olandese Rolf van Eijk, si apre sulla morte improvvisa dell’icona del jazz e ripercorre i suoi ultimi giorni di vita. Una scomparsa prematura avvolta tutt’ora nel mistero.
La pellicola ricostruisce attentamente studi di registrazione degli anni ‘80 e recupera tracce originali dalle ultime incisioni di Chet Baker. Un racconto dalle atmosfere noir che indaga il genio e la sregolatezza del grande jazzista, trombettista e cantante, tormentato dalla tossicodipendenza.
Alle 20.45 ci spostiamo al Teatro Palamostre, cuore pulsante della seconda edizione; il debutto è affidato a uno dei musicisti più interessanti e significativi della scena britannica moderna: Tony Momrelle, cantante soul e jazz, songwriter, lead vocalist degli Incognito che i critici musicali John Rockwell (New York Times) e Paul Morley (BBC) hanno definito come «il legittimo erede di Stevie Wonder» per la somiglianza vocale e per il feeling unico della sua voce.
In una carriera musicale iniziata oltre 20 anni fa, si è esibito con alcuni dei più grandi artisti al mondo: Gloria Estefan, Celine Dion, Janet Jackson, Whitney Houston, Chaka Khan, Sade, Gary Barlow, Andrea Bocelli, Gwen Stefani, Robert Palmer e molti altri.
Doppio appuntamento anche per martedì 7 dicembre; alle 18.00 Angelo Comisso presenta il progetto Numen: nella nuova formazione in trio, lo affiancano Alessandro Turchet al contrabbasso e Luca Colussi alla batteria, due partner sensibili e affidabili che lo seguono arricchendo il suo virtuosismo e la sua abilità compositiva.
Alle 20.45, secondo appuntamento della serata, un grande ritorno per il festival e per Udine: Andrea Centazzo torna nella sua città dopo anni di successi mondiali e di prestigiosa attività, soprattutto negli Stati Uniti. E per l’occasione celebra Steve Lacy, a quindici anni dalla morte, un musicista che non solo fu il più grande interprete del sax soprano, ma anche un compositore fecondo di melodie straordinarie. Il progetto Art Trio propone la musica di Lacy nella formula a lui cara: il duo soprano e percussioni (con il magistrale sax di Roberto Ottaviano e le percussioni di Centazzo), arricchito in questo caso dal raffinato contrabbasso di Franco Feruglio.
Il festival si chiude mercoledì 8 dicembre con una proposta tutta al femminile: alle 18.00 Nicoletta Taricani presenta “In un mare di voci” un progetto culturale di integrazione sociale, che utilizza la musica e la narrazione (l’ensemble è composto da quattordici musicisti ed un’attrice) per raccontare il viaggio migrante nel Mediterraneo verso l’Europa. Nato dalla voce delle persone, Nicoletta Taricani per comporre le musiche e i testi ha intervistato i veri protagonisti del viaggio e durante l’intensa ricerca, il libro “BILAL”, del giornalista d’inchiesta Fabrizio Gatti (premio Terzani 2008), è stata un’ulteriore fonte di informazioni per la stesura del progetto. Tra Nicoletta e Fabrizio è nata una stretta collaborazione che vede il giornalista come parte integrante dello spettacolo. Il loro sodalizio sarà oggetto dell’incontro “Da Bilal a Un mare di voci” in programma alle 17.00, nella Sala Carmelo Bene.
Alle 20.45, un’altra straordinaria protagonista calcherà il palco del Palamostre: Andrea Motis – catalana di Barcellona – allieva di Joan Chamorro, è una cantante e trombettista che, pur giovanissima, ha conquistato la critica internazionale (che la paragona a Norah Jones) con il suo album di debutto ‘Emotional dance’ inciso per la storica etichetta Impulse! Il suo più recente e ambizioso lavoro discografico “Do outro lado do azul” esprime la crescente maturità dell’artista catalana che, continuando a frequentare gli ambiti meno battuti della tradizione jazz, con marcati richiami mediterranei e brasiliani, sarà oggetto del suo attesissimo concerto udinese.
Alla fine di ogni serata (dalle 22.00 circa), nella sala Carmelo Bene del Palamostre ospiteremo il progetto MUUD PODCAST che proporrà musica live di giovani formazioni emergenti ed ascolti guidati, consentendo approfondimenti su quanto proposto dal festival e aperture verso le espressioni più contemporanee della musica jazz e non solo. Il tutto potrà essere seguito in presenza ma anche on-line attraverso il collegamento in streaming.
MUUD (acronimo di “musica a Udine”) è un ibrido tra un format televisivo e un podcast: tutti i lunedì per un’ora circa, trasmette in diretta su varie piattaforme social (Instagram, YouTube, Facebook e Twitch). Ogni puntata va in onda da un luogo diverso e ospita un progetto proposto da musicisti rigorosamente under 35 che lungo il corso della serata eseguono alcuni brani dal vivo. Le puntate danno spazio anche a progetti editoriali, teatrali, di riqualificazione urbana, e più in generale all’arte e alla cultura locale, affinché i diversi percorsi artistici possano essere condivisi.
Biglietti e abbonamenti sono disponibili presso la biglietteria del Teatro Palamostre (da lunedì a sabato, dalle 17.30 alle 19.30; t. 0432506925) e sul circuito Vivaticket.
Il programma completo è disponibile all’indirizzo www.euritmica.it

(Redazione)

I nostri libri

Pochi giorni fa mi sono soffermato sulla necessità di scrivere in maniera chiara sì che tutti possano capire; chiarito questo concetto per me fondamentale, vi presento la nostra rubrica dedicata ai libri, sei volumi che sicuramente non “lo fanno strano”.
Buona lettura.

Serena Berneschi – “La pittrice di suoni – Vita e musica di Carmen McRae” – Pgg.362 – € 15,00

