Nicola Puglielli tra standards e originals

 

Cari amici,

ci risiamo… o meglio ci ritentiamo. Martedì 7 febbraio riprendono le guide all’ascolto con Nicola Puglielli e la sua chitarra.

Quanti mi seguono, ricorderanno forse l’esperienza delle “Guide all’ascolto” che per alcuni anni ho condotto alla Casa del Jazz con buon successo.

Adesso, purtroppo, alla Casa del Jazz, per motivi prettamente economici, non è possibile ripetere queste esperienze per cui mi son dato da fare per trovare altri luoghi idonei. Qualche tempo fa, da un piccolo teatro mi era stata offerta la possibilità di organizzare una serata dedicata all’importanza della chitarra nella storia del jazz con il grande chitarrista Nicola Mingo; la serata andò bene e c’erano tutte le premesse per andare avanti ma non se n’è fatto alcunché dato che i gestori del locale si dimostrarono, per usare un eufemismo, poco gentili.

Adesso ho trovato un altro spazio particolarmente idoneo, con una bella sala che sembra fatta apposta per ospitare eventi musicali e altre salette che possono accogliere quanti alla musica non sono interessati: si tratta delle “Officine San Giovanni”, site in Largo Brindisi, 25.

Il primo appuntamento, come accennato in apertura, è fissato per martedì 7 febbraio dalle ore 19 alle 20,30. Protagonista la chitarra solo di Nicola Puglielli che presenterà un repertorio in cui accanto a noti standards quali “Nostalgia in Times Square” di Charles Mingus e “Django” di John Lewis figurano composizioni originali dello stesso Puglielli.

La passione di Puglielli per la chitarra e per il jazz inizia già negli anni settanta, quando frequenta i mitici locali romani come il “Music Inn” ove si fa le ossa suonando con grandi musicisti italiani come Massimo Urbani e Giovanni Tommaso. Più tardi si dedica intensamente allo studio del jazz, della chitarra classica e dell’arrangiamento sotto la guida di Gerardo Iacoucci. Sulla sua strada incontra jazzisti come Kirk Lightsey, Tony Scott, Steve Grossman e Philip Catherine, ma collabora anche con importanti compositori come Nicola Piovani e con l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma.

Molte e variegate le esperienze in sala di registrazione con artisti quali Gerardo Iacoucci, Luis Bacalov, Manuel De Sica,  Germano Mazzochetti, Miriam Meghnagi, Gianfranco Reverberi, Lilli Greco, Nicola Piovani.

Come compositore ha ottenuto diversi riconoscimenti in concorsi internazionali come il Carrefour Mondial de la Guitare in Martinica con “In The Middle”. Ha composto le musiche di “Viva Ingrid!”, regia di Alessandro Rossellini, presentato al Festival del Cinema di Venezia del 2015.

Due i CD a suo nome: il primo, “In the Middle”, è stato prodotto nei 2000 dall’etichetta tedesca Jardis ed ha suscitato grande interesse da parte della critica che definisce Puglielli “una nuova stella della chitarra jazz” (Akustik Gitarre, Germania) e “una sorpresa per chi aveva dimenticato la chitarra acustica” (All about Jazz, Italia). Il secondo è “Viaggio ConCorde” pubblicato dalla III Millennio.

Nel 2013, per il Bicentenario Verdiano, ha realizzato due progetti, divenuti CD,  di elaborazione di musiche verdiane: “I Trovatori”, rilettura swing di arie del Trovatore inciso dal gruppo “Hot Club de Zazz” e “Play Verdi” (interpretazione jazzistica dei Preludi di alcune opere) registrato dal “Play Verdi Quartet”.

L’Huffington Post dice di lui che è un arrangiatore capace di “captare l’anima” del grande compositore.

Ha insegnato Chitarra Jazz nei Conservatori di Frosinone, Roma e Perugia.

ALEXANDERPLATZ JAZZ CLUB – RE-Opening 27 febbraio 2016

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Via Ostia, 9, 00192 Roma
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www.alexanderplatzjazzclub.it

