Sara Jane Ceccarelli e Veronica Parrilla: grande riscontro di pubblico per gli incontri curati da Gerlando Gatto alla Casa del Jazz:

Una giornata grigia ha fatto da cornice alla serata di martedì scorso, sia letteralmente, data la pioggia battente su Roma in quel momento, sia metaforicamente parlando, a causa della prematura scomparsa del giornalista musicale Ernesto Assante, che il direttore della Casa del Jazz Luciano Linzi ha ricordato con un breve discorso all’inizio della serata, dedicata al terzo incontro del ciclo “L’altra metà del Jazz“ ideato e curato da Gerlando Gatto.
La prima protagonista della serata è stata la vocalist Sara Jane Ceccarelli, accompagnata dall’eccellente pianista tedesco Christian Pabst e dal fratello Paolo Ceccarelli alla chitarra elettrica.

Gatto, come di prammatica, le ha  chiesto se e come l’essere donna avesse influito sulla sua carriera; Sara Jane ha risposto raccontando la sua storia familiare: figlia maggiore di 4 figli, di cui tre maschi, non ricorda di aver mai sofferto di privazioni o discriminazioni di alcun tipo, grazie all’educazione egualitaria ricevuta in famiglia e, a suo dire, ciò le ha anche fortificato il carattere. Passando invece alla questione femminile in generale, ammette di aver compreso solo di recente il disagio provato dalle sue colleghe con le quali si è confrontata, disagio di cui, a suo dire, è necessario rendere consapevoli soprattutto gli uomini. Tale stato di cose è accentuato dal fatto che molti gruppi attuali, nonostante abbiano come leader una donna, siano formati quasi esclusivamente da uomini. D’altro canto corre l’obbligo di constatare che i gruppi formati da sole donne hanno la tendenza a sciogliersi più facilmente dei gruppi maschili, anche a causa di piccole rivalità tra le componenti. Infine sulla questione delle quote rosa, la Ceccarelli non esita a dichiarare che possono essere considerate come una forzatura nei confronti sia di uomini sia di donne; di qui la  fiducia che arriverà un momento in cui la presenza delle donne nel panorama jazz verrà considerata normale, senza forzature di alcun tipo.
Tornando alla sua storia personale, parla di come si sia avvicinata alla musica: suo padre, pianista, l’ha indirizzata a quell’ambiente fin dalla tenera età di tre anni (ci tiene a specificare, tuttavia, che per quanto riguarda l’ingresso nel mondo della musica si è trattato di un processo naturale, senza obblighi di alcun tipo da parte della famiglia). All’inizio studia con una maestra di pianoforte giapponese, di cui ricorda con affetto il complesso rituale di attese e respiri che precedevano l’esercizio vero e proprio: in seguito ecco l’avvicinamento con il fratello Paolo, con il quale è cresciuta musicalmente: tra i tanti possibili esempi, ha citato il fatto che insieme hanno diretto il Correnti Jazz Festival, svoltosi l’estate scorsa a Sigillo, in provincia di Perugia.
Parlando della sua musica, Sara afferma di essere ancora una compositrice in erba, ha infatti iniziato a scrivere solo una volta trasferitasi a Roma dalla natia Gubbio; riguardo al metodo compositivo lo stesso varia da brano a brano, ovvero può partire sia da un testo che da un giro di accordi proposto da un altro musicista. Riferendosi in particolare ai testi, non si può non convenire sul fatto che gli stessi rappresentino un po’ l’anello debole del jazz; incalzata da una domanda del conduttore su quali siano i suoi autori di testi preferiti nel mondo del jazz, la Ceccarelli cita i fratelli Gershwin.
