Al Parco Archeologico dell’Appia Antica torna la rassegna ‘Dal Tramonto all’Appia: Around Jazz’

Una scenografia naturale spettacolare, grandi concerti con volti noti della musica e del cinema italiano, un nuovo Village con angolo food&beverage, e il fascino dell’Appia Antica.
Questi gli ingredienti della 2a edizione del Rassegna “Dal Tramonto all’Appia – Around Jazz”, promossa dal Parco Archeologico dell’Appia Antica (Ministero della Cultura) in collaborazione con il Parco Regionale dell’Appia Antica (Regione Lazio) con la direzione artistica di Fabio Giacchetta.
Dal 1° al 10 ottobre, un cartellone di grandi artisti tra cui Alessandro Haber con Ramberto Ciammarughi, John De Leo con Roberto Gatto, Rita Marcotulli e Serena Brancale ospiti di Israel Varela, Fabrizio Bosso con Fabio Zeppetella, Stefano Di Battista con Stefania Tallini, Seamus Blake, Gegè Telesforo, Javier Girotto, Max Ionata, Flavio Boltro, Ares Tavolazzi. Il programma completo sul sito www.parcoarcheologicoappiaantica.it.
Già lo scorso anno, durante una indimenticabile prima edizione piena di consensi e di sold out, il Mausoleo di Cecilia Metella (via Appia Antica 161) ha incantato il pubblico divenendo cornice mozzafiato del palco allestito nel Castrum Caetani. Un’occasione unica per immergersi nella storia e nella bellezza della via Appia Antica, avvolti dal fascino della campagna romana.
Novità di quest’anno, l’allestimento di un’area Village all’aperto, con angoli dedicati all’accoglienza del pubblico, al food&beverage e agli incontri con gli artisti e un’area per i concerti, con una speciale copertura a prova di pioggia a protezione del palco e della platea.

I concerti
Un cartellone eclettico e multistilistico caratterizza questa edizione 2021, con una grande attenzione alla voce, filo conduttore della Rassegna nelle sue varie declinazioni e sfaccettature: dalla narrazione al jazz tradizionale, dal prog alla sperimentazione.
Si inizia venerdì 1° ottobre alle ore 19 (link per i biglietti qui), e in replica alle ore 21 (biglietti), con un grande ritorno live nella Capitale: quello del grande pianista Antonio Faraò, punta di diamante del panorama jazz internazionale, ammirato da giganti della musica come Herbie Hancock. Sul palco, salirà in trio con Mauro Battisti e Vladimir Kostadinovic.
Sabato 2 ottobre, ospiti della rassegna due grandi della musica italiana: John De Leo e Roberto Gatto, sempre alle ore 19 (biglietti) e in replica alle 21 (biglietti), con il loro ensemble “Progressivamente” formato con Alessandro Presti, Marcello Allulli, Andrea Molinari, Alessandro Gwis, Pierpaolo Ranieri.
Domenica 3 ottobre alle 21 il celebre attore Alessandro Haber sarà protagonista dell’emozionante spettacolo “Johann dalle Nuvole” di Ramberto Ciammarughi: uno dei più geniali pianisti e compositori della musica italiana, già lo scorso anno presente nella rassegna per uno dei concerti più acclamati. Insieme a loro uno speciale ensemble costituito da Gianni Maestrucci, Leonardo Ramadori, Francesco D’Oronzo, Angelo Lazzeri, Samuele Martinelli e Stefano Mora. Link per i biglietti qui.
Lunedì 4 ottobre un altro ritorno per “Around jazz”: quello del noto trombettista Fabrizio Bosso con il grande Fabio Zeppetella alla guida di un quintetto completato da Roberto Tarenzi, Jacopo Ferrazza e Fabrizio Sferra. Due gli orari: alle 19 (biglietti) e alle 21 (biglietti).
Martedì 5 ottobre, protagoniste la raffinatezza e le sonorità di uno dei musicisti argentini più amati in Italia: il sassofonista Javier Girotto con il suo progetto “Pasos”, in quartetto con Francesco Nastro, Luca Bulgarelli e Giuseppe La Pusata. Due gli orari: alle 19 (biglietti) e alle 21 (biglietti).
Mercoledì 6 ottobre spazio alla voce e all’energia di Cinzia Tedesco con il suo “Jazz Trip”, insieme a tre fuoriclasse della musica italiana: Stefano Sabatini, Luca Pirozzi e Pietro Iodice. Doppio concerto: alle ore 19 (biglietti) a alle 21 (biglietti).
Giovedì 7 ben due concerti: alle 19 l’arrivo a Roma del sassofonista britannico-canadese Seamus Blake insieme a due eccellenti musicisti brasiliani: il percussionista Reinaldo Santiago e il chitarrista Nelson Veras (biglietti). Alle 21, “Three Generation” con una grande band: Flavio Boltro e Simone La Maida, ospiti del trio di Leo Caligiuri, Ares Tavolazzi e “Checco” Capiozzo (biglietti).
Venerdì 8 protagonista della rassegna sarà uno dei volti più amati della radio e della tv: Gegè Telesforo, che ospiterà il grande sassofonista Max Ionata insieme al suo quartetto completato da Domenico Sanna, Luca Bulgarelli e Michele Santolieri. Due i concerti: alle ore 19 (biglietti) e alle 21 (biglietti).
Sabato 9 ottobre in scena una delle pianiste più interessanti del jazz italiano: Stefania Tallini, con il suo trio “Uneven” insieme al bassista Matteo Bortone e al batterista Gregory Hutchinson. Special guest, il grande sassofonista Stefano Di Battista.          Concerti alle 19 (biglietti) e alle 21 (biglietti).
Domenica 10 ad “Around Jazz” uno stupendo omaggio alla celebre pittrice Frida Kahlo, firmato dal travolgente batterista e cantante messicano Israel Varela: insieme a lui sul palco, oltre ad un quartetto d’archi, la ballerina di flamenco Nazaret Reyes, la grande Rita Marcotulli, la cantante Serena Brancale, il contrabbassista Jacopo Ferrazza e il giovane prodigio Josei Varela alle tastiere. Concerti alle 19 (biglietti) e alle 21 (biglietti).

Altra novità 2021 saranno i concerti del mattino, ambientati nella suggestiva Chiesa di San Nicola antistante al Mausoleo di Cecilia Metella, che si terranno nei week-end. Protagonisti delle quattro matinées le voci di Mafalda Minnozzi (2 ottobre) e Susanna Stivali (3 ottobre) con due omaggi alla musica e alla cultura brasiliana; un altro giovane prodigio, Simone Locarni, insieme a Fabrizio Sferra e Yuri Goloubev (9 ottobre), e il quartetto di Lorenzo Bisogno feat. Massimo Morganti (10 ottobre). Prevendite al link https://ticketitalia.com/around-jazz-2021-matin%C3%A8e.

La rassegna
La rassegna “Around Jazz”, all’interno del festival Dal Tramonto all’Appia del Parco Archeologico dell’Appia Antica, è nata nel 2020 da una idea di Marco Massa, dal suo amore per il jazz e dal suo legame con l’Appia Antica. Dopo la scomparsa dell’amico la direzione artistica è stata affidata a Fabio Giacchetta, noto produttore in ambito jazz e organizzatore da oltre 30 anni di concerti con artisti internazionali.
L’ingresso ai concerti è acquistabile in prevendita su Ticket Italia al link https://ticketitalia.com/around-jazz. Informazioni ai contatti: info@ticketitalia.com – tel. 0743.222889.
L’organizzazione metterà comunque a disposizione un dispositivo elettronico sul luogo dell’evento per consentire un eventuale acquisto in autonomia dei biglietti fino a qualche minuto prima dell’inizio concerto. Il Parco Archeologico dell’Appia Antica riserva un ingresso ridotto a €10 per gli under 18 e per gli iscritti a Conservatori statali e Istituti Superiori di Studi Musicali.
Tutte le info su www.parcoarcheologicoappiaantica.it.

L’ingresso è consentito solo con Green Pass e con il possesso dell’Appia Card, il biglietto nominativo a durata annuale con il quale è possibile accedere illimitatamente a tutti i siti del Parco Archeologico dell’Appia Antica. L’Appia Card può essere acquistata online (€10 + €2 di prevendita) oppure direttamente presso il Mausoleo di Cecilia Metella (€10): la biglietteria sarà aperta nei giorni dal 1° al 10 ottobre con orario continuato 9.00-21.00.

