Nasce l’ANSJ, l’Associazione nazionale scuole jazz e musiche audiotattili

Realtà del terzo settore e istituzioni pubbliche in dialogo per un nuovo modo di fare didattica: in aprile coinvolti 70 scuole pubbliche e 7.500 studenti durante il Jazz Day.

Si è costituita il 18 marzo scorso, con sede a Bergamo, l’Associazione nazionale scuole jazz e musiche audiotattili: l’ANSJ è un consorzio nazionale che, sulla spinta di numerose organizzazioni no profit, scuole di musica, reti pubbliche e realtà del terzo settore, rappresenta più di 6.000 associati tra studenti, docenti, dirigenti scolastici e operatori della didattica musicale no profit del nostro Paese.

Il direttivo, eletto unanimemente dall’assemblea, è composto dal presidente Claudio Angeleri (rappresentante del CDpM Europe di Bergamo), dal vicepresidente Diego Borotti (direttore didattico della Jazz School Torino), dal segretario Roberto Cuccia (Fondazione Orchestra Jazz Siciliana The Brass Group), Walter Donatiello (CEMM di Bussero, in provincia di Milano), Franco Caroni (Associazione Jazzistica Senese), Beppe Di Benedetto (Jazz’On Parma Orchestra), Matteo Bonti (Scuola Bonamici di Pisa), Andrea Rubini (Ama, Associazione Musica Artistica Pianengo, in provincia di Cremona) e Franca Lensi (associazione culturale Professional Drum di Collegno, nel Torinese).
Afferma Claudio Angeleri, presidente della neonata associazione e del CDpM, il Centro Didattico Produzione Musica di Bergamo: «L’ANSJ nasce per dare il via a un nuovo percorso culturale, basato sul dialogo per il “sistema” della didattica musicale in Italia con il concorso delle realtà del terzo settore e di quello pubblico, superando contrapposizioni e subalternità». Un percorso nato quindi dal basso, che chiede attenzione e riconoscimenti per le attività e i servizi svolti da parte della politica, degli organi ministeriali preposti e del legislatore. Il tutto in base agli orientamenti comunitari incentrati sulla didattica per competenze e sulla loro certificazione secondo il quadro europeo delle qualificazioni e il sistema di accumulazione e trasferimento dei crediti (EQF ed ECTS).

Al centro dell’azione educativa – secondo i promotori della neonata associazione – c’è la persona, con i suoi bisogni e le sue diversità, che variano da individuo a individuo, ma c’è anche la complessità dei processi di apprendimento con finalità educative, professionalizzanti, terapeutiche e di inclusione. Diverse esperienze innovative provengono proprio dalla didattica jazz e delle musiche audiotattili: lo studio dell’improvvisazione e del rapporto dialettico con il tempo interiore, la ricerca timbrica e del suono finalizzata alla costruzione di una propria identità sonora e il dialogo tra i musicisti sono processi che permettono all’esecutore non solo di eseguire la musica di altri, ma di autografare con originalità ogni tipo di materiale musicale.
Uno studio condotto lo scorso novembre dall’Università di Bologna per conto dell’Associazione italiana delle Scuole di Musica, a cui l’ANSJ intende aderire da subito, ha fotografato i contorni dell’offerta formativa musicale nel nostro Paese, che conta 100.000 insegnanti e un milione di studenti, di cui 25.000 con disabilità e 50.000 di origine straniera. Si tratta di un bacino di rilievo assoluto, a cui attinge e fa riferimento anche il sistema educativo pubblico per dare un titolo di studio a un percorso avviato (e spesso concluso) già nelle scuole di musica.
La stessa filiera dello spettacolo, dei festival, dei concerti e dei lavoratori del settore musicale è debitrice all’associazionismo per l’importante funzione culturale e sociale svolta nella creazione e nel rinnovamento del pubblico. Sotto il profilo occupazionale, il terzo settore rappresenta un importante ambito lavorativo per i musicisti e i neodiplomati. Infine, anche il mondo della scuola si affida, in virtù del decreto sull’autonomia scolastica del 1999, alla consulenza e alla collaborazione degli esperti delle associazioni per creare, ampliare e qualificare l’offerta formativa in musica per tutti gli studenti.

L’Associazione nazionale scuole jazz e musiche audiotattili è stata subito operativa realizzando in concomitanza all’International Jazz Day UNESCO nel mese di aprile grazie alla rete nazionale Jazz Mood School, associata ad ANSJ di oltre settanta istituti pubblici, diverse lezioni/concerto e momenti formativi, seminari e occasioni di confronto con il concorso di amministrazioni locali e regionali con la partecipazione più di 7.500 studenti. Inoltre, su iniziativa dell’Università di Scienze della Formazione di Roma Tre collabora alla realizzazione del Master accademico di II Livello sulla Musica d’Insieme ad indirizzo jazz con la partecipazione di Enrico Intra, Gianluigi Trovesi, Paolo Damiani, Tullio de Piscopo, Claudio Angeleri per la parte pratica mentre i proff. Raffaele Pozzi, Vincenzo Caporaletti, Francesca Borruso, Lorenzo Cantatore, Stefano Mastandrea, Luca Tedesco per l’area musicologica e didattica delle scienze umane.

L’obiettivo è la formazione dei docenti nei vari ambiti della didattica musicale pubblica e del terzo settore.

Intanto si apprende che una delegazione dell’Associazione Nazionale Scuole Jazz e Musiche Audiotattili composta dal presidente Claudio Angeleri, dal vicepresidente Diego Borotti, e dal consigliere Franco Caroni ha incontrato in collegamento telematico con il Ministero dell’Università e Ricerca la dott.ssa Alessandra Gallone, Consigliera del Ministro dell’Università con delega AFAM, Anna Maria Bernini e il dott. Gianluigi Consoli della Direzione generale dell’internazionalizzazione e della comunicazione MUR. Nel corso dell’incontro si è delineata la normativa vigente in materia di riconoscimento dei titoli di studio musicali in Italia con specifico riferimento al sistema EQF European Qualification Framework inaugurando un proficuo dialogo con il Ministero finalizzato all’inclusione delle scuole nazionali di musica del terzo settore nel processo di riconoscimento dei titoli di studio.