Ad una nuova domanda da parte di Gatto sulla scena contemporanea italiana, Sara risponde con una riflessione molto interessante riguardo alla diversa concezione degli spettacoli per i giovani: a suo avviso, ormai il concerto è diventato un’esperienza visiva tanto quanto auditiva, se non di più; tuttavia si possono notare alcuni eventi dove la dimensione dell’ascolto prende completamente il sopravvento su quella dello spettacolo visivo. É il caso, ad esempio, del tanto criticato listening party organizzato da Kanye West e Ty Dolla Sign al Forum di Assago per promuovere il loro nuovo album ‘Vultures’; evento dal prezzo simile a quello di un concerto (dai 115 ai 207 euro circa), ma in cui non c’è stata alcuna esibizione dal vivo: infatti West e Ty Dolla Sign si sono limitati a saltare sullo scarno e semplice palco e a riprodurre i loro brani preregistrati, lasciando spazio al puro ascolto delle tracce – e personalmente chi vi scrive spera che questi non siano i concerti del futuro. A questo proposito, Sara propone un programma di educazione musicale fin dai più piccoli (come già enunciato la volta scorsa da Chiara Viola) per insegnar loro a distinguere la musica di sostanza da quella meramente superficiale. A questo punto Gatto ha espresso una critica molto dura sia nei confronti della RAI – dove in passato c’erano numerosi programmi dedicati al jazz mentre oggi, viceversa, è del tutto scomparso dalle onde sonore – sia nei confronti della scena contemporanea pop italiana e sull’uso dell’autotune nelle canzoni; Sara risponde  facendo notare come i musicisti jazz portino meno ascolti alle radio rispetto ad altri generi musicali, e come l’autotune sia uno strumento di cui si può fare un buon uso o abusare, come dimostrato da artisti come Kanye West, i Bon Iver, i Daft Punk o T-Pain.
Sempre riguardo alla sua musica, la Ceccarelli afferma che cantare ciò che si scrive sia una sfida maggiore rispetto a quando si interpretano standard jazzistici, ma che al tempo stesso, se il brano è gradito dal pubblico vi è una soddisfazione ben maggiore del normale.  Inoltre, sempre parlando delle sue composizioni, afferma di essere affascinata dalle varie lingue del mondo e dai vari colori che esse possono dare alla voce (Sara canta infatti in ben 10 lingue diverse, nonostante non le capisca tutte), ma di non avere il talento necessario a sentire naturale invece lo scat mentre improvvisa. Infine, a proposito del suo rapporto con la musica a livello professionale, racconta come all’inizio questa non fosse la sua occupazione primaria, essendo laureata in comunicazione aziendale, e prima di diventare musicista a tempo pieno lavorava in un’azienda di cibi di lusso; a seguito di un incontro con il compositore Bruno de Franceschi nel 2009 e di una crisi personale decide di mollare tutto per trasferirsi a Roma e studiare al conservatorio di Santa Cecilia: qui gli studi con Maria Pia de Vito e Paolo Damiani, fondamentali per la sua crescita umana e professionale.
I brani eseguiti sono stati I Forgot Love della stessa Sara, contenuto nell’album “Milky Way” della Parco della Musica; A Fior di Labbra, traduzione in italiano del brano Du bout des lèvres della cantante francese Barbara a cura di Sara e David Riondino; una rielaborazione di Children’s Song no. 3 di Chick Corea; il testo è della stessa Ceccarelli la quale aveva scritto all’Universal proprio per proporre questa elaborazione; contrariamente a quanto accade di solito, Corea pochi giorni prima di morire rispose alla mail della Ceccarelli approvando i suoi testi; di qui la comprensibile gioia dell’artista e la decisione di inserire il brano nel già citato album  “Milky Way” con arrangiamento di Edoardo Petretti e la scelta di omettere il pianoforte dalla registrazione.  A chiudere la prima parte della serata Lush Life, uno degli standard più conosciuti ma più difficili del song-book statunitense, letteralmente amato da Tony Scott che si definiva il migliore interprete di questo brano.
La seconda parte della serata è dedicata alla cantante calabrese Veronica Parrilla, accompagnata da Carlo Manna, pianista cosentino che il pubblico della Casa del Jazz aveva già avuto modo di apprezzare come accompagnatore di Marilena Paradisi, ospite di Gatto nella prima sezione del ciclo.