Come arrivare
Mausoleo di Cecilia Metella – Castrum Caetani in via Appia Antica 161: raggiungibile in auto o con la Metro A (Arco di Travertino) e poi autobus 660 oppure 118 dal centro di Roma.

Info e contatti
www.parcoarcheologicoappiaantica.it
Prevendite: https://ticketitalia.com/around-jazz
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Comunicazione e Ufficio Stampa “Around Jazz”
Fiorenza Gherardi De Candei
tel. +39 328.1743236
info@fiorenzagherardi.com

Ufficio comunicazione e promozione
Parco Archeologico Appia Antica
Lorenza Campanella
tel.+39 333.6157024
pa-appia.comunicazione@beniculturali.it

Grande successo del Festival Umbria in Voce: sold out e presenze raddoppiate per una “festa del canto” unica nel suo genere

Sold out e presenze raddoppiate per la 5a edizione del Festival Umbria in Voce che si è conclusa lo scorso 10 novembre. Ambientata a Gubbio, la manifestazione si presenta come una “festa della voce” unica nel suo genere, dedicata quest’anno alla figura di Demetrio Stratos.
Formula vincente, un cartellone artistico di altissimo livello, che ha visto la presenza di artisti internazionali e molteplici eventi aperti a tutti tra cui concerti, conferenze, seminari, laboratori e presentazioni.
Organizzato dall’Associazione Archè con il sostegno del Comune di Gubbio e in collaborazione con un gruppo di cittadini volontari, il Festival è stato ideato dalla cantautrice e formatrice vocale Claudia Fofi, che ne cura la direzione artistica:
“Sono molto soddisfatta di questa quinta edizione. Ha confermato alcune certezze riguardanti la mission del festival, rispondendo al bisogno diffuso di superare l’isolamento e lo spaesamento della società odierna: portare persone al canto, a usare la voce in un contesto che con la giusta accoglienza diventa una sorta comunità provvisoria (per citare Franco Arminio) attraverso formazione, concerti di ottimo livello, occasioni di confronto e di incontro per favorire l’espressione spontanea delle persone. Ora tireremo le somme e inizieremo a pensare al futuro.”

Termometro importante di questo grande successo è sicuramente la qualità e la quantità di spettatori, con una partecipazione raddoppiata per questa 5a edizione rispetto agli anni precedenti. Composito e diverso a seconda degli eventi, il pubblico dei concerti e dei laboratori proveniva da ogni parte d’Italia: un segno tangibile anche della comunicazione globale del Festival che ha funzionato a più livelli.

Tra gli eventi più apprezzati di questa edizione 2019 – molti dei quali ambientati nella magnifica Biblioteca Sperelliana di Gubbio – la serata di presentazione del libro di Paolo Ceccarelli su Roberto Nicolosi con la presenza di due ottimi musicisti – Sara Jane Ceccarelli e Andrea Angeloni – che ha attratto gli amanti di jazz. L’evento partecipativo “Di voce in voce” ha avvicinato molti giovani, che hanno “tirato fino a tardi” con le loro poesie in un clima da happening.
Molto apprezzati tutti i laboratori, a partire da quello di Tran Quang Hai, grande maestro vietnamita di canto difonico, che ha superato ogni aspettativa: un grande didatta e un uomo accogliente e pieno di umanità.
Ottimo riscontro per il concerto di Anna-Maria Hefele, che ha regalato alla sala gremita una perfomance incantevole per voce e arpa. Molto apprezzato anche il meraviglioso workshop di Domenico Castaldo con il Lab Perm sull’arte dell’attore di Torino. Di nuovo pienissimo ed emozionante il laboratorio “Comunicanti”, che ha visto la partecipazione di circa 70 persone tra italiani e stranieri, tutti insieme a cantare.
L’arrivo di Franco Arminio con i figli Livio e Manfredi ha poi portato nella Biblioteca Sperelliana un nuovo pubblico, registrando il tutto esaurito per una conclusione dell’edizione 2019 di “Umbria in Voce” in festa, con un livello di energia e partecipazione molto alto.
Negli anni, il festival ha ospitato grandi artisti della voce e della parola come John De Leo, Franco Arminio, Albert Hera, Mauro Tiberi, Keba Sech e Marta Raviglia.
Unico nel suo genere, apre al pubblico e ai suoi partecipanti la possibilità di sperimentare nuovi linguaggi e di creare un luogo di incontro fisico e di gioia genuina tra le persone: funzione che un tempo era svolta dal canto popolare o di tradizione orale e che vuole essere attualizzata creando delle “comunità cantanti” in cui le persone si incontrano per vivere delle occasioni formative di altissimo livello, sempre aperte a tutti e non per specialisti.

Un evento che diviene dunque propulsore sociale, attivatore di relazioni, creatore di benessere immateriale.

CONTATTI
www.umbriainvoce.it
Info e prenotazioni concerti e seminari: tel 334.9843087 – 339.4076156  email umbriainvoce@gmail.com
Ufficio Stampa Festival: Fiorenza Gherardi De Candei – tel. 328.1743236  email info@fiorenzagherardi.com

Rita Marcotulli riceve dal Presidente Mattarella l’onorificenza di Ufficiale della Repubblica Italiana

E’ una delle artiste italiane più illustri, e per i suoi innumerevoli meriti in ambito musicale il Presidente Sergio Mattarella le ha conferito l’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana: è Rita Marcotulli, pianista e compositrice di grande talento ed eleganza. Prima donna ad aver vinto un David di Donatello per la miglior colonna sonora (nel 2011, per “Basilicata coast to coast”), annovera tra gli altri suoi riconoscimenti il Ciak d’oro, il Nastro d’Argento e le due vittorie al Top Jazz della rivista Musica Jazz prima come miglior talento emergente e poi come miglior talento italiano.
Già ufficializzata, la prestigiosa nomina di Ufficiale della Repubblica Italiana sarà ulteriormente suggellata il 1 giugno al Quirinale con la sua partecipazione al ricevimento per la Festa della Repubblica.
Nel corso della sua carriera Rita Marcotulli è riuscita ad affermare il suo stile raffinato in numerosi progetti e generi musicali che l’hanno portata ad esibirsi in tutto il mondo con grandi artisti e nelle location più importanti a livello internazionale.
Memorabili i suoi concerti con Pino Daniele (è suo il pianoforte e alcuni arrangiamenti dell’album “Non calpestare i fiori nel deserto” vincitore di 8 dischi di platino e della Targa Tenco), Ambrogio Sparagna, la sua esibizione al Festival di Sanremo 1996 con Pat Metheny, il tour mondiale come membro del gruppo del celebre batterista statunitense Billy Cobham, la sua sapiente rilettura dei Pink Floyd con un grande ensemble tra cui Raiz Fausto Mesolella, il live multimediale dedicato a Caravaggio presentato nel 2018 al Festival Umbria Jazz.
Nel 2013, è stata chiamata come membro della Giuria di qualità per la 63esima edizione del Festival di Sanremo.
In ambito jazz spiccano i progetti e le performance con Enrico Rava, Michel Portal, Javier Girotto, Jon Christensen, Palle Danielsson, Peter Erskine, Joe Henderson, Helène La Barrière, Joe Lovano, Kenny Wheeler, Norma Winston, Luciano Biondini, Charlie Mariano, Marilyn Mazur, Sal Nistico, Maria Pia De Vito. Per oltre 15 anni è stata membro del gruppo del sassofonista statunitense Dewey Redman – padre del noto sassofonista Joshua Redman – suonando in tutta Europa e in Sud America.
Tra le sue recenti collaborazioni troviamo Max Gazzè, Gino Paoli, Peppe Servillo, Noa, Massimo Ranieri, Claudio Baglioni e John De Leo. In ambito teatrale e cinematografico: Lella Costa, Chiara Caselli, Stefano Benni, Rocco Papaleo (per cui ha scritto le colonne sonore di “Basilicata coast to coast” e “Una piccola impresa meridionale”), Fabrizio Gifuni, Sonia Bergamasco, Gabriele Lavia, Paolo Briguglia, Daniele Formica, Michele Placido.