I nostri CD

ACT – Compilation in primo piano Predisporre delle compilation è impresa allo stesso tempo facile ma estremamente rischiosa. Facile perché quando si ha a disposizione un catalogo piuttosto ampio e variegato come quello della ACT risulta agevole scegliere fior da fiore e produrre un album. Il rischio, o meglio la difficoltà consiste nel trovare un filo rosso che leghi in maniera plausibile i vari artisti presentati. E crediamo che sotto questo profilo le scelte della casa tedesca risultano appropriate. Ecco quindi le tre ultime compilation che vi presentiamo in questa sede.
In “Romantic Freedom – Blue in Green” la ACT risponde a quella che è sempre stata una sua antica mission, valorizzare i giovani pianisti talentuosi che man mano si affacciavano sulla scena europea. Ecco quindi raccolti alcuni artisti – in solo, in duo o in trio – che nel corso degli anni sono diventati elementi di primissimo piano nel panorama internazionale e non solo europeo. Qualche nome: Esbjörn Svensson, Joachim Kühn, Michael Wollny, Iiro Rantala, David Helbock, Leszek Mozdzer, Johanna Summer, Bugge Wesseltoft, Carsten Dahl, Yaron Herman, Jacob Karlzon…Insomma una fotografia quanto mai esaustiva della scena pianistica europea a tutto vantaggio, sia di giovani appassionati che ancora poco conoscono, sia di “vecchi” appassionati che magari hanno voglia di sentire uno dopo l’altro alcuni dei loro pianisti preferiti.

“Magic Moments 14 – In the Spirit of jazz” è una compilation fortemente voluta dal boss dell’etichetta Siggi Loch, il quale – informa l’ufficio stampa della stessa ACT – ha personalmente selezionato con cura i migliori titoli recenti dal suo catalogo. Una accanto all’altra possiamo così ascoltare le star dell’etichetta: Nils Landgren, Emile Parisien, Nesrine, Lars Danielsson, Joachim Kühn, etc. In repertorio sedici brani che illustrano al meglio da un canto ciò che il jazz ha rappresentato nel mondo, dall’altro quale sia ancora oggi la sua capacità di unire, di creare un ponte tra gli uomini indipendentemente da qualsivoglia barriera di etnia o di religione.

“Fahrt ins Blaue III – dreamin’ in the spirit of jazz” in oltre un’ora di musica offre un momento di sincero relax pur restando a tutti gli effetti in territorio jazzistico. D’altro canto gli artisti scelti non ammettono obiezioni al riguardo. Si parte con due piccole ma luccicanti perle di Esbjorn Svensson registrato sia in piano solo sia alla testa del suo gruppo E.S.T. e si prosegue con una sfilza di nomi che hanno dato lustro al jazz europeo come, tanto per fare qualche esempio, il quartetto di Nils Landgren, il trio composto dal nostro Paolo Fresu con Richard Galliano e Jan Lundgren, le vocalist Viktoria Tolstoy e Norah Jones, Ulf Wakenius. L’album trova la sua omogeneità nella gradevolezza di tutti i brani all’insegna di una cantabilità ben lontana da qualsivoglia sperimentazione.

Harald Bergersen – “Baritone” – Losen Cantabilità che caratterizza anche questo nuovissimo album del baritonista Harald Bergersen che alla verde età di 84 continua a calcare validamente le scene e ad essere giustamente considerato una icona del jazz norvegese. In questa sua ultima fatica discografica è alla testa di un quartetto completato da Bård Helgerud (guitar), Fredrik Eide Nilsen (double bass), Torstein Ellingsen (drums & percussion). Il repertorio consta di 12 brani con cui Harald intende omaggiare alcuni grandi quali Tommy Flanagan, Billy Strayhorn, Thad Jones e Gerry Mulligan tra gli altri. Insomma una sorta di viaggio in un passato non tanto prossimo ma reinterpretato con coerenza, sincerità d’ispirazione e tanta, tanta bravura strumentale. Il quartetto si muove con leggerezza affrontando anche partiture non particolarmente semplici com’è il caso, ad esempio, di “Chelsea Bridge” un brano all’apparenza semplice ma come tutte le composizioni di Stratyhorn in realtà assai complesso da rendere efficacemente. All’ottima riuscita dell’album hanno contribuito in maniera sostanziale tutti i componenti del gruppo, dal chitarrista Bård Helgerud (lo si ascolti ad esempio in “Three and One” di Thad Jones in “Blues in the Closet” di Oscar Pettiford o in “Observing” di Helgerud con uno straniante richiamo alle musiche di Django) alla sezione ritmica quanto mai precisa e propulsiva (ammirevole Nilsen soprattutto nel già citato “Blues in the Closet”). Ma su tutti spicca sempre il sax baritono del leader, dal suono morbido, dall’eloquio forbito che richiama alla mente il post-bop non scevro da alcune sfumature ‘bossanovistiche’ se non a tratti addirittura funk.

Danilo Blaiotta – “The White Nights Suite” – Filibusta Solo due anni fa, nel 2020, Danilo Blaiotta veniva salutato come un talento emergente grazie alla buona riuscita dell’album “Departures” (Filibusta Records). Il secondo capitolo discografico del Danilo Blaiotta Trio (con Jacopo Ferrazza al contrabbasso e Valerio Vantaggio alla batteria) è questo “The White Nights Suite”. Si tratta di una composizione originale suddivisa in 11 movimenti, tutti a firma del leader, ispirata al romanzo “Le notti bianche “di Fedor Dostoevsky. L’organico che si ascolta nel disco presenta, accanto al già citato trio, Stefano Carbonelli alla chitarra elettrica, Fabrizio Bosso alla tromba e Achille Succi al sax alto e clarinetto basso. Il titolo dell’album richiama esplicitamente l’opera del grande scrittore e filosofo russo così come nel primo brano – “Fisrt Night / St. Petersburg” – è chiaro il riferimento alla passeggiata del protagonista per le strade di Pietroburgo. Di qui l’album prende man mano consistenza raggiungendo picchi di grande intensità espressiva come nel brano “The Meeting” che evidenzia da un lato Bosso il quale, abbandonato il suo virtuosismo spesso muscolare, si esprime con dolce misura, dall’altro il leader che disegna un assolo tra i più notevoli dell’intero album. Ma non è la sola perla del CD; si ascolti, ad esempio, con quale pertinenza il trio – senza ospiti – esegue “Second Night – The Dreamer” a rappresentare il dialogo tra i due protagonisti attraverso l’empatia del trio; e ancora superlativo il clarinetto basso di Achille Succi in “Nasten’ka” un pezzo dal sapore vagamente balcanico mentre in “Third Night” il linguaggio del gruppo assume colorature più prettamente jazzistiche.