Anche le mura dell’Alexanderplatz hanno assorbito 33 anni di musica!
Lo testimoniano le centinaia di graffiti che artisti di tutto il mondo hanno voluto lasciare, con dediche spiritose, poetiche, sempre affettuose, per celebrare il loro passaggio nello storico locale di Via Ostia.
Nel 1984, Giampiero Rubei dava vita a quello che sarebbe diventato il più celebrato jazz club di Roma, recensito e consigliato anche da tutte le più autorevoli testate di settore italiane e non solo, la rivista statunitense Downbeat lo riporta anche quest’anno come “Uno dei migliori locali jazz del mondo”!
Impossibile citare i grandi che si sono esibiti, tra tanti Chick Corea, Chet Baker, Winton Marsalis, Dave Holland, Michael Brecker, Joe Henderson, Jack de Johnette, Steve Coleman, Stefano Bollani,  Antonello Salis, Stefano Di Battista, Danilo Rea, Roberto Gatto, Javier Grotto, Natalio Mangalavite, Flavio Boltro, Fabrizio Bosso, e i migliori nomi del jazz tradizionale Loffredo, Patruno, Marcello Rosa, Piana e molti altri.
Molte anche le iniziative che hanno preso forma per volontà dei Rubei e che hanno divulgato il jazz italiano in festival internazionali, da Villa Celimontana Jazz fino a New York, Parigi, Chicago, Mosca, Dubai, Pechino, Finlandia, Londra, Corea, Amsterdam, Grecia, Medio Oriente.
La serata inaugurale, sabato 27 febbraio, avrebbe coinciso con il compleanno del patron Giampiero Rubei, e sarà una lunga kermesse a testimoniare la ricorrenza. Le adesioni di tutti i più importanti e affezionati musicisti del mondo jazz sono in continua evoluzione.
Tra gli altri: Maria Pia De Vito – Stefano Di Battista – Alfredo Paixao – Rosario Giuliani – Riccardo Biseo – Lino Patruno – Giovanni Tommaso – Niky Nicolai – Miraldo Vidal Band – Natalio Mangalavite – Javier Girottto -Disordinati Musicali.
La nuova stagione vedrà alla direzione del locale e degli eventi collegati, come il Festival Internazionale “Jazz&Wine” a Montalcino e “Non Solo Jazz” all’Argentario, Eugenio e Paolo Rubei.
Nel locale rinnovato, la cavea jazz riprende i suoi colori dal bar alla cucina, un piccolo spazio dedicato all’artigianato, mostre, eventi. Non mancherà nella programmazione il jazz tradizionale, ma si esploreranno anche i nuovi linguaggi, fedeli alla linea del club star del jazz internazionale e nostrano, tra le nuove proposte, invece, le serate dedicate al cantautorato di qualità italiano. Nella nuova stagione la collaborazione con “Disordinati Musicali”, al secolo Daniela Morgia & Claudio Milo Vietnam in partnership con Radio K , per serate e after live con selezioni musicali, Djset e Live set che vedranno interagire musicisti e Djs. (altro…)

Cueva Summer Jazz 2015

CUEVA SUMMER JAZZ 2015

V Edizione
04 luglio – 22 agosto 2015

L’incantevole giardino estivo del ristorante La Cueva, che vanta una quinta teatrale d’eccezione come la millenaria Abbazia di Pomposa, riapre i battenti pronto a puntare i riflettori su una nuova e coinvolgente edizione di Cueva Summer Jazz.
La rassegna concertistica, giunta quest’anno alla quinta edizione, è realizzata in collaborazione con Jazz Club Ferrara, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura della Regione Emilia-Romagna e del Comune di Codigoro, dell’Ente di Gestione per i Parchi e la Biodiversità – Delta del Po e di Ferrara Terra e Acqua.
Saranno sei gli imperdibili appuntamenti ad ingresso gratuito che, tra luglio e agosto, dispenseranno un raffinato connubio fatto di note e alta gastronomia elaborata dall’estro dello chef Luca Agnelli.

Sonorità afro-brasiliane, musica manouche, groove d’autore e tanto jazz costituiscono la miscela esplosiva di questa nuova stagione che aprirà il sipario, in occasione della Notte Rosa, sabato 04 luglio (ore 22.00) con un maestro assoluto del bebop, il trombettista americano Tom Kirkpatrick e la sua Jazz Workshop Orchestra. Formatosi presso la Juilliard School of Music di New York, Kirkpatrick ha collaborato con mostri sacri del jazz quali Chet Baker, Lou Donaldson, George Coleman e Clifford Jordan, solo per citarne alcuni.Purezza del suono, versatilità ritmica e cangianti sfumature timbriche costituiscono la cifra stilistica di Kirkpatrick con cui anche gli standards più battuti vibrano di nuova luce. Il bandleader si esibirà in quartetto affiancato dal sax tenore di Valerio Pontrandolfo, Luca Pisani al contrabbasso e Alberto Chiozzi alla batteria.