Atto d’amore verso una grande interprete: credo che questa definizione si attagli benissimo al volume in oggetto, rielaborazione della tesi di laurea in Canto jazz, conseguita dalla Berneschi nel 2018, che esamina la vita e la carriera di una delle più grandi vocalist del jazz, troppo spesso sottovalutata. L’autrice è anch’essa una musicista: cantante, compositrice, arrangiatrice, autrice di testi e attrice di musical e teatro, oltre che insegnante di musica e canto, vanta già una buona esperienza professionale. Insomma ha tutte le carte in regola per scrivere un lavoro che cattura l’attenzione del lettore, non necessariamente appassionato di jazz.
In effetti la Berneschi traccia un quadro esaustivo della personalità di Carmen McRae (Harlem, 8 aprile 1920 – Beverly Hills, 10 novembre 1994), vista non solo come musicista ma anche come donna. Di qui tutta una serie di suggestioni che inquadrano perfettamente la figura dell’artista e ci fanno capire perché sia a ben ragione considerata una delle figure fondamentali della musica jazz, capace di lasciare un’impronta indelebile nella storia della musica americana…e non solo.
Il volume è suddiviso in quattro parti: La vita – La musica – Woman Talk – La discografia, tutte molto ben curate. In particolare la biografia è dettagliata, e la vita artistica della McRae ricostruita in modo tale da far risaltare le capacità dell’artista particolarmente rilevanti nell’interpretazione dei testi, suo vero e proprio cavallo di battaglia. Nella seconda parte la Berneschi si addentra in un’analisi dello stile interpretativo della McRae che prendendo le mosse dalla grande Billie Holiday se ne distaccò per esprimersi secondo stilemi assolutamente personali. La terza sezione del libro, contiene estratti di varie interviste, cui fa seguito, nella quarta sezione una discografia, suddivisa per decenni, dagli anni Cinquanta ai Novanta. Il volume è corredato da un glossario dei termini musicali e jazzistici più ricorrenti e dei brevi cenni sulla storia del jazz. Ecco francamente di questi “brevi cenni” non si sentiva assolutamente la necessità dato che sono troppo brevi per risultare interessanti a chi nulla sa di jazz, e di converso assolutamente inutili per chi questa musica segue e apprezza.

Flavio Caprera – “Franco D’Andrea un ritratto” – EDT – Pgg. 209 – € 20,00

Franco D’Andrea si è oramai ritagliato un posto tutto suo nella storia del jazz, non solo italiano. Artista poliedrico, sempre alla ricerca di qualcosa che potesse meglio esprimere il proprio io, D’Andrea coniuga la sua straordinaria arte musicale con una personalità umana davvero straordinaria. Lo conosco oramai da tanti anni e non c’è stata una sola volta, e sottolineo una sola volta, in cui D’Andrea non abbia risposto alle mie sollecitazioni, di persona o per telefono, con la massima cortesia e disponibilità, mai dando per certezze le sue opinioni, aprendosi così ad un confronto serrato ma costruttivo,
E’ quindi con gioia che vi segnalo questo volume scritto da Flavio Caprera per i tipi della EDT, una casa editrice che si va sempre più caratterizzando per la produzione di volumi interessanti.
Devo confessare che quando leggo una biografia così accurata, in cui le varie tappe artistiche vengono seguite con precisione come se l’autore fosse stato sempre accanto al musicista, avverto un po’ d’invidia. Questo perché sono oramai tre anni che cerco di scrivere una biografia di Gonzalo Rubalcaba e non ci riesco perché sono troppi i tasselli che mancano alla costruzione del disegno complessivo.
Ma torniamo al volume di Caprera che, come avrete capito, è in grado di seguire passo dopo passo la vita artistica di D’Andrea da quando giovane si innamora di Louis Armstrong e degli strumenti a fiato, fino al 2019 quando incide “New Things”.
Sorretto da un periodare semplice ma non banale, l’autore ci accompagna quindi alla scoperta di una carriera davvero formidabile mettendo sempre in primo piano le motivazioni artistiche che hanno portato D’Andrea a scegliere alcune strade piuttosto che altre. E lo fa ricorrendo sovente a dichiarazioni dello stesso musicista, riportate in virgolettato; il tutto corredato da valutazioni sui dischi più significativi della carriera artistica del pianista. Il volume è corredato da una preziosa prefazione di Enrico Rava, da una discografia ragionata, da un’accurata bibliografia e da un sempre utilissimo indice dei nomi.
Insomma un volume che si raccomanda alla lettura di quanti ascoltano la buona musica. Personalmente, pur avendo apprezzato in toto il libro (come si evince facilmente da quanto sin qui scritto), mi sarebbe piaciuto avere qualche notizia in più sull’uomo D’Andrea, sulle sue sensazioni, emozioni anche al di fuori della musica.

Amedeo Furfaro – “Il giro del jazz in 80 dischi (‘20)” – Pgg.121 €10,00

Dopo i primi volumi su cui ci siamo già soffermati, eccoci alla quinta tappa della serie “Il giro del jazz in 80 dischi” con sottotitolo “’20” riferita cioè al ventennio appena chiuso e delimitato dall’ assalto alle Torri Gemelle e dalla pandemia. Per il jazz italiano, il ciclo, nonostante le gravi evenienze che hanno interessato il globo nella sua interezza, è stato comunque prodigo di novità discografiche da cui l’Autore ha potuto decifrare lo stato di salute di questo genere di musica nel nostro paese. Stato di salute che tutto sommato potremmo definire buono, frutto di contaminazioni ma comunque ricco di contrasti come nell’arte e nella moda contemporanee che vivono per altro verso una fase di assenza di idee forti ed indicazioni dominanti.
Anche in questo lavoro gli album rappresentano la traccia seguita per individuare come solisti e gruppi, label e operatori del mondo jazz, abbiano continuato anche in pieno lockdown a muoversi in un ambito, in particolare quello dello spettacolo dal vivo, che è stato fra i più penalizzati dalle recenti restrizioni. Nello specifico Furfaro ha recensito nuove proposte e maestri acclarati e riconosciuti dando luogo ad una sorta di inchiesta in cinque puntate, di cui questa rappresenta l’ultima, in cui ha analizzato spesso con vis critica quello che i nostri jazzisti sono andati esprimendo in questo inizio millennio.
Ecco, quindi, comparire accanto a musicisti celebrati quali Stefano Bollani, Stefano Battaglia, Ermanno Maria Signorelli, Maurizio Brunod, Dino Piana, Maurizio Giammarco (tanto per fare qualche esempio), i nomi di artisti che devono ancora farsi conoscere come Emanuele Primavera, Bruno Aloise, Valentina Nicoletta…e molti, molti altri.
Il libro si chiude con l’indicazione di 10 dischi da incorniciare (particolarmente condivisibile la scelta di “Ciak” firmato da Renzo Ruggieri e Mauro De Federicis), l’indice dei musicisti, quello delle label e gli indici di tutti gli album citati nelle quattro precedenti “puntate” di questo “giro del jazzz”
In buona sostanza, quindi, non un repertorio o un dizionario in 5 tomi bensì una fotografia per molti versi indicativa e realistica di cosa va succedendo in Italia a livello jazzistico attraverso la messa a confronto di tutta una serie di dischi. La risultante è un panorama di indubbia vitalità ed effervescenza in cui il ricambio generazionale funziona a pieno ritmo.
Un motivo in più per rafforzare ed incoraggiare questo “giacimento artistico” di cui l’Italia può andare ben fiera.