Nella sua discografia, oltre 25 album tra cui “Woman Next Door – Omaggio Truffaut”, che nel 1998 il magazine inglese The Guardian ha nominato miglior disco dell’anno, e l’ultimo di Giorgio Gaber “Io non mi sento italiano”.
L’ultimo, appena uscito, è il live “Yin e Yang” (ed. Cam Jazz) in duo con il batterista e vocalist messicano Israel Varela, che a sua volta annovera collaborazioni con Pat Metheny, Charlie Haden, Bireli lagrene, Diego Amador, Bob Mintzer, Mike Stern, Yo Yo Ma, Jorge Pardo. Per questo nuovo progetto, Rita Marcotulli sarà impegnata nei prossimi mesi in tour con un eccellente quartetto europeo formato dal noto bassista Michel Benita, il sassofonista britannico Andy Sheppard (vincitore di numerosi British Jazz Awards) e lo stesso Varela.

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John De Leo special guest Rita Marcotulli, The Winstons special guest Morgan e Rodrigo D’Erasmo e oltre 250 artisti per MArteLive

Il 13 e 14 dicembre torna a Roma MArteLive – lo spettacolo totale: nelle sale del Planet Live Club (ex Alpheus – via del Commercio 36) la grande kermesse con oltre 250 artisti emergenti che si sfideranno nelle 16 discipline artistiche tra musica, teatro, danza, circo contemporaneo, pittura, fotografia, artigianato artistico, graficart, live painting e street-art, proiezioni, installazioni, reading e video-arte.
Tra gli ospiti, grandi nomi come John De Leo, Gio Evan, Bunna, The Winstons feat. Rodrigo D’Erasmo e special guest Morgan.
Grande anteprima dell’eclettica due giorni, mercoledì 12 dicembre alle ore 21, sarà il celebre spettacolo “Pitecus”, una delle opere più acclamate del duo Antonio Rezza e Flavia Mastrella – Leoni d’oro alla Carriera alla Biennale di Venezia 2018.
Il 13 dicembre sul palco del Planet, attesissimo dopo il clamore mediatico delle ultime settimane che ha scatenato la stampa nazionale e richiestissimo dalle maggiori emittenti televisive, sarà il poeta e performer Gio Evan – reduce dal successo del doppio disco MArteLabel “Biglietto di solo ritorno” e con un milione e mezzo di ascolti su Spotify del singolo “A piedi il mondo”. Ribattezzato “Gio Evan” in Argentina da un Hopi, Giovanni Giancaspro è un artista poliedrico, scrittore e poeta, filosofo, umorista, cantautore e artista di strada. Con la performance al MArteLive conclude una grande stagione di successi, per tornare live sul palco dalla primavera 2019.  Dopo il suo live, salirà sul palco la band The Winstons ft. Rodrigo D’Erasmo e special guest Morgan con “Pictures at a Christmas Exhibition”. Power trio basso, batteria, tastiere e voci, la band è composta da tre grandi musicisti della scena italiana: Enrico Gabrielli (Calibro 35/Pj Harvey), Lino Gitto (Ufovalvola) e Roberto Dell’Era (Afterhours), che per il loro concerto al MArteLive dal titolo “Pictures at a Christmas Exhibition” avranno come special guest d’eccezione Morgan e Rodrigo D’Erasmo (violinista degli Afterhours e tutor in compagnia di Agnelli a X Factor). Sul palco suoneranno brani dall’album “Pictures in Exhibition” oltre a nuovi pezzi in esclusiva tratti dal prossimo disco in uscita nella primavera 2019.
Il 14 dicembre grande ospite sarà John De Leo, considerato una delle voci più interessanti del panorama italiano. Artista eclettico, ha partecipato e promosso innumerevoli progetti non strettamente a carattere musicale, collaborando con molti artisti tra cui la pianista Rita Marcotulli che sarà special guest nel suo live sul palco di MArteLive. Ha lavorato, tra gli altri, con Stefano Benni, Teresa De Sio e Metissage, Ambrogio Sparagna, Banco del Mutuo Soccorso, Carlo Lucarelli, Stefano Bollani, Paolo Fresu Quintet, Danilo Rea, Franco Battiato, Enrico Rava, Carmen Consoli, Ivano Fossati, Antonello Salis, Alessandro Bergonzoni, Fabrizio Bosso, Trilok Gurtu, Stewart Copeland e Uri Caine. Co-fondatore dell’ensemble Quintorigo, con cui ha vinto il Premio Tenco nel 1999, ne ha fatto parte dal 1992 al 2004. Sul palco principale del MArtelive si esibirà con un live looping sampler, un karaoke giocattolo e un laringofono insieme al chitarrista Fabrizio Tarroni: uno dei suoi primi connubi musicali, capace di interpretare la sua Gibson semi-acustica anche come una vera e propria percussione, fondendo la sua tecnica originale con le idee e la voce eclettica di De Leo.
Sul palco del 14 dicembre, il ritmo sarà scandito anche dallo spettacolo del noto collettivo cumbiero Istituto Italiano di Cumbia, che ha aggregato Malagiunta (Filo Q e Paquiano) le canzoni di Cacao Mental e Los3Saltos, Davide Toffolo dei Tre Allegri Ragazzi Morti e alcuni nuovi interpreti.
Il dj set sarà nelle mani di Bunna, fondatore insieme a Madaski degli Africa Unite, una delle realtà più importanti del panorama reggae italiano, e non solo. Nel suo set esplorerà le varie evoluzioni e sfaccettature della cultura musicale giamaicana. Il set di Bunna cade nell’anno in cui il reggae è stato riconosciuto “patrimonio Unesco” ed è organizzato in collaborazione con RUM (Rome Underground Movement).
Tra i protagonisti dell’ultima giornata di MArteLive anche Gianluca Secco, perla nel panorama della musica d’autore italiana e vincitore nel 2016 del Premio Tenco-NuovoImaie per la miglior interpretazione.

Con l’obiettivo costante di promuovere il talento e i giovani emergenti, oltre ai grandi nomi “Lo Spettacolo Totale” di MArteLive vede protagonisti 250 artisti che si esibiranno ed esporranno contemporaneamente nella 2 giorni al Planet Live Club, suddivisi nelle sezioni artistiche di appartenenza: musica, teatro, danza, circo contemporaneo, pittura, fotografia, artigianato artistico, graficart, live painting e street-art, proiezioni, installazioni, reading e video-arte.

I biglietti, dai €10 ai €12 sono già acquistabili in prevendita sul sito Marteticket.it.

Nato nel 2001 da un’idea del direttore artistico Peppe Casa, MArteLive è realizzato con il contributo della Regione Lazio – Assessorato alle Politiche Culturali. Sin dalla prima edizione, è concepito e pensato come uno spettacolo totale in cui tutte le arti e gli artisti che le rappresentano entrano in una sinergia empatica: MArteLive è il girotondo delle muse, lo scambio tra un linguaggio estetico e l’altro. Tutte le sezioni artistiche sono sapientemente amalgamate tra di loro in un gioco di forze artistiche ed equilibri sinestetici che, serata dopo serata, sala dopo sala, creano emozioni irripetibili nella loro essenza.
Nell’idea originaria di Peppe Casa, l’intento era quello di tessere un filo immaginario per unire armonicamente le singole performance: “A distanza di quindici anni il filo continua a rimanere teso. La differenza di questo format, che è anche la sua forza, è la capacità ad ogni evento di riproporre qualcosa di diverso che incuriosisca il pubblico, offrendo un’esperienza sensoriale unica. La multidisciplinarietà dello spettacolo che presentiamo è estremamente difficile da mettere in pratica, forse il vero successo sta nell’equilibrio tra le arti che si viene a creare; e l’esclusività è riuscire a farlo ogni volta in modo nuovo e sorprendente”.
L’appuntamento di dicembre è solo la prima delle due finali regionali che si terranno su tutto il territorio nazionale, la prima tappa verso la prossima BiennaleMArteLive, prevista per dicembre 2019, che vedrà esibirsi circa 1000 artisti provenienti da tutta Italia, insieme a special guest internazionali.

