Maria Pia De Vito profonda anche nelle parole / Sonia Spinello sorprende il pubblico romano

Ancora una bella serata martedì nell’ambito degli incontri tenuti alla Casa del Jazz dal nostro direttore Gerlando Gatto. Ospiti Maria Pia De Vito e Sonia Spinello.
Atmosfera molto distesa con le due artiste assolutamente a loro agio, pur affrontando tematiche tutt’altro che leggere, ed un pubblico quanto mai attento e recettivo tra cui, in sala, due figure di rilievo del jazz italiano: Cinzia Tedesco una delle voci più autorevoli del panorama vocale e Danilo Blaiotta sicuro talento del nuovo pianismo jazz.
Apre Maria Pia De Vito che canta accompagnandosi al pianoforte: il conduttore la invita a ripercorrere i primi passi della sua carriera, quando frequentava il “Music Inn” e appariva – queste le parole di Gatto – «affamata di Jazz».

La vocalist risponde con fervore e il quadro che ne deriva è quello di un ambiente musicale molto vivo, ricco di fermenti, di novità, di un pubblico che man mano si avvicina al jazz apprezzandone il nuovo linguaggio. In tale contesto si forma la personalità della De Vito che, a partire da quei giorni, mai si è fermata nella ricerca di un’espressione artistica che meglio la rappresenti. Di qui una sperimentazione sulla vocalità che attraversa vari terreni: dal free jazz all’elettronica, dal lavoro sulla forma canzone anglofona, senza limitazioni di genere, alle riletture su musiche rinascimentali e barocche, fino alla personale elaborazione della lingua e della cultura napoletana attraverso la musica di improvvisazione. E il primo “regalo” musicale lo offre riproponendo un brano di Joni Mitchell, per sua stessa ammissione una delle sue muse ispiratrici.
Trattandosi di una cantante che come nessun’altra ha saputo valorizzare la lingua napoletana in un ambito totalmente diverso, non poteva mancare un omaggio a questa particolare sperimentazione; ecco dunque la De Vito interpretare con sincera partecipazione “Il Paradiso Dei Cacciottielli “tratto da un album particolarmente significativo intitolato “Phoné” del 2018 in cui la De Vito si esibiva accanto a John Taylor, Gianluigi Trovesi, Enzo Pietropaoli, Federico Sanesi.
L’intervista si sposta poi sull’ultimo lavoro della vocalist campana, “This Woman’s work“ per la Parco della Musica Records, riflessione in musica sulla condizione femminile, particolarmente in sintonia con il secondo libro di Gatto dedicato all’universo femminile del jazz. Su questo particolarissimo tema la De Vito si è soffermata parecchio con riflessioni sempre assai puntuali.
Avviandosi alla conclusione Maria Pia ci ha offerto un breve saggio di improvvisazione a cappella suscitando l’entusiasmo del pubblico che l’ha salutata con calorosi applausi.

Atmosfere completamente diverse nella seconda parte della serata con la vocalist Sonia Spinello accompagnata al piano dall’ottima Eugenia Canale della quale, proprio in questi giorni, è uscito l’album “Risvegli” per la Barnum.
Tornando alla serata presso la Casa del Jazz, Gatto ha tenuto a precisare che l’invito alla Spinello era determinato dal fatto che questa artista praticamente non è conosciuta nel centro-sud Italia nonostante al Nord abbia già raggiunto una buona popolarità grazie ad alcune ottime produzioni discografiche.
Spronata dalle domande di Gatto, la Spinello ha parlato a lungo delle sue attività che vanno ben al di là del fatto squisitamente musicale, estendendosi a tutta una serie di implicazioni che riguardano l’utilizzo della voce in funzione terapeutica.
Sollecitata dal critico musicale, la Spinello ha poi rammentato le tappe fondamentali della sua carriera, ponendo un particolare accento su alcuni album da cui ha tratto due brani interpretati l’altra sera: “Visions”  tratto da “Wonderland”, un album dedicato a Stevie Wonder inciso con Roberto Olzer al piano, Yuri Goloubev al basso, Mauro Beggio alla batteria, Fabio Buonarota al flicorno, Bebo Ferra  chitarra, e “Inverni”, da “Sospesa”  registrato con  Fabio Buonarota flicorno e tromba, Lorenzo Cominoli chitarra, Roberto Olzer pianoforte, Ivan Segreto voce.
Anche in questo caso convinti applausi del pubblico.
E chiudiamo con una importante comunicazione di servizio: per problemi legati alle attività della Casa del Jazz, la prossima puntata de “L’altra metà del jazz” è stata spostata al 29 novembre. Quindi gli incontri con Gatto riprenderanno il 15 (non martedì 14) con Rita Marcotulli e Ottavia Rinaldi: insomma un altro appuntamento particolarmente stimolante (ingresso 5€ – biglietti online su TicketOne.

Redazione

ℹ️ INFO UTILI:
Casa del Jazz – Viale di Porta Ardeatina 55 – Roma
tel. 0680241281 –
La biglietteria è aperta al pubblico nei giorni di spettacolo dalle ore 19:00 fino a 40 minuti dopo l’inizio degli eventi

I nostri CD

a proposito di jazz - i nostri cd

Pierluigi Balducci – “L’equilibrista” – Dodicilune
Una prima notazione tutt’altro che secondaria: “questo lavoro – afferma lo stesso Balducci – vede la luce ad otto anni dal mio precedente disco, “Blue from Heaven”, e a tre anni da “Evansiana”, pubblicato nel 2017. Lo dedico a John Taylor, che in questi due dischi è presente: punto di riferimento sia per me che per tanti altri musicisti europei, John mi ha onorato della sua presenza nel mio quartetto fino alla sua scomparsa, nel 2014”. Ebbene, nell’intento di omaggiare cotanto artista, il bassista/compositore pugliese Pierluigi Balducci, ben coadiuvato da Robert Bonisolo (sax tenore), Fabrizio Savino (chitarra) e Dario Congedo (batteria) ha realizzato questo eccellente album con sette brani originali tutti composti dal leader. Inquadrato l’album nelle sue linee generali, occorre aggiungere che il titolo rispecchia appieno la musica che si ascolta. Un equilibrio tra forma e contenuto, un bilanciamento apprezzabile tra parti scritte e improvvisate, un giusto alternarsi di atmosfere tra energico groove e avvolgente melodia, il tutto condito da una ricerca sul sound che ha dato frutti copiosi. In particolare si fa apprezzare il dialogo a più voci che vede impegnati alle volte Balducci e sezione ritmica, altre volte Balducci e Bonisolo; ciò senza trascurare il peso degli assolo che si ascoltano nei vari brani: particolarmente apprezzabile, ad esempio, il chitarrista nella title-track con il suo incedere elegantemente descrittivo mentre il sax di Bonisolo s’impone alla generale attenzione già a partire dalle primissime note del brano d’apertura “Blackarera” caratterizzato da un coinvolgente andamento ritmico.
Dal canto suo il leader, oltre a fornire un irrinunciabile supporto armonico per tutta la durata dell’album (si ascolti a mò di esempio “Kosmos and Chaos”) si produce anche in notevoli assolo come nel caso di “Monet” probabilmente il pezzo migliore dell’album. Fra gli altri brani più significativi “Fino a prova contraria”, una lunga ballad esposta con sapienza narrativa da Robert Bonisolo e con i notevoli assolo della chitarra di Savino e del basso elettrico del leader.

Luiz Bonfà – “Plays & Sings Bossa Nova + The Gentle Rain” – Aquarela do Brasil
Siamo nei primissimi anni ’60, per la precisione nel 1962, quando viene registrato un lp dal sassofonista Stan Getz con il chitarrista Charlie Byrd: è l’inizio del fenomeno ‘jazz samba’ (più tardi inteso come ‘bossa nova’) che tanto successo ebbe nel mondo del jazz. Tra i sacerdoti di questa nuova musica figura certamente il chitarrista e vocalist Luiz Bonfà (Rio de Janeiro, 17 ottobre 1922 – Rio de Janeiro, 12 gennaio 2001) che nello stesso 1962 fu tra i protagonisti dello storico spettacolo di bossa nova che si tenne alla Carnegie Hall. A testimonianza delle sue frequentazioni con il mondo del jazz restano le incisioni con Stan Getz, Quincy Jones, Frank Sinatra, Eumir Deodato. Moltissime le composizioni di Bonfà – oltre un centinaio – molte celebri, tra cui ricordiamo innanzitutto “Manhã de Carnaval” e “Samba de Orfeu” entrambi tratti dalla colonna sonora del film “Orfeo Negro”. In questo album si ascoltano due lp risalenti agli anni ’60. Nel primo, registrato a New York nel 1962, troviamo Bonfà a capo di un sestetto e una sezione d’archi arrangiata da Lalo Schifrin; il secondo – “The Gentle Rain” – è la colonna sonora dell’omonimo film in cui il chitarrista suona con un’orchestra arrangiata e diretta dall’amico Eumir Deodato, realizzata a Rio De Janiero nel 1966. Naturalmente in repertorio figurano altre perle targate Bonfà come il già citato “Manhã de Carnaval” e ancora “Samba de Duas Notas”, “Silencio do amor”, “Perdido de amor” registrato a Rio de Janeiro nel 1959 e porto come “bonus track”. Fornire un quadro esauriente dell’arte di Bonfà è opera davvero ardua dato l’enorme numero di registrazioni effettuate dall’artista tuttavia dall’ascolto di questo album si può ricavare un ritratto soddisfacente di quel che Bonfà ha rappresentato nel mondo della musica.

Jakob Bro – “Uma Elmo” – ECM 2702
E’ un trio di caratura internazionale quello che il chitarrista danese Jakob Bro, al suo quinto disco da leader per la ECM, presenta in questa occasione: al suo fianco sono, infatti, il trombettista norvegese Arve Henriksen e il batterista spagnolo Jorge Rossy. Ad onta del fatto che i tre mai avevano inciso prima, la formazione si dimostra assolutamente compatta, ben guidata dal leader e perfettamente in grado di svolgere la musica che Bro aveva immaginato. Nove brani tutti composti dal chitarrista caratterizzati da un’atmosfera profonda, intimista, fortemente evocativa, ricca di echi, di riverberi, con chitarra e tromba che dialogano continuamente e la batteria di Rossy a punteggiare e sostenere il tutto, pur concedendo davvero poco all’impianto ritmico. Nell’ambito del repertorio figurano tre espliciti omaggi, in cui, però, Bro continua ad evidenziare la sua poetica mantenendosi ad una certa distanza dagli artisti evocati. Non a caso l’album si apre con “Reconstructing a Dream” in ricordo di quel periodo (2007) in cui collaborava con la Paul Motian’s Electric Bebop Band. “To Stanko” è un tributo al trombettista polacco Tomasz Stanko con il quale Bro aveva collaborato per ben cinque anni incidendo, tra l’altro, nel 2009 l’album ECM “Dark Eyes” unitamente a Alexi Tuomarila piano, Anders Christensen chitarra basso e Olavi Louhivuori batteria; la linea melodica è dolcemente suggestiva ben lontana, quindi, dal clima arroventato proprio dell’artista polacco. L’altro jazzista omaggiato è Lee Konitz per il quale Bro ha scritto ed eseguito “Music For Black Pigeons”; nei confronti del sassofonista Bro dichiara una sorta di sincera devozione sorta negli anni in cui hanno suonato assieme durante le tournée effettuate in Islanda, Groenlandia, Norvegia, Danimarca. Il brano più interessante? Difficile da enucleare anche se mi ha particolarmente colpito “Housework” sia per il sound affatto particolare della tromba, sia perché è piuttosto complicato enucleare le parti improvvisate dall’intelligente scrittura.