Valerio Marchi – “John Coltrane – Un amore supremo – Musica fra terra e cielo” – Kappa Vu – Pgg.80 – € 11,00

Un volumetto snello, agile, solo ottanta pagine, ma quanta devozione, quanto amore trasudano da questo scritto verso uno dei musicisti in assoluto più, importante del secolo scorso. L’autore è personaggio ben noto specie in Friuli: storico, scrittore e giornalista, ha pubblicato una decina di libri e numerosi saggi e articoli di argomento storico, collabora con le pagine culturali del Messaggero Veneto e da qualche anno scrive testi teatrali e organizza spettacoli, salendo anche sul palco. Ultimamente ha curato due racconti sceneggiati per Radio Rai del Fvg. In effetti la storia di Coltrane, così come sintetizzata da Marchi, ha costituito l’ossatura di uno spettacolo andato in onda di recente al Teatro Pasolini di Cervignano, nel cartellone della stagione musicale del Teatro, a cura di Euritmica e in replica a Udine, al Teatro Palamostre, nel programma di Udin&Jazz Winter. La drammaturgia è firmata, quindi, da Valerio Marchi e lo spettacolo ha preso forma grazie alla volontà di Euritmica e all’apporto di jazzisti straordinari quali il sassofonista Francesco Bearzatti, il batterista Luca Colussi e il pianista Gianpaolo Rinaldi. Le voci recitanti sono state quelle dello stesso Marchi e dell’attrice Nicoletta Oscuro. Marchi e Oscuro, accompagnati dalla musica del Bearzatti-Colussi-Rinaldi Trio, hanno messo in scena una performance multimediale per narrare la complessa parabola umana ed artistica del grande sassofonista del North Carolina, che giunto alla fine dei suoi giorni, è forse riuscito a trovare quel ponte ideale che lega la musica a Dio, un cammino ancora non del tutto esplorato e su cui Coltrane ha praticamente speso tutta la sua vita di ricerca. Questo particolare aspetto della poetica di Coltrane traspare chiaramente dal libro in oggetto non solo nella parte biografica ma soprattutto nella seconda parte in cui l’autore immagina di intervistare Coltrane traendo le sue riposte da interviste e dichiarazioni effettivamente rilasciate dal sassofonista. Il libro è completato da una serie di interessanti suggerimenti bibliografici.

Massarutto, Squaz – “Mingus” – Coconino Press Fandango – Pgg.154 – € 20,00

Bella accoppiata, questa, tra il giornalista Flavio Massarutto e il disegnatore Squaz. Argomento della loro indagine la vita e la musica di Charles Mingus; contrabbassista e pianista, compositore e band leader, Charles Mingus è a ben ragione considerato uno dei più grandi musicisti della storia del jazz, un talento naturale straordinario in un uomo dal carattere ribelle che spese la sua vita in una instancabile lotta contro la società americana così fortemente caratterizzata da un razzismo ancora oggi ben presente. Mingus nacque il 22 aprile del 1922 e quindi in vista del centenario della sua nascita, Massarutto e Squaz presentano una biografia a fumetti che tratta la vita dell’artista. Come sottolinea, però, lo stesso Massarutto nella postfazione “un fumetto non è un saggio. Un fumetto è un’opera narrativa Questo libro perciò non è il racconto illustrato della vita di Mingus. Qui ci sono frammenti di una esistenza raccontati pescando da sue interviste e scritti, da testimonianze, da fatti storici. E rielaborati in forma visionaria”.
La strada scelta è infatti quella di procedere per episodi impaginati come una successione di brani che vanno a formare una suite musicale: dagli esordi nella Los Angeles degli anni Quaranta fino alla scomparsa in Messico. Si parte così con “Eclipse” registrato da Mingus al Plaza Sound Studios, NYC, il 25 maggio 1960 e si chiude con “Sophisticated Lady” con esplicito riferimento all’episodio avvenuto a Yale nell’ottobre del 1972; era stato organizzato un concerto in onore di Duke Ellington e al concerto che faceva parte del programma Mingus era sul palco quando nel bel mezzo della musica un capitano della polizia arrivò nel retropalco per avvisare che era stata annunciata la presenza di una bomba. Tutti uscirono dalla sala a parte Mingus che continuò a suonare il suo contrabbasso da solo sul palco. Quando la polizia cercò di convincerlo a uscire come tutti gli altri lui rispose: «Io resto qui! Un giorno o l’altro devo morire, e non c’è un momento migliore di questo. Il razzismo ha messo la bomba, ma i razzisti non sono abbastanza forti da uccidere questa musica. Se devo morire sono pronto, ma me ne andrò suonando “Sophisticated Lady””. E così continuò a suonare da solo per venti minuti finché non fu annunciato il cessato allarme e il concerto riprese.
Insomma un libro che farà felice non solo quanti amano il jazz e i fumetti.

Marco Restucci – “Temporale Jazz” – arcana – Pgg.213 – € 16,50

Può un filosofo scrivere adeguatamente di jazz? E, viceversa, può un musicista jazz essere contemporaneamente un filosofo? La risposta ce la fornisce proprio Marco Restucci; laureato in filosofia, pubblicista e musicista si è occupato per anni di critica musicale,  mentre in ambito filosofico si occupa soprattutto di estetica, in particolare della dimensione sonora del pensiero. In questo libro affronta uno dei temi più affascinanti e controversi che da sempre animano il dibattitto sulla musica jazz: l’improvvisazione. Cos’è l’improvvisazione, come nasce, come si sviluppa, attraverso quali passaggi? Sono questi gli interrogativi, certo non semplici, cui Restucci fornisce risposte. Esaurienti? Onestamente credo proprio di sì in quanto l’Autore non si perde dietro inutili e fumose congetture, ma traccia un preciso percorso al cui interno possiamo davvero seguire nota dopo nota, passo dopo passo come il musicista improvvisa, come si rapporta con l’ascoltatore, come riesce a smuovere in chi ascolta sentimenti profondi, vivi, spesso in netto contrasto tra loro. Come si nota è materia davvero affascinante cui credo ognuno di noi avrà cercato, almeno una volta, di rivolgere la propria attenzione alla ricerca di risposte agli interrogativi di cui sopra. Per svelare l’arcano, l’Autore insiste prevalentemente sul concetto di “tempo”, con tutte le sue sfumature, quale componente essenziale della musica e della vita: il “tempo” viene declinato in esempi concreti, calato nella quotidianità: “percezione e tempo sono, infatti, i luoghi dell’improvvisazione – dimensioni estetiche in cui si muovono contemporaneamente musicista e spettatore – ma sono anche dimensioni dell’essere, forme di ciò che siamo, modi del nostro stare al mondo”. In effetti, scrive Restucci, “L’avventura sonora nel jazz deve sempre ancora accadere. Nessun jazzista verrà mai a raccontarci qualcosa di cui conosce già l’esistenza, qualcosa che esiste prima di esistere. E noi saremo lì, in quel tempo misterioso mentre accadrà, ne saremo parte, e qualora i suoni non dovessero riuscire completamente nel compito a loro più congeniale, quello di suonare risuonando dentro di noi, qualora non dovessimo sentirci protagonisti al pari dei musicisti, vivremmo l’avventura quantomeno da testimoni reali, presenti sulla scena del tempo, durante, mentre si spalanca davanti ai nostri occhi, mentre si forma dentro i nostri timpani”. Ecco questo è solo un piccolo assaggio di ciò che si può trovare all’interno di un libro che va letto, assaporato pagina dopo pagina anche da chi non si intende particolarmente di jazz. Anzi forse questi ultimi cominceranno ad apprezzare questa musica proprio per i contenuti veicolati da Restucci.

