Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Gavino Murgia, compositore, sassofonista

Foto di DANIELA CREVENA

Intervista raccolta da Daniela Floris


-Come stai vivendo queste giornate?

Con preoccupazione, nel senso che non vedendo un orizzonte, e quindi la fine di quest’emergenza, viviamo tutti in una sorta di tempo sospeso. Il governo ha attuato una serie di provvedimenti a parer mio giusti ed efficaci, ma forse per paura delle reazioni da parte del popolo ci dà limitazioni a dosi omeopatiche, non tutte insieme. Ho paura che tutto ciò durerà a lungo. L’altra cosa che mi preoccupa maggiormente è che fino a quando non esisterà un vaccino, avremo continui ritorni e focolai di questo dannato virus.



-Come ha influito questa emergenza sul tuo lavoro?

Al momento non credo che lo abbia influenzato.

 

Pensi che nel prossimo futuro sarà lo stesso?

Non saprei, difficile prevederlo.

 

– Come riesci a cavartela senza poter suonare?

Diciamo che non incasso, ma c’è da dire che, stando sempre rinchiuso, non spendo nulla, a parte per il cibo. Certo, avendo perso tanti concerti, se questa situazione si protrarrà a lungo più avanti non sarà semplice.

 

-Pensi che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?

Spero di no ma, se dovesse eventualmente accadere, c’è da augurarsi che in assoluto li migliori.

 

-Credi che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?

La musica aiuta certamente a vivere bene, le ore trascorse ascoltando bei dischi o suonando sono sempre, non solo adesso, ore ben spese.

 

-Se non alla musica a cosa ci si può affidare?

Sicuramente ci si deve affidare alla scienza e alla medicina affinché possano trovare nel più breve tempo possibile il vaccino che aiuti l’umanità a debellare questa nuova peste. Altro noi “sapiens”, più che metterci una mascherina e seguire le regole, non possiamo fare.

 

-Quale tuo progetto è rimasto incastrato in questa emergenza e vuoi segnalare?

Purtroppo è saltata la tournee e la conseguente registrazione di un nuovo quartetto con Gianluigi Trovesi. Era tutto pronto ma si sarebbe dovuta svolgere proprio nei giorni di metà marzo. Tutti a casa. E poi altro grande lavoro rimasto incastrato non è un disco, ma un film che sto realizzando, sul canto a Tenore. Sarei dovuto essere a Roma, impegnato nel montaggio di questo lavoro, ma come sappiamo non ci si può muovere, tutto rimandato a data da stabilire.

 

-Mi racconti una tua giornata tipo?

Sto facendo una serie di cose per le quali, durante la normalità, non avevo mai tempo di fare. Ad esempio avendo uno studio di registrazione molto comodo e con vari ambienti, nel tempo avevo accumulato un’infinità di cose inutili. Dai primi giorni della clausura ho iniziato a selezionare e buttare valanghe di roba, ora va decisamente meglio. Ho riguadagnato parecchi metri quadri. Ovviamente studio suono e registro, poi passo tempo a cucinare cose varie tra fornelli, forno a legna e caminetto. Mi sto inoltre occupando di seguire a distanza alcuni lavori discografici che necessitavano di accorgimenti, idee sulla grafica etc. In particolare uno in trio con Hamid Drake e Majid Bekkas, un altro disco tra musica teatro e arti visuali con una formazione tutta sarda, un altro in duo con Famoudou Don Moye e un altro lavoro ancora in trio con Nguyen Le e Mino Cinelu, che dopo una session in studio stiamo completando insieme a “distanza”. Insomma ho un bel da fare, non mi annoio di certo.

 

-Se avessi la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederesti?

Al governo chiederei di lavorare subito per migliorare e potenziare sempre di più il nostro sistema sanitario. Ma soprattutto raccomanderei allo stesso governo, ed anche a tutta l’umanità, di fare tesoro di questa catastrofe che, indubbiamente, sta cambiando il mondo. C’è da dire che in questo momento il nostro pianeta sta, nel suo insieme, vivendo un momento di grande respiro. Si sta riposando, sta recuperando energie, si sta purificando e di questo già nell’immediato vedremo e godremo i benefici. Dall’ inizio dell’era industriale ad oggi abbiamo sfruttato fino all’ impossibile il nostro meraviglioso ecosistema divenendo, noi uomini, il virus infestante e killer del pianeta terra. Credo che specie nelle metropoli si siano resi conto di quanto, ad esempio, aver limitato l’uso delle auto abbia migliorato la qualità dell’aria che respiriamo. Questa incredibile vicenda di portata epocale ristabilirà nuovi equilibri e costringerà a ripartire da nuovi presupposti.
Non aggiungo altro.