James Booker – “The Ivory Emperor” – Soul Jam 806188
Album da non perdere per gli appassionati di un certo tipo di jazz, molto vicino al blues. In effetti vi sono contenuti tutti i singoli che James Booker realizzò come leader all’inizio della sua carriera, tra il 1954 e il 1962, quando incideva per diverse etichette tra cui Imperial, Chess, Ace e Peacock. Il cd contiene inoltre brani di altri artisti in cui James Booker appare come sideman. E’ il caso, ad esempio, di “You’re On My Mind” e “The Nex Time” in cui suona accanto a Junior Parker (voce) e Arnett Cobb (sax tenore), e delle due tracce conclusive in cui collabora con il bluesman Earl King. Ma chi era James Booker domanda che probabilmente si staranno facendo i nostri più giovani lettori. Ebbene James Booker, (New Orleans, 17 dicembre 1939 – 8 novembre 1983), conosciuto come il Principe del piano di New Orleans, è stato uno dei musicisti più amati di Crescent City. Era un pianista eccellente, organista di livello (lo si ascolti ad esempio in “Cross My Heart”), vocalist e compositore che si era creato uno stile del tutto personale fondendo R&B, gospel, blues, boogie-woogie, jazz tradizionale e moderno attraverso un suono originale. Ma le sue conoscenze musicali andavano ben al di là rivolgendosi anche alla musica classica europea, così rivisitò in chiave blues il “Valzer del minuto” di Chopin e inserì una composizione dello stesso autore polacco in un brano boogie-woogie. Data l’importanza della sua musica nell’ambito della scena jazz-blues di New Orleans, la sua produzione fa parte dal 2008 degli archivi della Biblioteca del Congresso.

Sam Cooke – “Wonderful World – The Hits” – Hoo Doo
Questo è un album chiaramente divisivo: in effetti se amate il soul jazz e più in generale la soul music allora l’ascolto sarà più che gradevole; esattamente il contrario se vi sentite lontani da questo particolare genere. Il protagonista è un vocalist di assoluto rilievo, Sam Cooke, che può essere considerato uno dei padri fondatori della soul music essendo stato tra i primi a coniugare le tematiche gospel con input provenienti dalla vita reale. Nato a Clarksdale il 22 gennaio 1931 e scomparso a Los Angeles l’11 dicembre 1964, Sam sulla spinta del padre – il Reverendo Charles Cook della Chiesa Battista – si era già affermato da giovanissimo come leader del famoso gruppo gospel “teenage” “The Highway QC” che abbandonerà all’età di 19 anni per dedicarsi ad una musica “profana”. Nel corso della sua non lunga carriera, Sam collezionò una serie incredibile di successi, grazie ad un incredibile senso del ritmo e a straordinarie capacità vocali che gli consentivano di passare con disinvoltura da Gershwin (lo si ascolti in “Summertime” a classici del pop quale “Youn Send Me”, anch’esso presente in questa raccolta. E il pregio principale di questo CD consiste proprio nel fatto che nell’ambito delle 30 tracce, registrate tra il 1956 e il 1962, possiamo ascoltare tutti i più grandi successi del vocalist, da “Wonderful World” che apre la compilation a “Bring It On Home to Me”, da “Chain Gang” a “Twistin’ the Night Away” da “A Change Is Gonna Come” fino al conclusivo “Having a Party” per circa 78 minuti di musica. In queste numerose performances Sam Cooke è accompagnato anche da alcuni eccellenti jazzisti quali il pianista Hank Jones, Mike Pacheco (conga), Red Callender (basso).

Chick Corea – “Plays” – Concord 2 CD
E’ di poche settimane fa la dipartita di Chick Corea un artista che ha segnato la storia del jazz negli ultimi cinquant’anni. Ecco, quindi, questo pregevole doppio album della Concord che lumeggia uno dei tanti lati della complessa personalità artistica di Corea: quella del piano solo. Piano solo declinato attraverso una varietà di situazioni che testimonia, meglio di mille parole, da un lato l’incredibile conoscenza del repertorio pianistico, dall’altro la capacità di ben interpretarlo. Eccolo quindi alle prese con Mozart, con Gershwin, con Scarlatti, con Bill Evans, con Scriabin, con Antonio Carlos Jobim, con Monk, per chiudere con una serie di brani tratti da quell’inesauribile scrigno costituito dalle sue composizioni. In particolare il primo CD è dedicato a prezzi celebri che tutti conoscono mentre nel secondo è possibile ascoltare tutti brani di Corea eccezion fatta per “Pastime Paradise” di Stevie Wonder. I brani sono tratti da una serie di concerti svolti in vari Paesi europei e statunitensi e ovunque, dinnanzi ad un pubblico che lo acclama, Chick non si risparmia e affronta con disinvoltura i non facili confronti con gli autori su citati. Ma non basta ché Corea si lascia andare anche ad improvvisazioni che testimoniano la valenza di un artista che mai ha fatto ricorso al banale, al facile ascolto, ai cliché spesso di moda. Insomma ancora una volta Corea si concede senza limiti al suo pubblico, senza particolari modalità, fedele al suo motto più volte espresso secondo cui “a me piace – afferma il pianista – che il pubblico ai miei concerti si senta come se stessimo nel mio salotto a discutere del più e del meno”.
Così il suo pianismo conserva intatta la sua originalità e soprattutto quel tocco che lo ha reso celebre. Come ho molte volte sottolineato, quello che trasforma un buon musicista in un grande artista è la riconoscibilità e in un pianista detta riconoscibilità si sostanzia nella originalità del tocco, nel caso di Corea un tocco sublime e straordinariamente controllato.

Daniele Germani – “A Congregation of Folks” – Gleam Records 7004
Album d’esordio per questo alto-sassofonista originario di Frosinone ma di stanza a Brooklyn, NY, ben coadiuvato dal pianista originario dell’Oregon Justin Salisbury, dal bassista Giuseppe Cucchiara e dal batterista sudcoreano Jongkuk Kim. In programma tredici composizioni tutte scritte dal sassofonista che si è fatto le ossa suonando al Wally’s Jazz Cafe, il leggendario jazz club di Boston; in questa città Germani si è trasferito nel 2013 avendo ottenuto una borsa di studio per frequentare il Berklee College of Music. Mentre era lì, è stato ammesso al prestigioso Berklee Global Jazz Institute di Danilo Perez, dove ha studiato sotto la guida di Terri Lyne Carrington, Joe Lovano e del suo mentore, George Garzone. Avendo alle spalle tanti anni di studio e con maestri talmente prestigiosi, Germani si presenta al pubblico italiano come musicista maturo, perfettamente consapevole dei propri mezzi espressivi e in grado di guidare un ensemble ben equilibrato e affiatato grazie al fatto che i quattro si sono conosciuti al Berklee. Di qui una perfetta spaziatura tra gli strumentisti e il giusto tempo dato ad ognuno per esprimere le proprie potenzialità. Così ad esempio in “One Moment To Monet” è il piano di Salisbury a mettersi in particolare evidenza mentre in “Hal Believe It” è l’intera sezione ritmica ad evidenziare la sua bravura nel sostenere magnificamente il solismo del leader. Il quale dà un’impronta all’intero album già nelle primissime note del brano d’apertura quando su un tappeto disegnato dal basso introduce e sviluppa il tema, portandolo dolcemente a conclusione Comunque ad avviso di chi scrive il brano meglio riuscito è “Eres luz”, una suggestiva melodia disegnata anche dal contrabbasso di Cucchiara e che vede l’intero quartetto esprimersi al meglio.

Andrea Goretti – A Light in The Darkness – Dodicilune 503
Undici composizioni originali che il pianista-compositore Andrea Goretti affronta in solitudine. Di qui una duplice fatica: da compositore e da esecutore. E la valutazione non può che essere positiva. Le composizioni appaiono ben strutturate, caratterizzate da introspezione e sincera meditazione, mentre le esecuzioni risultano perfettamente aderenti alle idee dell’artista. Quindi nessuno sfoggio virtuosistico ma un uso intelligente delle dinamiche, una accurata ricerca armonica nell’ambito di un pianismo tecnicamente ineccepibile. Il tutto supportato da una profonda conoscenza della letteratura sia classica sia jazzistica, con specifico riferimento alle tendenze più attuali. Non a caso in repertorio figura anche un brano, “T.T.T. X – Twelve Tone Tune X” costruito con una linea melodica di dodici suoni, ad omaggiare il celebre “Twelve Tone Tune” di Bill Evans. Altra dote di Andrea Goretti la capacità di saper bilanciare scrittura e improvvisazione, pratica quest’ultima, che pur evidenziandosi in tutto l’album si palesa particolarmente in “Neptune’s Blues” e “I giganti”. L’album si chiude con tre pezzi registrati dal vivo durante un concerto a Roma nel novembre del 2018: “Impro I”, “Lamento”, ispirato al blues e “Il Grinch 2”, dedicato, non senza un tocco d’ironia, al periodo natalizio, in particolare a quel personaggio – Grinch per l’appunto – inventato nel 1957 dal Dr. Seuss, che odia il Natale, non ne sopporta l’atmosfera allegra, i canti, i regali e le luci. L’album è impreziosito da una poesia di Umberto Petrin, “Question”, ispirata dalla musica di Goretti.

Pietro Lazazzara – “My Art of Gypsy Jazz” – Stradivarius
Chiarezza esemplare nel titolo dell’album: siano nel campo di un certo ben preciso tipo di jazz che il chitarrista e compositore Pietro Lazazzara frequenta con disinvoltura. Ma sarebbe un errore confinare l’album nell’ambito del “Gipsy Jazz”: in effetti, restando questo la fonte principale da cui trae ispirazione, il percorso di Pietro è più complesso e completo. Eccolo quindi studente di chitarra classico, appassionato conoscitore del flamenco, laureato in musica jazz e infaticabile appassionato ricercatore nell’ambito di uno sconfinato universo musicale. Di qui una musica in cui tutti questi input sono ben amalgamati e condotti ad unità grazie ad una buona verve compositiva e ad una eccellente tecnica esecutiva che si palesa soprattutto nei due brani per chitarra-solo “Passion d’Amour” ed “Echi d’Infanzia”. Nell’album Lazazzara è, in effetti, coadiuvato da Antonio Solazzo al basso e in un brano, “Relax”, da Emanuele Maggiore al flicorno. In cartellone quattordici pezzi scritti dallo stesso chitarrista con l’eccezione di “Douce Ambiance” di Django Reinhardt, “Joseph Joseph” di Kahn, Chaplin, Nellie e “Bistrot Fada” di Stephane Wrembel. Alla fine di un duplice attento ascolto dell’album, si può ben dire che la figura di Lazazzara quale compositore ed esecutore si colloca su livelli più che buoni. Le composizioni appaiono tutte ben scritte, equilibrate, caratterizzate da una sapiente ricerca armonica e si fanno ammirare anche per il notevole bilanciamento tra parti scritte ed improvvisate. L’esecuzione, poi, è raffinata, elegante ad evidenziare un chitarrista sensibile, ispirato, dalla tecnica ineccepibile per quanto misurata e lontana dalla volontà di stupire l’ascoltatore cosicché ogni nota ha il suo preciso perché.

