Presente e futuro nel Roma Jazz Festival

Sono solo quattro i concerti che ho potuto seguire nel corso dell’annuale Roma Jazz Festival, ma se il livello di tutte le manifestazioni è paragonabile a quello dei musicisti che ho ascoltato, bisogna dare atto a Ciampà e compagni di aver ancora una volta scelto assai bene gli artisti da presentare al pubblico romano.

Ma procediamo con ordine. C’è voluto molto tempo prima che alla Fusion venisse riconosciuta quella dignità che merita. Una delle band che maggiormente ha contribuito all’affermazione della Fusion è stata Spyro Gyra, esibitasi all’Auditorium Parco della Musica il 12 novembre scorso. Siamo a New York a metà degli anni ’70 quando il sassofonista Jay Beckenstein, assieme al pianista Jeremy Wall, mette su un gruppo che curiosamente chiama Spyro Gyra da una famiglia di alghe, appunto le spirogire, la cui grafia viene cambiata dal gestore del locale dove si esibiscono per la prima volta. Nel 1978 viene inciso Spyro Gyra, ma il successo vero arriva l’anno dopo con Morning Dance che si piazza tra le quaranta migliori vendite di album negli Stati Uniti, con la title-track fra i singoli più venduti sempre negli USA. Da questo momento è tutto un susseguirsi di successi: oltre 10 milioni di album venduti, oltrepassati i 40 anni di attività, più di 30 album all’attivo. Ovviamente nel corso di tutti questi anni il gruppo ha cambiato spesso organico: Beckenstein, classe 1951, è rimasto a guidare il gruppo sino ad oggi condividendo la direzione della band con il pianista Jeremy Wall fino alla fine degli anni ’80. Ciò che è rimasto sostanzialmente invariato è la forza d’urto che questo gruppo sa esprimere sul palco: un cocktail di rhythm & blues, melodie popolari, riferimenti a ritmi caraibici in cui si innestano assolo di chiara impronta jazzistica. Ad interpretare questa formula vincente a Roma è un insieme di grandi musicisti che affiancano il leader ancora in gran spolvero: Tom Schuman, piano, Scott Ambush, basso, Julio Fernandez, chitarra e Lionel Cordew, batteria. Tutti sono apparsi assolutamente all’altezza del compito regalando agli spettatori alcuni momenti davvero spettacolari come un duetto, artisticamente pregevole, tra batteria e contrabbasso, alcuni momenti in cui il leader ha imbracciato contemporaneamente i suoi due strumenti sax alto e flauto, e un brano di chiara ispirazione cubana, De la Luz interpretato con sincera partecipazione dal chitarrista, per l’appunto cubano, Julio Fernandez che è membro di Spyro Gyra dal 1984.

Si inizia un po’ in sordina con Walk The Walk che fa parte del repertorio Spyro Gyra già dai primi anni ’90; la band sembra piuttosto freddina ma già con il secondo pezzo le cose cambiano. Groovin’ for Grover evidenzia un Tom Schuman in gran forma che sfodera un pianismo modale allo stesso tempo toccante e trascinante. Seguono in rapida successione altri brani tratti dai tantissimi album del gruppo: Captain Karma, Shaker Song che ritroviamo addirittura nel primo album inciso dalla band nel 1978, I Believe in You di Tom Schuman tratto da Alternating Currents, ottavo album in studio del gruppo pubblicato nel giugno 1985 e classificato al terzo posto dalla rivista settimanale statunitense Billboard per la categoria Top Jazz Album, il già citato De la Luz, l’originale versione di Tempted By The Fruit Of Another incisa dagli Squeeze nel 1981… Insomma un concerto che è andato in crescendo tra gli appalusi di un pubblico chiaramente appassionato del genere.