Veronica esordisce parlando della sua vita musicale e descrivendo il canto come una modalità di espressione in lei insita, tanto che i genitori la iscrivono a concorsi di canto per gioco, le organizzano un concerto nel suo paese di Cirò Marina, in provincia di Crotone, a soli dieci anni (concerto che racconta di averla influenzata molto nel superamento della paura del pubblico e dell’ansia da palcoscenico); soddisfatti dei risultati, la incoraggiano ad iscriversi ad una scuola di canto gestita dalla maestra Erica Mistretta, che ricorda con molto affetto: infatti è stata quest’esperienza ad insegnarle ad apprezzare i suoi successi come i suoi fallimenti, a rilevare i suoi punti di forza come le sue lacune. Non solo: è stata la stessa maestra ad indirizzarla verso il canto jazz, dopo aver notato una sua tendenza a personalizzare le melodie cantate mentre eseguiva i brani del repertorio di Mina, e ad iscriversi al conservatorio jazz di Vibo Valentia, che inizia a frequentare a partire dall’ultimo anno del liceo scientifico e a cui decide di dedicarsi in toto a seguito della sua decisione di non iscriversi alla facoltà di Logopedia dopo aver superato il test. Si laureerà in canto jazz frequentando il triennio a Vibo, studiando con Daniela Spalletta, e il biennio a Messina con Rosalba Bentivoglio: due eccellenti vocalist e didatte siciliane. Riconosce a questo proposito che l’aver studiato sotto più insegnanti con scuole di pensiero così diverse l’ha arricchita molto.
Riguardo alla sua musica, illustra il suo intento stilistico, ovvero la ricerca di una commistione tra le tradizioni del jazz e le sonorità moderne. Questa concezione si vede anche nelle sue stesse composizioni: infatti racconta che ogni testo che scrive è autobiografico, che quando scrive assume anche una funzione da storyteller e che ogni brano musicale è una sorta di lezione da cui si può imparare qualcosa. Proprio parlando di messaggi Veronica illustra il suo progetto, il quartetto Above All nato circa un anno fa: il titolo non è un caso, infatti esso vuole comunicare un messaggio per cui nella società moderna dovrebbero sempre prevalere valori come lealtà, rispetto della diversità e amore. Infine cita come sue muse ispiratrici due cantanti: una del passato, Ella Fitzgerald, e una del presente, Samara Joy.
Ricollegandosi al discorso sulle tradizioni, esprime la sua opinione riguardo agli standard jazz, dichiarandosi contraria a quanti ritengono che gli stessi non andrebbero più suonati in quanto obsoleti.
Parlando del suo essere donna con specifico riferimento alla sua carriera, dice, un po’ in virtù della sua giovane età, e un po’ per il suo carattere che tende a non considerare il genere di una persona ma il suo carattere in sé, di non avere mai avuto problemi – inoltre considera che per quanto riguarda la scrittura sia le donne che gli uomini possono avere una stessa sensibilità, posizione condivisa anche da Susanna Stivali in uno degli scorsi appuntamenti.
Di fronte alla domanda di Gatto sul suo sentimento riguardo alla scena musicale italiana attuale, che il giornalista non manca mai di criticare, Veronica si mostra ottimista, illustrando come questo sia secondo lei solo un momento, ed esprime la speranza di tempi migliori. Infine, partendo dal brano Above All, omonimo del quartetto precedente menzionato, viene dedicato spazio alla relazione personale, oltre che professionale, tra Carlo e Veronica: entrambi esprimono fiducia nel loro rapporto e nella sua saldezza nonostante la separazione di coppie sia oggi all’ordine del giorno, e personalmente chi vi scrive non può che augurare loro il meglio per il futuro.