Peggy Lee – The Hits of – All Anglow Again!” – Essential Jazz11443
Peggy Lee (Jamestown, 26 maggio 1920 – Bel Air, 21 gennaio 2002) è stata artista di squisita sensibilità che ha incantato le platee di tutto il mondo. Dotata di una voce non potentissima ma di grande fascino, suggestiva, capace di portare l’ascoltatore in una dimensione “altra”, Peggy ottenne grande popolarità durante l’era dello swing quando lavorò e incise con grandi orchestre dirette, tra gli altri, da Benny Goodman, Nelson Riddle, Billy May. Questo album contiene l’edizione integrale dell’lp “All Aglow Again”; si tratta di una compilation realizzata nel 1960 con in repertorio dodici brani tratti dalle varie registrazioni effettuate sino a quel momento ivi comprese alcune hit come la celebre “Fever” canzone di Eddie Cooley e Otis Blackwell (usando lo pseudonimo di John Davenport) del 1956; incisa per la prima volta da Little Willie John nello stesso anno, diventò di grande successo grazie alla cover di Peggy Lee del 1958 che raggiunse la quinta posizione nel Regno Unito e l’ottava negli Stati Uniti ed in Olanda, vincendo il Grammy Hall of Fame Award 1998. In aggiunta al già citato “All Anglow Again!” il cd in oggetto presenta altri 17 brani scelti tra i maggiori hit della cantante come “Black Coffee”, “Sugar”, “Ain’t We Got Fun” e “La La Lu”. In buona sostanza per chi come il sottoscritto conosce già da qualche decennio l’arte di Peggy Lee nessuna sorpresa ma il piacere di ascoltare alcune delle sue più convincenti interpretazioni; per i più giovani un’occasione da cogliere per fare la conoscenza di una delle migliori cantanti jazz.

Joe Lovano – “Garden of Expression” – ECM 2685
Conosco personalmente Lovano dall’oramai lontano 1982 e l’ho sempre considerato uno straordinario musicista oltre che una bella persona, cosa che mai guasta. Quest’ultimo album ci restituisce un Lovano in forma smagliante, alla testa di quel Trio Tapestry con cui lo avevamo apprezzato nell’omonimo album del 2019, quindi ancora con Marilyn Crispell al piano e Carmen Castaldi alla batteria. Registrato nel novembre del 2019, l’album è dedicato a quanti sono rimasti vittime del Covid 19. Di qui otto brani tutti scritti dallo stesso Lovano che conducono l’ascoltatore in atmosfere rarefatte disegnate dal leader ma ben supportate da pianoforte e batteria che non fanno assolutamente rimpiangere la mancanza del contrabbasso. Si ascolti quindi con quale e quanta delicatezza il pianismo di Marilyn avvolge il sax del leader, quasi a tessere un intricata trama su cui quasi si adagia la voce di Lovano, mentre la batteria di Carmen segue con grande intelligenza e intuito gli intenti del leader. Una musica, quindi, che si sostanzia nell’empatia che i tre evidenziano sin dalle primissime note a conferma di un “idem sentire” tutt’altro che banale. Esemplare al riguardo il suadente “Night Creatures” in cui la Crispell sembra quasi volersi espandere nel comune territorio pronta, però, a cedere il passo all’entrata del sassofono, il tutto porto con estrema delicatezza. Appare quasi come uno standard il successivo “West of the Moon” mentre nella title- track il trio abbandona le melodie disegnate in precedenza per avventurarsi su terreni diversi, quasi vicini ad un certo free, ma che comunque mette in luce un abilissimo e lucido Castaldi il quale non si lascia sfuggire l’occasione per evidenziare il suo, d’altronde ben noto, talento. L’album si chiude con un lungo (oltre 10 minuti) “Zen Like” scandito da campane tibetane che si stacca nettamente da tutto ciò che si è ascoltato sinora.

Shai Maestro – “Human” ECM 2688
Coinvolgente la musica di questo quartetto la cui leadership si potrebbe tranquillamente spartire tra il pianista Shai Maestro e il trombettista statunitense Philip Dizack, coadiuvati da una puntuale sezione ritmica composta dal batterista israeliano Ofri Nehemya e dal contrabbassista peruviano Jorge Roeder. Certo la maestria del pianista israeliano non la scopriamo certo adesso dato che Shai è già al suo sesto disco da titolare, il secondo con l’etichetta ECM, e può vantare anche quattro album di spessore incisi con l’Avishai Cohen Trio. Ma in questo album c’è forse qualcosa di più. Innanzitutto una piena maturità compositiva declinata attraverso un repertorio di undici composizioni tutte sue ad eccezione di “In a Sentimental Mood”. In secondo luogo la piena conferma di uno stile pianistico che nulla aggiunge a ciò che è strettamente necessario ad esprimere la propria individualità, il proprio essere più profondo (si ascolti al riguardo soprattutto “Compassion” e “Hank and Charlie” il commovente omaggio porto a Hank Jones e Charlie Haden, con il contrabbasso di Jorge Roeder in bella evidenza). In terzo luogo la capacità di eseguire al meglio, in modo originale, composizioni non proprie come la su citata pagina ellingtoniana, pezzo tanto affascinante quanto difficile da riprodurre visto l’inevitabile confronto con l’originale. Infine la straordinaria facilità con cui riesce a rapportarsi con i compagni di viaggio; semplicemente perfetta l’intesa con il trombettista assai evidente soprattutto in “Human” e in “They Went to War” mentre la sezione ritmica è sempre lì, presente e discreta, a puntualizzare le linee disegnate da pianoforte e tromba.

Angelo Mastronardi – “Rough Line” – GleamRecords7003
Con questo terzo album da leader, il pianista si ripresenta con la formula preferita del trio assieme al batterista palermitano Melo Miceli e al contrabbassista americano Rogers Anning. In programma 6 composizioni originali scritte dal leader e due standard, “All Things You Are” (J.Kern / O. Hammerstein II) e “Oleo” (S. Rollins). Il terreno è quello di un jazz caratterizzato da una forte carica ritmica e da spiccate individualità che emergono nel corso delle varie esecuzioni; il tutto impreziosito da una accurata ricerca sul suono che si evidenzia ancora più chiaramente quando Mastronardi si produce non solo al pianoforte ma anche al Fender Rhodes. Come si accennava notevole l’apporto solistico di tutti i membri del trio: così ecco il basso di Rogers Anning particolarmente in evidenza in “Everything I Need” mentre la batteria di Melo Miceli si fa apprezzare in “Away From The Scene”. E il leader? A parte la sapienza con cui guida il trio, si ritaglia spazi per convincenti assolo: in particolare nei due brani eseguiti in solitudine, “All The Things You Are” e “7 H-Our”, Mastronardi evidenzia una assoluta padronanza della tastiera che sa utilizzare in maniera completa evidenziando tra l’altro una ottima diteggiatura e una eccellente indipendenza tra le due mani. In particolare il brano di Kern e Hammerstein è porto in maniera originale con l’intento da un canto di preservare la bellezza del tema dall’altro di osare qualcosa di nuovo, alla costante ricerca di quell’equilibrio fra tradizione e sperimentazione che caratterizza tutto l’album ; in “7H-Our” Mastronardi, avendo a che fare con una propria composizione, si muove con sicurezza nel dichiarato intento di sperimentare le possibilità timbriche del Fender.

Lucio Miele – “Kalpa” – Creative Sources Record
Album assolutamente atipico in cui Lucio Miele, percussionista di tradizione classica, dedito alla ricerca e alla sperimentazione, si racconta attraverso sei sue composizioni, affiancato da Simona Fredella alla voce recitata in due brani e da Anacleto Vitolo al mastering. Chi conosce il musicista salernitano troverà in questo album una perfetta continuità con le sue realizzazioni in cui ha sempre cercato di condensare la molteplicità delle sue esperienze. Viceversa per chi questo album rappresenta il primo approccio con la musica di Miele, sicuramente ne resterà sorpreso, nel bene o nel male non spetta certo allo scrivente deciderlo. In ogni caso è opportuno sottolineare che Miele è artista sincero, intellettualmente onesto, che ha sempre seguito la sua strada per quanto ostica fosse la stessa. Certo, fare musica basandosi solo su percussioni ed elettronica non è impresa facile, anche quando si è perfettamente padroni degli strumenti utilizzati (si ascolti ad esempio il convincente uso dell’elettronica in “Mbombo”). Mancano i riferimenti usuali, la linea melodica, l’andamento ritmico è assolutamente frastagliato e imprevedibile, ma quando si approccia una realizzazione di questo tipo i vecchi parametri vanno messi da parte e occorre lasciarsi andare al flusso sonoro. Aprire la mente il cuore, l’anima e lasciare che la musica ci attraversi fin nel profondo alla ricerca di emozioni sopite che forse solo in questo modo saremo in grado di apprezzare. Insomma un album, come si accennava, di non facile ascolto ma che vale la pena fruire ma, ripetiamo, con disponibilità e attenzione…altrimenti è meglio lasciar perdere.

Roberto Ottaviano – “Resonance & Rapsodies” – Dodicilune
Doppio album del sassofonista (soprano) e compositore pugliese Roberto Ottaviano, affiancato in “Resonance” dal quartetto Eternal Love composto da Marco Colonna (clarinetti), Giorgio Pacorig (piano, rodhes), Giovanni Maier (contrabbasso) e Zeno De Rossi (batteria), ampliato dalla presenza di Alexander Hawkins (piano), Danilo Gallo (contrabbasso e basso acustico) e Hamid Drake (batteria), mentre nel secondo CD, “Rapsodies” solo dal quartetto Eternal Love. Una realizzazione, quindi, particolarmente impegnativa che non a caso ha vinto l’annuale referendum come miglior disco italiano del 2020. Ora, a prescindere dal valore che valutazioni del genere possono avere o non avere, resta il fatto che a mio avviso raramente una produzione discografica è stata così meritevole di tali considerazioni. In effetti Roberto Ottaviano è artista di grandissimo livello, tra i migliori che l’attuale scena jazzistica, non solo italiana, possa annoverare. La sua mente compositiva è sempre lucida, attuale, capace di cogliere i fermenti più significativi che attraversano l’universo musicale senza distinzione di genere mentre le modalità esecutive evidenziano un bagaglio tecnico molto profondo, talmente ben assorbito da non necessitare di alcuna palese esposizione e che, di conseguenza, si sostanzia in uno stile asciutto, senza fronzoli, che nulla lascia all’esibizionismo. L’intento che sta alla base dell’opera è, come afferma lo stesso Ottaviano, “una sorta di omaggio alla ricerca di quella sofferta poetica che fa parte della condizione umana”. Per dare forza e concretezza a questi concetti, Roberto fa ricorso ad una musica declinata attraverso ventitré brani in larga misura da lui stesso scritti in cui non mancano i riferimenti alla musica classica contemporanea. Ma è la pratica collettiva il dato fondamentale di questo doppio CD, una pratica che consente una sorta di doppione del sax di Ottaviano con i clarinetti di Marco Colonna, che risultano essenziali per allargare a dismisura il concetto di suono. Se volessimo sintetizzare in poche parole il significato più profondo di questo “Resonance & Rapsodies” si potrebbe forse dire che nel momento in cui rievoca le esperienze del passato Ottaviano non rinuncia a guardare oltre, non rinuncia ad una ricerca che costituisce una delle cifre fondamentali del suo essere artista.