CONTATTI
www.martelive.it
Prevendite su www.marteticket.it  – biglietti da €12 a €10 e sconti per gruppi di 10 persone
Informazioni: info@martelive.it
Ufficio Stampa: Francesco Lo Brutto – tel. 331.4332700 email francesco.lobrutto@martelive.it
Fiorenza Gherardi De Candei – tel. 328.1743236 email fiorenza.gherardi@martelive.it

Valeria Sturba al TrentinoInJazz

Sonata Islands
presenta:

Giovedì 25 ottobre 2018
ore 21.30
Sala Sosat
Via Malpaga
Trento

Muti musicati: George Méliès

Con la partecipazione di Valeria Sturba

Giovedì 25 ottobre a Trento nuovo appuntamento con Ai confini e oltre, la sezione del TrentinoInJazz 2018 che si svolge in città e a Rovereto con l’obiettivo di far dialogare aree musicali ed extra tra jazz, avanguardie e cinema. Alla Sala Sosat arriva la rilettura in musica dei cortometraggi fantascientifici di George Méliès a cura di Valeria Sturba.

Con il suo set originale e variopinto, la polistrumentista abruzzese si destreggia tra violino, theremin, giocattoli e piccoli strumenti lo-fi: suoni surreali che si sommano, si fondono, si moltiplicano e accompagnano il professor Maboul e altri personaggi verso le più disparate avventure terrene e celesti, tra mongolfiere alla conquista del Polo Nord, mostri dei ghiacci e viaggi verso la Luna. Il lavoro di George Méliès (1861-1938), definito come “Giotto della settima arte”, secondo padre del cinema dopo i fratelli Lumière e figura monumentale per il cinema fantastico e avventuroso, rivive con il commento sonoro realizzato con violino, theremin, elettronica, looper, effetti, giocattoli.

Musicista di vasti orizzonti artistici, ha all’attivo numerose registrazioni, rimusicazioni di film muti, colonne sonore e reading. Ha partecipato a vari festival nazionali e internazionali, collabora con musicisti del calibro di con Vincenzo Vasi, John De Leo nella Grande Abarasse Orchestra, Francesco Cusa nei The Assassins. Ha collaborato con Enrico Gabrielli, Surgical Beat Bros, Fabrizio Puglisi, Mauro Ottolini, Cristina Donà, Médéric Collignon, Stefano Benni, Tiziano Popoli,Giancarlo Schiaffini, Luke Fischbeck e molti altri.

I NOSTRI CD. TRA NOVITA’ INTERESSANTI E RIEDIZIONI DI LUSSO

Jon Balke, Siwan – “Nahnou Houm” – ECM 2572

Il pianista e tastierista norvegese si è oramai costruito una solida reputazione come artista capace di frequentare con eguale disinvoltura sia il jazz più moderno, sia la musica antica. Ed è proprio su quest’ultimo versante che si indirizza il suo progetto Siwan nato nel 2007 e sviluppatosi nel 2008. Nel 2009 il debutto per ECM, con l’album “Siwan” che vinse, tra l’altro, il “Jahrespreis der deutschen Schallplattenkritik”, il premio del migliore album dell’anno dai critici tedeschi. Ora Siwan si ripresenta con questo nuovo album caratterizzato dal cambio della vocalist: al posto di Amina Aloui dal Marocco troviamo Mona Boutchebak dall’Algeria. Ma il risultato non cambia di molto dal momento che le linee ispiratrici del progetto rimangono inalterate e cioè far coesistere musica araba, classica andalusa e barocco europeo anche se questa volta i testi, cantati in castigliano, vengono da fonti diverse: il poeta duecentesco Ibn al Zaqqaq, il mistico sufi trecentesco Attar Faridu Din, il drammaturgo madrileno Lope De Vega (1562-1635), San Juan de la Cruz (in realtà Juan de Yepes Alvarez, 1542-1591) carmelitano e doctor mysticus, patrono dei poeti di lingua spagnola. Dal punto di vista prettamente musicale Jon Balke ha voluto dare ancor maggior spessore alla formazione includendo il trombettista Jon Hassell mentre reduci dal primo album ritroviamo, oltre naturalmente a Balke, Helge Norbakken alle percussioni, Pedram Khaver Zamini tumbak e Bjarte Eike violinista e leader dell’ensemble barocco ‘Barokksolistene’. Date queste premesse si può facilmente comprendere come questa musica sia lontana dal jazz assumendo una sua specifica valenza nella straordinaria timbrica che Balke riesce a cavar fuori utilizzando tanti strumenti non del tutto consueti. Di qui la difficoltà di citare un brano in particolare anche si ci ha particolarmente colpiti l’esecuzione a cappella del canto tradizionale andaluso “Ma Kontou”. Insomma un album difficile da decifrare ma altrettanto difficile da trascurare.

Django Bates’ Beloved – “The Study Of Touch” – ECM 2534

Ecco un disco di jazz senza se e senza ma dal momento che vi si trovano tutti quegli elementi che comunemente identificano questo genere: innanzitutto straordinaria abilità tecnica di tutti i musicisti, ritmo, groove, improvvisazione, controllo della dinamica, interplay …e poi un repertorio che ha come stella polare la musica di Charlie Parker. Protagonista il trio del pianista inglese Django Bates completato dallo svedese Frans Petter Eldh al contrabbasso e dal danese Peter Bruun alla batteria. Dopo alcune diversificate esperienze discografiche che lo hanno visto, tra l’altro, nella triplice veste di musicista, arrangiatore e direttore della Frankfurt Radio Big Band in “Saluting Sgt. Pepper” (Edition Records, 2017), Django ritorna al suo vecchio trio costituito nel 2005, quando insegnava al Copenhagen’s Rhythmic Music Conservatory, formazione con cui ha già inciso due album, “Beloved Bird” (2010) e “Confirmation” (2012), entrambi per la Lost Marble ed entrambi tributi espliciti a Charlie Parker, mentre in questo terzo CD il grande sassofonista rimane lì, quasi sullo sfondo, ad indicare la strada che il trio deve percorrere. Ecco quindi undici brani, di cui nove composti da Bates, solo un brano di Parker – “Passport” – e un altro di Iain Ballamy. La musica è spigolosa, serrata, incalzante in cui l’intesa gioca un ruolo di primo piano: interessante notare al riguardo come delle undici tracce di “The Study Of Touch” ben cinque – “We Are Not Lost, We Are Simply Finding Our Way”; “Sadness All the Way Down”; “Senza Bitterness”; “Giorgiantics”; “Peonies as Promised” – fossero già presenti nel precedente album “Confirmation” ad indicare, con tutta probabilità, la volontà di Bates di tornare sui suoi passi per meglio profittare dell’intesa raggiunta con i suoi partners ed espandere così i confini musicali del trio.

Anouar Brahem – Blue Maqams – ECM 2580

Con questo album, pubblicato in occasione del suo sessantesimo compleanno, Anouar Brahem si esprime con stilemi ancora più vicini al jazz propriamente detto, in ciò agevolato dai superlativi compagni di viaggio: Django Bates al pianoforte (su cui vi abbiamo riferito proprio nella recensione precedente) Dave Holland al contrabbasso e Jack DeJohnette alla batteria, come a dire una delle migliori sezioni ritmiche che il jazz possa vantare. In repertorio nove composizioni dello stesso Brahem (di cui due – “Bahia” e “Bom datano 1990 – mentre le altre sono state composte tra il 2011 e il 2017) a sugellare una prova tra le migliori che lo specialista di oud ci abbia finora regalato. Tutto l’album poggia sulla volontà, chiaramente espressa da Brahem, di far interagire il sound della combinazione pianoforte-oud con una vera e propria sezione ritmica jazz. Di qui la scelta di Dave Holland con il quale Anouar aveva inciso venti anni fa l’album “Thimar” in trio con John Surman, di Jack DeJohnette (con il quale viceversa Anouar mai aveva inciso) per la delicatezza e sottigliezza con cui si esprime su piatti e pelli mentre per il pianista la scelta è caduta non già sul partner di sempre (da più di trent’anni) François Couturier ma su Django Bates per la sua liricità e il tocco portentoso. Scelte giuste? A posteriori si può ben dire di sì. La musica scorre fluida a coniugare input provenienti dalle armonie del jazz europeo, dalla tradizione musicale araba, dalle splendide melopee brasiliane, dai ritmi africaneggianti in un costante e ricercato equilibrio fra tradizione e modernità, tra pagina scritta e improvvisazione. E quanto tale equilibrio sia perfetto lo dimostra il fatto che è davvero difficile, se non impossibile, stabilire quali siano le parti scritte e quali quelle improvvisate. Un’ultima notazione: i «Maqams» richiamati nel titolo dell’album sono un riferimento al sistema modale della musica tradizionale araba.