Il giorno dopo altro appuntamento straordinario con la Mingus Big Band. Probabilmente a ben ragione la big-band è considerata da molti la quinta essenza del jazz dal momento che ne contiene tutti gli elementi fondamentali: scrittura, arrangiamenti, improvvisazione, senso del collettivo, bravura solistica. Purtroppo in questo periodo è sempre più difficile ascoltare una grande orchestra sia dal vivo sia su disco. È quindi con il massimo interesse che mi sono recato all’Auditorium Parco della Musica per ascoltare una delle orchestre più prestigiose di questi ultimi anni: la Mingus Big Band. Nata nel 1991 per la volontà di Sue Mingus di perpetuare il repertorio del genio di Nogales, celebrandone la musica in tutti i suoi molteplici aspetti,  la band vanta attualmente undici album, di cui sei nominati per i Grammy, e nell’ottobre scorso ha pubblicato The Charles Mingus Centennial Sessions (Jazz Workshop) a 100 anni per l’appunto dalla nascita dell’artista; attualmente consta di quattordici elementi tra cui alcuni dei più grandi musicisti di New York, quali il trombonista Robin Eubanks, i trombettisti Alex Sipiagin e Philip Harper (dal 1986 al 1988 membro degli Art Blakey´s Jazz Messengers ) e Earl Mcintyre trombone basso, tuba, già a fianco dello stesso Mingus. Ben diretta dal contrabbassista russo Boris Kozlov, l’orchestra è in tournée per la prima volta dopo la morte di Sue Mingus a 92 anni nel dicembre scorso, e il successo è clamoroso ovunque si esibisce grazie all’elevato tasso artistico dei singoli musicisti. La loro musica si richiama espressamente allo spirito della musica mingusiana, un viaggio nell’affascinante universo del celebre contrabbassista e compositore. Gli elementi che hanno reso indimenticabile Mingus ci sono tutti: i repentini cambiamenti di ritmo, le melodie alle volte sghembe ma sempre affascinanti, i maestosi collettivi, gli assolo scoppiettanti, il potere trascinante, una miriade di sfaccettature che ben difficilmente si ritrovano in altre composizioni, la tensione che si riesce a trasmettere, l’immediatezza e l’universalità del linguaggio.

Molti i brani celebri in programma: dall’esplosivo Jump Monk, al trascinante Sue’s Changes tratto dallo straordinario “Changes One” inciso nel 1975 da una bellissima formazione comprendente Jack Walrath alla tromba, George Adams al sassofono tenore, Don Pullen al piano e Dannie Richmond alle percussioni. Ma i brani forse più riusciti sono stati So Long Eric e Self-Portrait in Three Colors. Il primo è stato scritto da Mingus per invitare l’amico e collega Eric Dolphy a tornare nella band dopo che questi, a seguito di una fortunata tournée, aveva deciso, nel 1964, di rimanere in Europa; ironia della sorte la sera del 29 giugno dello stesso 1964, a Berlino Ovest durante un concerto Eric ebbe un malore determinato da una grave forma di diabete che lo condusse alla morte. Self-Portrait in Three Colors è uno dei pezzi più classici di Mingus: lo stesso contrabbassista amava descriversi così nell’incipit di Peggio di un Bastardo (la sua autobiografia), uno e trino allo stesso tempo. Insomma, tornando al concerto, una serata memorabile grazie ad una musica straordinaria eseguita da un gruppo di eccellenti musicisti.

Martedì 15 almeno a mio avviso la più bella sorpresa del Festival: il concerto del pianista e compositore azero Isfar Sarabski. Avevo già ascoltato qualche brano dell’artista tratto dall’album Planet del 2021 ma sentirlo all’opera dal vivo è tutt’altra cosa. Ben coadiuvato da Behruz Zeynal al tar (strumento a sei corde simile al liuto che viene suonato con un piccolo plettro d’ottone), Makar Novikov al contrabbasso e Sasha Mashin alla batteria, il pianista si è espresso su altissimi livelli meritandosi i convinti applausi del pubblico. In realtà il concerto non era iniziato nel migliore dei modi: affidato soprattutto alle capacità solistiche di Behruz Zeynal la serata sembrava indirizzata lungo i binari di quel mélange tra jazz e medio-oriente di cui abbiamo già molte testimonianze. Per fortuna dal secondo pezzo le atmosfere sono cambiate e siamo entrati prepotentemente su un terreno assolutamente originale e poco frequentato in cui è difficile distinguere le influenze che fluttuano l’una sull’altra, dall’etno al jazz propriamente detto, dal folk alla musica classica senza trascurare l’elettronica, il tutto in un contesto strutturale ben delimitato. In effetti tutti i pezzi erano costruiti allo stesso modo: una lunga introduzione affidata volta per volta ad un singolo strumento per poi lasciare il campo all’ensemble che per la maggior parte del tempo si è espresso nella formula del trio, senza Zeynal. Ed è così emersa la straordinaria figura del leader. Nato nel 1989 a Baku, in Azerbaijan, Isfar Sarabski si forma presso il Berklee College of Music di Boston, per poi vincere nel 2009 la Solo Piano Competition del Montreux Jazz Festival. Per il piccolo Isfar la musica è un elemento immediatamente familiare: il padre è un grande appassionato di musica, la madre insegna violino mentre il suo bisnonno era Huseyngulu Sarabski, figura leggendaria della musica azera. Evidentemente tutto ciò ha contribuito in maniera determinante a creare un artista assolutamente straordinario che ha voluto condividere con il pubblico romano buona parte del repertorio contenuto nel già citato album Planet; splendida la riproposizione di Clair de lune di Claude Debussy interpretata con rara delicatezza e totale partecipazione.