Anais Drago – “Solitudo” – Cam Anais Drago è violinista di sicuro spessore, capace di inglobare nel proprio repertorio input provenienti dalle più disparate angolature. Ecco quindi dieci sue composizioni – affiancate dalla “Gnossienne” di Erik Satie da lei stessa arrangiata – in cui non è difficile scoprire le fonti da cui l’artista ha attinto per forgiare la “Sua” musica, una musica che si colloca in un contesto del tutto personale: il linguaggio non è jazzistico in senso stretto in quanto  si allontana egualmente sia dagli stilemi afroamericani,  sia dalla musica classica propriamente detta sia dalla musica contemporanea: siamo, insomma, in un contesto sonoro in cui la Drago ha modo di esprimere tutte le proprie potenzialità senza lasciarsi condizionare da alcunché ma seguendo semplicemente la propria ispirazione, cosa facile a dirsi ma non altrettanto a farsi. E così tutto l’album gode di grande coesione tanto che per gustarne la valenza occorre ascoltarlo con la medesima curiosità dalla prima all’ultima take. Tra queste sceglierne qualcuna in particolare non è impresa facile anche se ci sentiamo di segnalare il già citato brano di Satie, in apertura di album, che sviluppato su un tappeto elettronico, rivela una certa malinconia di fondo, mentre in tutte le composizioni originali appare evidente uno dei suoi principali motivi ispiratori, da lei stessa rilevato nel corso di una recente intervista: “L’improvvisazione e la sperimentazione sono elementi che ricerco in qualità di musicista, tanto quanto rifuggo in qualità di persona”.

Claudio Fasoli – “Next” – Abeat Claudio Fasoli è uno di quei rari musicisti che non sbaglia un colpo. Quando trovate un suo nuovo album state pur certi che si tratta di musica di indubbia qualità. In tanti anni di onorata carriera, il sassofonista si è guadagnato una reputazione ed un rispetto che lo collocano in cima ai migliori sassofonisti e non solo a livello nazionale. E questa sua ultima fatica discografica non fa eccezione. Registrato in quartetto nello scorso maggio, l’album presenta il sassofonista alla testa di una nuova formazione ma perfettamente in linea con quanto è stato proposto in precedenza. Insomma il Fasoli è quello che abbiamo imparato a conoscere nel corso di tutti questi anni, vale a dire non solo un esecutore di assoluto livello ma anche un compositore che conosce perfettamente l’arte di fare musica. In effetti tutti e sette i brani contenuti nel CD sono sue composizioni e alternano momenti di grande intensità ritmica sì da richiamare abbastanza esplicitamente il mondo rock ad atmosfere in cui si sfiora atmosfere più vicine al nuovo jazz europeo, il tutto senza trascurare una certa cantabilità. Da sottolineare il sottile gioco sulle dinamiche, l’uso dei silenzi, il ricorso ad una variegata palette di colori. Ma quel che rende questo album degno della massima attenzione è sempre lui, Claudio Fasoli, che come si accennava in apertura, non ha certo perso questa ulteriore occasione per evidenziare il suo talento. Eccolo, quindi, fraseggiare con eloquio elegante, raffinato, solo all’apparenza semplice ma in realtà frutto di anni di studio, di assiduo lavoro. Fresu, Di Bonaventura, Vacca –

“Tango Macondo” – TUK Music Paolo Fresu – popOFF- Tuk Music Ecco due album di ispirazione completamente diversa ma che hanno il pregio di essere eseguiti in modo magistrale. Il CD dedicato al tango – “Tango Macondo” – vede il musicista sardo affiancato da Daniele di Bonaventura al bandoneon, Pierpaolo Vacca all’organetto e Elisa, Malika Ayane, e Tosca alla voce in tre brani. Il repertorio si sostanzia nella colonna sonora dello spettacolo che sta girando in varie città italiane ottenendo ovunque unanimi consensi. E il perché è facilmente spiegabile: Fresu e compagni riescono a creare un clima quasi onirico in cui l’ascoltatore è portato inevitabilmente a riallacciarsi a qual luogo – Macondo – creato dalla fervida fantasia di Gabriel Garcia Marquez nel suo “Cent’anni di solitudine” e quindi a intraprendere una sorta di viaggio accompagnato dalla musica certo di ispirazione tanguera ma che non disdegna di coniugare il moderno degli effetti elettronici con l’arcaico di bandoneon e organetto. Il tutto, ovviamente, cucito dalla tromba e dal flicorno del leader che non perde occasione per evidenziarsi artista maturo, perfettamente consapevole delle proprie possibilità e quindi in grado di esprimersi sempre con squisita sensibilità. Doti che ritroviamo anche nel secondo album “popOFF” in cui il trombettista sardo ha voluto rendere omaggio alla sua città d’elezione, Bologna, attraverso la rilettura delle canzoni dello “Zecchino d’oro”. Il CD, che si avvale anche di una veste grafica particolarmente curata e accattivante, vede impegnato un organico piuttosto rilevante in cui, accanto al leader, ritroviamo Cristiano Arcelli al sax soprano, clarinetto basso, flauto e melodica, Dino Rubino al piano, Marco Bardoscia al basso, il Quartetto Alborada e la vocalist Cristina Zavalloni cui si aggiunge in un brano il flauto di Luca Devito. Certo suscita una certa curiosità ascoltare le canzoni scritte appositamente per bambini ma sulla base del vecchio ma giusto detto per cui “jazz non è ciò che si suona ma come lo si suona” ecco che melodie in origine destinate ad esecutori in tenera età, si trasformano in pezzi jazzisticamente validi grazie all’interpretazione degli artisti su citati. Ed il disco risulta davvero gradevole senza che per un solo momento si abbia la sensazione di ascoltare qualcosa di banale.

Carmine Ioanna – “Ioanna Music Company” – abeat Delizioso album firmato dal fisarmonicista Carmine Ioanna alla testa di un gruppo con Gianpiero Franco (batteria), Eric Capone (pianoforte e tastiere), Giovanni Montesano (basso e contrabbasso) cui si sono aggiunti in qualità di ospiti Francesco Bearzatti (sax tenore e clarinetto), Gerardo Pizza (alto sax), Daniele Castellano (chitarra), Sophie Martel (sax soprano). L’album ha una storia particolare essendo stato concepito nei mesi scorsi, vale a dire in uno dei periodi più difficili che l’Italia del dopoguerra abbia attraversato, e registrato al teatro “Adele Solimene” di Montella (Avellino) nei primissimi giorni di maggio del 2021 dopo tanti mesi di isolamento, necessariamente lontani dai palcoscenici. Di qui l’idea, esplicitata dallo stesso Carmine nelle brevi note che accompagnano il CD, di pensare “Ioanna Music Company” come non “solo un album bensì un progetto di condivisione umana e artistica”. Logica, perciò,   la scelta di coinvolgere alcuni musicisti e tecnici di grande profilo e soprattutto di grande affinità. Il risultato, come si accennava in apertura, è più che positivo; la musica scorre come una sorta di racconto in cui ognuno può ritrovare le proprie emozioni mantenendo sempre una propria omogeneità. Tutti i brani meritano di essere ascoltati anche se le nostre preferenze vanno alla title track, sette minuti di rara intensità, sottolineati da brevi assolo dei fiati e da un andamento ritmico particolarmente serrato e al successivo “Postcard From Dreamland” un breve bozzetto (inferiore ai due minuti) di toccante dolcezza. Quasi inutile sottolineare come ancora una volta Ioanna si conferma tra i migliori fisarmonicisti oggi in esercizio e non solo nel nostro Paese. Hermon Mehari, Alessandro Lanzoni –