John Coltrane – “Giant Steps” – Green Corner

In termini strettamente musicali non ci sarebbe certo bisogno di presentare quest’album ché si tratta di uno dei capolavori inciso da John Coltrane nel maggio del 1959 alla testa di un quartetto comprendente i pianisti Tommy Flanagan e Wynton Kelly, il contrabbassista Paul Chambers e il batterista Jimmy Cobb. Dal punto di vista storico, fu il suo primo album per la Atlantic Records e il primo interamente costituito da proprie composizioni, nonché l’insieme di registrazioni che segna il definitivo passaggio di Coltrane dall’hard-bop al modale. Insomma una musica che sicuramente tutti gli appassionati di jazz conservano gelosamente nella loro discoteca per cui ci permettiamo di rivolgerci soprattutto a quanti si sono avvicinati al jazz da poco: se ancora non possedete questo album è l’occasione buona per averlo. Non ve ne pentirete dal momento che ascolterete alcune vere e proprie perle della discografia jazzistica di tutti i tempi quali, tanto per citare qualche titolo, la dolcissima “Naima” e il classico “Mr. P.C.”. Al di là della valenza artistica, l’album edito in un numero limitato di copie, presenta un interesse specifico per i collezionisti in quanto presenta i medesimi brani incisi in versione sia mono sia stereo. In effetti, negli ultimi anni ’50, presso le grandi case discografiche era abitudine abbastanza comune registrare ambedue le versioni di uno stesso titolo, differenziandoli con i numeri di riferimento. Ciò perché all’epoca lo stereo era una innovazione molto recente e quindi i relativi mezzi di riproduzione non erano molto diffusi; sappiamo bene come poi sono andate le cose: il mono è andato nel dimenticatoio. Senonché in questi ultimi anni molti esperti e gli stessi musicisti hanno rivalutato il suono mono come più fedele rispetto all’originale. Di qui la scelta di pubblicare le due versioni e sicuramente troverete il raffronto molto, molto interessante.

John De Leo, Fabrizio Puglisi – “Sento doppio”

Album molto interessante questo “Sento doppio” che vede come protagonisti il vocalist romagnolo di Lugo, John De Leo, (al secolo Massimo De Leonardis), una delle figure più rappresentative della nuova scena musicale italiana, e il pianista catanese Fabrizio Puglisi cui si aggiunge in due brani il ben noto trombonista Gianluca Petrella. L’album è disponibile sia in cd che in vinile e nelle due versioni è diversificato da brani alternativi e inedite bonus track. Quali i motivi di interesse cui si faceva riferimento in apertura? Innanzitutto la bravura dei due protagonisti: De Leo è oramai artista maturo, ben consapevole delle proprie possibilità espressive per cui riesce a modulare la sua voce, ad utilizzarla in maniera ora aggressiva ora più dolce ma sempre conferendole mille colori, mille sfumature che la rendono strumento dalle infinite possibilità. E questo tipo di approccio alla musica si sposa perfettamente con il fraseggio di Puglisi, tutt’altro che scontato, grazie anche al modo particolare in cui riesce a preparare il pianoforte. In secondo luogo la scelta del repertorio: 8 brani di cui sei originals cui si sommano una medley di due pezzi composti da Bernstein e Coltrane e la celebre “Crepuscule with Nellie” di Thelonious Monk. Ebbene, sia che affrontino le proprie partiture sia che si misurino con brani già noti, la cifra stilistica dei due non muta: contrariamente a quanto avviene solitamente, qui non si ascolta una voce accompagnata da uno strumento, ma un ensemble nell’accezione più completa del termine. Ovvero due strumenti che si sostengono a vicenda, che si lasciano guidare anche dalle proprie capacità improvvisative e che riescono a produrre un sound unico, originale, a tratti di grande fascino. Quasi inutile sottolineare come gli interventi di Petrella siano sempre di assoluto livello.

Martin Denny – Hypnotique – Jackpot 48778

Afro-Desia – Jackpot 48779

Questi due album sono consigliati soprattutto ai più giovani non tanto come valenza musicale quanto come valore documentaristico sì da avere contezza di quanta musica, diversa per stili e ispirazione, è stata composta nel microcosmo del jazz o comunque di universi a questo linguaggio assimilabili. Siamo alla fine degli anni’50, per la precisione nel 1957, e sulle scene compare un album significativamente intitolato “Exotica”. Responsabile Martin Denny un pianista e compositore newyorkese che intraprende la carriera musicale negli anni cinquanta durante la sua permanenza nelle Hawaii. Proprio ispirato dalla musica di queste isole, Martin inventa una ricetta per palati non troppo esigenti: mescolare ritmi latini, lounge jazz, musica hawaiana, canti di uccelli e strumenti poco conosciuti come il koto (cordofono di origine cinese), ensemble di percussioni di origine indonesiana e le campane dei templi birmani a disegnare atmosfere per l’appunto esotiche. L’iniziativa ottiene un buon successo: nel ’57 esce “Exotica” seguito a stretto giro di posta da altri tre LP, “Exotica 2” sempre del ’57, “Primitiva” e “Forbidden Island” ambedue del 1958. I CD che presentiamo oggi contengono, invece, produzioni del 1959: il primo due album “Hypnotique” e “The Enchanted Sea”, il secondo altri due lp “Afro-Desia” e “Quiet Village”; ambedue le riedizioni presentano come bonus tracks brani tratti dagli altri LP registrati tra il 1957 e il 1959. Fra le trenta tracce non poteva mancare “Quiet Village” di Les Baxter che raggiunse le vette delle classifiche di Billboard e che è stato l’unico brano di grande successo inciso da Denny. L’artista muore il 2 marzo del 2005 all’età di novantatré anni, dopo aver ottenuto nel 1999 il Lifetime Achievement Award da parte della Hawaii Musicians Association per il contributo dato alla diffusione e conoscenza della musica hawaiana

Tom Hewson – “Essence” – CamJazz 7912-2

Inglese, vincitore del Nottingham International Jazz Piano Competition 2014, Tom Hewson è al suo secondo album per la CamJazz ma con una differenza sostanziale. Nel primo, “Treehouse” del 2013, il pianista si esibiva in trio con Lewis Wright al vibrafono e Calum Gourlay al basso, mentre in questo “Essence”, registrato a Vienna, si avventura nella delicata impresa del piano-solo. Ora ben si conoscono le difficoltà insite nell’affrontare una prova del genere e occorre dire che Tom ne esce bene. Certo, niente di veramente nuovo sotto il sole, ma la conferma di un musicista maturo, che riesce a farsi valere non solo come strumentista ma anche come compositore. Non a caso delle undici tracce del disco ben otte sono sue, cui si aggiungono tre brani rispettivamente di Kenny Wheeler, Charles Mingus e John Taylor. Il pianismo di Hewson è interessante soprattutto dal lato armonico in quanto riesce a creare atmosfere sempre diversificate, fluide cui si aggiungono un controllo assoluto sulle dinamiche e sul ritmo, una propensione melodica sempre presente, percepibile in ogni momento, una continua ricerca timbrica e un tocco magistrale che transita facilmente dal delicato al fortemente percussivo. Il tutto supportato da una forte personalità che si estrinseca compiutamente anche quando il pianista inglese interpreta i tre brani altrui cui prima si faceva riferimento. Si ascolti al riguardo il celeberrimo “Goodbye Pork Pie Hat” di Charles Mingus porto con grande partecipazione mentre, per quanto concerne i brani originali, particolarmente azzeccata la title-track di sicura fascinazione.