 

-Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?

Personalmente questo periodo sto ascoltando tanto Chet Baker, credo che la sua poetica sia inarrivabile, ogni suo solo ha una logica straordinaria. Altro grande che adoro ascoltare in questi giorni è Charles Mingus.

Foto di DANIELA CREVENA

Vicenza Jazz: Randy Weston e Billy Harper duo (in esclusiva)


Tutte le foto sono di DANIELA CREVENA

VICENZA JAZZ
Teatro Olimpico, 19 maggio, ore 22

Randy Weston e Billy Harper duo

Randy Weston, pianoforte
Billy Harper: sax tenore

Il secondo concerto in programma al Teatro Olimpico vede un gigante (in tutti i sensi) del pianoforte Jazz in duo con un grande protagonista del sax: Randy Weston e Billy Harper entrano sorridenti, prendono posto sul palco e il concerto comincia con un’intro di pianoforte tutt’altro che morbida e rassicurante. Dissonanze, frasi spezzate, un piccolo ma veramente volatile accenno all’incipit di ‘Round Midnight fino all’entrata del sax, che comincia da subito a raccogliere i suggerimenti del pianoforte.

Da quel momento comincia un’improvvisazione libera e un flusso da Weston e Harper, un’interazione fatta di idee lanciate, sviluppate, momentaneamente tralasciate e riprese inaspettatamente, flusso che persiste per tutto il concerto e che ha una sua forma stilistica precisa.
Se affrontano un Blues, quel Blues si percepisce fortemente. Il piano ed il sax ne toccano i cardini, e che siamo in presenza di un Blues lo capiamo da quei cardini: si sceglie la sintesi dei punti di riferimento. La batteria, assente, viene evocata dai pochissimi accenti necessari e ridotti al minimo. Una volta evocato il pulsare ritmico in modo che il nostro cervello possa immaginarlo in sottofondo, il pianoforte si può permettere di virare libero e addirittura ridondante: tu però sai che sei in un Blues. A dire il vero le ridondanze sono poche, prevale l’essenzialità. Il contrabbasso, assente, viene evocato da pochissime note che si comprende che sarebbero inscritte in un walkin’bass.


Il ritmo, le pulsazioni, sono sempre appena accennate e sottintese. Il pianoforte di Randy Weston e il sax di Billy Harper interagiscono ma più giustapponendosi che sovrapponendosi, quasi in un continuo “domanda e risposta”, dialogando ad armi pari. Ovvero, il pianoforte non è accompagnamento armonico alle digressioni del sax. Sono due entità distinte che dialogano, due personaggi di una storia che parlano fra loro ognuno con la sua voce.
Nei piccoli momenti in cui i due ritornano ad un andamento più mainstream si ha la decodifica per viaggiare nei minuti successivi.
Fraseggi compiuti, sapiente uso di staccati e legati, energia e una presenza sul palco notevole. Sorridenti, comunicativi, felici di suonare insieme, felici di suonare al Teatro Olimpico: il direttore artistico Riccardo Brazzale rivela che il novantaduenne Randy Weston è venuto in Italia solo e soltanto per Vicenza Jazz. Innovativi.

L’IMPATTO SU CHI VI SCRIVE

Un concerto pulsante di energia e carica creativa. Un Jazz originale, che dimostra ciò che ho sempre pensato e cioè che il parametro anagrafico non è quello giusto per valutare la freschezza del modo di fare Jazz di un artista: conta la musica. Per non parlare della presenza scenica di entrambi gli artisti e la loro capacità di comunicare la gioia di suonare insieme. Una sensazione dunque più che positiva di un concerto di altissimo livello.

In questo mio piccolo spazio in cui descrivo sensazioni soggettive posso dire che l’andamento quasi sempre alternato dei due strumenti, questo rincorrersi continuo con pochi momenti di raccordo, il linguaggio spesso frammentato delle frasi, al mio ascolto è risultato in alcuni tratti spigoloso e dunque un po’ allontanante. Il pubblico del Teatro Olimpico, però, in questo non è sembrato d’accordo con me!