Dino Piana – “Al gir dal bughi” – PMR, Jando Music
90 anni e non sentirli…o meglio che bel sentire ci procura questo nuovo album del trombonista Dino Piana. Conosco oramai da molti anni la premiata ditta composta da Dino e Franco Piana e ne ho sempre ricavato una bella impressione e non solo dal punto di vista squisitamente musicale, visata la gentilezza, la signorilità con cui i due amano rapportarsi con noi critici e giornalisti. Ma è il versante artistico su cui tocca concentrarsi in questa sede e allora dico, immediatamente, che l’album si colloca su quegli alti livelli cui Dino e Franco Piana ci hanno abituati oramai da decenni. Con in più un elemento di notevole importanza: il CD è stato fortemente voluto da Enrico Rava (storico amico di Dino Piana) e da Franco Piana per festeggiare i 90 anni (a luglio 91) del trombonista piemontese. Di qui la strutturazione di un organico d’eccellenza in cui accanto ai senatori Rava al flicorno e Dino Piana al trombone figurano Franco Piana al flicorno, Julian Oliver Mazzariello al piano, Gabriele Evangelista al contrabbasso e Roberto Gatto alla batteria. Di qui la scelta di un repertorio oggi non di moda: nove standard celeberrimi – “Bernie’s Tune”, “Dear Old Stockholm”, “Everythings Happens To Me”, “I’ll Close My Eyes”, “Line For Lions”, “Rhythm A Ning”, “Polka Dotz and Moonbeams”, “When Light Are Low”, “When Will The Blues Leave” – che tutti, più o meno, si richiamano a quell’hard bop da cui in buona sostanza è poi derivato tutto il jazz moderno. Il gruppo si esprime con bella compattezza impreziosito dal fitto dialogo tra i fiati e dagli assolo di Dino che non si risparmia anzi fa sentire ben nitida la voce del suo strumento in ogni brano. Gli standard fluiscono genuinamente ‘freschi’ come se il tempo non fosse trascorso e l’ascolto è sempre gradevole anche se occorre attenzione per catturare le mille sottigliezze dell’esecuzione. Una precisazione: lo strano titolo deriva dal fatto che durante il primissimo incontro tra Rava e Piana, quest’ultimo associò al blues in fa il giro armonico del boogie-woogie per l’appunto “Al gir dal bughi”.

Marcello Rosa – “The World On A Slide” – Alfa Music 236
Straordinario viaggio nel mondo del trombone. A fungere da gran cerimoniere è Marcello Rosa, uno dei personaggi più rilevanti dell’universo jazzistico nazionale. Conosco Marcello personalmente oramai da tanti anni e so perfettamente quanto ami la sua musica e quanta passione metta in ogni cosa che fa. Ovviamente a quest’aurea regola non sfugge “The World On A Slide” una raccolta di ben sedici brani –molti originali, altri scelti tra le più belle melodie del repertorio jazzistico del XX secolo – ma tutti suonati e arrangiati da Rosa nel corso della sua vita. Ebbene per questa sua ultima fatica discografica, Marcello ha voluto coronare un bel sogno: incidere un disco di soli e tanti tromboni. Ha così chiamato accanto a sé alcuni specialisti non solo del jazz ma anche della musica colta. Ed eccoli tutti i nomi dei temerari che hanno partecipato all’impresa: dalla musica colta Andrea Conti I trombone dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Luigino Leonardi trombonista presso la Banda musicale dell’Aeronautica Militare, Gianfranco Marchesi trombone basso dell’Orchestra sinfonica nazionale della RAI e il Quartetto italiano di tromboni, formato da Devid Ceste secondo trombone dell’Orchestra sinfonica nazionale della RAI, Matteo De Luca I trombone dell’orchestra della Suisse Romande di Ginevra, Diego Di Mario I trombone presso l’Orchestra sinfonica nazionale della RAI e Vincent Lepape I trombone dell’Orchestra del Teatro Regio di Torino. Dal mondo del jazz sono arrivati i già ‘collaudati’ Andrea Andreoli, Mario Corvini, Massimo Morganti e Roberto Rossi; accanto a loro i giovanissimi e brillanti Stefano Coccia, Elisabetta Mattei, Federico Proietti e il G.E.F.F. Trombone Quartet, composto da Giovanni Dominicis, Francesco Piersanti, Eugenio Renzetti e Gabriele Sapora. In taluni pezzi c’è pura una sezione ritmica composta da Paolo Tombolesi al pianoforte, Luca Berardi e Roy Panebianco alla chitarra, Marco Siniscalco al contrabbasso e basso elettrico, Cristiano Micalizzi alla batteria e Filippo La Porta alle percussioni. Il risultato è semplicemente entusiasmante: come si diceva una volta ‘dove peschi peschi bene’ ed in effetti tutte le esecuzioni contengono una carica tale da mai lasciarti indifferente. Qualche titolo? “Autumn Leaves” con Massimo Morganti in veste di solista, la suadente “Southern Ballad” che ad onta delle difficoltà di realizzazione narrate da Rosa è venuta molto bene con Roberto Rossi solista, il sempre toccante “What Are You Doing the Rest of Your Life” affidato al Quartetto Italiano di Tromboni con Gianfranco Marchesi. Da segnalare infine che come bonus track figurano “Miss Magnolia Lee” del giugno 1974 con Enrico Pieranunzi piano, Alessio Urso basso e Gegè Munari batteria e “Il ladro di noccioline” del 1980 con Daniele Cestana piano, Nanni Civitenga chitarra e chitarra basso e Enzo Restuccia batteria.

Bob Salmieri – “…and Mama Was a Belly Dancer” – Cultural Bridge
Il sassofonista tenore romano Bob Salmieri si è già fatto conoscere da quando, nel 2016, costituì l’Erodoto Project, i cui album sono stati recensiti su questi stessi spazi. E’ di pochi mesi fa la costituzione del ‘Bob Salmieri Bastarduna Quintet’ con Giancarlo Romani alla tromba, Vincenzo Lucarelli organo e piano, Maurizio Perrone contrabbasso e Massimiliano de Lucia alla batteria, ospite in tre brani il vibrafonista e pianista polacco Mateusz Nawrot. In piena pandemia il gruppo incide il disco “…and Mama was a belly dancer” per Cultural Bridge, declinato attraverso otto composizioni tutte del leader che anche come strumentista non si risparmia di certo per tutta la durata dell’album. Due le necessarie premesse: nell’intento di Salmieri si tratta di un concept album in quanto rivede e rivive i sogni di un uomo-bambino che costruisce i suoni, i sapori, i colori di un tempo lontano e di un mondo sognato. In secondo luogo il termine Bastarduna con cui si è voluto caratterizzare il gruppo indica una varietà pregiata di fichi d’India a voler indicare la strada ‘mediterranea’ che il gruppo intende perseguire. Ora se, more solito, almeno per me è assai difficile stabilire se la musica coincide con l’impianto concettuale che dovrebbe sostenerla, non c‘è invece dubbio alcuno sul fatto che il jazz proposto si inserisca nel solco di un’ispirazione di impronta chiaramente mediterranea, particolarmente evidente in “Madame oculus” e “Men With The Painted Faces” impreziosito da un bell’assolo di Lucarelli all’organo. Dal punto di vista della linea melodica, particolarmente apprezzabile “The Flying Devils”. Comunque è tutto l’album che si snoda attraverso un filo rosso che vede in primo piano il fitto colloquio tra i due fiati ben sostenuti dalla sezione ritmica con l’ospite polacco in grado di ben inserirsi nel discorso collettivo con assoli di pregevole fattura (lo si ascolti in “The Balinese Dancer (Reprise)”.

Roberto Spadoni – “Mah” – Sword Records
Anche Roberto Spadoni fa parte delle mie oramai lunghe amicizie musicali ed è proprio partendo da questa base che mi sento di affermare la valenza dello stesso quale musicista assai ben preparato e che, tutto sommato, non ha ancora ottenuto i riconoscimenti che merita. Adesso, dopo lunghi anni in cui ha suonato la sua fida chitarra, diretto organici di varie dimensioni, composto, insegnato, si cimenta con qualcosa di nuovo: produrre, promuovere e diffondere la sua musica seguendola in tutta la sua lunga filiera, dalla composizione alla registrazione, dal progetto grafico alla stampa e alla diffusione. Di qui la creazione di una label che – con una venatura di ironia – sottolinea Spadoni ha chiamato ‘Sword Records’. “Mah” è per l’appunto la prima realizzazione targata ‘Sword Records’ per cui il leader-chitarrista si esibisce con Fabio Petretti (sax tenore & soprano), Paolo Ghetti (contrabbasso) e Massimo Manzi (batteria). In programma nove composizioni originali tutte scritte dal leader a conferma di quanto su accennato a proposito della poliedricità di Roberto. L’album è sicuramente apprezzabile sia per l’originalità della scrittura così ben equilibrata sia per la bravura dei singoli notevoli nella parti d’insieme così come nei vari assolo. Ecco quindi il contrabbasso di Paolo Ghetti farsi apprezzare in “Remore morali” un brano non nuovo ma sempre affascinante. In “Girotondo” è la batteria di Massimo Manzi in primo piano, impegnata in un fitto dialogo con i compagni di viaggio mentre in “Borgo antico” si apprezza Fabio Petretti impegnato a disegnare una fluida linea melodica. Dal canto suo il leader non fa mancare il suo apporto solistico in ognuno dei brani apparendo, almeno a chi scrive, particolarmente convincente in “Buonanotte”. Ottima anche la chiusura con “Ce la posso fare” un pezzo che, evidenzia ancora Spadoni, egli ha diretto molte volte e che comunque rappresenta una sorta di mantra, un augurio, “una carica di energia positiva”, impreziosito nell’occasione dagli assolo di Petretti e di Spadoni.

Barney Wilen & Alain Jean-Marie – “Montreal Duets” – Elemental 2 CD
Vi piace la “buona” musica senza distinzione di stili, di epoca, di messaggi più o meno espliciti…insomma senza se e senza ma? Se la risposta è affermativa allora dovete ascoltare questo doppio album. Siamo nella Chiesa di Gesù, a Montreal (Canada) il 4 luglio del 1993 in occasione dell’annuale Festival del jazz. In programma per un doppio concerto pianificato alle 20 e alle 22,30 un duo d’eccezione composto da Barney Wilen al sax tenore e dal pianista martinicano Alain Jean-Marie. Già a quell’epoca i due avevano lungamente suonato assieme sin dagli anni ’80 potendo vantare una propria ben solida reputazione. In particolare Barney era considerato uno dei più prestigiosi sassofonisti francesi avendo, tra l’altro, collaborato con Miles Davis per la colonna sonora del film “Ascenseur pour l’Échafaud” nel 1957 mentre Alain a conferma di una carriera prestigiosa aveva ricevuto il “Prix Django Reinhardt” e nel 2000 il “Django d’Or”. Ora se è vero che nel mondo della musica e del jazz in particolare non sempre uno più uno fa due, questa volta si potrebbe ben dire che invece fa tre. Ascoltarli nelle loro evoluzioni è davvero un piacere tale e tanta è la fluidità del loro linguaggio. I due si intendono a meraviglia, si inseguono, si interrompono, si passano la palla senza soluzione di continuità nel rispetto di soluzioni ritmiche che guardano da vicino alla grande tradizione del bop. Non a caso Alain Jean-Marie agli inizi della carriera era stato avvicinato stilisticamente a Bud Powell. Nell’ampio programma enucleare qualche brano è davvero difficile anche se una menzione particolare la merita la splendida ballad di Gordon Jenkins, “Good Bye”, pezzo con cui Barney Wylen chiuse la sua performance a Caen il 14 marzo 1996 in quello che sarebbe stato il suo ultimo concerto. Ascoltando “Good Bye” non ci si può non lasciar prendere da una ondata di malinconia nel ricordo di un grande artista che anche nell’esecuzione presente in questo album evidenzia una classe e una musicalità senza pari. E vorrei chiudere citando le parole di Jean-Paul Sartre riportate da Pascal Anquetil nel booklet del disco: “il y a un gros homme qui s’époumone à suivre son trombone dans ses évolutions, il y a un pianiste sans merci, un contrebassiste qui gratte ses cordes sans écouter les autres. Ils s’adressent à la meilleure part de vous-même, à la plus sèche, à la plus libre, à celle qui ne veut ni mélancolie ni ritournelle, mais l’éclat étourdissant d’un instant. Ils vous réclament, ils ne vous bercent pas”.