“Arc Fiction” – MIRR Duo senza rete questo che vede protagonisti il trombettista statunitense ma parigino d’adozione Hermon Mehari (classe 1987) e il nostro pianista Alessandro Lanzoni (nato nel 1992) impegnati nel loro primo album in duo registrato nel marzo 2021 e pubblicato il 10 ottobre scorso. Il combo funziona bene: i due si intendono alla perfezione e così la musica scorre fluida, interessante senza che in un solo momento si noti la carenza di altri strumenti. I due amano scambiarsi il ruolo di prim’attore così quando è il pianoforte a dettare la linea, la tromba è pronta a ricevere il testimone e viceversa in un alternarsi di intrecci mai scontati. In repertorio undici brani di cui ben dieci originali (scritti o a due mani o singolarmente dal trombettista e dal pianista) e il celebre “Donna Lee” di Charlie Parker. In particolare “End of the Conqueror”, “B/Bb”, “Reprise in Catharsis”, “Volver”, “Peyote”, “Boston Kreme” e “Penombra” sono stati composti da Mehari e Lanzoni, mentre “Savannah” e “Fabric” sono opera del solo pianista, così come “Dance Cathartic” è da attribuire al solo trombettista. La caratteristica principale dell’album è la godibilità della musica che pur non essendo scontata o banale riesce comunque a farsi ascoltare dal primo all’ultimo minuto. In tale contesto individuare le parti scritte e quelle improvvisate è tutt’altro che facile (si ascolti al riguardo sia “Savannah” sia “Fabric”) dato che i due artisti possono fare affidamento su una squisita sensibilità e su una indubbia preparazione tecnica. Di qui la difficoltà di segnalare qualche brano in particolare anche se personalmente troviamo “Dance Cathartic” particolarmente elegante e ben strutturato.

Angela Milanese – “Racconto italiano” – Caligola Partiamo da un presupposto: le canzoni non sono qualcosa di sciocco, senza importanza ma rappresentano la colonna sonora della nostra vita quotidiana. Basti confrontare i testi degli anni’30 con le composizioni di oggi per rendersi conto di quanto questa affermazione sia veritiera. Se non si ha, quindi, la puzza sotto il naso dei “veri intenditori di jazz” questo è un album che può essere ascoltato con interesse e, perché no, con piacevolezza. Lei è una vocalist-compositrice di squisita sensibilità e ad accompagnarla sono musicisti di rilievo come Paolo Vianello nella duplice veste di pianista-tastierista e arrangiatore, Alvise Seggi al contrabbasso e Luca Colussi alla batteria. In cartellone dieci brani che accompagnano l’ascoltatore in una sorta di viaggio immaginario dagli anni ’30 fino ai giorni d’oggi. La Milanese rilegge questi pezzi secondo la propria cifra stilistica ben coadiuvata da Vianello e compagni. Così canzoni famose come “Ma le gambe” (1938), “Bellezze in bicicletta”, “Un’estate fa”, “Domani è un altro giorno”, “Rosalina” (1984)…tanto per citare qualche titolo, rinascono a nuova vita pronte per essere apprezzate anche dai più giovani che forse mai le hanno ascoltate nella versione originale. Un’ultima non secondaria notazione: l’album è stato registrato durante un concerto svoltosi il 23 maggio del 2019 all’Auditorium Candiani di Mestre, e la dimensione live riflette ancor meglio la bravura dei musicisti che danno vita ad una performance a tratti trascinante.

Bernt Moen Trio – “The Storm” – Losen Il pianista norvegese Bernt Morten è artista poliedrico capace di transitare con estrema disinvoltura da un linguaggio prettamente jazzistico a forme espressive molto prossime al funk e alla fusion. In questa sua ultima realizzazione, registrata nel febbraio del 2021, l’artista torna sul terreno che forse gli è più congeniale vale a dire quello del classico piano trio. Ad accompagnarlo il batterista Jan Jnge Nilsen e il bassista Fredrik Sahlander. In repertorio dodici brani tutti composti dal leader e tutti caratterizzati da una solida struttura e quindi da un profondo senso dello spazio. I tre si muovono con empatia tanto che risulta assai difficile distinguere le parti improvvisate da quelle scritte. Nonostante il linguaggio sia jazzistico nell’accezione più comune del termine, tuttavia in alcuni frangenti si avverte, prepotente, l’eco della tradizione compositiva europea. E’ il caso, ad esempio, del secondo brano in programma “Majestic”, e di altri tre brani, “Ode”, “Floating” e “Sakral” tutti presentati in piano solo in cui, come si accennava, è ben presente una certa atmosfera Romantica. Assai ben costruita la title track che si apre con una intro per piano solo dopo di che i tre improvvisano ben sostenuti dalla batteria. Convincente anche “Passing By, Not Too Fast, Not Too Slow”, il brano più lungo dell’album con i suoi 6’21, in cui Moen e compagni mescolano sapientemente elementi tratti dal jazz così come dal folk, con Fredrik Sahlander in grande spolvero.

Jorge Rossy – “Puerta” – ECM Debutto come leader in casa ECM per Jorge Rossy che si presenta nella duplice veste di compositore (nove dei dieci brani dell’album sono dovuti alla sua penna) ed esecutore. Impegnato al vibrafono e alla marimba dirige un trio completato da Jeff Ballard batteria e percussioni e Robert Landfermann basso. Jorge è quel che si definisce un musicista a 360 gradi: nasce nel 1964 a Barcellona in una famiglia di musicisti, il padre Mario suona piano, chitarra e fisarmonica, ed ha accanto a sé un fratello e una sorella anch’essi musicisti. Inizia così a suonare la batteria all’età di undici anni e nel 1978 comincia a studiare percussioni classiche. Nel 1980 studia armonia jazz e improvvisazione, suonando piano e vibrafono; l’anno successivo inizia a suonare anche la tromba ma lo strumento principale, con cui comincia ad esibirsi professionalmente, è la batteria. Ed è con questo strumento che si fa conoscere collaborando per una decina d’anni con Brad Mehldau. Come si accennava in quest’ultimo lavoro discografico si cimenta al vibrafono e alla marimba con risultati assolutamente eccellenti. Contrariamente a quanto forse ci si potrebbe aspettare da un batterista, in questo album Jorge suona quasi per sottrazione, le note che intona sui suoi strumenti sono poche, sillabate, distillate si potrebbe dire come a voler far respirare la musica. In ciò ben coadiuvato dai due partners che assecondano questo gioco di sottili rimandi, senza eccedere in alcun momento. Dopo aver attraversato varie atmosfere, garantendo anche un pizzico di swing (cfr “Post-Catholic Waltz”) il CD si chiude con un brano dal sapore tanguero, dal significativo titolo “Adios”.