Alberto La Neve, Fabiana Dota – “Lidenbrock” – Manitu Records

E’ stato pubblicato il 5 dicembre scorso questo “Lidenbrock – Concert for sax and voice”, il nuovo progetto discografico del sassofonista/compositore cosentino Alberto La Neve e di Fabiana Dota, emergente vocalist napoletana su cui si può certamente puntare. Si tratta di un concept album ispirato dalla figura di Otto Lidenbrock, personaggio che nel noto romanzo fantastico di Jules Verne “Viaggio al centro della Terra” riveste il ruolo del personaggio chiave. Di qui una sorta di viaggio sonoro, una suite divisa in quattro parti, tutte composte da Alberto La Neve, che ripercorrono le tappe fondamentali del romanzo: la prima “Dèpart” ovviamente riferita alla partenza da Amburgo; la seconda “Island” racconta l’arrivo dei viandanti nel punto indicato da Verne come ingresso al centro del mondo; la terza, “Sneffels”, è riferita al vulcano attraverso le cui viscere si arriva al mare sotterraneo; “Retour” infine racconta del faticoso ritorno ad Amburgo. Edito dalla giovane etichetta Manitù Records, l’album è difficile da classificare in quanto i due musicisti dialogano con grande disinvoltura disegnando strutture al cui interno trovano posto, sapientemente mescolate, suggestioni derivanti da loop machine, multi effetti e momenti improvvisativi sempre sorretti da un intento descrittivo che il più delle volte raggiunge l’obiettivo. Certo, come più volte sottolineato, affidare alla musica un intento descrittivo è impresa quanto mai rischiosa ed in effetti anche questa volta ci sono dei momenti di stanca, ma nel complesso l’album ha una sua valenza che ne giustifica l’ascolto.

Massimo Manzi – “Excursion” – Notami

Massimo Manzi è tra i più apprezzati batteristi italiani, eppure era da ben dieci anni che non firmava un album come leader. Per questa sua nuova impresa, Massimo ha chiamato Domingo Muzietti alla chitarra e Massimo Giovannini al basso con l’aggiunta di Echae Kang, un’eccellente violinista e vocalist coreana dotata di una solida preparazione di base conseguita nel campo della musica classica. L’album, va detto subito, è quanto mai godibile dal primo all’ultimo minuto grazie al perfetto affiatamento che il trio, guidato da Manzi, è riuscito ad ottenere con la Kang, Così il violino della Echae si sposa magnificamente con il sound del trio creando un’atmosfera davvero intensa, velata spesso da una nota di suggestiva malinconia, non rinunciando ad un gusto retro particolarmente evidente nel brano “Domingo’s Waltz” in cui il richiamo ai gruppi guidati da Stephane Grappelli e Django Reinhardt è evidente. Ma, a parte questa particolarità, il quartetto si muove attraverso un repertorio fatto in massima parte da brani originali scritti soprattutto dal chitarrista Domingo Muzietti con l’aggiunta di alcuni standards affrontati sempre con consapevolezza ed originalità. Della Kang abbiamo già detto; gli altri componenti il gruppo sono tutti jazzisti di vaglia. In particolare Massimo Giovannini al basso si fa notare per il continuo sostegno fornito all’ensemble mentre Domingo Muzietti, come già accennato, ha modo di evidenziare non solo una squisita capacità strumentale ma anche una bella vena compositiva caratterizzata da una costante ricerca melodica; da sottolineare anche la grande intesa con Massimo Manzi cementata da tanti anni di fruttuosa collaborazione. Infine Manzi non è certo una scoperta: il suo drumming preciso, il suo gusto, la sua esperienza, la capacità di ascoltare i compagni di viaggio sono tutti lì, basta ascoltare con attenzione.

Mattias Nilsson – “Dreams of Belonging” – Mattias Nilsson 01

Ecco uno di quei pochi dischi che, appena finito, hai voglia di reinserire nel lettore per scovarne ogni minimo dettaglio, ogni recondita nuance, ogni piega nascosta nell’affascinante pianismo. Mattias Nilsson, svedese classe 1980, si inserisce a buon diritto nel filone dei grandi pianisti ‘nordici’ ossia di quegli straordinari musicisti che sono riusciti a produrre una musica originale caratterizzata dall’incontro fra la tradizione jazzistica e l’humus particolare del Nord Europa, quell’humus fatto di spazi immensi, grandi silenzi e quindi una dolce soffusa malinconia… il tutto condito da una tecnica superlativa data l’importanza che quei Paesi attribuiscono all’educazione musicale. Non a caso Mattias ha ricevuto nel 2013 il prestigioso premio “Swedish Harry Arnold Scholarship”. Questo “Dreams of Belonging” rappresenta il suo debutto discografico come leader e presentarsi, discograficamente parlando, con un ‘piano-solo’ è impresa quanto mai coraggiosa viste le insidie sempre presenti in performances di questo tipo. Ma, evidentemente, Nilsson si conosce assai bene per capire di essere pronto e i fatti gli hanno dato ragione. Come si accennava in apertura, l’album è delizioso, godibile dal primo all’ultimo istante, con le dita di Mattias che volano sulla tastiera a produrre una musica leggera (ma nell’accezione positiva del termine), ossia non appesantita da inutili orpelli, da vani esercizi di retorica stilistica. Il pianista svedese si appalesa così com’è, sensibile, preparato, non immune dal fascino che proviene sia dalla sua terra sia dal jazz. Così in repertorio figurano otto pezzi tratti dalla tradizione svedese, tre composizioni originali di Mattias e una cover di John Hartford “Gentle on My Mind”; in quest’ambito particolarmente suggestiva la title-track.

Northbound – “Northbound” – Cam Jazz 7917-2

Northbound è l’insegna del trio composto da Tuomo Uusitalo al piano, Olavi Louhivuori alla batteria (ambedue finnici) e dall’americano Myles Sloniker al basso, cui nell’occasione si aggiunge l’anglo-canadese Seamus Blake al sax tenore. Ecco, quindi, nuovo di zecca un quartetto che ha molte frecce al suo arco. Innanzitutto la bravura dei singoli: si tratta di quattro musicisti giovani ma che hanno ottenuto significativi riconoscimenti a livello internazionale. In secondo luogo – ed è forse quel che più conta – le modalità espressive. Il quartetto si esprime, infatti, su livelli che potremmo definire introspettivi con armonie spesso dissonanti, linee melodiche tutt’altro che facili od orecchiabili e ritmi inusuali. Di qui una musica spesso sghemba, difficile da prevedere, ma sempre ben equilibrata, con un costante controllo delle dinamiche, frutto di un continuo scambio tra i musicisti che si affidano all’estro del momento, all’empatia che si manifesta in sala di incisione, per assumere alternativamente il controllo delle operazioni. Non c’è quindi alcun leader ma quattro jazzisti che si avventurano su terreni inesplorati in cui il viaggio è di per sé più importante della meta da raggiungere (ammesso che la stessa sia stata programmata). L’assenza di un leader non ci esime, tuttavia, dal sottolineare la costante ricerca timbrica e coloristica di Olavi Louhivuori, batterista-percussionista tra i migliori della nuova scena europea, mentre Seamus Blake dimostra ancora una volta perché su di lui si appunti l’attenzione di importanti etichette. Tra i brani, tutti frutto dei componenti il trio, una menzione particolare la meritano “Gomez Palacio” per il gustoso assolo di Myles Sloniker al basso e il ¾ di “Pablo’s Insomnia”.

Gino Paoli, Danilo Rea – “Tre” – Parco della Musica Records

Amate la canzone francese, eseguita in forma quasi minimale, con arrangiamenti che profumano di jazz? Bene, allora questo è un album imperdibile. Si tratta del terzo CD inciso dal duo Danilo Rea pianoforte e Gino Paoli voce, che fa seguito a “Due come noi che…” e “Napoli con amore” e a, nostro avviso, si tratta dell’album migliore della trilogia. I due hanno scelto un repertorio straordinario incidendo dodici brani tutti di spessore e dovuti ad alcuni tra i migliori compositori francesi del genere quali Charles Trenét, Jacques Breil, Gilbert Becaud, Joseph Kosma, Jack Prévert, Leo Ferrè cui si aggiungono “Non andare via” e “Col tempo”, tradotti in italiano dello stesso Gino Paoli. L’album ti prende sin dalle primissime note e disegna atmosfere di rara suggestione, velate da una diffusa malinconia che la voce di Paoli e il raffinato pianismo di Rea rendono al meglio. Intendiamoci: qui di jazz ce n’è poco, ma poco importa dal momento che la musica è ottima indipendentemente dal suo tasso di ‘jazzità’. Il fatto è che i due protagonisti non devono certo dimostrare alcunché. Gino Paoli è uno dei più grandi cantautori italiani ed è stato tra i primi ad introdurre nel nostro vocabolario musicale la canzone francese, mettendo così la sua arte al servizio di altri. Danilo Rea è uno dei migliori pianisti che l’intero Vecchio Continente possa vantare e che ha trovato la sua peculiare cifra stilistica proprio nel saper padroneggiare, al meglio, il mix tra jazz e altre musiche, soprattutto canzoni e arie liriche. Di qui la grande sicurezza con cui i due hanno affrontato – e superato – questa prova pur impegnativa che, almeno per il momento, dovrebbe concludere questa prestigiosa e fruttuosa collaborazione.