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Ferenc Snétberger, Keller Quartett – Hallgató – ECM New Series 2653
Com’è nostra consuetudine, consentiteci una tantum qualche digressione al di fuori degli ambiti prettamente jazzistici. Questa volta lo facciamo per segnalarvi questo album targato ECM New Series, dedicato al dolore vissuto da molti nel corso dei secoli senza motivo alcuno, che vede come protagonisti il chitarrista ungherese Ferenc Snetberger, il terzo pubblicato da ECM, e il Keller Quartet, anch’esso costituito da musicisti ungheresi. L’album, registrato in concerto nella Grand Hall della Liszt Academy di Budapest nel dicembre 2018, presenta un programma interamente dedicato alla musica classica. L’apertura e la chiusura sono dedicati a brani dello stesso Snétberger, inframmezzati da composizioni di Dimitri Shostakovich (il Quartetto per archi N. 8 in Do minore dedicato alle vittime della guerra e del fascismo), John Dowland ( “I Saw My Lady Weep” per chitarra e quartetto d’archi, e “Flow, My Tears” per chitarra e violoncello), Samuel Barber (lo struggente “Adagio for strings” interpretato dal solo “Keller Quartet”. Dal canto suo Ferenc Snetberger presenta alcune sue composizioni che non sfigurano al cospetto di contati autori. Così il “Concerto In Memory of My People,” in tre movimenti, composto da Snétberger nel 1994 per chitarra e orchestra, e qui riproposto in un arrangiamento per chitarra e quintetto d’archi, coglie perfettamente nel segno riuscendo a trasmettere l’ispirazione dell’autore che ricorda e dedica questa musica alla memoria dei suoi antenati gitani Roma e Sinti (cui il chitarrista appartiene) perseguitati e uccisi nei secoli. L’album si chiude con due composizioni del chitarrista, “Your Smile” per chitarra solo, unico brano in cui ci si distacca dalla sensazione di tristezza e dolore che domina tutto il CD e “Rhapsody No.1, for Guitar and Orchestra” qui però nella versione per chitarra e quintetto d’archi.
Che altro aggiungere se non che alla bellezza dei brani si aggiunge la valenza di Ferenc Snétberger che si conferma esecutore e compositore di sicuro livello.

Maria Pia De Vito ripubblica con la sua nuova etichetta il capolavoro “Tumulti”.

Maria Pia De Vito sorprende tutti e ripubblica, con la sua appena nata etichetta discografica mpdvrecords, il suo album capolavoro “Tumulti”, del 2003. Una proposta rivoluzionaria senza compromessi per la cantante e compositrice pluripremiata a livello internazionale, che si colloca al centro della sua sperimentazione vocale – espressione di messaggi, sensazioni, storie e memorie – che incontra, attraverso l’improvvisazione, la ricerca del magistrale percussionista e cantante francese Patrice Heral.

Un dialogo a due “voci” che è divenuto una costante nel percorso artistico di Maria Pia De Vito – si pensi alle fortunate sinergie con Rita Marcotulli, John Taylor, Huw Warren – che in questo disco trova ulteriore forma grazie alla presenza del violoncellista olandese Ernst Reijseger e del pianista austriaco Paul Urbanek, improvvisatori sia live sia in post-produzione e co-autori di alcuni brani.

“Tumulti rappresenta un momento importante della mia produzione, relativo a modalità di composizione e ri-composizione attraverso l’uso dell’improvvisazione vocale  tout-court e su testi poetici, come quelli di Gabriele Frasca e Patrizia Valduga, oltre al mio testo originale “In rivolta” tradotto in inglese e riadattato per il brano” Revolt”.”

L’album è disponibile su tutte le piattaforme online di streaming e download ed è stato distribuito da TAG The Artist Garage, la nuova piattaforma di servizi digitali ideata e gestita da SimulArte, società attiva nell’industria musicale fondata da Federico Mansutti, Stefano Amerio e Ermanno Basso.

Nel disco la voce di Maria Pia De Vito acquisisce ruoli diversi da quello meramente ritmico e nel dialogo incessante con Patrice Heral si fa ritmo, tessitura, composizione, paesaggio sonoro grazie all’adozione di forme provenienti da tradizioni e culture diverse, e alle molteplici texture date al suo strumento dalle sovraincisioni dei live electronics. Nella appassionante tracklists, manifesto dell’album sono i 2 brani “The sixth nonsense” – composizione sul ritmo – e l’elogio della dissoluzione e della dissolutezza “Forse no”, culmine della tumultuosità della De Vito, con un Reijseger “swingante paradossale”.
Scrive Mario Gamba: “Difficile trovare un album dove la coerenza di un’idea “radicale” della musica si associ, come in questo, con la caratterizzazione assai forte di ogni singolo brano. Voce sognante, voce orgasmica, voce mormorante, percussioni scabre e fantasiose, live electronics a dare al tutto un sapore di perdizione e di piacevole alterità.”

Già nella cover del disco, che uscì per Manifesto dischi, un disegno originale in cui è dichiarato l’intento di comunicare con ogni mezzo quanto è articolato in parole e quanto non lo è. Intento che il viaggio nel ritmo e nella sperimentazione raggiunge nella sua totalità.

SHORT BIO
La sperimentazione sul canto e sulla voce di Maria Pia De Vito, cantante e compositrice pluripremiata a livello internazionale, abbraccia diversi campi d’azione.
La sua carriera è densa di importanti collaborazioni e incontri musicali: John Taylor, Ralph Towner, Chico Buarque, Guinga, Rita Marcotulli, Ernst Rejiseger, Enrico Rava, Enrico Pieranunzi, Norma Winstone, Steve Swallow, Gianluigi Trovesi, Danilo Rea, Enzo Pietropaoli, Paolo Fresu, Paolo Damiani, Cameron Brown, Ramamani Ramanujan, David Linx, Diederik Wissels, Area, Joe Zawinul, Michael Brecker, Peter Erskine, Kenny Wheeler, Miroslav Vitous, Nguyen-Le, Uri Caine, Dave Liebman, Billy Hart, Eliot Ziegmund, Steve Turre, Maria Joao, Monica Salmaso, Art Ensemble of Chicago. Attuale direttore artistico del Festival Bergamo Jazz, è stata per tre anni direttore della sezione jazz del Ravello Festival.

CONTATTI
www.mariapiadevito.com
Spotify https://open.spotify.com/album/77uXxp2xI5vo82KIZJaVGd
Apple Music https://music.apple.com/fi/album/tumulti/1547257977

Ufficio Stampa
Fiorenza Gherardi De Candei: info@fiorenzagherardi.com, tel. 3281743236

Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste… in Sicilia: Rosalba Bentivoglio, vocalist

Intervista raccolta da Gerlando Gatto

Rosalba Bentivoglio, vocalist

-Come stai vivendo queste giornate?
“La necessità di seguire le linee guida dettate dal governo e dal buonsenso fanno da filo conduttore nelle mie giornate e non ti nascondo che la drammaticità del momento la vivo ogni giorno pensando ai miei cari (figlio, nipoti e madre la quale si trova ricoverata in un centro per anziani) poi penso a tutta la comunità, a tutti gli italiani che in questo momento come me soffrono ma devono soffocare i sentimenti familiari e dare ascolto all’intelletto, al raziocinio”.

-Come ha influito sul tuo lavoro; pensi che in futuro sarà lo stesso?
“Certo lo stato attuale ha influito e continua ad influire sul mio lavoro, così come credo sul lavoro di tutti gli artisti, musicisti e non, basti solo pensare che i concerti annullati sono tanti anche perché questa emergenza cade in un momento dell’anno in cui si concretizzano tante nostre presenze sui palchi di tutto il territorio nazionale ed anche europeo. Ma su questo vorrei dire che queste giornate di forzata reclusione in casa ci stanno permettendo di rallentare i tempi sia di lavoro che di pensiero in generale creando, o meglio generando, una forza introspettiva maggiore. Ciò porterà immancabilmente ad una crescita interiore più consapevole e profonda e di tutto ciò avremo la tangibilità in un futuro prossimo e, come ciò che accade dopo grandi eventi disastrosi che inevitabilmente portano indietro le lancette dell’orologio sociale e umano, arriverà un momento di primavera interiore che verrà (come già accade) percepito nelle composizioni musicali che scriveremo con animo diverso”.

-Come riesci a sbarcare il lunario?

“Attualmente sono titolare di cattedra di canto jazz presso il conservatorio A. Corelli di Messina, quindi a differenza di tanti altri colleghi musicisti credo di potermi reputare fortunata, almeno per la mia sopravvivenza fisica. Ma la mia attività artistica ne risente: le collaborazioni, i progetti in fase di realizzazione ed altro non vedranno la luce a breve termine. Tutto ciò è gravissimo per un artista”.

-Vivi da sola o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante?
“Anche in questo caso visto la reclusione forzata sono stata fortunata, condivido questo periodo (ma già tutta la vita) con il mio compagno Enrico il quale non mi fa mancare l’affetto, le attenzioni e una profonda e proficua collaborazione. Abbiamo un figlio anch’egli musicista (suona meravigliosamente il sax soprano) e inoltre ci “affolliamo” la famiglia con due bellissimi nipotini. Purtroppo in questo periodo, ovviamente, non possiamo frequentarci ma ci colleghiamo ogni giorno su WhatsApp o su Skype per sentirci vicini”.

-Pensi che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?
“Sì, credo che in questo specifico momento storico di sofferenza umana in cui tutto dovrebbe essere condiviso e in cui l’individuo non viene visto solo come “individuo” ma così come il macrocosmo ingloba il microcosmo riusciremo ad avere una maggiore visione dell’uomo nella sua interiorità e integrità universale. La nostra stessa sorte (ma non solo per questo singolo evento) è posta in uno dei periodi più difficili della storia del mondo; un periodo caratterizzato da profondi sconvolgimenti, dalla rottura di vecchi metodi, legami e rapporti anche e soprattutto con la terra, dal delinearsi all’orizzonte della distruzione di una civiltà. Una visione del dopo ci viene fornita e la troviamo attuale nella letteratura anche in quella greca antica ma soprattutto in un testo scritto nel finire dell’ottocento da H.G.Wells scrittore inglese che ha scritto, tra le altre opere: “La guerra dei mondi” . Scritta nel 1898, l’opera narra di un tempo in cui la terra viene attaccata e invasa da forze aliene, noi terrestri ci difendiamo con cannoni, navi, aerei etc. e mettendo in campo tutte le nostre forze militari, ma veniamo sottomessi dagli alieni che sono in possesso di armi di distruzione più avanzate e a noi sconosciute. Dobbiamo solo ribaltare i piani di visione, come in uno specchio, ed ecco che tutto cambia: «Noi “umani” abbiamo attaccato la terra, e finiamo con… un “semplice raffreddore” che ci stermina tutti, così come nella guerra dei mondi gli alieni verranno sconfitti da un “semplice raffreddore” a cui loro non erano immunizzati, e i terrestri vincono la guerra aiutati dalla “terra”». Credo che questo periodo di transizione contenga in sé le più grandi promesse che il mondo abbia mai veduto, e non bisogna disperarsi ma essere profondamente ottimisti. Le strutture del pensiero religioso e filosofico sembrano sul punto di modificarsi, ma non sappiamo ancora come. Se la distruzione avviene, è soltanto perché la vita possa evolvere. Nel processo cosmico ognuno ha la propria minuscola parte da compiere”.