Daniela Spalletta – “Per Aspera ad Astra” – TRP Music La Sicilia continua a proporsi come terra di talenti: proprio dall’Isola arriva infatti questo album della vocalist Daniela Spalletta che definire eccellente forse è poco. Ben coadiuvata da Jani Moder alla chitarra, Seby Burgio al pianoforte, Alberto Fidone al contrabbasso e basso elettrico e Giuseppe Tringali alla batteria cui si aggiunge la TRP Studio Orchestra, ci propone una sorta di viaggio introspettivo al cui termine c’è comunque una luce vitale. Ora, mettere in musica tali concetti, è impresa piuttosto ardua eppure la vocalist siciliana ha in certo qual senso centrato l’obiettivo dal momento che ascoltando l’album si ha come la sensazione di estraniarsi dal presente per immergersi in un flusso sonoro che ci conduce in un altrove non meglio identificato. Sacerdotessa del tutto è lei, la Spalletta, che usa la voce come uno strumento e che non disdegna di sdoppiarsi con la tecnica della sovraincisione pur di restare fedele al suo complesso disegno compositivo. Disegno che si svela man mano con il procedere dell’album declinato attraverso dodici brani tutti scritti ed arrangiati dalla stessa leader la quale si assume per intera la responsabilità dell’album: è lei che l’ha concepito, è lei che ne ha scritto ed arrangiato i pezzi, è lei che ha immaginato e conseguentemente scelto l’organico, è lei che ha saputo sapientemente dosare sia gli interventi dei compagni di viaggio sia le parti improvvisate ivi compreso lo scat che si ascolta in “Samsara”…insomma un’opera davvero complessa che denota il ritratto di un’artista completa, in grado di ricoprire tutte le parti in commedia.

Pasquale Stafano – Sparks – enja Quella del piano trio è una formula ancora oggi molto frequentata dai musicisti e, anche se ovviamente non è possibile raggiungere i fasti del passato (si pensi solo al celeberrimo trio Evans Motian LaFaro) tuttavia ci sono jazzisti che riescono ancora a dire qualcosa di originale. Tra questi è il pianista Pasquale Stafano che si ripresenta con un nuovo trio completato da Giorgio Vendola al basso e Saverio Gerardi alla batteria. L’album, registrato il 25 gennaio del 2021, si articola su otto brani tutti composti dal leader che conferma così la sua statura di musicista a 360 gradi. E le composizioni appaiono tutt’altro che banali: in effetti, oltre a presentare una solida struttura di base, si fanno apprezzare per la varietà di atmosfere che propongono, dal jazz canonico alla musica classica, dal funk fino a certi frammenti riconducibili al progressive-rock. In questo mutare di situazioni il ruolo di contrabbasso e batteria è importante: si ascolti ad esempio Vendola in “Mirror of Soul” e Gerardi in “Clocks” per avere un’idea di quale contributo i due abbiano dato alla riuscita dell’incisione. Comunque il filo conduttore è rappresentato dallo stile di Stafano che riesce a transitare da un terreno all’altro con estrema disinvoltura grazie ad una tecnica sopraffina e ad un linguaggio fluido e preciso. Tra i vari brani particolarmente riusciti “Three Days Snow” e “Remembrance” ambedue velati da una leggera malinconia che richiama atmosfere nordiche. L’album si conclude con “The Roller Coaster” introdotto dal contrabbasso suonato con l’archetto che a circa 40 secondi dall’inizio registra l’intervento di pianoforte e batteria per un’esecuzione su tempo veloce con il leader sempre in pieno controllo del materiale sonoro. Virginia Sutera,  Ermanno Novali –

“Duo Sutera Novali” – Aut records Ecco un altro duo che si muove su direttrici completamente diverse da quelle che vedevano protagonisti i su citati Hermon Mehari e Alessandro Lanzoni. Qui siamo su un terreno molto complesso e quindi per sua natura scivoloso: quella ”striscia di terra feconda” (per usare il titolo di una felice rassegna) che si pone tra musica classica e jazz. In effetti i due musicisti – la violinista Virginia Sutera e il pianista Ermanno Novelli – pur essendosi affacciati da poco sulla scena musicale, possono vantare una buona conoscenza di ambedue i generi musicali. E così l’album, registrato alla Sala Piatti di Bergamo il 12 aprile del 2019, in occasione dell’International Jazz Day, presenta una suite in cinque movimenti composti a quattro mani. Ad un primo ascolto sembra che le parti siano scritte dalla prima all’ultima nota ma in realtà si tratta di una improvvisazione che si sviluppa momento dopo momento collocandosi apertamente nell’area della musica contemporanea. Ciò detto, preso atto dell’abilità strumentale dei due, resta il fatto che, almeno a nostro avviso, si avverte come la sensazione di un lavoro non perfettamente compiuto, come se ci fosse ancora qualcos’altro che i due non hanno avuto la possibilità…o il coraggio di esplorare. Insomma un duo di livello ma da cui ci aspettiamo qualcos’altro di più convincente, anche perché il tutto scaturisce da quello straordinario laboratorio di ricerca musicale condotto a Siena da Stefano Battaglia.

Ayumi Tanaka – “Subaqueous Silence” – ECM Titolo molto pertinente per questo nuovo lavoro discografico della pianista nipponica Aymi Tanaka che come Jorge Rossy è al debutto da leader per la ECM. Per l’occasione si presenta in trio con Christian Meaas Svendsen al contrabbasso e Per Oddvar Johansen alla batteria. Si tratta di due musicisti norvegesi e la cosa non stupisce più di tanto ove si tenga conto di due fattori: innanzitutto che la pianista, attratta dalla musica improvvisata norvegese, nel 2011 decise di trasferirsi a Oslo e, in secondo luogo, che proprio nella capitale norvegese ebbe modo di incontrare i due artisti su citati con i quali collabora quindi da oltre dieci anni. Così nel 2016 è stato pubblicato “Memento” per AMP Records. E i frutti di questa lunga collaborazione sono nuovamente a disposizione di tutti ben evidenti: l’intesa fra i tre è praticamente perfetta pur nell’esecuzione di un repertorio tutt’altro che banale. La musica proposta dal trio è lontana da come siamo abituati ad immaginare la musica jazz: nei brani della Tanaka non c’è ombra di swing, ma un   rigore quasi ascetico nell’interpretare partiture che potremmo definire ‘cameristiche’ pur nella consapevolezza che una musica del genere va ascoltata rifiutando qualsivoglia etichettatura. I tre si muovono lungo direttrici che privilegiano atmosfere rarefatte, in cui anche il silenzio gioca un ruolo importante nella ricerca di spaziature così presenti nella musica classica giapponese. Tra i sette brani del CD spicca “Ruins II” in cui la pianista sembra quasi lasciarsi andare ad una sorta di quella dolce malinconia che caratterizza la musica ‘nordica’ e norvegese in particolare.