Trent’anni di Amori Supremi a Udin&Jazz Winter – il racconto di 4 giorni di concerti da tutto esaurito a Udine

di Flaviano Bosco

Desiderata e sospirata per mesi durante tutto il periodo dei vari esasperanti lockdown, si è finalmente svolta a Udine la settimana celebrativa del trentennale di Udin&Jazz con la prima edizione della sua versione invernale, scambiando maggio per dicembre a causa delle restrizioni e di una continua posticipazione dovute alle norme di prevenzioni anti Covid che, facendo slittare in avanti i concerti, ha fatto sì che ci si ritrovasse con un anno perso in più dietro le spalle, perciò 30+1 non fuori tempo ma in perfetto sincopato jazz.

La manifestazione udinese, nel corso degli anni, ha saputo guadagnarsi il prestigio di punto di riferimento italiano ed europeo per la musica d’ispirazione afro-americana. “Jazz Portraits”, una preziosa mostra fotografica a cura del Maestro della Luce Luca A. d’Agostino e dell’Associazione Fotografi Italiani di Jazz (AFIJ) ne ha illustrato in trenta scatti memorabili il percorso. Ma non è stato certo possibile rinchiudere in quelle immagini un percorso lungo centinaia di concerti, migliaia di spettatori e intense emozioni che valgono una vita. Udin&Jazz, infatti, ha da tempo superato lo status di semplice rassegna musicale, è un autentico presidio culturale che, a partire dall’esplorazione dei suoni, ha sempre voluto coniugare impegno civile e morale in tempi nei quali la musica è spesso solo ornamentale e biecamente di consumo.
A voler proprio cercare un filo rosso (è proprio il colore giusto) che lega la prima edizione del 1991 all’ultima della rinascita post epidemica possiamo sicuramente parlare della musica e dell’opera dell’immenso John Coltrane.

Trent’anni fa, infatti, in un auditorium di un istituto scolastico fece la sua esibizione il batterista Elvin Jones, qualche anno dopo, in un cinema a luci rosse requisito per l’occasione mostrò al cielo i propri miracoli McCoy Tyner e poi ancora Pharoah Sanders e poi tanti della cosiddetta Davis Diaspora che, usciti dall’esperienza formativa con lo sciamano elettrico, hanno aperto nuovi sentieri della musica.

Il concerto di apertura di questa edizione di Udin&Jazz Winter ha riassunto la decennale avventura con lo spettacolo: John Coltrane – Un Amore Supremo. Una musica tra cielo e terra. Produzione di Euritmica che da sempre organizza il festival. La rappresentazione è tratta dall’interessante studio di Valerio Marchi sul sassofonista raccontato dal punto di vista delle donne della sua vita.

Una straordinaria trovata drammaturgica che permette di vedere l’uomo dietro alla leggenda della musica in prospettive talora inedite e quantomeno insolite. Lo stesso autore con l’aiuto dell’attrice Nicoletta Oscuro ha intrattenuto il pubblico del Palamostre di Udine con aneddoti e un racconto tutto al femminile dietro alle famose “cortine di suono” (Sheets of Sound). Ma la meraviglia non si è limitata alla pur intensa recitazione. I racconti sulla vita di Coltrane erano intercalati da lirici interventi dal trio del tenor sassofonista Francesco Bearzatti (Gianpaolo Rinaldi, pianoforte; Luca Colussi, Batteria), brevi momenti di pura estasi sonora durante i quali l’ancia del musicista friulano ha interpretato senza alcuna inibizione o plagio alcune opere d’arte per fiati e anima di Coltrane. La grandezza di Bearzatti sta proprio nella precisa volontà di non voler imitare quelle intangibili altezze, suggerendo e sussurrando la propria devozione al genio senza alcun sussiego o presunzione.

Lo ha dimostrato ancor di più nella seconda serata che lo ha visto di nuovo sul palcoscenico del Palamostre insieme al quintetto di eccezionali promesse del jazz internazionali che accompagna il tour di Enrico Rava. Il fantastico trombettista è un altro grande amico del festival fin dalle prime edizioni. Per di più Rava ha sempre riservato un’attenzione speciale al Friuli Venezia Giulia, sua terra di nascita. Indimenticabile il suo quintetto elettrico che si nutriva delle suggestioni e delle energie di questo territorio in album e concerti che hanno fatto la storia del jazz italiano contemporaneo (Electric Five, Carmen, Noir, Certi angoli segreti ecc.).

Il concerto, oltre alla ben conosciuta raffinatezza della tromba e del flicorno di Rava che dopo sessant’anni di carriera non smette di “mirare al cuore” come il Ramon di “Per un pugno di dollari” di Leone, ha dimostrato ancora una volta l’eccezionale caratura del fedele pianista Giovanni Guidi, romantico e incisivo e a volte rapito in alto a seguire le spirali delle sue note leggere e scintillanti.

Passata la boa di metà regata con un’ovazione trionfale a Rava, ragazzo di ottant’anni più in forma che mai, si è immediatamente veleggiato verso la serata successiva anch’essa ricchissima di malie.

Ha aperto le danze un duo di vecchie conoscenze per il pubblico friulano affezionato e partecipe alla Blue Question delle corde del pianoforte di Claudio Coianiz e di quelle del contrabbasso di Franco Feruglio. Artisticamente maturi, i musicisti del duo hanno dimostrato una profonda dolcezza di suono da non confondersi con le solite melensaggini zuccherose che contaminano una certa idea commerciale del jazz. La nostalgia di Cojaniz e Feruglio fa sognare e sorridere qualche volta tra le lacrime di tristezza è vero ma la vita non è fatta solo di tasti perlacei, ci vogliono anche quelli neri che ci permettono di esprimere i semitoni delle Blue Emotions.