Atmosfere straight ahead e un’aura di elegante classicità trovano un ideale compendio espressivo nel timbro fluido e intenso di Chiara Pancaldi (sabato 11 luglio, ore 22.00), la cui scioltezza nella tecnica scat e la versatilità con cui passa dallo swing al bop, ne fanno una delle voci emergenti più interessanti del panorama jazz. Già al fianco di artisti del calibro di Cyrus Chestnut e Kirk Lightsey, la giovane cantante bolognese parteciperà a breve alla competition indetta dal prestigioso Montreaux Jazz Festival. Affiancata da Giancarlo Bianchetti alla chitarra, Mirko Scarcia al contrabbasso e Andrea Nunzi alla batteria, la Pancaldi presenterà I Walk A Little Faster, cd edito da Challenge Records (Aprile, 2015) che sancisce il debutto internazionale dell’apprezzata jazz singer.

Ma Cueva ama anche spaziare lungo le rotte musicali più variegate, alla scoperta delle matrici primigenie e delle contaminazioni che rendono il jazz materia assolutamente fluida e permeabile. È per questo che, sabato 25 luglio (ore 22.00), seguendo le orme del celebre Quintette du Hot Club de France formato da Django Reinhardt, la rassegna propone le travolgenti sonorità manouche del Gipsy Strike Quintet che, oltre al contrabbasso magistralmente ‘manipolato’ da Pietro Cavalieri D’Oro, vede ben tre chitarre imbracciate rispettivamente da Martino Salvo, Diego Rossato e Carlo Stupiggia, atte a sostenere le rapinose iperboli del clarinetto di Michele Uliana in prima linea. La serata sarà arricchita da un menù degustazione dei prodotti Andalini, pasta dal 1956.

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Al via il Chiara Pancaldi Trio “Jazz Connections” Tour feat. Kirk Lightsey

Dopo un periodo di relativa pausa dedicato allo studio e ad imbastire una trama sempre più fitta di rapporti con l’entourage jazzistico della Grande Mela, Chiara Pancaldi – considerata una delle voci emergenti più interessanti del panorama nazionale – torna in tour con “Jazz Connections”, progetto che suggella la preziosa collaborazione tra la giovane cantante bolognese e un gigante della storia del jazz, il pianista afroamericano Kirk Lightsey. Completa il duo una sezione ritmica d’eccellenza che vede l’impeccabile timing di Darryl Hall al contrabbasso e la visionaria creatività di Tommaso Cappellato alla batteria.
Saranno quattro le città dello Stivale ad essere travolte dal timbro fluido, intenso e suadente – a tratti accattivante – della Pancaldi, impegnata in una personale ed emozionante reinterpretazione del songbook americano corollata da qualche pregevole incursione nella MPB brasileira di Jobim e Chico Buarque. Si parte da Brescia (Ciuciulia, 24 aprile) per poi approdare rispettivamente a Bologna (Cantina Bentivoglio, 29 aprile), Ancona (Ancona Jazz, 30 aprile) e Bolzano (Laurin, 01 maggio).
“Jazz Connections” costituirà altresì l’imperdibile occasione per ascoltare in anteprima qualche brano tratto da Walk A Little Faster, secondo episodio discografico di prossima uscita per l’etichetta olandese Challenge Records, che vede la cantante coadiuvata da un’autentica All-Stars d’oltreoceano: Cyrus Chestnut al pianoforte, John Webber al contrabbasso e Joe Farnsworth alla batteria.

Nata a Bologna nel 1982, Chiara Pancaldi si dedica allo studio del pianoforte sin da piccina. Lo strumento affianca da sempre il canto che la giovane intraprende, in primis, da autodidatta. Agli studi in conservatorio, dove si laurea in canto jazz con il massimo dei voti, segue la partecipazione a numerosi seminari tenuti da autentici protagonisti (Rachel Gould, Roberta Gambarini, Harold Mabern, Vincent Herring, Barry Harris) e la vincita di una borsa di studio ai clinics della Berklee Summer School ad Umbria Jazz. Ma è il magico incontro con Michele Hendricks che induce la Pancaldi a dedicarsi al jazz a tempo pieno, con risultati sorprendenti ben documentati dall’album d’esordio The Song Is You (Dodicilune, 2012) e da numerose esibizioni in prestigiosi festival e jazz club.

È possibile asserire che Kirk Lightsey (Detroit, 1937) abbia contribuito ad alcune delle pagine più significative della storia del jazz seppur mantenendo, nel corso di buona parte della sua carriera, un profilo pacato. Pianista di grande spessore, ha sviluppato il proprio linguaggio in ambito hard bop. A metà degli anni ‘60 lo troviamo a fianco di Johnny Stitt e in cinque album per la Prestige Records con Chet Baker. La notorietà tuttavia giunge negli anni ’80 quando, dopo una tournée con Dexter Gordon, entra a far parte dei Leaders (Cecyl McBee, Lester Bowie, Chico Freeman, Don Moye e Arthur Blythe). Da menzionare altresì le collaborazioni con Kenny Burrel, Yusef Lateef, Woody Shaw, Benny Golson e Betty Carter.