Qui sotto, il backstage!


Gli altri concerti che abbiamo seguito a VICENZA JAZZ!
Manhattan Transfer
Gavino Murgia e Cantar Lontano
Tigran Hamasyan

 

VICENZA JAZZ: Tigran Hamasyan al Teatro Olimpico


Tutte le foto sono di DANIELA CREVENA

VICENZA JAZZ, 19 maggio 2018
Teatro Olimpico, ore 21:00

Tigran Hamasyan, pianoforte

Tigran Hamasyan appare sull’incredibile palco palladiano del Teatro Olimpico, e davanti a quelle quinte cinquecentesche in prospettiva sembra ancora più minuto di quanto non sia in realtà. Si siede al piano, cerca per qualche secondo la concentrazione e parte quasi in sordina con note ribattute alla mano sinistra. Su quelle parte poi un tema vagamente classicheggiante, non scevro da abbellimenti come trilli, o mordenti.
Non fai in tempo quasi a cullarti in quel piccolo incanto che all’improvviso appaiono accordi dissonanti e in contrasto ritmico, un delicato disturbo che smuove le acque. Le note ribattute, a bordone non smettono mai, nemmeno quando il tempo raddoppia, nemmeno quando la mano sinistra produce accordi, nemmeno quando appaiono piccole reminiscenze di danze popolari: quello scorrere del tempo è costante, quasi martellante, nonostante il brano rimanga in un ambito che si potrebbe definire introspettivo.

Introspettivo appare anche il brano successivo. Hamasyan parte con un pianissimo, tonalmente pressoché indefinito. Introduce un piccolo tema che traspone, creando tensione: tutto il materiale tematico, dalla cellula melodica al riff ritmico all’artifizio armonico, viene curato e mantenuto e mai buttato via.
Il pezzo è in quattro, ma in realtà si percepisce una serie quadripartita di battute in uno, in cui il ritmo di danza riappare, anche se solo accennato. Grappoli cromatici di note, arpeggi diminuiti si materializzano nel registro acuto del pianoforte. Anche in questo caso la mano sinistra tiene bordone con note ribattute.

Quando entrano in scena l’elettronica, la loop station, i suoni distorti, l’effetto non è avveniristico, spaziale, o underground: è mistico, sospeso, fino a quando il pianoforte non si inserisce in un impianto armonico semplice, tonica minore – settima di dominante – tonica minore, e con una melodia che sembrerebbe antica, lontana, tradizionale.
Hamasyan privilegia la parte centrale della tastiera. Il bordone alla mano sinistra persiste per gran parte del tempo. Il concerto termina con un bis più esplicito del resto dei brani tra gli applausi di un pubblico affascinato, quasi irretito.

L’IMPATTO SU CHI VI SCRIVE

Un’ora abbondante di musica intensa, affascinante. Niente di cerebrale, un flusso interiore reso con rara efficacia emotiva.
Il reiterarsi di cellule melodiche e ritmiche, il bordone spesso presente tenuto dalla mano sinistra, l’insistere sulla parte centrale della tastiera e l’improvviso apparire di cromatismi ed arpeggi nel registro acuto creano un’atmosfera sospesa onirica, sulla quale vengono ricamate reminiscenze di musica armena: quasi sicuramente, non ne sono sicura, perché di tutto si può parlare fuorché di “contaminazioni”. Hamasyan ha su di sé tutto il carico delle sue origini ma le trasfigura in un modo di fare musica che è al di là di Jazz, musica classica, musica popolare. E’ malinconico, nostalgico, introspettivo ma a modo suo anche assertivo e incisivo. E possiede una creatività inusuale e inarrestabile.
Posso affermare senza timore in questo piccolo spazio della recensione dedicato alle mie convinzioni, che Tigran Hamasyan è un grande pianista contemporaneo.