Dal nostalgico, incantato blues del duo è stato un attimo passare ai fasti del rock prog d’annata più infuocati quando è salita sul palco la band di Roberto Gatto che in una serie di concerti riprende il suo progetto musicale del 2009: “Progressivamente” dedicato alle meraviglie del rock sinfonico degli anni ‘70. Proprio in quegli anni adolescenti si è formato il suo immaginario musicale, sotto lo sguardo alieno dell’Osservatore dei cieli (Watcher of the skies/Genesis), sempre più vicino al limite (Close to the Edge/Yes) vicino al mare con “la pelle che splende dolcemente al chiaro di luna” (Sea song/Wyatt), giusto per giocare con i testi di alcuni standard di quel genere che non è per niente tramontato ma le cui energie germogliano nuovamente ogni volta che interpreti intelligenti e appassionati come Roberto Gatto e i suoi musicisti vi si accostano con un pizzico forse di nostalgia ma senza rimpianti. Quelli del prog ormai sono diventati degli standard e sono ormai patrimonio di tutti coloro che intendono la musica come ricerca inesausta e, per l’appunto, progressiva. A riprova di ciò, parte integrante dell’esibizione è stata la performance vocale di Jon Di Leo, che contemporaneamente si è rivelato ancora una volta outsider assoluto con il vigore e la potenza della sua gola, i vertiginosi salti di tonalità, l’estensione e perfino la brutalità dei suoni che riusciva ad intonare è risultato, a tratti, perfino magnificamente insostenibile.

L’ultima serata si è chiusa con un altro doppio concerto che resterà a lungo nella memoria dei fortunati spettatori che hanno regalato oltre agli entusiastici applausi un continuo sold out ai concerti. A dare il La alla serata l’Udin&Jazz Ensemble in un altro concerto-spettacolo prodotto da Euritmica dal titolo Anima, lettura scenica di poesie in lingua friulana (Benedetti e Tavan) e componimenti originali in italiano della poetessa Giorgia D’Artizio.

L’ensemble orchestrale di undici elementi è composto da molti dei migliori giovani musicisti e compositori che sono sbocciati dai semi che il festival in tutti questi anni ha saputo coltivare. Udin&Jazz da sempre programmaticamente ha permesso alle nuove leve del jazz italiano e internazionale non solo di incontrare passivamente i grandi maestri del jazz ma di formarsi accanto a loro, garantendo occasioni e spazi alla loro fresca creatività. Per questo almeno due generazioni di musicisti e altrettanti spettatori sono grati al festival per aver permesso questa mutua crescita fatta di suoni, di ascolti e di buone pratiche.

Nell’esibizione hanno primeggiato i virtuosismi di Mirko Cisilino alla tromba, Max Ravanello al trombone, Mattia romano alla chitarra ed Emanuele Filippi al pianoforte, tutti e quattro anche compositori delle musiche. Incantevole l’attrice Laura Giavon che ha riempito di vita pulsante il cuore dei versi, su tutti quelli della siderale Nâf Spâzial di Federico Tavan vertice della poesia friulana contemporanea.

Il sigillo fiammeggiante al festival del trentennale lo ha messo il Dario Carnovale Lift Him Up che ha il proprio baricentro espressivo nella funambolica tromba di Fabrizio Bosso. Un’esibizione che ha spinto sull’acceleratore di un Hard bop sparato a velocità straordinaria che, pur non lesinando su forsennati tecnicismi, ha saputo trasmettere calore ed emozioni vivissime. A garantire la piacevole sensazione d’ebrezza continua di questa velocità sono stati il pianoforte liquido e trasparente di Carnovale, leader pari tra pari, le geometrie del contrabbasso di Simone Serafini, le fantasmagorie della batteria di Klemens Marktl e la straordinaria eleganza di Bosso. Perfetti, veloci, splendenti come una fuoriserie di quelle che piacevano a Miles Davis e piacciono tanto anche a noi.

Lo storico patron della manifestazione Giancarlo Velliscig ha più volte ricordato con grande emozione i traguardi raggiunti dalla manifestazione nel corso degli anni e i tanti amici che hanno incrociato le loro strade in questo luogo sotto le stelle del Jazz. Lo ha fatto con il giustificato orgoglio di chi ha sempre tenuto la schiena dritta davanti alle tante avversità del tempo. Lo sguardo dritto avanti e le vele piene di futuro. L’ultima serata del festival si è svolta nella prima giornata di zona bianca del Friuli Venezia Giulia. Possiamo dire con un pizzico di azzardo ben augurante che la musica di Udine&Jazz Winter ha dato l’ultima spallata al maledetto virus regalandoci una nuova primavera di note dispari dopo tanto inverno.

Possiamo tranquillamente dire che il festival nato sotto il segno di John Coltrane dopo tre intensi decenni continua ancora sotto la sua egida e le sue parole:

“Non so esattamente ciò che sto cercando, qualcosa che non è stato ancora suonato. Non so che cosa è. So che lo sentirò nel momento in cui me ne impossesserò, ma anche allora continuerò a cercare.”

Flaviano Bosco

A Proposito di Jazz ringrazia i fotografi Luca A. d’Agostino Phocus Agency / Angelo Salvin, Gianni Carlo Peressotti,  Barbara Domenis e l’ufficio stampa di Udin&Jazz

Presentato Udin&Jazz Winter: finalmente torna la musica dal vivo

Si svolgerà dal 28 al 31 maggio al Teatro Palamostre di Udine la prima edizione di “Udin&Jazz Winter”, organizzata dall’Associazione Culturale Euritmica, con il sostegno di: Regione FVG, Fondazione Friuli, Banca di Udine e Reale Mutua Assicurazioni Udine Franz&Dilena.
Ma il nome della manifestazione non tragga in inganno: si tratta, in effetti, della sezione invernale, che diventerà un appuntamento annuale, della storica “Udin&Jazz” che nel 2020 ha compiuto 30 anni. L’emergenza sanitaria ha impedito di celebrarne la ricorrenza in dicembre, obbligando Euritmica a rinviarla più volte. E ora, in primavera avanzata, è arrivato il momento: le recenti disposizioni che consentono la riapertura dei teatri, seppur con una capienza ridotta e con orari inusuali, permetteranno alla grande musica jazz di ritornare a Udine, città che ha sempre amato il jazz come evidenziato dal calore con cui il pubblico ha sempre seguito questo Festival.
Festival che nell’ambito nazionale rappresenta una sorta di unicum in quanto, a scapito di qualche biglietto venduto in più, ha sempre attuato una politica culturale tesa a valorizzare gli artisti locali, ivi compresi i talenti emergenti.
E come si nota dal programma su cui ci soffermeremo più avanti, anche questa volta l’aurea regola è stata pienamente rispettata.

Giancarlo Velliscig

La manifestazione è stata presentata online nel corso di una conferenza stampa con la partecipazione di giornalisti ed esperti del settore. A condurla il vulcanico presidente di Euritmica e direttore artistico di Udin&Jazz, Giancarlo Velliscig, il quale ha tenuto a sottolineare come «Udin&Jazz è nato qui, trent’anni fa, e questa è sempre stata la sua casa. Siamo orgogliosi di riportare il “nostro” jazz nel capoluogo friulano, da dove non se ne sarebbe mai voluto andare. Lo facciamo forti della nostra indipendenza e con l’orgoglio di riportare la grande musica jazz a Udine». «Il jazz – ha aggiunto Velliscig – è un genere musicale, certo. Ma è anche l’espressione di un percorso culturale e sociale; negli anni, il nostro festival ha fatto entrare Udine nei circuiti musicali internazionali divenendo meta ambita e conosciuta per grandi artisti provenienti da tutto il mondo».