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I nostri CD. Novità dall’estero

Billy Hart Quartet – “One is the other” – ECM 2335

oneistheotherEcco il secondo album ECM del quartetto guidato dal batterista Billy Hart e completato dal pianista Ethan Iverson, dal sassofonista Mark Turner e dal bassista Ben Street. Si tratta, in sostanza, dello stesso gruppo che nel 2011 ottenne uno straordinario successo con il loro primo album targato ECM, vale a dire “All Our Reasons”. Le positive impressioni suscitate allora, sono state pienamente confermate da questo nuovo “One is the other” e la cosa non stupisce più di tanto ove si tenga conto che Billy Hart è uno dei più creativi batteristi del jazz moderno. Cresciuto alla scuola dell’hard bop anni sessanta, nel corso della sua carriera ha collaborato con artisti di assoluta grandezza quali Miles Davis, Wes Montgomery, Herbie Hancock e McCoy Tyner.  Un batterista, quindi, di grande esperienza che dopo aver lavorato a lungo come side- man di lusso ha oramai scelto di creare e guidare propri gruppi con cui eseguire anche musica propria. Così l’album contiene tre pezzi firmati Hart, due Mark Turner , uno Iverson accanto ad uno standard di Rodgers-Hammerstein, “Some enchanted Evening”. Ma, indipendentemente dalla qualità delle composizioni, per altro di tutto rispetto, il gruppo si fa apprezzare per la straordinaria forza empatica con cui affronta ogni pagina. Il drumming propositivo e fantasioso del leader, ben coadiuvato dal bassista, costituisce il terreno ideale su cui la front-line può esprimersi al meglio sia nei brani veloci sia nelle ballad. A proposito di queste ultime, da ascoltare con particolare attenzione “Maraschino” di Iverson : introdotto da un fantastico gioco di spazzole, il brano si sviluppa dapprima con le note all’unisono di pianoforte e sassofono dopo di che i due strumenti si dividono per esibirsi cadauno in pensoso assolo per poi ritrovarsi a dialogare su linee melodiche che si intersecano e chiudere in perfetta sintonia. “Teule’s redemption” di Hart è forse uno dei brani più belli dell’album: introdotto da un magnifico assolo del leader, grazie ad una scrittura assai ben costruita, offre l’occasione al sassofonista di esprimersi in un lungo e centrato assolo. E a confermare la facilità di scrittura di tutti i musicisti (eccezion fatta per Ben Street che non ha firmato alcun brano), da ascoltare con attenzione anche l’elegante “Sonnet for Stevie” di Mark Turner. Infine lo standard “Some Enchanted Evening” viene affrontato con grande delicatezza e partecipazione, fruendo tra l’altro di un coinvolgente dialogo sax-piano.

Vijay Iyer – “Mutations” – ECM

2372 XCredo che questo “Mutations” rappresenti la prova della piena maturità compositiva raggiunta da Vijay Iyer; si tratta del primo album di Iyer come leader per ECM, una registrazione che aiuta certamente a meglio comprendere la complessa personalità di questo pianista-compositore. Maturità compositiva non significa, però, necessariamente maturità espressiva: in effetti l’album appare ottimamente costruito, forse fin troppo ben pensato ché dal punto di vista emozionale questa musica arriva poco o niente. Insomma sembra proprio che in questa incisione Iyr si sia fatto guidare più dalla mente che dal cuore, con esiti che sicuramente otterranno valutazioni assai differenziate. Dopo un’apertura – “Spellbound and Sacrosanct, Cowrie Shells and the Shimmering Sea”, in cui il pianista si esprime da solo (e in questo caso una certa ricerca melodica si avverte), e un altro pezzo – “Vuln, Part 2” – in cui Vijay si avvale di un minimo ausilio elettronico, si giunge a “Mutations I-X” una composizione per quartetto d’archi, piano ed elettronica che costituisce il nucleo centrale dell’album. Il pianista cerca di estrinsecare attraverso la musica il significato del termine “Mutations”. Di qui una costruzione in cui piccoli nuclei tematici, disegnati di volta in volta, dal pianoforte, dalla strumentazione elettronica o dal quartetto d’archi, interagiscono continuamente creando atmosfere in continuo cambiamento, “Mutations” per l’appunto. Così il clima dell’intera suite viene percepito ora carico di tensione, ora incalzante, ora coinvolgente con pochi sprazzi di autentico lirismo. Ovviamente qui di jazz propriamente inteso non c’è traccia, siamo piuttosto nel campo della musica contemporanea; a tratti propulsiva, avvolgente, lirica, luminescente. L’album si chiude con “When We’re Gone”, una composizione recente, del 2013.