Gli altri concerti che abbiamo seguito a VICENZA JAZZ
Manhattan Transfer
Gavino Murgia e Cantar Lontano
Randy Weston and Billy Harper Duo

VICENZA JAZZ: Gavino Murgia e Cantar Lontano Officium Divinum


Tutte le foto sono di DANIELA CREVENA

VICENZA JAZZ, Cimitero Maggiore, ore 00:00

Gavino Murgia e Cantar Lontano – Officium Divinum

Gavino Murgia (sax soprano)
Marco Mencoboni (direttore)
Cantar Lontano (ensemble)
Alessandro Carmignani (controtenore)
Paolo Borgonovo (tenore)
Riccardo Pisani (tenore)
Guglielmo Buonsanti (basso)
Musiche di Guillaume Dufay, Pierre de La Rue, Cristobal de Morales, Perotin

E’ mezzanotte al Cimitero Maggiore di Vicenza. Le poche luci accese sono suggestive. Si ode una campanella da lontano e dal buio compaiono quattro uomini in giacca scura che prendono posto sul palco ed intonano un antico canto sacro a quattro voci. Dopo poco, sempre in lontananza risuona, avviluppandosi a quel canto polifonico, la voce di un sax soprano.

I quattro uomini compongono l’ensemble vocale “Cantar Lontano”, e sono diretti da Marco Mencoboni. Il sax soprano è quello di Gavino Murgia. L’ensemble esegue brani composti da Guillaume Dufay, Pierre de La Rue, Perotin ed altri giganti della musica polifonica dal 1200 al 1500, Gavino Murgia compie incursioni con il suo sax soprano ma anche con la sua voce da basso del tradizionale canto a boche sardo, che non è poi così dissimile dal canto mistico tibetano.

Le incursioni di Murgia non contraddicono l’impianto armonico dei pezzi sacri. Vi si intreccia aggiungendo le sue voci (strumentale o vocale) in contrasto timbrico e melodico, ma non armonicamente dissonante. La volontà è quella di fondersi con le voci perfette, trasfigurate, quasi sovrumane di quel quartetto, salendo raramente sul palco ma facendovi giungere i suoni da luoghi e distanze diverse, per movimentare suggestivamente timbri, dinamiche, e rendere tutto ancora più inaspettato.
Sulle note lunghe delle composizioni vocali Murgia ricama. Oppure carpisce cellule melodiche che diventano l’incipit dei suoi fraseggi, o la loro chiusura. O ancora esegue un’introduzione che racchiude in sé le note iniziali del brano che seguirà.

L’IMPATTO SU CHI VI SCRIVE

Difficilmente potrò dimenticare la sensazione incomprensibile, quasi estatica, del trovarmi in un luogo così definito, in maniera anche convenzionale dalla letteratura, come può essere un cimitero a mezzanotte, e nello stesso istante in luogo così lontano dallo spazio e dal tempo, così terrestre, così ancestrale, e anche allo stesso tempo così sacrale come quel cimitero in quella mezzanotte con quella musica. Niente di tetro, niente di spaventoso, uno stato di ritorno alla terra ma anche al mistero che ne regola le leggi della vita e della morte, morte che, per una notte, quasi è tornata alla vita.
L’incredibile, straniante legame che si è materializzato in un’ ora tra la voce del sax di Gavino Murgia e quell’unico flusso sonoro di quattro voci ha fatto risuonare persino il silenzio nei quali i presenti erano immersi poiché incantati da ciò che accadeva sul palco e intorno al palco.
La voce da basso di Murgia intrecciata alla voce acutissima e perfetta del controtenore Alessandro Carmignani, il contrasto tra il tacere denso dell’attimo che precede gli attacchi e l’esplodere polifonico delle voci, l’armonia inaspettata che può sorgere tra le frasi potenti e libere di un sax soprano e l’andamento strutturato nei minimi particolari di una musica che per l’intenzione stessa di chi l’ha scritta vuole tendere al divino fanno del progetto Officium Divinum un’esperienza unica per chi deciderà di viverla dal vivo. Magari non accadrà più in un cimitero a mezzanotte, ma io ve la consiglio, a prescindere. Meglio se di notte e all’aria aperta.