-Credi che la musica possa dare forza per superare questo terribile momento?
“Sì sono certa e credo che la musica ne uscirà più forte e più insostituibile che mai, anzi il linguaggio musicale sarà veicolo di vita essendo stata essa stessa “incipit di vita” con l’universo. A questo proposito voglio citare: «esisteva Eru, l’uno, chiamato Iluvatar che creò per primi gli Ainur, i santi scaturiti dal suo pensiero ed erano con lui prima che ogni altro fosse creato. Ed egli parlò loro, proponendo temi musicali; ed essi cantarono al suo cospetto ed egli ne fu lieto […] ciascuno di essi penetrava quella parte della mente di Iluvatar da cui proveniva. Ma già solo ascoltando si perveniva ad una comprensione più profonda e s’accresceva l’unisono e l’armonia. E all’improvviso gli Ainur (santi, scaturiti dal pensiero dell’uno indivisibile Iluvatar ) scorsero una remota luce, quasi una nuvola con un vivente cuore di fiamma; e seppero che non era soltanto visione, ma che Iluvatar aveva “creato con il loro canto” una nuova cosa: “Ea”, “il mondo che è“ ». [dal Silmarillion di J.R.R.Tolkien ]. Il suono del cristallo stabilizza, amplifica e trasmette il tono puro. Le campane di cristallo emettono una purissima nota dominante, creando un campo vibrazionale armonico che entra in risonanza con il corpo, queste vibrazioni esprimono la più alta armonia e purezza del suono. Nell’universo tutto è energia in vibrazione, anche il corpo umano ed ogni suo organo risponde ad una risonanza. La voce è lo strumento magico per eccellenza e la base è il canto degli armonici studiati nell’antichità dal matematico musicista e filosofo Pitagora che troviamo nella sua pitagorica musica delle sfere, ed è il cosiddetto canto degli armonici, conosciuto anche come canto degli angeli e che oggi con espressione americana è detto overtones. La riscoperta attuale di questa antica tecnica consente di aumentare come una canopia l’effetto del suono. La voce si moltiplica allora in due o tre note contemporanee che agiscono con lentezza su diversi livelli psicofisici, tecnica che io applico nei miei concerti. La vocalizzazione funziona da massaggio psichico e consente di ritrovare l’armonia della propria identità vocale, smarrita nello stress, nel rumore, nello squilibrio del corpo e della mente. Si può riscoprire così il silenzio (tanto trattato e divulgato dal monaco tibetano Thích Nhất Hạnh con il “dono del silenzio”) troppo spesso dimenticato perché lo riempiamo di pensieri negativi e parole inutili, brutta musica, rumore. Invece è il “suono della meditazione”, la voce del futuro: sembra vuoto, ma è pieno di “fantasia e creatività” “.

-Se non la musica a cosa ci si può affidare
“Certo che per me la musica è fondamentale diciamo che è una necessità di vita e «tra le righe di ogni mia composizione c’è sempre l’espressione jazz, da me mediata fino al punto da utilizzare il jazz come nutrimento della mia cultura mediterranea ed europea». Comunque la mia passione per la pittura a olio è riuscita ad appassionarmi al punto tale che spesso mi ritrovo a dipingere in tutti i ritagli di tempo possibili che la musica mi lascia. Ho già organizzato diverse mostre personali sia in
Italia che in Europa e comincio ad essere sempre più apprezzata e questo mi fa stare bene. In questo periodo di quarantena forzata non posso incontrarmi con i miei musicisti con i quali abbiamo lasciato progetti in sospeso e approfitto di tutto questo per comporre e suonare da sola, certo prima viene l’insegnamento, svolgo on line le mie lezioni di canto jazz (detengo, come già detto, la cattedra e fino a ieri sono stata la coordinatrice del dipartimento jazz nel conservatorio A. Corelli di Messina), e debbo dire che gli allievi mi seguono. L’altro mio grande interesse è la lettura con la poesia in primo piano seguita dalla filosofia, e anche se durante la giornata lavorativa non ho spazio da dedicarle, la sera a letto prima di dormire leggo sempre almeno mezz’ora”.

-Quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?
“Platone la chiamava psicagogia (formazione degli animi per mezzo della parola). Oggi più che mai credo che il governo italiano, e l’opposizione  parlamentare di estrema destra (come oramai  quest’ultima si è qualificata venendo allo scoperto) facciano riferimento alla retorica sull’unità nazionale ognuno a proprio vantaggio; il governo cerca di tenere compatta la nazione in un momento di grave crisi sanitaria, ideologica e socio-economica mentre l’opposizione di destra fa sì richiami all’unità ma con chiaro riferimento  al popolo specificatamente  solo di alcune regioni italiane”.

-Sei soddisfatta di come si stanno muovendo i vostri organismi di rappresentanza?
“Se per rappresentanza intendiamo ciò che stanno facendo i sindacati per noi artisti, sinceramente direi di sì, ad esempio il nostro sindacato abc con a capo Giancarlo Iacomini segue con molta attenzione tutti gli iter burocratici e legislativi  legati alla nostra figura professionale soprattutto (ma non solo) per l’insegnamento, addirittura creando tavoli di lavoro con il ministero suggerendo soluzioni  per meglio collocare i musicisti nel mondo del lavoro, soprattutto come insegnanti nelle scuole di ogni ordine e grado compresi conservatori e università. Abbiamo un canale on line in cui veniamo informati in tempo reale e aiutati se necessario negli iter da seguire. Esiste anche un gruppo di lavoro denominato MIdJ (Musicisti Italiani di Jazz) che sotto la guida di Paolo Fresu, Ada Montellanico e oggi Simone Graziano, è nato qualche anno fa con l’intento di creare un circuito musicale per i jazzisti ed ha concretizzato anche altre iniziative molto importanti, presente con i referenti (di cui anche io ho fatto parte per la Sicilia) in quasi tutto il territorio nazionale”.

Se avessi la possibilità di essere ricevuta dal governo, cosa chiederesti?
“In questo momento drammatico sento forte il problema sanitario, quindi di attenzionare la sanità pubblica ri-statalizzarla, togliendola dalle mani delle regioni, tutte. Riportare al primo posto cultura e ricerca e quando parlo di cultura parlo di scuole, dalle elementari alle università, conservatori e accademie comprese, la musica in tutte le sue forme di rappresentazione e organizzazione, teatro, editoria, biblioteche, musei, ripristinare la storia dell’arte come materia fondamentale in un Paese come l’Italia che vive di arte. Affrontare e risolvere il conflitto di interessi grande quanto una montagna, di un imprenditore italiano proprietario di giornali e TV che egemonizza la comunicazione di massa. Oramai in nessun canale televisivo troviamo informazioni chiare e neutrali senza l’intervento di manipolazione per interessi di parte”.

-Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
“Sì, subito ti dico: gli Azimuth con il disco “Départ” con una grandissima Norma Winstone alla voce, (divina, sensibile e intramontabile Norma), al piano, Kenny Wheeler alla tromba e ospite Ralph Towner, chitarra. Poi “Kind of Blue” di Miles Davis, pietra miliare di questo grande trombettista che ha saputo incarnare il jazz nella sua accezione più assoluta e in questo disco si è avvalso della collaborazione di John Coltrane, Bill Evans, Wynton Kelly, Paul Chambers, Jimmy Cobb.  Altro artista importante per cultura musicale e voce è il grande cantante e scrittore di testi Kurt Elling anche lui dell’area newyorchese come Jazzmeia Horn che invece trova ispirazione in un jazz più Hard nel suo “Love and Liberation” e per finire la più innovativa e poetica Gretchen Parlato nel suo “Live in NYC”. Buon ascolto”.

Gerlando Gatto

Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste… in Sicilia: Rosalba Bentivoglio, Francesco Branciamore, Stefano Maltese

Interviste raccolte da Gerlando Gatto

Rosalba Bentivoglio – vocalist

-Come stai vivendo queste giornate?
“La necessità di seguire le linee guida dettate dal governo e dal buonsenso fanno da filo conduttore nelle mie giornate e non ti nascondo che la drammaticità del momento le vivo ogni giorno pensando ai miei cari (figlio, nipoti e madre la quale si trova ricoverata in un centro per anziani) poi penso a tutta la comunità, a tutti gli italiani che in questo momento come me soffrono ma devono soffocare i sentimenti familiari e dare ascolto all’intelletto, al raziocinio”.

-Come ha influito sul tuo lavoro; pensi che in futuro sarà lo stesso?
“Certo lo stato attuale ha influito e continua ad influire sul mio lavoro, così come credo sul lavoro di tutti gli artisti, musicisti e non, basti solo pensare che i concerti annullati sono tanti anche perché questa emergenza cade in un momento dell’anno in cui si concretizzano tante nostre presenze sui palchi di tutto il territorio nazionale ed anche europeo. Ma su questo vorrei dire che queste giornate di forzata reclusione in casa ci sta permettendo di rallentare i tempi sia di lavoro che di pensiero in generale creando, o meglio generando una forza introspettiva maggiore e ciò porterà immancabilmente ad una crescita interiore più consapevole e profonda e di tutto ciò avremo la tangibilità in un futuro prossimo e come ciò che accade dopo grandi eventi disastrosi che  inevitabilmente portano indietro le lancette dell’orologio sociale e umano, arriverà un momento di primavera interiore che verrà (come già accade) percepito nelle composizioni musicali che scriveremo con animo diverso”.

-Come riesci a sbarcare il lunario?

“Attualmente sono titolare di cattedra di canto jazz presso il conservatorio A. Corelli di Messina, quindi a differenza di tanti altri colleghi musicisti credo di potermi reputare fortunata, almeno per la mia sopravvivenza fisica. Ma la mia attività artistica ne risente: le collaborazioni, i progetti in fase di realizzazione, ed altro non vedranno la luce a breve termine. Tutto ciò è gravissimo per un artista”.

-Vivi da sola o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante?
“Anche in questo caso visto la reclusione forzata sono stata fortunata, condivido questo periodo (ma già tutta la vita) con il mio compagno Enrico il quale non mi fa mancare l’affetto, le attenzioni e una profonda e proficua collaborazione. Abbiamo un figlio anch’egli musicista (suona meravigliosamente il sax soprano) e inoltre ci affolliamo la famiglia con due bellissimi nipotini. Purtroppo in questo periodo, ovviamente, non possiamo frequentarci ma ci colleghiamo ogni giorno su WhatsApp o su Skype per sentirci vicini”.

-Pensi che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?
“Sì credo che in questo specifico momento storico di sofferenza umana in cui tutto dovrebbe essere condiviso e in cui l’individuo non viene visto solo come “individuo” ma così come il macrocosmo ingloba il microcosmo riusciremo ad avere una maggiore visione dell’uomo nella sua interiorità e integrità universale. La nostra stessa sorte (ma non solo per questo singolo evento) è posta in uno dei periodi più difficili della storia del mondo; un periodo caratterizzato da profondi sconvolgimenti, dalla rottura di vecchi metodi, legami e rapporti anche e soprattutto con la terra, dal delinearsi all’orizzonte della distruzione di una civiltà. Una visione del dopo ci viene fornita e la troviamo attuale nella letteratura anche in quella greca antica ma soprattutto in un testo scritto nel finire dell’ottocento da H.G.Wells scrittore inglese che ha scritto tra le altre opere : “La guerra dei mondi” scritta nel 1898 e narra di un tempo in cui la terra viene attaccata e invasa da forze aliene, noi terrestri ci difendiamo con cannoni, navi, aerei etc. e mettendo in campo tutte le nostre forze militari, ma veniamo sottomessi dagli alieni che sono in possesso di armi di distruzione più avanzate e a noi sconosciute. Dobbiamo solo ribaltare i piani di visione, come in uno specchio, ed ecco che tutto cambia: << Noi “umani” abbiamo attaccato la terra, e finiamo con…un “semplice raffreddore” che ci stermina tutti, così come nella guerra dei mondi gli alieni verranno sconfitti da un “semplice raffreddore” a cui loro non erano immunizzati, e i terrestri vincono la guerra aiutati dalla “terra”>>. Credo che questo periodo di transizione contiene in sé le più grandi promesse che il mondo abbia mai veduto, e non bisogna disperarsi ma essere profondamente ottimisti. Le strutture del pensiero religioso e filosofico sembrano sul punto di modificarsi, ma non sappiamo ancora come. Se la distruzione avviene, è soltanto perché la vita possa evolvere. Nel processo cosmico ognuno ha la propria minuscola parte da compiere”.