E veniamo alla serata finale del festival, il 19 scorso, con Steve Coleman alla testa dei suoi Five Elements, vale a dire Jonathan Finlayson alla tromba, Sean Rickman alla batteria, Rich Brown al basso elettrico e il rapper Kokayi con il quale Coleman collabora fin dal 1985. Illustri colleghi hanno scritto meraviglie di questo concerto, e, una tantum consentitemi di dissentire. Intendiamoci: nessuno, tanto meno chi scrive, mette in dubbio le capacità di Coleman che in tutti questi anni ha dato prova di essere un grande artista; nessuno contesta la sua abilità nel rifarsi a musiche dell’Africa occidentale e dell’Asia meridionale; nessuno nega la sua profonda conoscenza della cd. “street culture”. Ma tutto ciò produce un certo tipo di musica che non trova il mio personalissimo interesse: non mi trascina (tutt’altro) la ripetizione per parecchi minuti dello stesso frammento melodico, non mi appassiona la matericità della sua musica, non mi convincono gli interventi del rapper anche perché nel passato ci sono stati esempi ben più probanti di integrazione tra jazzisti e rapper. Assolutamente apprezzabile, viceversa, il richiamo alla tradizione testimoniato dalla citazione di Confirmation, cavallo di battaglia di un certo Charlie Parker. Comunque il pubblico, non numerosissimo, ha gradito e l’esibizione è stata salutata da scroscianti applausi.

Il Festival si è così concluso con un bilancio ancora una volta largamente positivo: oltre 5000 presenze in due settimane di programmazione fra l’Auditorium, la Casa del Jazz e il Monk, con il coinvolgimento di ben 115 artisti provenienti da tutto il mondo, dagli Stati Uniti all’Azerbaigian, dalla Gran Bretagna alla Romania, passando per il Bahrain. “In tante edizioni, raramente ho visto un così grande entusiasmo del pubblico in ogni concerto, sia per gli artisti più famosi che per le novità. – Ha commentato Mario Ciampà, direttore artistico del festival. – Un pubblico trasversale, bambini, giovani e adulti che hanno voglia di buona musica e nuove proposte. Un successo che ci incoraggia a proseguire ulteriormente sulle traiettorie che hanno segnato questa edizione: il dialogo fra musica e innovazione tecnologica, il protagonismo femminile, la programmazione dedicata ai più piccoli e l’equilibrio fra i nomi storici del jazz e gli artisti più in sintonia con il gusto delle nuove generazioni come gli esponenti della nuova scena british, e non solo”

Gerlando Gatto

Along Came Jazz Una rassegna attenta al nuovo

 

“Along Came Jazz 2018” ha chiuso i battenti domenica 29 luglio con il progetto – dedicato a colonne sonore – “When You Wish Upon a Star” del chitarrista Bill Frisell, seguito – alle Terme Acque Albule, presso Tivoli (Roma) – da circa ottocento spettatori.

I dati della manifestazione, ad ingresso gratuito, parlano di successo dato che la cantautrice napoletana Flo (25/7; accompagnata da Marcello Giannini, Davide Costagliola e Michele Maione) ha avuto un pubblico di 400 persone, come gli ottimi Roots Magic (Alberto Popolla, Enrico De Fabritiis, Gianfranco Tedeschi, Fabrizio Spera) il cui concerto è stato spostato al 27 luglio causa pioggia, con gli inevitabili disagi anche nella comunicazione. L’affluenza maggiore si è registrata il 28 per Steve Coleman & Five Elements (Jonathan Finlayson, Kokay, Anthony Tidd, Sean Rickman) arrivando ad oltre 900 spettatori, tra cui molti giovani attratti dalla presenza del rapper. L’altosassofonista e leader afroamericano ha, peraltro, un album in uscita proprio in questo mese di agosto, registrato dal vivo al newyorkese Village Vanguard.