Gli altri concerti che abbiamo seguito a Vicenza:
Manhattan Transfer

 

 

VICENZA JAZZ: Manhattan Transfer al Teatro Comunale (sold out)


Tutte le foto sono di DANIELA CREVENA

VICENZA JAZZ
Teatro Comunale, 18 maggio 2018, ore 21

Manhattan Transfer

Alan Paul, Cheryl Bentyne, Janis Siegel, Trist Curless (voce)
Yaron Gershovsky (pianoforte)
Boris Kozlov (basso)
Ross Pederson (batteria)

A Vicenza Jazz, Festival arrivato alla XXIII edizione e che quindi possiamo definire storico, il direttore artistico Riccardo Brazzale ha voluto uno di quei gruppi divenuti leggendari e che matematicamente, o quasi, attirano un vasto pubblico: e, io aggiungo, Brazzale ha fatto un’ottima scelta. In una programmazione molto varia tra eventi collaterali e concerti serali (ove per collaterale non si debba intendere “di seconda categoria” ) l’evento Manhattan Transfer, stava benissimo.

Parliamo di uno spettacolo che ha fatto il sold out al Teatro Comunale di Vicenza, 900 posti di capienza.
Accompagnati da un trio di tutto rispetto i Manhattan Transfer appaiono sul palco fedeli a se stessi e fanno un’ora e mezzo di musica di cui coloro che li conoscono bene già sanno quasi tutto: arrangiamenti vocali perfetti, di complessità notevole a dispetto dell’impatto molto diretto sul pubblico, glissando funambolici che atterrano sulla nota di arrivo con precisione matematica, dinamiche espanse all’inverosimile, swing a mille, momenti a cappella sublimati da silenzi improvvisi del trio, soli gigioneggianti ma ineccepibili formalmente e stilisticamente, interplay, acrobazie vocali compiute con la divertita ed eccitata disinvoltura di chi ha le spalle coperte da una preparazione ferrea, e in forza della quale può godersi la velocità, la caduta, la rapidissima ascesa, un po’ come credo succeda a tuffatori, acrobati, piloti ed equipaggio del bob a tre, senza rischiare troppo per la propria incolumità fisica: in fondo si tratta solo (!) di cantare. 


Musica – spettacolo, ma di altissimo livello.
Il repertorio? Quasi tutto quello che li ha fatti amare in questi 40 anni di carriera sfolgorante, compresi Java Jive, Birdland, A Tisket A Tasket, Soul Food to go (come terzo bis, con la voce registrata del fondatore Tim Hauser  scomparso quattro anni fa), altri ancora, e qualcosa dal nuovo cd un po’ più in veste bossanova – tranquilla, come spesso accade, meno coinvolgente perché il nuovo o è veramente nuovo oppure un po’ delude.

 

L’IMPATTO SU CHI VI SCRIVE

Mi sono sentita di dover avvisare i nostri lettori più esigenti, più attenti alle novità e alla sperimentazione, a volte ritenuta un valore assoluto nell’arte e nel Jazz, che questa è una recensione più che positiva su un gruppo vocale oramai storico e che non ha cambiato quasi una virgola nel modo di fare musica dalla sua nascita. Ha cambiato solo un membro del gruppo per cause del tutto naturali, come si accennava più sopra.
Premetto per correttezza che io stessa, per anni ho cantato musica arrangiata per quartetti vocali, e che alcuni dei brani che ho studiato erano proprio presi dai loro arrangiamenti.
Premetto che io amo moltissimo i Manhattan Transfer e i gruppi vocali (penso ai Take Six, anche, ma non solo) . Premetto anche che amo il Jazz mainstream e gli spettacoli musicali.
Fatte queste doverose premesse, i Manhattan Transfer mi sono sembrati strepitosi. Dal vivo li avevo visti una sola volta moltissimi anni fa. Poi li ho sempre ascoltati nei dischi. Speravo facessero i pezzi più noti del loro repertorio, e li hanno fatti. Speravo nelle loro coreografie, nella loro comunicativa, nella loro musica di intrattenimento, certo, ma complessa, strutturata, a partire dagli arrangiamenti, per arrivare alla precisione quasi maniacale volta ad ottenere determinati effetti, senza mai separare il virtuosismo dalla capacità di coinvolgere il pubblico. E le mie aspettative non sono state deluse, anzi!
I Manhattan Transfer portano in scena se stessi, e vale la pena di andarli ad ascoltare dal vivo, almeno una volta, fino a che suoneranno, perché quando non ci saranno più li si andrà a cercare su Youtube come testimonianza di musica di altissimo livello.  E’ un gruppo straordinario di musicisti, che fanno ottima musica, con la quale trascinano un pubblico del tutto eterogeneo.
Voglio rassicurare i musicisti avanti, anche i più sperimentatori, e ai fruitori della loro musica, che li amo e ascolto il loro lavoro con attenzione, cura, ammirazione.
Consiglio di andare ad ascoltare questo gruppo di musicisti, una volta nella vita: l’ intrattenimento e lo spettacolo possono essere di grande qualità.
Nella foto qui sotto scattata da Daniela Crevena : i Manhattan Transfer ed il loro selfie con il pubblico che li acclama. Noi li abbiamo trovati bellissimi.