-Credi che la musica possa dare forza per superare questo terribile momento?
“Sì sono certa e credo che la musica ne uscirà più forte e più insostituibile che mai anzi il linguaggio musicale sarà veicolo di vita essendo stata essa stessa “incipit di vita” con l’universo. A questo proposito voglio citare: <<esisteva Eru, l’uno, chiamato Iluvatar che creò per primi gli Ainur, i santi scaturiti dal suo pensiero ed erano con lui prima che ogni altro fosse creato. Ed egli parlò loro, proponendo temi musicali; ed essi cantarono al suo cospetto ed egli ne fu lieto[…] ciascuno di essi penetrava quella parte della mente di Iluvatar da cui proveniva. Ma già solo ascoltando si perveniva ad una comprensione più profonda e s’accresceva l’unisono e l’armonia. E all’improvviso gli Ainur (santi, scaturiti dal pensiero dell’uno indivisibile Iluvatar ) scorsero una remota luce, quasi una nuvola con un vivente cuore di fiamma; e seppero che non era soltanto visione, ma che Iluvatar aveva “creato con il loro canto” una nuova cosa: “Ea”, “il mondo che e’ “ >>. [dal Silmarillion di J.R.R.Tolkien ]. Il suono del cristallo stabilizza, amplifica e trasmette il tono puro. Le campane di cristallo emettono una purissima nota dominante, creando un campo vibrazionale armonico che entra in risonanza con il corpo, queste vibrazioni esprimono la più alta armonia e purezza del suono. Nell’universo tutto è energia in vibrazione, anche il corpo umano ed ogni suo organo risponde ad una risonanza. La voce è lo strumento magico per eccellenza e la base è il canto degli armonici studiati nell’antichità dal matematico musicista e filosofo Pitagora che troviamo nella sua pitagorica musica delle sfere, ed è il cosiddetto canto degli armonici, conosciuto anche come canto degli angeli e che oggi con espressione americana è detto overtones. La riscoperta attuale di questa antica tecnica consente di aumentare come una canopia l’effetto del suono. La voce si moltiplica allora in due o tre note contemporanee che agiscono con lenezza su diversi livelli psicofisici, tecnica che io applico nei miei concerti. La vocalizzazione funziona da massaggio psichico e consente di ritrovare l’armonia della propria identità vocale, smarrita nello stress, nel rumore, nello squilibrio del corpo e della mente. Si può riscoprire così il silenzio (tanto trattato e divulgato dal monaco tibetano Thích Nhất Hạnh con il “dono del silenzio”) troppo spesso dimenticato perché lo riempiamo di pensieri negativi e parole inutili, brutta musica, rumore. Invece è il “suono della meditazione”, la voce del futuro: sembra vuoto, ma è pieno di “fantasia e creatività” “.

-Se non la musica a cosa ci si può affidare
“Certo che per me la musica è fondamentale diciamo che è una necessità di vita e <<tra le righe di ogni mia composizione c’è sempre l’espressione jazz, da me mediata fino al punto da utilizzare il jazz come nutrimento della mia cultura mediterranea ed europea>>. Comunque la mia passione per la pittura a olio è riuscita ad appassionarmi al punto tale che spesso mi ritrovo a dipingere in tutti i ritagli di tempo possibili che la musica mi lascia. Ho già organizzato diverse mostre personali sia in
Italia che in Europa e comincio ad essere sempre più apprezzata e questo mi fa stare bene. In questo periodo di quarantena forzata non posso incontrarmi con i miei musicisti con i quali abbiamo lasciato progetti in sospeso e approfitto di tutto questo per comporre e suonare da sola, certo prima viene l’insegnamento, svolgo on line le mie lezioni di canto jazz (detengo, come già detto, la cattedra e fino a ieri sono stata la coordinatrice del dipartimento jazz nel conservatorio A. Corelli di Messina), e debbo dire che gli allievi mi seguono. L’altro mio grande interesse è la lettura con la poesia in primo piano seguita dalla filosofia, e anche se durante la giornata lavorativa non ho spazio da dedicarle, la sera a letto prima di dormire leggo sempre almeno mezz’ora”.

-Quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?
“Platone la chiamava psicagogia (formazione degli animi per mezzo della parola). Oggi più che mai credo che il governo italiano, e l’opposizione  parlamentare di estrema destra (come oramai  quest’ultima si è qualificata venendo allo scoperto) facciano riferimento alla retorica sull’unità nazionale ognuno a proprio vantaggio; il governo cerca di tenere compatta la nazione in un momento di grave crisi sanitaria, ideologica e socio-economica mentre l’opposizione di destra fa sì richiami all’unità ma con chiaro riferimento  al popolo specificatamente  solo di alcune regioni italiane”.

-Sei soddisfatta di come si stanno muovendo i vostri organismi di rappresentanza?
“Se per rappresentanza intendiamo ciò che stanno facendo i sindacati per noi artisti, sinceramente direi di sì, ad esempio il nostro sindacato abc con a capo Giancarlo Iacomini segue con molta attenzione tutti gli iter burocratici e legislativi  legati alla nostra figura professionale soprattutto (ma non solo) per l’insegnamento, addirittura creando tavoli di lavoro con il ministero suggerendo soluzioni  per meglio collocare i musicisti nel mondo del lavoro, soprattutto come insegnanti nelle scuole di ogni ordine e grado compresi conservatori e università. Abbiamo un canale on line in cui veniamo informati in tempo reale e aiutati se necessario negli iter da seguire. Esiste anche un gruppo di lavoro denominato MIDJ (musicisti italiani di jazz) che sotto la guida di Paolo Fresu, Ada Montellanico e oggi Simone Graziano, è nato qualche anno fa con l’intento di creare un circuito musicale per i jazzisti ed ha concretizzato anche altre iniziative molto importanti, presente con i referenti (di cui anche io ho fatto parte per la Sicilia) in quasi tutto il territorio nazionale”.

Se avessi la possibilità di essere ricevuta dal governo, cosa chiederesti?
“In questo momento drammatico sento forte il problema sanitario, quindi di attenzionare la sanità pubblica ri-statalizzarla, togliendola dalle mani delle regioni, tutte. Riportare al primo posto cultura e ricerca e quando parlo di cultura parlo di scuole, dalle elementari alle università, conservatori e accademie comprese, la musica in tutte le sue forme di rappresentazione e organizzazione, teatro, editoria, biblioteche, musei, ripristinare la storia dell’arte come materia fondamentale in un Paese come l’Italia che vive di arte. Affrontare e risolvere il conflitto di interessi grande quanto una montagna, di un imprenditore italiano proprietario di giornali e TV che egemonizza la comunicazione di massa. Oramai in nessun canale televisivo troviamo informazioni chiare e neutrali senza l’intervento di manipolazione per interessi di parte”.

-Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
“Sì, subito ti dico: gli Azimut con il disco “Depart” con una grandissima Norma Winstone alla voce, (divina, sensibile e intramontabile Norma), John Taylor al piano, Kenny Wheeler alla tromba e ospite Ralph Towner chitarra. Poi “Kind of Blue” di Miles Davis, pietra miliare di questo grande trombettista che ha saputo incarnare il jazz nella sua accezione più assoluta e in questo disco si è avvalso della collaborazione di John Coltrane, Bill Evans, Wynton Kelly, Paul Chambers, Jimmy Cobb.  Altro artista importante per cultura musicale e voce è il grande cantante e scrittore di testi Kurt Elling anche lui dell’area newyorchese come Jazzmeia Horn che invece trova ispirazione in un jazz più Hard nel suo “Love and Liberation” e per finire la più innovativa e poetica Gretchen Parlato nel suo “Live in NYC”. Buon ascolto”.


Francesco Branciamore – Batterista, pianista

-Come sta vivendo queste giornate?
“Sicuramente mordendo il freno in attesa che qualcuno ci dia una data definitiva per ritornare al fluire normale pur con le dovute precauzioni”.

-Come ha influito tutto ciò sul suo lavoro; pensa che in futuro sarà lo stesso?
“Intanto l’annullamento di alcune date per l’emergenza ha influito sull’umore musicale. Preparare un concerto richiede un dispendio d’energie non indifferente, come nel mio caso per il piano solo. Se ne esce continuando a rinforzare la vis creativa con nuove composizioni e a prepararsi ancora meglio al primo concerto utile che faremo. Il futuro spero sia migliore di questo che stiamo vivendo noi musicisti e jazzisti in modo particolare, che abbiamo sempre suonato senza paracadute di alcun tipo. Quindi prevedo concerti con meno gente, anche per grosse star, perché le sale da concerto saranno rimodulate per garantire la distanza di sicurezza, magari faranno due turni nello stesso giorno per artista, per permettere a tutti di gustare la performance”.

-Come riesce a sbarcare il lunario?  
“Sono concertista e docente di composizione jazz al conservatorio di Vibo Valentia, in stato di stabilizzazione, con cattedra annuale”.

-Vive da solo o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante?
“La mia famiglia è un piccolo nucleo familiare, siamo 3 persone. Io, mia moglie, docente di Storia dell’Arte contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Catania e mio figlio ventenne prossimo alla maturità al liceo scientifico. Diciamo che per adesso lo status di sopportazione reciproco è buono. Forse perché ognuno ha un suo spazio vitale dove annullarsi e rigenerarsi. Comunque una bella esperienza. Cerchiamo di animarci l’un l’altro inventandoci ruoli per stupirci reciprocamente e quale miglior modo se non cimentarsi a turno in cucina?  A parte qualche lieve malessere allo stomaco, specialmente quando sono io ai fornelli, il resto è condivisibile”.

-Pensa che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?
“Direi che saremo più selettivi. Perché continuare ad abbracciare gente che è stata lontana da noi in un momento in cui il contatto, anche se virtuale, poteva accendere entusiasmo e spegnere ansie? Direi pochi ma buoni, come le note in musica, Miles Davis docet”.

-Crede che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
“La musica è un grande antidoto universale, sia per chi la fa che per chi l’ascolta. Me ne accorgo con i miei studenti, con cui sono in contatto giornalmente. Non li ho mai visti lavorare così tanto e sentirli così vicino. Vogliono sicurezze e abbracciando la musica in toto riescono ad avere quella leggerezza positiva che permette loro di superare questo difficile momento”.

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
“Ognuno ha un suo angolo di fede e la cerca dove è abituato a cercarla”.

-Quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?
“Beh, si stanno muovendo tutti verso un over exposition per mettersi in luce per raccogliere fondi. Mi riferisco agli artisti di musica pop in genere e non solo, a cui va riconosciuto il merito. Ma quelli famosissimi, tipo le regine e i re dello show business con lauti guadagni di diritti d’autore e con conti in banca sostanziosi, potevano far a meno di fare il siparietto mediatico e invece fare di tasca propria una donazione alla protezione civile. Il jazz non ha di questi leoni in Italia, se non davvero pochi”.

-E’ soddisfatto di come si stanno muovendo i V/si organismi di rappresentanza?
“Oggi la Siae manda a tutti i soci un invito a corrispondere un buono spesa agli artisti bisognosi. La NuovoImaie ha organizzato un fondo già attivo per emergenza Coronavirus per dare un contributo a tutti coloro che hanno avuto date annullate da aprile a giugno, ben fatto quindi. Il MIDJ e altre istituzioni jazz  so che si sono mosse in tal senso, ma hanno solo chiesto  per adesso, si attende che venga recepito dagli organi istituzionali”.