Eberhard Weber – “Once Upon a Time” – ECM L’altra volta ci eravamo soffermati sulle realizzazioni discografiche per solo basso. Adesso è la volta di un altro grande specialista dello strumento, Eberhard Weber, che ci presenta una registrazione live effettuata al Teatro des Halles di Avignone nell’agosto del 1994, nell’ambito del Barre Phillips’ Festival International De Contrebasse.  L’album acquista un rilievo particolare ove si tenga conto che il jazzista nel 2007 è stato colpito da un ictus che lo ha praticamente estromesso dalle scene, anche se non si tratta del primo album registrato in solitudine dal tedesco. Ricordiamo, al riguardo, “Pendulum” (1993) interamente composto da brani in cui l’unico strumento che li esegue è il contrabbasso, mixato in maniera stratificata per creare diversi effetti sonori e “Résumé” che raccoglie pezzi di varie esibizioni registrate tra il 1990 e il 2007. C’è da sottolineare come proprio dopo questi due album Weber abbia iniziato ad incidere piuttosto copiosamente anche da leader dal momento che in precedenza si era fatto apprezzare soprattutto nel gruppo guidato dal sassofonista norvegese Jan Garbarek. In questo “Once Upon…” Weber offre un ulteriore saggio delle sue grandi qualità. Tutti i brani (di cui alcuni sono tratti dai precedenti album dello stesso Weber, “Orchestra” ECM 1988 e il già citato “Pendulum” ECM 1993) sono degni della massima attenzione anche se, personalmente, preferiamo il sempre verde “My Favorite Things” interpretato con originalità e “Trio for Bassoon and Bass” in cui il contrabbassista evidenzia la sua versatilità nell’improvvisare per parecchi minuti senza soluzione di continuità.

Paul Wertico – “Letter from Rome” – Alfa Music Quando in un combo c’è Paul Wertico si ha la quasi certezza che si tratti di musica eccellente. E anche questa volta la situazione è proprio questa: alla testa di un trio completato da Fabrizio Mocata al piano e Gianmarco Scaglia al contrabbasso, il batterista statunitense non si smentisce e propone un album interessante. In programma nove brani scritti in vari incroci dai tre musicisti con l’aggiunta di un classico della musica leggera italiana, “Vecchio Frak” di Domenico Modugno, un brano che ha già attirato l’attenzione di parecchi jazzisti tra cui Fabrizio Bosso e Marco Tamburini; il trio ne dà un’interpretazione personale e convincente: dopo un’introduzione del basso che disegna la linea melodica, è la volta di Fabrizio Mocata a concepire un assolo che gira attorno alla melodia per approdare, quando entra in campo anche la batteria, su un terreno completamente improvvisato, oramai ben lontano dalla partitura originale. Ed è un po’ questo il canovaccio su cui si sviluppa la musica per tutto il CD, vale a dire l’accenno ad una linea cantabile (introdotta dal piano o dal contrabbasso) e poi i tre che si lasciano andare ad improvvisazioni spesso trascinanti che denotano, oltre ad un’ovvia intesa (Wertico e Scaglia avevano già inciso un altro album, “Dynamics in Meditation”, Challenge Records 2020) la gioia di fare musica, di suonare assieme. Il tutto impreziosito dagli assolo di Paul che si conferma uno dei migliori batteristi oggi in esercizio: ascoltate attentamente il modo in cui tratta i piatti, suo vero e proprio marchio di fabbrica.

Gerlando Gatto

Roma: l’International Jazz Day a Monte Mario – Il jazz quale fattore di aggregazione

Molti sono stati i modi di festeggiare l’International Jazz Day, con grandi e piccole iniziative. Ci piace dare informazioni su “Musica, parole e immagini in jazz”, manifestazione a cura del batterista Ivano Nardi in collaborazione con l’Associazione Laboratorio Stabile, che si è tenuta il 28 aprile scorso, a Roma nel quartiere Monte Mario, presso l’auditorium dell’Istituto Comprensivo “P. Stefanelli”, sede di via Taverna. Siamo, quindi, in una scuola dove – oltre alle consuete ed indispensabili attività didattiche – un’associazione sta realizzando corsi di musica e rassegne, aprendosi ai cittadini e fornendo un servizio culturale che, spesso, sul territorio è limitato se non inesistente.

In questa occasione speciale – dalle 17 alle 20 circa – si sono alternati suoni e discorsi, immagini e suggestioni in una variata alternanza di stili, soggetti, riferimenti a quella musica di matrice afroamericana che è diventata ormai una patrimonio “immateriale” dell’umanità, riconosciuto dall’UNESCO nel novembre 2011, con la proclamazione del 30 aprile come Giornata Internazionale del Jazz. Di questa musica è stata valorizzata proprio la capacità di connettere culture e creare incontro, di unire persone e popoli in un messaggio di fratellanza. Di ciò ed altro ha parlato il promotore Ivano Nardi, sottolineando l’importanza di portare la cultura fuori dai “salotti buoni” e di impegnarsi perché ci siano occasioni di conoscenza in un quartiere che ha le sue problematiche e in una situazione storica in cui chi governa va nella direzione opposta all’accoglienza e all’intercultura. Spesso, ha sottolineato il batterista-organizzatore, le istituzioni sono assenti ed allora emerge il valore di autogestirsi, con le mille questioni aperte del jazz nel suo rapporto con il sociale, con il mercato, con la critica musicale. “Musica, parole e immagini”, dunque, come forma di integrazione e miglioramento delle condizioni sociali.

Sono intervenuti vari musicisti e operatori che è giusto ricordare per la loro presenza disinteressata: il Cermic Duo con Francesco Mazzeo e Lillo Quaratino; il quartetto con Lucia Ianniello, Marco Tocilj, Paolo Tombolesi e lo stesso Nardi; l’altro duo R-Esistenza Jazz con Giulia Salsone e Mauro Nota; l’Ivano Nardi Trio (Eugenio Colombo, Igor Legari) con ospiti Sandro Satta e Marco Colonna; la scrittrice e regista Carola De Scipio che ha mostrato in anteprima immagini dal suo lavoro “Music In, Music Out” dedicato al famoso jazz club romano Music Inn; il duo di Donatella Luttazzi (che ha presentato una nuova composizione dedicata al padre, Lelio) ed un sestetto con la Luttazzi, Sonia Cannizzo, M.Tocilj, P.Tombolesi, Daniele Basirico e Carlo Battisti; l’Esacordo Big Band diretta da Giuseppe Salerno che è espressione di una realtà didattica di quartiere. Un paio delle formazioni erano intitolate e ricordavano la figura di Massimo Urbani, uno dei più grandi jazzisti italiani che è importante rammentare e celebrare a Monte Mario dove è nato e vissuto.