Dal canto suo il presidente della Fondazione Friuli, Giuseppe Morandini, ha salutato così l’iniziativa: «Dobbiamo tutti essere grati a Euritmica per avere avuto negli anni la sensibilità di avvicinare tante persone alla musica e al jazz in particolare. Da questa parte della curva il tifo è sempre per voi».
La valenza del Festival è stata altresì sottolineata dal conduttore radiofonico di Radio 1 Rai, media partner ufficiale del festival, Max De Tomassi che l’ha definito “un’iniziativa epocale”; «ho pensato – queste le sue parole – a una crasi per descrivere la coraggiosa scelta di Euritmica; una crasi tra “winter”, la stagione in cui questo festival si sarebbe dovuto svolgere e “spring”, la stagione che stiamo vivendo. Nasce quindi “wings”, ali pronte a spiccare il volo, ben rappresentate nel logo scelto per questo festival».
E se in passato Euritmica ha abituato il Friuli ai grandi nomi della musica internazionale, per questa grande ripartenza – Udin&Jazz Winter sarà il primo festival ad andare in scena in regione dopo l’annuncio della riapertura dei teatri – l’associazione culturale udinese presenterà un palinsesto delle grandi occasioni, proponendo i big del jazz italiano accanto a nuove e storiche realtà del jazz regionale e friulano, che come sempre intende promuovere e valorizzare.
Il programma sarà dunque un alternarsi tra produzioni nazionali e di respiro internazionale e produzioni locali.
Il debutto sarà, infatti, affidato ad una produzione di Euritmica: venerdì 28 maggio, dopo l’inaugurazione del Festival nella sala Carmelo Bene del Teatro Palamostre, andrà in scena in prima assoluta lo spettacolo “John Coltrane – Un amore supremo: una Musica tra Terra e Cielo”. I testi dello storico e drammaturgo Valerio Marchi, narrati sul palco dallo stesso Marchi e dalla splendida voce di Claudia Grimaz, si alterneranno ai brani più noti del repertorio coltraniano riproposti dal trio Bearzatti-Colussi-Rinaldi, ripercorrendo la complessa parabola umana e artistica del mitico musicista attraverso lo sguardo delle donne della sua vita.
Sabato 29 sarà la grande serata di Enrico Rava, amico di vecchia data di Euritmica e musicista intenso e raffinato che ha suonato in tutto il mondo e che, per una sera, porterà tutto il suo mondo a Udine. Un regalo che in tempi di restrizioni permetterà al pubblico friulano di aprirsi ad un indimenticabile viaggio nelle sonorità essenziali di un musicista che ha fatto e sta facendo la storia del jazz italiano. Rava si esibirà a Udine in “Special Edition”, un regalo nel regalo per il pubblico di Udin&Jazz, visto che questa formazione è nata il 20 agosto del 2019 in occasione del suo 80esimo compleanno, raggruppando i musicisti che più gli sono stati vicino negli ultimi anni, per rivisitare i brani più significativi della sua carriera secondo un mood assolutamente attuale.  Ad accompagnarlo sul palco ci saranno dunque il friulano Francesco Bearzatti al sax tenore, Francesco Diodati alla chitarra, Giovanni Guidi al pianoforte, Gabriele Evangelista al contrabbasso ed Enrico Morello alla batteria.
Doppio appuntamento domenica 30 maggio: alle 18.30, sul palco del Palamostre, saliranno Claudio Cojaniz e Franco Feruglio, rispettivamente al pianoforte e al contrabbasso, due tra i massimi esponenti della scena jazz e blues regionale. Alle 20, secondo appuntamento della serata: l’eclettico batterista Roberto Gatto guiderà la sua band spingendosi a rileggere in chiave jazz il mondo ammaliante ed affascinante del ‘progressive’.
Lunedì 31 maggio, giornata conclusiva, ancora un doppio appuntamento. Anche in questo caso, salirà sul palco una formazione totalmente friulana: sarà l’Udin&Jazz Ensemble (formazione di 12 elementi, emanazione della omonima resident Big Band del Festival, nata qualche anno fa) a scaldare il pubblico a partire dalle 18.30 con una produzione originale e un repertorio composto per l’occasione dai musicisti Mirko Cisilino, Emanuele Filippi e Max Ravanello. Questo nuovo progetto trasforma l’organico iniziale, incorporando strumenti di tradizione classica come corno, tuba e ance di varia natura. Il repertorio originale è un tributo al patrimonio culturale della regione friulana, ispirandosi ai nostri luoghi così come alle produzioni letterarie e poetiche di importanti voci del territorio.
Alle 20 un altro straordinario protagonista del jazz italiano: torna a Udin&Jazz Fabrizio Bosso, sul palco con il Dario Carnovale LIFT HIM UP 4et”, progetto firmato dal pianista siciliano ma udinese d’adozione. Un gran finale con un repertorio che spazierà dalla rielaborazione di standard a brani autografi del pianista Dario Carnovale e dello stesso Bosso, coadiuvati dal contrabbassista Simone Serafini e dal batterista Klemens Marktl.
Durante il festival sarà visitabile, sempre al Teatro Palamostre di Udine, la mostra che ripercorre i 30 anni di Udin&Jazz attraverso i ritratti delle star del jazz mondiale che qui si sono esibite, immortalate dai fotografi dell’AFIJ, Associazione Fotografi Italiani di Jazz e curata da Luca d’Agostino. E a proposito di star internazionali, si sarà notato come questa volta manchino del tutto ma anche ciò è dovuto alla pandemia che se a stento consente di organizzare qualcosa a livello nazionale figuriamoci a livello internazionale. Comunque siamo certi che già a partire dal prossimo anno, le grandi vedettes del jazz mondiale torneranno a Udine per la gioia di tutti noi appassionati.
Gerlando Gatto

Chick Corea: l’Iperione del pianismo jazz. Un pensiero dedicato al musicista scomparso il 9 febbraio