Altri concerti seguiti a Vicenza:
Gavino Murgia e Cantar Lontano Officium Divinum 

 

 

JazzMI: ovvero le MI..lle facce del jazz!

La prima edizione di JAZZMI era partita l’anno scorso come una scommessa ambiziosa: rappresentare la storia e l’attualità di una musica complessa e in continua evoluzione come il Jazz, invitandone a Milano i protagonisti in un nuovo e grande festival diffuso nella città.

La scommessa è stata vinta, grazie alla partecipazione entusiasta del pubblico che ha riempito teatri, club, sale da concerto, gallerie d’arte e ognuno dei numerosissimi spazi del festival.

Anche la soddisfazione espressa dalle istituzioni, dagli sponsor, dagli operatori, dagli enti coinvolti a vario titolo nella manifestazione, come pure gli attestati ricevuti dagli artisti di fama mondiale presenti nel programma, ha confermato che la strada era quella giusta. Una strada che è appena agli inizi: JAZZMI è un progetto che vuole continuare a crescere e a espandersi nel territorio, dal centro alle periferie.

Questa seconda edizione di JAZZMI offre un programma ricchissimo, ancora più variegato e differenziato nelle proposte. Ci sono musicisti-icona, capiscuola, star indiscusse della storia del Jazz e nuove proposte, artisti emergenti, sperimentatori di nuovi linguaggi.

JAZZMI vuole dare conto di quanto di significativo sta accedendo oggi, in Italia e nel mondo, sotto il dinamico cielo del Jazz, le sue affinità e le sue collisioni con altre musiche e altre forme, le sue infinite influenze e diramazioni.

Ci sono ancora film e documentari inediti, mostre fotografiche, incontri e masterclass con i musicisti, reading, laboratori, residenze e feste di quartiere.

Per JAZZMI sono centrali anche le periferie.

Da sottolineare quest’anno è la presenza di importanti produzioni originali, e il coinvolgimento dei bambini in vari progetti ludici e educativi.

JAZZMI continua a collaborare con le realtà cittadine che si occupano di Jazz tutto l’anno, in una rete di sinergie che rende possibile questi 11 giorni di grande festa del Jazz.

JAZZMI ideato e prodotto da Triennale Teatro dell’Arte e Ponderosa Music & Art, in collaborazione con Blue Note Milano, è realizzato grazie al Comune di Milano, Assessorato alla Cultura, con il sostegno del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, main partner INTESA SANPAOLO, partner FLYING BLUE e HAMILTON, sotto la direzione artistica di Luciano Linzi e Titti Santini.

I punti nevralgici dei concerti come lo scorso anno sono Triennale Teatro dell’Arte e il Blue Note. Il Teatro dell’Arte torna a proporsi come luogo dell’incontro creativo tra performing arts – teatro e musica. Uno spazio per le nuove espressioni artistiche, per elaborare nuovi format di relazione tra artisti e pubblico e per sperimentare le nuove alchimie creative della contemporaneità.

Il Blue Note, Jazz club e ristorante aperto dal 2003 parte del network internazionale, è una delle realtà di punta nel panorama jazz mondiale. Nella sua sede di via Borsieri nel quartiere Isola, propone circa 300 spettacoli l’anno, che rappresentano al meglio la varietà e le contaminazioni del Jazz contemporaneo. L’atmosfera tipica del Jazz club ed il contatto ravvicinato con i musicisti completano l’esperienza, rendendo ogni serata al Blue Note un evento unico ed irripetibile.