Tra le proposte, tutte di valore, di particolare interesse è stata “Musica e progresso sociale: Horace Tapscott’s Dream. Proeizione e filmato e brani della Pan-Afrikan Peoples Arkestra” di Lucia Ianniello che ha condotto importanti ricerche sulla figura del pianista e compositore di Los Angeles. Tapescott ha volutamente rinunciato ad una carriera internazionale per dedicarsi al suo quartiere e alla creazione di strutture e condizioni che potessero aiutare i suoi abitanti a crescere nella musica e nella speranza. Con varie testimonianze (tra cui quella del batterista Billy Higgins) l’intervento curato da Lucia Ianniello ha fatto vedere come l’utopia di Horace Tapscott si sia trasformata in una realtà anche oltre la sua morte, lasciando al quartiere di Watts una ricca realtà sonora e associativa, proprio quello di cui molte periferie romane – oggi schierate sul fronte del razzismo, del rifiuto e della violenza – avrebbero bisogno.

 

Luigi Onori

Sempre in primo piano il vulcanico Paolo Fresu

 

E’ nota la particolare – per certi versi unica – capacità di concentrazione, creatività ed impegno artistico-intellettuale di Paolo Fresu, da poco presidente dell’Italian Jazz Federation (IJF). Tra il 27 aprile ed il 1° maggio il trombettista-flicornista ha partecipato all’”Umbria Jazz Spring” a Terni, suonando in diversi contesti: insieme al violoncello di Giovanni Sollima e all’Orchestra da Camera di Perugia in un nuovo progetto, in duo con Daniele Di Bonaventura (alla Cascata delle Marmore) e con il quartetto Devil (Bebo Ferra, Paolino della Porta e Stefano Bagnoli). Il 30 aprile era a Verona (teatro Ristori) per l’International Jazz Day con “Lumină”, progetto ideato e realizzato insieme a cinque musicisti pugliesi: la vocalist Carla Casarano, la violoncellista Leila Shirvani, il pianista William Greco, il contrabbassista Marco Bardoscia, il batterista/percussionista Emanuele Maniscalco. In realtà è stato Fresu a pensare integralmente il progetto per la propria etichetta Tŭk Music, concependo un’intera opera intorno al tema della “Luce”, con suggestioni letterarie riprese da Erri De Luca, Lella Costa, Marcello Fois e Flavio Soriga.

Non si vuole, qui, tessere elogi in modo acritico, semplicemente mettere in fila dei fatti e sottolineare come l’artista Fresu riesca a seguire in contemporanea svariate iniziative e a cambiare in tempo reale veste e ruolo senza perdere la sua personalità, sfaccettandola invece in innumerevoli aspetti che le donano una maggiore lucentezza.

Il 23 aprile, ad esempio, era a Roma per inaugurare al teatro Eliseo il festival “Special Guest”, organizzato dal Saint Louis College of Music. Il trombettista proveniva dalle prove a Perugia con Sollima ed aveva, nella mattinata, avuto un importante incontro istituzionale mentre il 24 era già pieno di impegni. Essendo personalmente la sera occupato a seguire un concerto all’Auditorium (l’argentino Aca Seca Trio), ho chiesto ed ottenuto il permesso di assistere alle prove del recital dell’Eliseo. Nove i brani in programma, tutti di Paolo Fresu ma in appositi arrangiamenti per il Saint Louis Ensemble, formazione orchestrale diretta dal vulcanico Antonio Solimene. Gli arrangiamenti, davvero pregevoli, sono opera di Luigi Giannatempo a parte tre brani: “Paris” e “Un tema per Roma” affidati a due giovani ricchi di talento come Fabio Renzullo e Filippo Minisola. Anche un tema popolare sardo, “Duru duru durusia”, è stato proposto in un brillante – e complesso – arrangiamento di Giovanni Ceccarelli.

Assistere alle prove è stata un’occasione per apprezzare la qualità del jazz italiano in senso proprio ed in senso lato. Paolo Fresu è stato, da par suo, concentratissimo, attento e partecipe. Ha suggerito qualche modifica, dispensato complimenti ad orchestrali ed arrangiatori, provato e riprovato – quando necessario – con l’umiltà ed il carisma dei grandi artisti. I nove brani della scaletta percorrevano un vasto periodo, con composizioni dei primi anni (“Opale”, “Fellini”) fino a temi più recenti: oltre ai già citati, erano previsti “Walzer del ritorno”, “Trasparenze”, “Tango della buona aria”, “E varie notti”. Il Saint Louis Ensemble è stato impeccabile, professionale ed ispirato durante le prove, pronto a seguire il vigoroso direttore Solimene, a ripetere parti di brani, ad eseguire in modo perfetto gli arrangiamenti conferendo, tuttavia, alla musica il necessario calore. Qualche esempio. In “Un tema per Roma” le partiture sostengono un tema semplice ed ispirato, come il solo di Fresu che ora rallenta, ora illumina, ora velocizza. In “Parigi” si crea un’atmosfera vellutata ed intima, con flauto e clarinetti in sezione, e con l’apporto del sax soprano (Gabriele Pistilli) l’orchestra è pronta a lanciare un liberatorio solo di flicorno.

Finite le prove, democraticamente, Paolo Fresu, Antonio Solimene e l’orchestra decidevano la scaletta del concerto serale che sarà stato magnifico, come le prove pomeridiane nella loro dimensione di laboratorio ad uno stato già avanzatissimo.

Mi sembra, infine, giusto ricordare tutti i membri del Saint Louis Ensemble: Maurizio Leoni, sax alto e flauto; Gabriele Pistilli, sax tenore e sax soprano; Luigi Acquaro, sax tenore e clarinetto; Luca Padellaro, sax baritono e clarinetto basso; Mario Caporilli, tromba; Antonio Padovano, tromba; Giuseppe Panico, tromba; Elisabetta Mattei, trombone; Federico Proietti, trombone basso e basso tuba; Andrea Saffirio, piano; Fabrizio Cucco, basso e Alessio Baldelli, batteria.

Il festival “Special Guest” ritornerà il 10 e 15 giugno con gli ospiti Fabrizio Bosso & Serena Brancale e Javier Girotto & Martín Bruhn.