Hyperion, «colui che precede il Sole», era un Titano della mitologia greca, padre di Elio (Dio del Sole), di Eos (l’Aurora) e di Selene (la Luna). Collegare questa mitologica figura ad Armando Anthony Corea, detto Chick, scomparso a 79 anni a Tampa Bay il 9 febbraio, è stato istintivo: lui è un titano della musica jazz, un audace precursore che come pochi altri ha saputo sviluppare l’arte del pianoforte portandola a livelli altissimi o, come mi ha scritto un amico pianista, un illuminato, «tra i più grandi creatori di archetipi della storia».
Qualche giorno prima che Chick se ne andasse, così… all’improvviso, stavo ascoltando un album, non certo epidittico della sua enorme, cinquantennale produzione. Si tratta di un LP del 1976 (Atlantic Records) «Chick Corea, Herbie Hancock, Keith Jarrett, McCoy Tyner». È un’operazione suggestiva, una sorta di silloge dell’arte pianistica che racchiude due brani per ciascuno dei quattro più importanti pianisti dell’era post-bop, nella formazione in trio.
Chick sceglie un brano di sua composizione “Tones for Joan’s Bone’s” (che è anche il titolo del suo album di debutto, nel 1968) nel nel quale è accompagnato da Joe Chambers alla batteria e Steve Swallow al basso, mentre il secondo, “This is New”, porta la firma “nientepopodimeno che” di Kurt Weill e Ira Gershwin; qui lo accompagnano il trombettista Woody Shaw e il sassofonista Joe Farrell. C’è un assolo di Corea che mi fa impazzire… è bizzoso e puntuto…

Il Chick che ho ascoltato di più, tuttavia, è quello dei Return To Forever, nelle sue varie formazioni (dal 1971 ai giorni nostri) nelle quali sono transitati musicisti molto noti, tra cui alcuni top guitarist come Al Di Meola ed Earl Klugh. L’album di debutto della band, “Return to Forever”, uscito nel 1972 per l’etichetta ECM, con Chick al Fender Rhodes, Stanley Clarke al basso, Joe Farrell al flauto e sax, Airto Moreira, alle percussioni e la grande voce di Flora Purim, è per me uno dei dieci album di jazz-fusion più belli in assoluto…

Già… il Fender Rhodes… c’è un famoso aneddotto legato a questo strumento, che Corea raccontò così in un’intervista:

«Nel gruppo di Miles (Davis) facevo ciò che mi veniva chiesto. Per i primi sei mesi suonai il piano acustico, poi Miles disse che voleva un sound diverso; una notte si presentò con un piano elettrico e mi disse: “suona questo”. All’inizio ho odiato il Fender Rhodes, perché lo suonavo come un pianoforte, cosa che non è. Ma mi sono applicato, ho fatto di tutto per accontentare Miles. Poi quando ho fondato il mio primo gruppo Return to Forever ho suonato soprattutto il Fender».

Chick Corea l’ho incontrato nel 2015 a Udin&Jazz (a Udine venne anche nel 1997 in duo con il vibrafonista Gary Burton) e, al di là dello splendido concerto per piano solo a cui ho avuto la fortuna di assistere, nel quale presentò un repertorio composto non solo dalle sue composizioni originali ma che viaggiava anche sulle note di Gershwin, Scarlatti, Chopin, conservo gelosamente nel mio cuore il ricordo di una persona estremamente aperta e disponibile, sia con il numeroso pubblico presente, sia con noi dietro le quinte.

Sempre generoso e aperto allo scambio, Chick invitò sul palco alcuni pianisti presenti che ebbero l’incredibile opportunità di suonare con una leggenda del jazz, vincitore di ben 23 Grammy Awards! Nel 1993, ricevette anche una Targa Tenco per “Sicily”, interpretata con il nostro Pino Daniele. Corea suonò il pezzo a Napoli, durante il suo concerto all’Arena Flegrea nel 2016, dedicandolo all’amico Pino, scomparso un anno prima, definendolo uno dei più grandi musicisti italiani e del mondo…
Se penso che quest’estate avrei finalmente rivisto questo straordinario pianista in Friuli Venezia Giulia, dov’era atteso a luglio per una data di Grado Jazz…
Nel periodo del primo lockdown, in aprile, lui postava sulla sua pagina Facebook un sacco di video: «Hello everybody, it’s Chick! Day 2» e via così… Ne ho seguiti diversi, rimanendo una volta di più stupefatta dal suo grande cuore e dal suo sempre impellente desiderio di condividere con gli altri la sua visione della musica.
Tra i suoi innumerevoli progetti, tengo particolarmente a menzionare la Chick Corea Elektric (in trio anche Akoustic) Band, con Patitucci, Gambale e Weckl, a testimonianza dell’eclettismo di questo artista e di quanto egli amasse addentrarsi nelle infinite pieghe della sperimentazione, con ibridazioni musicali cross-over.
Herbie Hancock, suo grande amico, racconta su Rolling Stone di quando una sera, nel 1980, al Montreux Jazz Festival… «sono finito sotto il pianoforte, suonavo la parte in legno. Chick era sopra il piano e faceva qualcosa con le corde. Il pubblico era fuori di testa. […] Non facevamo i pagliacci. Volevamo fare musica e allo stesso tempo divertirci. Che c’è di male?
Sapete cosa abbiamo fatto per il quinto bis? Eravamo dietro le quinte e Chick mi ha detto: “Dobbiamo tornare indietro, stanno ancora gridando”. Ho risposto: “Ok Chick, perché non mettiamo due sedie di fronte al pubblico e facciamo dei giochi con loro?”. È andata proprio così. Non abbiamo più toccato il pianoforte. Ci siamo seduti e abbiamo fatto tutto quello che ci veniva in mente: usavamo le parti del nostro corpo per suonare le percussioni, ci toccavamo la gola per fare dei suoni oscillanti. […] Non lo dimenticherò mai. È un ricordo monumentale».

Herbie Hancock& Chick Corea – Ph: Torben Christensen ©

Monumentale, un aggettivo che si attaglia perfettamente all’immenso lascito artistico di Chick Corea, un patrimonio prezioso, una fonte inesauribile di ispirazione per intere generazioni di musicisti, come nel suo ultimo messaggio, scritto quando aveva già la consapevolezza di doverci lasciare: « Voglio ringraziare tutti coloro che nel corso del mio viaggio hanno contribuito a mantenere vivo il fuoco della musica. Spero che chi di voi abbia l’attitudine per suonare, scrivere, esibirsi o altro lo faccia. Se non per voi stessi, fatelo per noi. Non solo perché il mondo ha bisogno di più artisti ma anche perché è molto divertente esserlo!»