Ahmad Jamal – “Saturday morning” – Jazz Village570027

saturdaymorning_cmPiù ascolto musica sia live sia su disco e più mi convinco che oggi, invece di tentare strade nuove con molta presunzione e spesso con esiti poco felici, sia meglio consolidare quanto si è già raggiunto. Intendiamoci, non voglio dire che cercare nuovi sbocchi al jazz sia sbagliato, solo che per farlo occorre avere tutte le carte in regola: prima essere davvero un grande artista e poi andare ad esplorare nuovi terreni. E chi grande artista lo è di sicuro, senza bisogno di conferma alcuna, è Ahmad Jamal; oramai da tanti anni sulla scena, il pianista si ripresenta in quartetto con Reginald Veal al contrabbasso, Herlin Riley alla batteria e Manolo Badrena alle percussioni e, cosa che rende straordinario questo album, per la prima volta incentra il repertorio sulle sue composizioni. Degli undici brani eseguiti ben otto sono suoi, affiancati da “I’m in the mood for love” di Fields-McHugh, “I got it bad and that ain’t good” di Webster-Ellington e “One” di Sigidi-Gite. Ed è proprio sulle capacità di scrittura che vorrei porre l’accento nel presentarvi l’album. Ebbene Jamal evidenzia una facilità compositiva davvero fuori del comune, una compiutezza espressiva che gli deriva dall’aver assimilato influenze le più svariate; lo stesso Jamal, nel corso di un’intervista, afferma di “iniziato a comporre quando avevo dieci anni, e le mie influenze sono di vasta portata: da Duke Ellington e Billy Strayhorn, Jimmy Lunceford e Fletcher Henderson a Debussy e Maurice Ravel. A Pittsburgh, non c’era quella linea tra musica classica americana e la musica classica europea. Abbiamo studiato tutto”. E questo tipo di cultura si avverte tutta ascoltando le musiche di Ahmad, a partire dal brano iniziale “Back to te future” con un impianto percussivo di chiara ispirazione caraibica, per passare al bellissimo brano che dà il titolo all’album caratterizzato da una suadente melodia imperniata su un coinvolgente ostinato di basso, per giungere a “Silver” un’altra splendida melodia dedicata a Horace Silver con ancora una volta sonorità latine. Lalbum si chiude con la reprise in “radio version” di “Saturday Morning”.

Vera Kappeler / Peter Zumthor – “Babylon-Suite” ECM 2347

2363 XAlbum sotto certi aspetti straniante ma di sicuro interesse questo inciso dal duo svizzero formato da Vera Kappeler e Peter Conradin Zumthor. I motivi di interesse sono accresciuti dal fatto che, trattandosi di un disco d’esordio, vengono presentate musiche assai coraggiose, commissionate dal Origen Cultural Festival. La Babilonia del titolo – si legge nelle note che accompagnano l’album – è quella del Libro di Daniele, la fossa dei leoni, i giovani che cantano nella fornace ardente, un luogo di perdizione, un labirinto. In coerenza con tale premessa, il pianoforte di Kappeler e la batteria di Zumthor disegnano una musica spesso iterativa, con piccoli nuclei motivici ripetuti in sequenza, una musica contrassegnata dai toni bassi a disegnare atmosfere piuttosto cupe che ogni tanto si aprono per lasciare spazio ora a squarci di luce attraverso cui proiettarsi verso dimensioni “altre”, ora a momenti di più forte intensità. E’ il caso, ad esempio, di “Annalisa” in cui si va alla ricerca di una dolce linea melodica spesso solo accennata e quindi lasciata all’immaginazione dell’ascoltatore, mentre in “Traumgesicht” si evidenzia una maggiore forza espressiva con il pianoforte che accentua il suo lato percussivo. Comunque i due si muovono sempre con grande compostezza, misura, eleganza (in alcuni tratti fin troppo raffinata) mostrando una padronanza della dinamica e più in generale dell’intera materia sonora assolutamente perfetta: mai una sbavatura, mai una pausa fuori posto, mai la sensazione che si stia perdendo il bandolo di una matassa per altro assai complessa. Così, anche quando in “November” si insinua l’elemento vocale, l’equilibrio complessivo rimane intatto. In definitiva un album difficile da interpretare, con una sua spiccata identità e di sicuro fascino.

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