I brani scelti dai due artisti sono stati Infant Eyes di Wayne Shorter, I Can’t Give You Anything But Love, Above All, una loro composizione originale, e What Are You Doing With the Rest Of Your Life, una struggente melodia di Michel Legrand interpretata dalla Parrilla con sincera partecipazione tanto da non lasciare indifferente il numeroso pubblico che l’ha salutata con un intenso applauso.

Beniamino Gatto

Casa del Jazz: grande successo per l’eroina dell’improvvisazione: Marilena Paradisi / Convince l’eclettismo di Erika Petti

Il penultimo appuntamento della serie “L’altra metà del Jazz” si è tenuto lunedì 20 novembre in concomitanza con la partita di qualificazioni della Nazionale contro l’Ucraina, evento che però non ha impedito alla sala di gremirsi di interessati e attenti spettatori.
Calcisticamente parlando, il primo tempo della serata ha visto protagonista la cantante Marilena Paradisi, accompagnata dal pianista cosentino Carlo Manna, di cui non ha mancato più volte (a ragione! N.d.A) di tessere le lodi.
Analizzando le ospiti di questi incontri, Marilena può essere considerata una figura atipica sotto alcuni aspetti: innanzitutto la sua formazione di musicista jazz, avvenuta più tardi rispetto a molte altre artiste, dal momento che lei aveva intrapreso la carriera di ballerina di danza contemporanea; poi, a seguito di un viaggio a New York e all’ascolto di numerosi dischi di musica jazz, primo tra tutti Ballads di John Coltrane, arriva il colpo di fulmine e l’innamoramento verso questo genere. Una volta rientrata a Roma, prende per cinque anni lezioni di canto dalla cantante lirica Fausta Coppetti Corti: «l’unica capace di tirarmi fuori la voce!» – dichiara Marilena.
Altro aspetto di discontinuità rispetto alle ospiti precedenti è l’aver preferito iniziare la serata cantando e non già rispondendo alle domande di Gatto, perché cantare, dice, le dà energia, quell’energia creativa che in qualche modo temeva di disperdere se prima avesse dovuto parlare.
La serata, dopo i saluti del direttore della Casa del Jazz, Luciano Linzi e l’introduzione di Gerlando Gatto, inizia con la Paradisi, accompagnata al piano dall’ottimo Carlo Manna (una vera scoperta!), che intona la dolcissima ballad di McCoy Tyner You Taught My Heart to Sing declinata in riverberi di scat e vocalese.
C’è da dire che, al di là di questo inizio classico, la principale cifra stilistica della Paradisi è l’aver improntato gran parte della sua opera musicale sulla sperimentazione e sulla pura improvvisazione; in particolare Marilena ha raccontato della sua esperienza con la soprano nipponica (dalla timbrica eccezionale) Michiko Hirayama, icona del canto contemporaneo (nota anche per il suo stretto legame artistico con Giacinto Scelsi) e della registrazione congiunta del disco Prelude for Voice and Silence (2011): quasi un’ora di pura improvvisazione vocale e di geniali “silenzi sonori”,  in cui, dato curioso, la Hirayama, alora ottantottenne, avrebbe dovuto partecipare solo a due tracce delle 34 registrate e delle 22 selezionate mentre in realtà è presente in otto.
Alla domanda del critico su quali siano stati i suoi riferimenti jazzistici, Paradisi non ha esitazione alcuna ad indicare Chet Baker, nella sua veste di cantante e non solo come trombettista, che collega ad Hellen Merril, due voci bianche caratterizzate dallo stesso minimalismo vocale. Di Chet, Marilena dice: «suona la voce come la tromba…».
La cantante ha poi illustrato la registrazione del disco The Cave (2013), realizzato in collaborazione con il percussionista Ivan Macera. Registrato all’interno del Teatro Il Cantiere di Roma, il disco è ispirato ad un articolo del musicologo Iégor Reznikoff che disquisiva sulla correlazione tra le pitture rupestri presenti nelle caverne preistoriche e la risonanza sonora; l’intenzione dell’album è appunto quella di trasportare l’ascoltatore in un’immaginaria caverna paleolitica dove ogni suono viene microfonato e amplificato. Un accenno anche al suo disco di improvvisazione testuale inciso con la  pianista Stefania Tallini (peraltro ospite della prossima e ultima serata di mercoledì 29 novembre, N.d.A. – info qui). Paradisi spiega che improvvisare parole è un esercizio di “scavo” e definisce il suo metodo come piccoli momenti poetici, assimilabili a haiku giapponesi.