Luigi Onori

Latin Bossa Experience all’Elegance, il jazz dal sapore latino

Un gruppo di studio della musica latino americana nato tra le mura dell’iMusic School Rome il cui repertorio abbraccia brani noti del genere, scritti dal grande Antonio Carlos Jobim spingendosi alla ricerca di pezzi di musica meno frequentati fino ad esplorare quelle song scritte da grandi jazzisti quali Joe Henderson ed Horace Silver, in puro stile latin-jazz. La direzione e gli arrangiamenti sono di Angelo Schiavi. Dalla mezzanotte, festeggiamenti per l’International Jazz Day.
Sul palco Stefano Novello (flauto), Vittorio Gervasi (sax), Enrico Guarino (sax), Dario Filippi (trombone), Francesco Pandolfi (piano), Massimo Santacesaria (basso) e Fiorenzo Pompei (batteria), Stefania Patanè (voce), Fernando Brusco (tromba) e Attilio Costa (chitarra).

domenica 29 aprile
Ore 21.30
Elegance Cafè Jazz Club
Via Francesco Carletti, 5 – Roma
Euro 20 (concerto e prima consumazione)
Infoline + 390657284458

La scomparsa di Hugh Masekela nel suo Sudafrica: una tromba contro tutte le ingiustizie

Il 23 gennaio, dopo aver lottato contro la malattia, l’ultima delle sue tante battaglie, è scomparso a 78 anni, il trombettista e vocalist sudafricano Hugh Masekela. Ieri, su tutti i media mondiali, rimbalzando sui social, l’annuncio della famiglia: “dopo una lunga e coraggiosa battaglia contro un cancro alla prostata, si è spento serenamente a Johannesburg, Ramapolo Hugh Masekela, circondato dall’affetto dei suoi cari. È stato un padre, un fratello, un nonno e un amico amorevole. I nostri cuori sono profondamente colpiti da questa incolmabile perdita”. La famiglia ricorda anche il fondamentale ed attivo contributo del musicista alle arti, alla musica, al teatro, che rimarrà nell’anima e nella memoria di milioni di persone in ogni continente: un lascito di amore e di avanguardia creativa che attraversa il tempo e lo spazio.

Masekela, conosciuto anche affettuosamente con il nomignolo Bra Hugh, era considerato uno dei padri dell’Afro-Jazz. Un destino di lotta segnato, il suo: a 14 anni ricevette in dono la sua prima tromba da uno dei personaggi che hanno fatto la storia dei movimenti per i diritti civili in Sud-Africa, Padre Trevor Huddleston, che Nelson Mandela definì un pilastro di saggezza, umiltà e dedizione alla causa dei combattenti della libertà, nei momenti più bui della battaglia contro l’apartheid.

La sua biografia racconta che Masekela, dopo essere stato scritturato, nel 1959, dal pianista e compositore Todd Matshikiza per il musical “King Kong” (dove conobbe quella che sarebbe divenuta in seguito sua moglie, “Mama Afrika” Miriam Makeba) decise, l’anno successivo, di lasciare la sua terra, dopo il massacro di Sharpeville, nel quale perirono una settantina di dimostranti, uccisi dalla polizia. Hugh scelse la città di New York e questo fu l’inizio di un periodo di esilio durato trent’anni. A Manhattan, Hugh frequentò la scuola di musica e i numerosi club di jazz, assorbendo l’influente apporto di artisti quali Coltrane, Davis, Gillespie, Armstrong… e furono proprio questi ultimi a spronarlo a sviluppare il suo stile di jazz, d’ispirazione africana e scevro dagli influssi americani. Nacque così, nel 1963, “Trumpet Africaine”, suo album d’esordio. Fu, tuttavia “The Americanization of Ooga Booga”, album registrato dal vivo nel 1966, che lo stesso Masekela catalogò come “township bop”, un mix di sonorità proprie del jazz americano con massicce influenze della tradizione musicale sudafricana, a portarlo al successo, poco prima che il trombettista decidesse di trasferirsi a Los Angeles.

Qui, determinanti furono gli incontri con alcune delle icone del movimento hippy, come David Crosby e Peter Fonda e la sua crescente popolarità, ma soprattutto la sua indiscutibile bravura, gli valsero importanti featuring con i Byrds in “So You Want To Be A Rock&Roll Star”, Janis Joplin, Jimi Hendrix, gli Who, Otis Redding (nel 1967, sul palco del Monterey Pop Festival) e molti altri, al punto che il singolo strumentale “Grazing In The Grass” gli fece scalare, nel 1968, la Billboard Hot 100 chart, vendendo quattro milioni di copie ed elevandolo al rango di star mondiale.

Da quel momento, la carriera di Bra Hugh è inarrestabile: pubblica decine e decine di album, collaborando con artisti internazionali: Harry Belafonte, Stevie Wonder, Marvin Gaye… La nostalgia della sua terra lo spinge anche a ritornare in Africa, spostandosi dalla Guinea al Ghana e dallo Zaire alla Nigeria, e alcuni dei suoi album storici li compone proprio in quella terra. Ricordo con piacere l’incalzante afrobeat di “Lady” di Fela Kuti, con il quale Hugh visse per qualche tempo in Nigeria, insieme a Stewart Levine… un brano di una forza irruente che ti percuote l’anima. Esattamente come il gradevolissimo “Skokiaan”, con il trombettista statunitense Herb Alpert, una ben bilanciata fusione di South African-American pop jazz.

Desidero ricordare anche “Stimela – The Coal Train”, brano dedicato ai lavoratori delle miniere di Johannesburg e contenuto nell’album “Hope”, registrato dal vivo nel 1993 alla Blues Alley, di Washington, che Hugh, in un concerto a Lugano nel 2015, volle ri-dedicare a tutte le vittime dei “signori della guerra”, in particolar modo alle popolazioni dell’Africa sub-sahariana. Infine, non si può tralasciare “Bring Him Back Home (Nelson Mandela)” che divenne un inno di protesta anti-apartheid e che il trombettista suonò e cantò anche sul palco del memorabile concerto di Paul Simon, “Graceland – The African Concert”, tenutosi nello Zimbabwe, nel 1987 e all’International Jazz Day Global Concert del 2015, a Parigi, sede del quartiere generale dell’Unesco, con John Beasley, Marcus Miller, Mino Cinélu, Guillaume Perret, Lee Ritenour, Avishai Cohen, Kelly Lee Evans e Michael Mayo.

Nel 1990, Masekela fa ritorno nella sua Johannesburg e nel 2004 pubblica la sua autobiografia “Still Grazing”, nella quale non fa mistero dei suoi problemi con la droga e con l’alcool, facendosi promotore di progetti sociali nelle scuole di Soweto, non smettendo mai di comporre musica… “è caduto un baobab e la nazione ha perso una delle sue leggende Jazz” ha twittato il Ministro della Cultura del Sud-Africa, Nathi Mthethwa. Il baobab, l’albero della vita e della conoscenza… quello che protende le sue radici verso il cielo, l’albero immortale, come la musica di Hugh Masekela.

Marina Tuni

Photo: 1) by Michael Ochs Archives/Getty Images – 2) courtesy www.hughmasekela.co.za  – 3-4-5 web