Salvatore Pennisi – “Jexx Machina”

Dopo“Braintrain” del 2012, segnalato in questa stessa rubrica, Salvatore Pennisi si ripresenta con questo album davvero particolare sia negli intenti sia nei risultati. Per capire appieno l’album bisogna innanzitutto evidenziare come Pennisi, oltre che musicista a tutto tondo, è ingegnere elettronico e professore ordinario all’università di Catania dove insegna microelettronica. Di qui il suo interesse per le nuove tecnologie cui si è rivolto per la realizzazione di questo CD. In effetti, come spiega lo stesso Pennisi, se si esclude il valido contributo di Giuseppe Asero al sax registrato in studio, tutto il resto della musica è stato realizzato dallo stesso Pennisi all’interno di un computer. Insomma una sorta di sfida tendente a dimostrare come sia possibile generare “jazz dalla macchina” (da cui il titolo), ricreando mediante la tecnologia suoni acustici per farli convivere con suoni puramente digitali e far confluire il tutto in atmosfere di musica “viva”. Obiettivo raggiunto? Se si ascolta il disco senza le premesse sopra dette, non si ha la sensazione di una musica scaturita da un computer. Quindi sotto questo aspetto Pennisi ha perfettamente raggiunto lo scopo. Ciò detto si tratta di musica qualitativamente rilevante? A parte qualche momento di stanca, inevitabile in un’operazione siffatta, l’album si ascolta con piacere evidenziando alcune punte di eccellenza come in “Sparks” e la title track sorretti da una trascinante carica ritmica o nel suggestivo “A Tangible Thought”. Da sottolineare, infine, come Pennisi non dimentichi il contesto in cui si trova ad operare; di qui l’inserimento di una frase pronunciata da Paolo Borsellino nel giugno del 1992, in cui si salutava con soddisfazione la marcia indietro del Consiglio Superiore della Magistratura che aveva deciso di rimettere in piedi il pool antimafia.

Pollock Project – “Speak Slowly Please!” – Behuman Records

Questo è il quarto album del Pollock Project che da trio è diventato quartetto; così accanto al leader, il pianista, percussionista e compositore Marco Testoni, ritroviamo Elisabetta Antonini (voce, live electronics) e Simone Salza (sassofoni e clarinetto) cui si aggiunge il chitarrista svedese Mats Hedberg. Special guests: Primiano Di Biase al piano, Giancarlo Russo e Guido Benigni al basso. In programma sette originali di Testoni (uno con il testo della cantautrice irlandese Kay McCarthy) e due omaggi a Miles Davis (“So What”) e Frank Zappa (“Watermelon In Easter Hay”). Il risultato è ancora una volta notevole: innanzitutto è rimasto ben strutturato l’equilibrio del gruppo che continua a muoversi con un sapiente e misurato uso dell’elettronica cui si contrappone il sound della voce e degli strumenti acustici, puzzle in cui si inserisce senza problema alcuno il chitarrista svedese Hedberg. All’inizio l’album richiama il sound dei Weater Report poi, nel secondo brano, ecco il richiamo ai Gotan Project … ma il clima è rotto da un intervento di Salza dopo di che, come altre volte, il gruppo si avvia ad assumere quella sua precisa identità che avevamo riscontrato nei precedenti album. Così la musica si mantiene eterea a soddisfare sia l’amante di sonorità più moderne, più caratterizzate dall’elettronica, sia l’appassionato di jazz grazie soprattutto alle sortite solistiche di Simone Salza. E queste caratteristiche il gruppo le conserva anche quando esegue brani assai impegnativi come il davisiano “So What” preso a tempo veloce e impreziosito da una superba performance di Elisabetta Antonini. Comunque il brano che ci ha maggiormente convinti è la title-track una ballad che la dice lunga sulla capacità compositive di Testoni e sulle possibilità interpretative del gruppo.

Maciek Pysz, Daniele Di Bonaventura – “Coming Home” – Caligola 2232

Ecco un album sorprendente! Non si può, infatti, dire che un duo costituito da chitarra (acustica ed elettrica) e bandoneon, nelle mani rispettivamente di Maciek Pysz polacco di stanza a Londra e Daniele Di Bonaventura marchigiano di Fermo, si ascolti ogni giorno. Così come non si può certo dire che la musica prodotta dai due sia banale. La verità è che ci troviamo dinnanzi ad un CD di estrema raffinatezza in cui due specialisti dei rispettivi strumenti si incontrano per fondere le loro voci e dar vita a un qualcosa di sorprendente, per l’appunto. Qui c’è tutta la poesia che la musica possa comprendere, c’è l’empatia che si sviluppa tra due artisti pure di estrazione così diversa ma uniti dal comune amore per i paesaggi, per le atmosfere distese, per le melodie tratte dal folklore, per il tango. Di qui il titolo dell’album, “Coming Home”, un “Ritorno a casa” che viene vissuto dai due musicisti con motivazioni probabilmente diverse ma con lo stesso atteggiamento, lo stesso amore per ciò che si è momentaneamente lasciato ma che si ritrova con dolce piacere. Di qui un repertorio di undici brani tutti originali composti dai due con alcune punte di eccellenza raggiunte laddove i due suonano tango. Senza sapere che gli autori dei brani sono due europei, si potrebbe benissimo pensare che questi tanghi siano stati scritti da argentini tanto forte è la potenza espressiva della musica che sembra nata proprio nei sobborghi di Buenos Aires. Insomma non è un caso che Peter Jones del “London Jazz” l’abbia definito il miglior disco dell’anno.

Thomas Strønen – “Lucus”– ECM 2576

E’ un clima decisamente cameristico quello che si avverte ascoltando le prime note di “La Bella” il brano d’apertura di questo eccellente lavoro. Protagonisti il batterista norvegese Thomas Strønen con Ayumi Tanaka al pianoforte, Hakon Aase al violino, Lucy Railton al violoncello e Ole Morten Vågan al contrabbasso. Da jazzista aperto, intelligente e tutt’altro che conformistica, Thomas abbandona le atmosfere che solitamente caratterizzano il jazz del Nord Europa per addentrarsi su terreni diversi, molto più vicini alla musica colta contemporanea senza tuttavia dimenticare del tutto il background jazzistico. E a scelta dei compagni di viaggio è del tutto in linea con questo obiettivo: Ayumi Tanaka è una giovane pianista giapponese che ha studiato a Oslo, Hakon Aase è un raffinato violinista dalle brillanti capacità improvvisative, Lucy Railton è consideratauna delle migliori violoncelliste del momento mentre Ole Morten Vågan è contrabbassista di punta della nuova scena norvegese. Forte di tali individualità, Strønen, contrariamente ai precedenti album, si è abbandonato ad una scrittura più aperta, cioè ad una scrittura che contemporaneamente consente al leader di esplorare vari territori e lascia ai solisti maggiore libertà a seconda di come sentono la musica al momento in cui si esprimono. E il risultato è sorprendente: il gruppo manifesta un’impeccabile coesione in cui scrittura e improvvisazione si equilibrano in modo da tenere sempre ben viva l’attenzione dell’ascoltatore. I brani sono tutti scaturiti dall’inventiva del leader e presentano, quindi, una forte omogeneità anche se particolarmente interessante ci è parso il pezzo che dà il titolo all’album.