Per te, Chick, una dedica speciale con una poesia di Srečko Kosovel, poeta sloveno poco “mainstream”, che quell’attitudine per scrivere di cui parli ce l’aveva eccome!
Purtroppo non ha potuto esprimerla appieno essendo morto a soli 22 anni…
«Oh, ma non c’è morte, morte! Solo il silenzio è troppo profondo. Come in una foresta verde in espansione! Solo ti ritiri, solo diventi silenzioso, solo cresci… solo… solo, solo, solo, invisibile.
Oh, ma non c’è morte, morte! Solo tu cadi, solo cadi… cadi, cadi in un abisso di blu infinito».
I bid you farewell, Chick, I bid you farewell. Ti ritroverò nell’imponderabilità tonale di una nota blu…

Marina Tuni ©

La Biblioteca Civica V. Joppi di Udine pubblica alcune riflessioni di Marina Tuni intorno al libro “Il Jazz Italiano in Epoca Covid”

La Biblioteca Civica Vincenzo Joppi di Udine mi ha invitata a partecipare all’iniziativa “Quarantena d’Artista“, che era partita durante il lockdown ed è poi proseguita con artisti, musicisti, attori, scrittori, giornalisti del Friuli Venezia Giulia.
In pratica, si trattava di scegliere un libro da consigliare, che avesse in qualche modo attinenza al periodo in cui siamo rimasti segregati nelle nostre abitazioni a causa della pandemia, sviluppando delle riflessioni intorno ad esso. Devo dire che nel ricevere la proposta è stato per me naturale pensare a “Il Jazz Italiano in Epoca Covid“, il libro del direttore Gerlando Gatto… più attinente di così! Qui il link del mio intervento che comunque pubblichiamo integralmente anche qui di seguito. (Marina Tuni)

“Silencio… No hay banda. There is no band. Il n’est pas de orquestra.”
<<Con queste parole, pronunciate dal mago sul palco del “Club Silencio” nell’inquietante scena di Mulholland Drive David Lynch ci trasporta in una dimensione straniante, illusoria… che mi ha ricordato quella specie di limbo emozionale nel quale ho fluttuato durante il lungo periodo del lockdown.>>

“In questi giorni si è parlato molto di teatri, esibizioni dal vivo, concerti. Nessuna migliore occasione per il nostro Massi Boscarol per invitare a #quarantenadartista #MarinaTuni, giornalista, che da 16 anni collabora con Euritmica (Udin&JazzOnde Mediterranee, Note Nuove, MusiCarnia) dove è responsabile dell’Ufficio Stampa. Editore della webmagazine instArt e del portale nazionale A Proposito di Jazz, ha scritto e pubblicato cinque fiabe per bambini creando la saga del personaggio di Cioccolino oltre ad aver collaborato per alcuni anni con la cantante Elisa. Ed in tanti di noi la conoscono anche per aver curato la comunicazione di Udine ArtMob e della ciclostaffetta “A Roma per Giulio”, eventi organizzati per chiedere verità e giustizia per #GiulioRegeni.”

<<La citazione di Mulholland Drive l’ho ritrovata anche nel titolo della prefazione, scritta dal M°. Massimo Giuseppe Bianchi, a “Il Jazz Italiano in epoca Covid”, instant book e terzo lavoro di #GerlandoGatto, dove il giornalista e critico musicale intervista 41 jazzisti italiani, “colti” nella loro quotidianità forzata, in un flusso temporale asimmetrico e tralignante.>>

“Abbiamo tra le mani un libro che parla di musica ma nasce dal silenzio. A causa del lockdown; il silenzio ha per mesi eletto a dimora le nostre strade e i nostri spazi. In questi mesi di pausa forzata i palcoscenici hanno taciuto. Non hanno taciuto però gli strumenti, né le matite cessato di grattar la punta sui pentagrammi. Non sono mancati i mille concerti in streaming da casa, eventi coatti che il violinista Uto Ughi, in un’intervista al quotidiano “La Stampa” ha definito “figli della disperazione del tempo che viviamo”. Furono vasi di fiori posati sul davanzale delle nostre provvisorie prigioni. Gerlando Gatto ha pensato di animare questo sfondo plumbeo, spezzando l’incantesimo malvagio. Ha provato ad andare oltre l’analisi stilistica della loro produzione. Ha provato e ci è riuscito. Gerlando ha congegnato una griglia di domande semplice e uniforme quanto variegata al suo interno. Ha voluto, credo, fare quello che un critico non ha tempo o voglia di fare: comunicare direttamente con la persona, abbracciarla.” (dalla prefazione di Massimo Giuseppe Bianchi)

<<All’interno del libro, tra le tante significative domande che l’autore pone ai musicisti, ce n’è una che mi ha dato molti spunti per riflettere su quanto sia stata importante per me la musica, oltre alla scrittura e al profondo amore per l’arte… passioni che sono diventate parte della mia professione, passioni che mi hanno stimolato e dato la forza per cambiare una vita che in passato indossavo con grande fatica, come avviene con un abito stretto di tre taglie in meno della tua… Perché spesso non basta “volere” a livello conscio per concretare i nostri sogni e le nostre aspirazioni: dobbiamo crederci scendendo ad un piano più profondo, fino ad arrivare all’inconscio.
È ovvio che tutto ciò comporti necessariamente il doversi caricare sulle spalle molti più gravami e consapevolezze, che ci ingabbiano, che compromettono, talvolta, la nostra realizzazione, che condizionano le nostre scelte, che modificano il nostro modo di pensare, portandoci alla privazione della felicità. Tutto questo è uscito ancor più prepotentemente nel trascorrere dilatato del tempo… al tempo dell’isolamento…
Questa è la domanda di Gatto e la risposta che mi ha colpito… quella della vocalist Enrica Bacchia

D: “Crede che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento? Se non la musica a cosa ci si può affidare?”
R: “[…] vorrei chiarire un punto cardine del mio sentire. Se il termine Terribile si
riferisce alle morti di questi giorni: si, la morte appare tanto drammatica agli occhi degli uomini e per la prima volta nella storia dell’umanità paralizza il mondo intero senza discriminazioni…
Sono consapevole di essere una delle (tante) voci fuori dal coro ma mi ascolti bene: spostiamo nuovamente il nostro punto di vista, sintonizziamoci in un’onda diversa e torniamo a considerare quello che lei definisce un momento terribile. Terribile perché l’unico in grado di farci cambiare uno stile di vita intollerabile sotto tutti i punti di vista? Terribile perché ci obbliga a pensare davvero a come reimpostare le nostre esistenze nel micro e nel macro livello? Terribile lo è, forse, perché ciascuno è chiamato a scegliere se farne un’opportunità di crescita epocale. E ora veniamo alla Musica. Ogni pensiero, ogni micro o macro azione, se fatti consapevolmente, possono dare forza al Presente esercitando la creatività, l’immaginazione e la bellezza. E non è forse la musica (ma tutta l’arte della Vita in genere) che ci allena a questo?”.

<<Chiudo con una breve riflessione, affidandomi ad un’altra delle mie grandi passioni, la filosofia. Eraclito diceva: “Nessun uomo può bagnarsi nello stesso fiume per due volte, perché né l’uomo né le acque del fiume saranno gli stessi…” con riferimento al processo di trasformazione perenne, il divenire cui sono soggetti gli esseri umani, che nascono e crescono andando incontro al proprio destino, attraversando nel cammino periodi “buoni” e periodi “critici”. In questi ultimi, la “crisi” dovrebbe essere il LA per intonare gli strumenti per una nuova esecuzione, accogliendo il cambiamento come occasione di accrescimento e di sviluppo della conoscenza e del pensiero creativo.
Se non saremo in grado di cogliere questa opportunità, non v’è rimedio… perché niente può vivere in assenza di cambiamento.>>