Si è parlato con il direttore artistico di “Along Come Jazz” – Enzo Pavoni – del futuro della rassegna, sospesa tra il 2010 ed il 2015 e ripresa nel 2016 in stretta collaborazione con la presidenza delle Terme Acque Albule, senza contributi dagli enti locali. Forte del continuativo successo, l’Associazione “Costa della Forma”, organizzatrice del festival tiburtino, vorrebbe continuare ma quanto accadrà e se ci saranno altre edizioni dipende dalla proprietà della Società Terme Acque Albule, che è privata – sebbene per ora al 40% – e in quanto tale libera dalle decisioni della politica.

Si sta, comunque, lavorando per ipotizzare il proseguimento della collaborazione (soprattutto sotto il profilo economico) per un minimo di tre anni, dato il carattere nazionale di “Along Came Jazz” i cui concerti sono stati spesso riproposti da Radio3. La stessa amministrazione comunale sembrerebbe essersi accorta del valore della rassegna. Il futuro saprà dare una risposta a quanto costruito in anni di lavoro e di programmazione sempre attenta al “nuovo” che si muove sia in Italia che negli U.S.A.

Luigi Onori

“JAZZ & WINE OF PEACE”, PRIME DUE GIORNATE CON STEVE COLEMAN E IL TRIO AARSET-RABBIA-PETRELLA

Il trio Eivind Aarset – Michele Rabbia – Gianluca Petrella in esclusiva italiana il 24 ottobre (ore 20.30) al Castello di Rubbia a Savogna di Isonzo (GO) e Steve Coleman and Five Elements in anteprima italiana il 25 ottobre (ore 21.30) al Teatro Comunale di Cormòns (GO): sono i primi due grandi eventi che apriranno la XX edizione di “Jazz & Wine of Peace”, il festival ideato da Circolo Controtempo che ogni anno accoglie tra Cormòns (GO), i vigneti, le cantine e gli splendidi paesaggi del Collio italiano e sloveno alcuni tra i più grandi jazzisti internazionali.
Il 24 ottobre, prima del concerto, presentazione del CD del ventennale “Connessioni. Vent’anni di Jazz & Wine”. Il 25 ottobre, prima del live di Coleman, brindisi di apertura e presentazione del libro “Sconfini. Vent’anni di Jazz & Wine of of Peace”. (altro…)

Si chiude con successo la XXXVII Edizione del Roccella Jazz Festival!

La XXXVII edizione del Roccella Jazz Festival ha chiuso i battenti oltre la mezzanotte di giovedì 24 agosto con le note del pianoforte di Claudio Cojaniz, confermando il segno lasciato nella lunga storia della manifestazione, la cui direzione artistica è adesso opera di Vincenzo Staiano: produzioni originali, prime assolute, valorizzazione di nuovi talenti e ricerca di sonorità nuove ed elettrizzanti. Lo ha confermato anche il primo dei protagonisti dell’ultima serata, ovvero lo spiritato trombettista Jonathan Finlayson a capo del suo Sicilian Defense, un ensemble ad alta gradazione di talento, che prende il nome da una storica contromossa d’apertura del gioco degli scacchi.

Dichiara il direttore artistico Staiano: “Risultati oltre le aspettative per la XXXVII edizione del Festival, visto il ritardo con il quale è stata annunciata la manifestazione. Folta la partecipazione di pubblico con circa 9.500 spettatori che hanno seguito la manifestazione, secondo una prima stima approssimativa. Hanno superato il banco di prova anche le master class, i workshop e i seminari, che sono stati ripristinati quest’anno con successo. Il Comune di Roccella Jonica (unico ente organizzatore del Festival) ha saputo solo agli inizi di agosto che il Festival era stato finanziato dalla Regione Calabria, essendo risultato uno dei vincitori del bando grandi eventi che assegna contributi triennali. Erano 15 i partecipanti e il progetto di Roccella Jazz è risultato tra i primi cinque, precedendo anche i grandi comuni calabresi. La macchina organizzativa del Festival si è subito messa in movimento ed è riuscita ad attivare tutte le procedure necessarie per garantire i concerti e le altre attività grazie anche al fatto che il programma della manifestazione era già pronto da tempo”.