Joona Toivanen Trio – XX – CamJazz 7920-2

Ancora un pregevole album frutto della collaborazione tra l’etichetta italiana CamJazz e i musicisti finlandesi: “XX” è il titolo dell’album inciso a Cavalicco nel maggio del 2017 dal trio del pianista Joona Toivanen completato da Tapani Toivanen al contrabbasso e Olavi Louhivuori alla batteria. I lettori di questa rubrica ricorderanno, probabilmente di come ci siamo già occupati di questo eccellente pianista recensendo sia “At My Side” e “Novembre” rispettivamente del 2008 e del 2014 sempre con la stessa formazione, sia il piano solo “Lore Room” del 2015. In ognuna di queste occasioni avevamo espresso un giudizio assai positivo su Joona sorprendente in ambedue i contesti: trio e piano solo. Quindi la bontà di questo nuovo “XX” per lo scrivente non è certo una novità; anzi! Il trio conferma tutto ciò che di buono aveva evidenziato nei precedenti lavori: la band ha raggiunto un livello di sintesi notevole riuscendo a far convivere le peculiarità del jazz nordico (umori, sapori, una certa malinconia di fondo) con gli stilemi della tradizione jazzistica propriamente detta. Ma probabilmente il merito maggiore del trio consiste nell’esprimersi con grande semplicità sì da far apparire la loro musica estremamente fruibile senza essere banale.
Il trio si muove con grande leggerezza evidenziando una perfetta empatia che consente loro da un canto di preservare quella purezza del suono che da sempre costituisce una delle caratteristiche peculiari del trio, dall’altro di proseguire la ricerca sulla linea melodica e sulla cantabilità con un perfetto equilibrio tra pagina scritta e improvvisazione. Si ascolti al riguardo sia “Robots” dalle suadenti linee melodiche sia “Mt. Juliet” un vero e proprio gioiellino che chiude l’album, impreziosito da un fitto dialogo pianoforte-contrabbasso.

Tiziano Tononi-“Trouble No More… All Men Are Brothers”- Long Song Records

C’era molta attesa attorno a questa nuova produzione di Fabrizio Perissinotto affidata ai Southbound guidati con perizia dal batterista, compositore, arrangiatore Tiziano Tononi. “Trouble No More… All Men Are Brothers” è una sorta di concept album essendo interamente dedicato alla musica degli Allman Brothers, gruppo di culto che soprattutto negli States rappresenta una vera istituzione. In effetti sia Tononi sia Perissinotto da sempre hanno estrinsecato la loro passione verso la musica di questo gruppo. Così nel 2015 le comuni idee cominciano a sedimentarsi in un progetto ben definito; durante la permanenza a New York per la registrazione di “The Brooklyn Express – No Time Left” dello stesso Tononi, i due incontrano il bassista newyorkese Joe Fondam uno degli elementi di spicco della scena newyorkese avendo tra l’altro collaborato con Anthony Braxton; Fonda è d’accordo e così passo dopo passo Tononi costruisce la formazione chiamando accanto a sé alcuni tra i migliori musicisti italiani quali, tanto per fare qualche nome, Piero Bittolo Bon al sax alto, clarinetto e flauto, Emanuele Parrini violino e viola, l’eccellente e poliedrica Marata Raviglia alla voce e come special guest il compagno di mille battaglie, Daniele Cavallanti, che ci regala un centrato assolo in “Soul Serenade”. Come al solito, quando ci si avventura in un’impresa del genere, l’interrogativo è sempre lo stesso: come omaggiare la musica di un gruppo con una sua precisa identità stilistica? La strada scelta da Tononi è coraggiosa e non a caso ha pagato: il batterista ha completamente ristrutturato la strumentazione sostituendo le due chitarre originariamente nelle mani di Duane Allman e Dickey Betts con due sassofoni mentre al posto della chitarra slide ecco il violino di Emanuele Parrini con la fisarmonica di Carmelo Massimo Torre al posto dell’organo. Insomma un completo ripensamento del modo di eseguire quella musica pur restando fedele alla stessa con un organico che marcia a tutto gas evidenziando una splendida intesa ed una forte capacità improvvisativa di tutti i musicisti chiamati all’assolo. Al riguardo eccezionale come sempre Joe Fonda strepitoso sia in fase di accompagnamento sia in versione solistica.

David Virelles – “Gnosis” – ECM 2526

Altro album, targato ECM, di non immediata lettura ma di indubbio fascino non solo per la qualità musicale ma anche per il progetto che la sottende. Protagonista David Virelles a be ragione considerato uno dei più interessanti pianisti cubani comparsi sulla scena negli ultimi anni. Contrariamente a molti suoi colleghi, Virelles si è dedicato allo studio della musica tradizionale afro-cubana riattualizzandola alla luce della sua ‘moderna’ sensibilità e quindi di un linguaggio improvvisativo contemporaneo. Di qui una serie di album quali “Continuum” (Pi Recordings, 2012) in collaborazione con il vocalist e percussionista Roman Diaz, “Mbókò” (ECM, 2013) e “Antenna” (ECM, 2016). Il titolo scelto per quest’ultimo album, inciso a New York nel maggio 2016, ma concepito nel 2014 ed eseguito in prima mondiale nel novembre 2015 al Music Gallery di Toronto, è “Gnosis” proprio ad evidenziare il riferimento ad una conoscenza collettiva antica, di natura esoterica. L’organico è piuttosto ampio con il leader coadiuvato innanzitutto dal compagno di altre avventure, il vocalist e percussionista Romàn Diaz, e poi un contrabbasso, due fiati, un ensemble di percussioni, una viola e due violoncelli e due voci aggiunte. Di qui una serie di brani che richiamano atmosfere assai diversificate: da “Erume Kondò” di chiara impronta tradizionale al successivo “Benkomo” in cui, specie all’inizio, la musica si fa più rarefatta, il colloquio tra piano e percussioni minimale, il clima molto più vicino alla musica contemporanea anche se inframmezzato da interventi vocali che richiamano un retaggio ancestrale afro-cubano. E questo alternarsi si avverte in tutto il disco: da un lato le percussioni e gli interventi vocali guidati da Ramon Diaz di chiara derivazione africana, dall’altro un contesto classico-contemporaneo disegnato da Virelles che si afferma non solo come pianista ma anche come compositore firmando tutti i brani dell’album. Infine, elemento da non trascurare, la pagina scritta riveste in “Gnosis” un’importanza determinante anche se, ovviamente, non mancano momenti in cui l’improvvisazione la fa da padrona.

Michael Wollny Trio – “Wartburg” – Act 9862-2

La genesi di questo album è ben illustrata da Michael Wollny nelle note che accompagnano l’album per cui preferiamo soffermarci su altri elementi. Innanzitutto la personalità del leader. Punta di diamante della Act, il pianista di Francoforte, passo dopo passo, si è imposto alla generale attenzione di pubblico e critica, grazie ad una tecnica sopraffina e ad una squisita sensibilità che lo porta ad improvvisare con grande naturalezza. Ed è proprio il riferimento all’improvvisazione la cifra che caratterizza lo stile del tedesco. La sua visione della musica è ampia, paragonabile – afferma lo stesso Wollny – al modo in cui parliamo: prima di pronunciare le parole noi non sappiamo esattamente cosa diremo, si tratta, cioè, di una continua improvvisazione. Ecco, lo steso discorso può farsi per la musica nel senso che quando si comincia a suonare può esserci un qualche punto di riferimento circa la melodia, il ritmo e l’armonia ma poi, il risultato finale, dipende da tutta una serie di fattori difficilmente ipotizzabili. E questa alea, questo piacere di rischiare si avvertono tutti ascoltando l’album che alla perfetta empatia già consolidata tra il pianista e i suoi abituali partners (Christian Weber al contrabbasso e Eric Schaefer alla batteria) aggiunge la piena, convinta adesione al progetto di Emile Parisien al sax soprano in due brani. Ma, ovviamente, è il leader a menare la danza: il suo è un pianismo privo di risvolti virtuosistici ma di sicuro ben sorretto da anni di studio cosicché, ad esempio, perfetta appare la padronanza della dinamica e fluido l’incedere nonostante, come si accennava, il linguaggio non sia dei più semplici. Un’ultima ma non secondaria considerazione: Wollny conferma le sue capacità compositive dal momento che molti dei brani sono stati da lui scritti.