-Se avesse la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederebbe?
“Maggior tutela per la nostra categoria di musicisti, una maggiore considerazione per il ruolo sociale che la musica e l’arte in genere hanno e una maggiore visibilità mediatica di tutti i protagonisti del  mondo del jazz per la raccolta di fondi per l’emergenza, noi non siamo da meno degli altri, lo abbiamo dimostrato nel triennio di raccolta fondi per l’Aquila nel context “Il jazz per le terre del sisma”.

-Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
https://vimeo.com/145825359 – The Ballad of Fred Hersch”.


Stefano Maltese, sassofonista, con Gerlando Gatto

-Come sta vivendo queste giornate?
“Trascorro il tempo suonando, scrivendo musica, leggendo, studiando. Da questo punto di vista per me non è cambiato molto. Allo stesso tempo cerco di comprendere quello che sta accadendo e i pensieri sono molto contrastanti. In questo maltrattato pianeta la maggior parte dei governanti – indotti da coloro che controllano l’economia – ha sempre preferito rafforzare il proprio potere investendo ingentissime somme in armamenti e guerre e sviluppando nel corso del tempo una sopraffina capacità di manipolare le masse e indurle a seguire stili di vita che sempre più allontanano gli esseri umani dal vivere in armonia con sé stessi, con la natura e con i propri simili. Avviene così che un microscopico organismo – un virus – nel volgere di breve tempo riesca a stravolgere l’esistenza degli abitanti di questo mondo. Abbiamo aerei da guerra che si rendono invisibili, navi portaerei che possono colpire da enormi distanze, missili telecomandati che possono colpire obiettivi con assoluta precisione, ma non abbiamo ospedali attrezzati per situazioni come quella che stiamo vivendo; abbiamo telefonini dalle funzioni fino a qualche tempo fa inimmaginabili e sulle nostre teste satelliti di ogni genere per poter essere sempre connessi ma non possiamo fermare una pandemia. Si è costretti alla reclusione – con tutti i rischi che potrebbero esserci di qualsiasi espansione autoritaria – ma non si è in grado di capire qual è la situazione reale”.

-Come ha influito tutto ciò sul suo lavoro? Pensa che in futuro sarà lo stesso?
“Ovviamente sono stati annullati concerti e tutte le proposte sono congelate, probabilmente disperse in questo mare di incertezze. Inoltre, saltano a data da destinarsi due rassegne di cui sono direttore artistico, “Labirinti Sonori” e una nuova rassegna prevista per l’inizio dell’estate, e altre due rassegne di cui sono collaboratore. Credo che occorrerà molto tempo prima che si possa ricominciare a lavorare come prima e probabilmente bisognerà organizzarsi in modi differenti”.

-Come riesce a sbarcare il lunario?
“Per il momento non ho difficoltà di questo genere, e spero che lo stato di inattività non si prolunghi troppo”.

-Vive da solo o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante?
“Vivo con la mia compagna, Roberta Maci, come è noto anche lei musicista, il che aggiunge un punto di forza al legame affettivo, poiché ogni giorno condividiamo ascolti, suoniamo insieme, progettiamo le nostre attività e così via”.

-Pensa che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e professionali sotto una luce diversa?
“Io sono stato sempre abbastanza solitario, conosco la forza interiore che possono dare l’introspezione e la riflessione – nonché le buone letture e l’ascolto di buona musica –, quindi mi auguro che questo triste periodo possa comunque essere colto come un momento di rinascita, che possa far prendere coscienza della necessità di rallentare i ritmi della vita, di prendersi maggior cura di sé stessi e di ciò che ci circonda, capire che lo sfrenato consumismo porta alla distruzione di qualsiasi valore umano ed etico, nonché alla devastazione del pianeta. Questa pandemia, anche se molto dolorosa per i molti che si sono ammalati e per i deceduti, dovrebbe veramente essere un monito, un ulteriore segnale per far riflettere l’Umanità, anche se non nutro molte speranze, in merito. Se pensiamo che ogni giorno muoiono per fame circa 24.000 persone, che oltre due miliardi e mezzo di persone vivono con circa due dollari al giorno e che situazioni catastrofiche di questo genere sono in atto da tempo immemorabile in varie parti del pianeta, senza che la parte di mondo benestante, quella che oggi è più colpita dal Coronavirus, abbia mai veramente cercato di risolvere il problema, non è facile essere ottimisti. Bisognerebbe sanare certe diseguaglianze sociali, bisognerebbe riscoprire il valore di una vita più semplice e ricca di soddisfazioni culturali: ma temo che la maggioranza sia troppo pigra per compiere la più grande rivoluzione che si possa mai attuare, appunto quella culturale”.

-Crede che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?
“La musica è una delle più grandi forze dell’universo e certamente può contribuire in modo determinante per avere consapevolezza, per lo sviluppo delle capacità cerebrali, per sviluppare maggiore sensibilità, per risvegliare sentimenti umani. Nella scena finale di “Orizzonti di gloria”, il capolavoro di Stanley Kubrick, una ragazza tedesca viene costretta a cantare in un bar di fronte a soldati francesi in procinto di ritornare al fronte: questi iniziano a sbeffeggiarla in quanto appartenente alla nazione nemica. La ragazza, con il volto segnato da lacrime silenziose, incomincia a cantare una canzone nella sua lingua, sola, senza alcuno strumento, e i militari pian piano smettono di insultarla e rimangono in impietrito silenzio, poi sommessamente si uniscono al canto della ragazza – senza parole, perché non le conoscono – e i loro occhi diventano umidi e piangono insieme a lei. Non ci sono più nemici, solo essere umani accomunati dal terribile dolore della guerra e dall’impossibilità di comprendere perché tutto ciò sta accadendo. Ecco la forza della musica, potente, che annulla le barriere e diventa il più alto livello di comunicazione e fratellanza”.

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
“Come dicevo prima, bisogna affidarsi alle buone letture, riconsiderare gli stili di vita, interrogarsi, cercare di capire come affrontare il futuro”.

-Quanto c’è di retorica in questi continui richiami all’unità?
“Di solito non guardo la televisione, adesso lo faccio quel poco che serve per informarmi sulla situazione, quindi non so molto di richiami all’unità, ma in quel po’ che ho sentito la retorica è veramente tanta, e poi non capisco: unità per cosa? Sono assolutamente allergico a questi luoghi comuni”.

-È soddisfatto di come si stanno muovendo i vari organismi di rappresentanza?
“Non saprei, non seguo ciò che accade in tal senso, ho una certa riluttanza verso aggregazioni di questo genere, troppo spesso ho visto che servono al beneficio di pochi. Credo che manchi qualcosa che possa far sentire i musicisti come parte di un unico organismo culturale, e a mio avviso questo dovrebbe essere il primo obiettivo da raggiungere, altrimenti le esigenze e le aspettative saranno sempre troppo differenti all’interno della stessa categoria, se così posso definirla”.

-Se avesse la possibilità di essere ricevuto dal Governo, cosa chiederebbe?
“Ma io non vorrei mai essere ricevuto da nessun esponente di questo governo! Tranne rari e isolati casi, sono più di vent’anni che il Paese è stato portato verso una deriva culturale che ne ha segnato in modo devastante il declino. Insisto sull’importanza della vita culturale perché da ciò dipende la possibilità di progettare un serio programma per lo sviluppo della società, perché se regna l’ignoranza allora nascono corruzione, diseguaglianze sociali, sopraffazione, povertà e crimine, e non potrà mai esservi un vero sviluppo sociale. Certo, se questo governo non affronta subito il problema immediato di una crisi economica più che incombente non so quali scenari potranno prospettarsi. E qui tornano i dubbi: in questi ultimi 15-20 anni una serie di crisi economiche ha portato la gente a essere sempre più sfiduciata e sempre meno interessata all’arte, più propensa a cambiare telefonino due volte all’anno piuttosto che andare a concerti, mostre e altro”.

-Hai qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
“Suggerirei di cercare qualcosa che non si conosce o si conosce poco, la curiosità può ripagarci piacevolmente, a volte. Detto questo potrei suggerire qualcosa: “November Steps” e “A Flock Descends Into The Pentagonal Garden”, di Toru Takemitsu; “Pres and Teddy” e “Cool Riffs” di Lester Young; Bach, “The Well-Tempered Clavier Complete” by Glenn Gould; “Mingus Oh Yeah” e “Mingus Pre Bird”, di Charles Mingus; “Black Brown and Beige” di Duke Ellington; “The Inflated Tear” e “I talk with the Spirits”, di Roland Kirk; “Bring ‘Em In”, di Buddy Guy; “Rubber Soul” e “The White Album”, dei Beatles, “The Complete Decca Recordings” e “Lady In Satin”, di Billie Holiday. Mi fermo qui, perché di buona musica ce n’è veramente tanta, basta cercare”.

                                                                                                                                     Gerlando Gatto

Dino Betti van der Noot presenta “Two Ships In The Night”

Il 18 settembre 2019, ore 20,45, appuntamento da non perdere al Teatro Franco Parenti, di Milano. In programma uno dei massimi esponenti del jazz italiano, Dino Betti van der Noot, che con la sua orchestra presenterà la sua ultima creatura “Two Ships In The Night” (Audissea Records).

Dino Betti è un artista assolutamente anomalo: ad onta della non giovanissima età, conserva una straordinaria freschezza che lo porta a comporre ed arrangiare quasi senza soluzione di continuità sì da poter presentare, anno dopo anno, un nuovo album che puntualmente scala le vette della classifica di gradimento sia del pubblico sia della critica.

Per questa nuova realizzazione, Dino Betti ha assemblato una big band comprendente Gianpiero LoBello, Alberto Mandarini, Mario Mariotti, Paolo De Ceglie, trombe; Luca Begonia, Stefano Calcagno, Enrico Allavena, Gianfranco Marchesi, tromboni; Sandro Cerino, Andrea Ciceri, Giulio Visibelli, Rudi Manzoli, Gilberto Tarocco, ance; Luca Gusella, vibrafono; Emanuele Parrini, violino; Niccolò Cattaneo, pianoforte; Filippo Rinaldo, tastiere; Vincenzo Zitello, arpa bardica; Gianluca Alberti, basso elettrico; Stefano Bertoli, batteria; Tiziano Tononi, percussioni; Federico Sanesi, tabla. Ed è proprio con questa formazione che si esibirà nel teatro milanese.

Rimandando un esame approfondito dell’album ad una intervista con lo stesso artista che pubblicheremo quanto prima, in questa sede è tuttavia necessario – per quei quattro o cinque lettori che ancora non lo conoscono – spendere qualche altra parola su Dino Betti van der Noot. Dino non è uno strumentista ma un raffinato compositore e arrangiatore. La sua musica non è certo facilissima: sofisticata ma allo stesso tempo capace di attrarre e coinvolgere con il suo lirismo, presenta i tratti caratteristici di una musica attuale che trascende qualsivoglia barriera. Certo, siamo nel campo del jazz, ma il linguaggio di Betti va ben al di là evidenziando input che provengono da musiche altre. Non a caso in oltre trent’anni di attività ha avuto modo di lavorare con grandi artisti di estrazione diversificata quali, tanto per fare qualche nome, Franco Ambrosetti, Paul Bley, Mark Egan, Bill Evans, Mitchel Forman, David Friedman, Donald Harrison, Carmen Lundy, Don Moye, Paul Motian, Giancarlo Schiaffini, Steve Swallow, John Taylor, Gianluigi Trovesi.

Il concerto al Teatro Franco Parenti costituisce perciò un appuntamento con una fra le personalità più singolari della musica italiana contemporanea. Sarà una carrellata lungo quarant’anni di pagine capaci di coinvolgere musicisti e pubblico in un dialogo intenso, trascinante.

Gerlando Gatto