La XXXVII Edizione del Festival ha visto nella prima settimana, dal titolo Jamming Around & New Talents, i concerti dei nuovi talenti che, sottolinea Staiano, “hanno dimostrato tutto il loro valore a partire dalla bassista polacca Kinga Glyk, un’autentica rivelazione. Di grande spessore le performance del Francesco Orio Trio, dei Red Basica e dei Raw Frame. Hanno fatto la loro parte anche Thomas Umbaca, il trio Ophir, il duo Gennai-Cosentino e il trio Ammendola-Brissa-Scopelliti. Bello l’esordio del Carafa Quartet di Francesco Loccisano. Sono risultati una conferma musicisti come Ettore Castagna e gruppi come The South Project e Rhythm Permutations, che hanno suonato a Siderno, e il Gabriele Buonasorte Quartet, The Dave Howard Initiative e la Freak-out Band. Il fotografo Pino Ninfa, dopo anni di assenza, è tornato a Roccella con un bel progetto legato ai suoi recenti viaggi”.

Fiore all’occhiello della rassegna due produzioni originali dedicate a Rino Gaetano, che hanno riscosso particolare attenzione. Ricorda nuovamente il direttore artistico: “La prima, quella elaborata dal grande Giovanni Tommaso, è stata accolta con grande favore dal pubblico che ha affollato fino all’inverosimile gli spalti del Teatro al Castello. E’ stata la bella Jasmine Tommaso a dare voce agli arrangiamenti jazzistici delle canzoni di Rino fatte dal padre Giovanni. Vista l’assoluta originalità del progetto, la registrazione del concerto, probabilmente, sarà riversata su Cd. La seconda, invece, è stata un’operazione all’insegna del più sapiente istrionismo e ha avuto come protagonista Massimo Donà che ha presentato il suo progetto “Pitagorino”, suggerito dalla passione che Rino Gaetano aveva per le numerologie e Pitagora. Il grande filosofo e trombettista veneto ha dato una divertente chiave di lettura del rapporto tra Pitagora e la musica”.

Grandi attenzioni anche per i big italiani e stranieri scelti da Staiano, orgoglioso della risonanza avuta: “Non ha deluso le aspettative della vigilia la tanto attesa prima e unica tappa europea di Jonathan Finlayson and the Sicilian Defense. Il giovane trombettista statunitense ha dimostrato di possedere un proprio spessore stilistico lontano da imitazioni e espressioni stereotipate. Anche il Roccella Quartet, che si è formato nell’ambito della manifestazione, ha messo in luce grandi individualità come quelle di Alexander Hawkins, Sabir Mateen, John Edwards e Steve Noble. Già scontato, invece, il grande successo di musicisti come Tuck & Patti, Antonella Ruggiero, Antonio Faraò e la Med Free Orkestra. Un po’ di commozione, invece, per il ritorno su un palcoscenico di Luca Aquino dopo un fermo di due mesi a causa di un infortunio: il trombettista campano ha suonato con l’ausilio di strumenti elettronici e ha dimostrato di essere sulla via della guarigione. Molto coinvolgente il concerto del quartetto di James Taylor che è riuscito far ballare la quasi totalità del pubblico con un organo Hammond che sembrava uscito da un museo. Molto apprezzati il Quartetto guidato da Tino Tracanna e quello di Claudio Cojaniz, i due gruppi che hanno chiuso il Festival”.

Appuntamento allora al Roccella Jazz Festival 2018, per l’edizione n. 38.

Roccella Jazz:
http://www.roccellajazz.org/

Inside Jazz Quartet, Claudio Cojaniz e Jonathan Finlayson al Roccella Jazz

Il Comune di Roccella Jonica (RC)
è lieto di presentare:

ROCCELLA JAZZ FESTIVAL 2017 – RUMORI MEDITERRANEI
XXXVII EDIZIONE

“A me piace il sud”
Original Tribute to Rino Gaetano

Direzione Artistica: Vincenzo Staiano

Giovedì 24 agosto 2017
ore 18.30
Auditorium Comunale “Unità D’Italia”
Via Cristoforo Colombo 2:

INSIDE JAZZ QUARTET:
“Four By Four”

ingresso € 7 intero / € 5 ridotto (per under 25/over 60)

ore 21.15
Teatro Al Castello:

COJ & SECOND TIME:
“Sound Of Africa”

ingresso € 10 intero / € 7 ridotto (per under 25/over 60)

ore 22.30
Teatro al Castello:

JONATHAN FINLAYSON & SICILIAN DEFENSE:
“Moving Still”

Prima europea!

ingresso € 10 intero / € 7 ridotto (per under 25/over 60)

Ore 24.00
Teatro al Castello:

MIDNIGHT JAZZ READING

 

Giovedì 24 agosto 2017 tredicesima e ultima serata della XXXVII Edizione del Roccella Jazz Festival con gli appuntamenti finali di Rumori Mediterranei, la fitta settimana di jazz italiano e internazionale che ha ospitato straordinari concerti e che termina con tre proposte di eccezionale rilevanza, di cui una prima europea, quella di Jonathan Finlayson.

Il concerto del tardo pomeriggio all’Auditorium è un evento speciale, una prima per Roccella dedicata alla presentazione del nuovo disco Four By Four. Gli autori non hanno bisogno di presentazioni: Tino Tracanna (Sassofoni), Massimo Colombo (Pianoforte), Attilio Zanchi (Contrabbasso) e Tommy Bradascio (Batteria), meglio noti come Inside Jazz Quartet, sono quattro personalità fondamentali per il jazz nostrano ed europeo, sia per il proprio percorso personale che per le numerose collaborazioni incrociate negli anni. Il nuovo album Four By Four (Abeat Records) è un tributo ad alcuni fra i più importanti compositori jazz del Novecento: Billy Strayhorn, Charles Mingus, Dave Holland e Kenny Wheeler, omaggiati con due pezzi scelti da ogni membro del quartetto e con un brano originale a testa, ispirato allo stile di questi grandi maestri.

Altro concerto di notevole rilievo, anche perchè in linea con l’omaggio al Sud e ai sud del mondo intrapreso dal Roccella Jazz 2017, è quello di Claudio Cojaniz, atteso in modo particolare dal pubblico roccellese grazie a SiSong – Una canzone per Sisinio, una suite dedicata al compianto Sisinio Zito, ora su DVD che sarà presentato all’Ex Convento dei Minimi nel pomeriggio. Il pianista e compositore friuliano, in compagnia di Maria Vicentini (Violino), Alessandro Turchet (Contrabbasso) e Zeno De Rossi (Batteria), torna a Roccella con un progetto in cui emerge tutta la sua lunga e apprezzata esperienza nel mondo del jazz a partire dagli anni ’80: Coj & Second Time presenta infatti Sound Of Africa, chiaro riferimento a quella speciale attenzione che Cojaniz ha sempre dedicato alle radici e alla tradizione jazz e blues.

Gran finale con Jonathan Finlayson & Sicilian Defense, il gruppo del giovane ma già quotatissimo trombettista californiano, che debutta con il suo nuovo tour proprio a Roccella, una straordinaria prima europea. Nato nel 1982, Finlayson ha avuto dalla sua mentori e maestri come Richard Porter, Eddie Henderson, Jimmy Owens e Cecil Bridgewater, dal 2000 è con Steve Coleman nei Five Elements, ha suonato o registrato con giganti quali Steve Lehman, Craig Taborn, Henry Threadgill, Muhal Richard Abrams e molti altri. Insomma un talento apprezzato e riconosciuto, “maturato a fuoco lento”, come sostenuto da Musica Jazz che lo ha votato come Nuovo Talento Internazionale del Top Jazz 2016, anche grazie ai responsi ottenuti dal suo splendido album Moving Still. Insieme a lui i Sicilian Defense con Matt Mitchell (Piano), Liberty Ellman (Chitarra), John Hebert (Contrabbasso), Craig Weinrib (Batteria) per un concerto di chiusura da non perdere.

Roccella Jazz:
http://www.roccellajazz.org/

Freak Out Band, Luca Aquino e Med Free Orkestra al Roccella Jazz

Il Comune di Roccella Jonica (RC)
è lieto di presentare:

ROCCELLA JAZZ FESTIVAL 2017 – RUMORI MEDITERRANEI
XXXVII EDIZIONE

“A me piace il sud”
Original Tribute to Rino Gaetano

Direzione Artistica: Vincenzo Staiano

Mercoledì 23 agosto 2017
ore 18.30
Auditorium :