Triennale Teatro dell’Arte ospiterà una fitta programmazione di concerti, tra gli altri: Lee Konitz, Andrea Motis e Gabriel Royal, Gaetano Liguori IDEA trio (Guest Pasquale Liguori), Shabaka & The Ancestors, Naturally 7, Nels Cline Lovers, Donny McCaslin, Rob Mazurek & Jeff Parker, Ghost Horse, Bill Frisell, Guano Padano, Gavino Murgia, Xamvolo, Gianluca Petrella, Ben L’Oncle Soul con il suo tributo a Sinatra, Mauro Ottolini, Makaya Mc Kraven, Franco D’Andrea, Harold Lopez Nussa e Francesco Bearzatti Tinissima Quartet, oltre a una mostra di fotografie di Pino Ninfa con le improvvisazioni al pianoforte di Enrico Pieranunzi.

La programmazione del Blue Note, prevede i live di: Stacey Kent, Al Di Meola, Mike Stern & Dave Weckl Band, Joe Lovano Classic Quartet, Maria Gadù e Kneebody.

Due grandi firme del panorama Jazz italiano, Stefano Bollani e Paolo Fresu, rispettivamente con due progetti particolari danno lustro alla seconda edizione di JAZZMI: il primo con una serata inedita interamente dedicata a Milano, sua città natale all’Auditorium La Verdi, il secondo accompagnato da Daniele Di Bonaventura, ospitato alla Pirelli HangarBicocca con “Altissima Luce”, un concerto dedicato al Laudario di Cortona, la più antica collezione di musica italiana, per la prima volta a Milano.

Anche per la seconda edizione JAZZMI arriverà in tutta la città, con concerti in importanti sedi come Santeria Social Club, Base Milano, Spirit De Milan e Alcatraz.

Il Teatro dal Verme vedrà esibirsi il pianista Brad Mehldau con Chris Thile, esponente della musica roots americana. Il Conservatorio aprirà le sue porte per il concerto del pianista canadese Chilly Gonzales & Kaiser Quartett che tanto successo ha riscosso in occasione della sua esibizione a Piano City 2017 e al sassofonista Jan Garbarek, in duetto con il versatile percussionista Trilok Gurtu. All’Alcatraz sono attesi i De La Soul, capostipiti del movimento Hip Hop e della Black Music moderna, oltre a Laura Mvula (in collaborazione con Radio Monte Carlo), nuova regina dell’R’n’B e del Soul contemporaneo e Mulatu Astatke con il suo ensemble africano.

Ancora tanti luoghi in programma per i concerti. La Santeria Social Club ospiterà il 3  Novembre il concerto della colorita Sun Ra Arkestra diretta da Marshall Allen e il 7 novembre il magico duo inglese Binker & Moses. Allo Spirit de Milan i nostrani Chicago Stompers con l’indimenticabile Lino Patruno, al Masada il trio Thumbscrew in cui milita Mary Halvarson appena insignita di un Grammy. A Il Mare Culturale Urbano il live della pianista francese Eve Risser, BASE Milano con la festa swing degli Electric Swing Circus e l’eclettico ensemble Abraham Inc. con David Krakauer, Fred Wesley & SoCALLED.

Jazzdo.it

JAZZDO.IT è il nuovo progetto del festival realizzato con il contributo di SIAE – Società Italiana degli Autori ed Editori. Un progetto unico in Italia, rivolto a tutti i componenti della filiera del Jazz quali artisti, etichette discografiche, festival, editori, media, operatori, associazioni, professionisti, studiosi e appassionati.

Ci saranno convegni, showcase, conferenze, incontri e masterclass con artisti e operatori del settore, tutti dedicati all’approfondimento dei temi e delle istanze del Jazz, dalla produzione discografica al live, dalla didattica all’export. L’intento è quello di creare un ambiente comune di alto profilo internazionale dove le associazioni di categoria, gli operatori e le istituzioni possano ritrovarsi, dialogare e insieme elaborare progetti per la diffusione del Jazz italiano all’estero, dando vita a collaborazioni e partnership internazionali, sull’esempio dei più virtuosi modelli europei, che saranno presenti.

Crediamo che anche questo sia uno dei compiti ineludibili di un grande festival Jazz contemporaneo proiettato al futuro, quale JAZZMI aspira a essere.

Il cuore di JAZZDO.IT si svilupperà da venerdì 10 a domenica 12 novembre nella cornice di Triennale Teatro Dell’Arte, ma durante tutto JAZZMI diversi saranno i momenti di approfondimento dedicati ai professionisti e agli amanti del Jazz.