FREAK OUT:
Freak Antoni. Psicofisiologia di un genio

Presentazione del nuovo libro di Daniela Amenta,
concerto della FREAK-OUT BAND

ingresso € 7 intero / € 5 ridotto (per under 25/over 60)

ore 21.15
Teatro Al Castello:

AQUINO/IOANNA DUO:
“Aqustico Vol. 2”

ingresso € 10 intero / € 7 ridotto (per under 25/over 60)

ore 22.30
Teatro al Castello:

MED FREE ORKESTRA

ingresso € 10 intero / € 7 ridotto (per under 25/over 60)

Ore 24.00
Teatro al Castello:

MIDNIGHT JAZZ READING

 

Mercoledì 23 agosto 2017 penultima serata della XXXVII Edizione del Roccella Jazz Festival con gli ultimi appuntamenti della sezione Rumori Mediterranei, che ospita tre progetti di eccezionale levatura artistica, tra musica e cultura, anzi culture, vista la pluralità degli sguardi, delle prospettive e degli approdi.

Il primo evento è dedicato a una figura straordinaria della nostra musica, diversa da quel Rino Gaetano al quale è dedicata la rassegna del 2017 ma egualmente indimenticabile: Freak Antoni. All’artista bolognese, scomparso tre anni fa e ricordato in particolar modo per la sua lunga esperienza con gli Skiantos, la giornalista Daniela Amentaha dedicato il recente libro Freak Antoni. Psicofisiologia di un genio (CNI), che attraversa – anche grazie ai contributi e alle testimonianze raccolte – la vita e l’opera di questa multiforme personalità, autore, scrittore, attore, musicista, operatore culturale, poeta e molto altro. Subito dopo la presentazione ci sarà il concerto della Freak-Out Band, composta da Paolo Rigotto (voce), Antonello Greco (chitarra), Alex Guidetti (basso) e Fabio Biagi (batteria), con la presenza di Alessandra Mostacci, pianista e compagna di vita e d’arte del musicista scomparso.

Dall’Auditorium al Teatro al Castello per un concerto speciale che sancisce un ritorno sulle scene: quello di Luca Aquino, che si presenta in duo con il fisarmonicista Carmine Ioanna, protagonista insieme a lui del nuovissimo album Aqustico Vol. 2. Il trombettista campano, uno dei nomi più apprezzati del jazz internazionale degli ultimi anni, torna dal vivo a due mesi di distanza dai problemi di salute che lo hanno costretto ad annullare l’atteso Jazz Bike Tour (in viaggio con bicicletta e tromba dalla sua Benevento a Oslo) e tutti gli altri concerti di settembre e ottobre: pur non potendo ancora suonare la sua tromba, Aquino ha scelto proprio Roccella per il nuovo e inedito esperimento fisarmonica-live electronics, in linea con l’idea di suono “concentrico”, ispirato e arricchito dai luoghi in cui viene espresso. Con lui il corregionale Carmine Ioanna, talentuoso fisarmonicista che sta ottenendo crescenti apprezzamenti internazionali.

Ultimo concerto all’insegna dell’abbondanza: dal duo minimale Aquino-Ioanna alla nutrita squadra della Med Free Orkestra, formazione multietnica composta da sedici musicisti provenienti da varie aree del sud del mondo. A me piace il Sud: lo slogan che contrassegna la XXXVII edizione del Roccella Jazz trova con la Med Free Orkestrauna vera e propria incarnazione. Francesco Fiore, Angelo Olivieri, Alessio Guzzon, Ihor Svystun, Andrea Angeloni, Agnese Valle, Vincenzo Vicaro (fiati), Ismaila Mbaye, Daniele Di Pentima, Andrea Merli (percussioni e batteria), Lavinia Mancusi, Marwan Samer, Madya Diebate (voci e altri strumenti), Emiliano Bonafede (chitarra elettrica), Alessandro Severa (Fisarmonica), Riccardo Di Fiandra (Basso) sono un organico ricco e eterogeneo che esplora le connessioni tra world music, musica del bacino mediterraneo, contaminazioni greco-tunisino-balcaniche fino al reggae.

Gran finale giovedì 24 con un trittico da non perdere: l’Inside Jazz Quartet di Tracanna, Zanchi, Colombo e Bradascio, il quartetto Coj & Second Time guidato da Claudio Cojaniz, infine la prima europea, davvero attesa, di Jonathan Finlayson & Sicilian Defense, il giovane ma già quotatissimo trombettista californiano.

Roccella Jazz:
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