Infine, ricorda con particolare affetto la sua collaborazione con Eliot Zigmund, batterista di Bill Evans, nata da una mail mandata da Marilena al musicista americano, dalla quale la vocalist non si sarebbe mai aspettata una risposta, tantomeno positiva,  e da cui, dopo un lavoro di organizzazione da parte della cantante durato circa quattro mesi, ha avuto origine il disco I’ll Never Be The Same (2002): di Zigmund ricorda soprattutto la generosità e il rispetto per le tradizioni che il batterista le ha saputo tramandare.
Dopo la citata You Taught my Heart to Sing, Marilena Paradisi è passata a Passion Dance sempre di Tyner e ad una stupefacente versione di Lawns – un omaggio alla grande Carla Bley – venuta a mancare recentemente – in una versione con l’arrangiamento vocale composto dalla stessa Paradisi, per finire con Would You Believe di Cy Coleman, brano reso famoso da Carmen McRae.

Nel secondo tempo della bella serata, al contrario degli attaccanti azzurri, la cantante e chitarrista molisana Erika Petti non ha mancato l’occasione avuta per presentarsi! L’intervista inizia parlando della sua formazione musicale e del fatto di essere cresciuta in una famiglia di musicisti: il padre è un trombettista, il fratello un fisarmonicista e la sorella pianista. Erika studia chitarra classica al conservatorio ma in realtà,  per un periodo, la sua carriera musicale passa in secondo piano in favore dei suoi studi universitari e della sua laurea in lettere: la Petti ci confessa infatti che se non avesse scelto la musica probabilmente avrebbe studiato filologia medioevale. Così non è andata, per nostra fortuna, ed Erika intraprende un percorso di studi biennale con la cantante e didatta di grande valore Carla Marcotulli.

In merito alla sua musica, descrive il suo genere come un jazz contaminato da influenze derivanti da vari stilemi come il pop, la bossa nova, il samba e la canzone italiana, primo tra tutti Pino Daniele, del quale la musicista apprezza la vis compositiva in primis e le lunghe linee melodiche. A onor del vero, Erika cita tra i suoi riferimenti musicali, come esempi di contaminazione, anche gli Earth, Wind&Fire… e come darle torto?  Queste caratteristiche appaiono evidenti nel suo album Sophisticated uscito proprio in questi giorni, un omaggio a grandi compositori quali Duke Ellington, Michel Legrand e Burt Bacharach, scomparso a febbraio di quest’anno. Parlando di queste commistioni, Erika enuncia quello che inconsapevolmente è diventato il filo rosso che collega tutte le musiciste invitate a queste serate, ovvero un unico tipo di distinzione tra buona e scarsa musica, senza discriminazione tra generi.
Inoltre, parlando dell’annoso tema delle difficoltà incontrate da una jazzista donna in un ambiente prevalentemente maschile, Erika racconta di aver incontrato alcuni ostacoli: tra questi l’impossibilità di suonare nella banda del suo paese natale in quanto donna, la sorpresa, da parte di alcuni, nel notare che la persona dietro ad un’abile esecuzione sia una donna e il fatto che in certi ambienti si sia ritrovata a dover citare uomini per qualificare un determinato ambiente di provenienza. E su questo postulato, la vostra redattrice rabbrividisce sdegnata… perché anche basta!
Infine, alla domanda postale da Gatto sullo stato della musica pop attuale in Italia, lei risponde invitando il pubblico a riflettere su come l’industria discografica possa influire pesantemente, per mere esigenze del mercato musicale, a conformare l’opera dei musicisti, a volte stravolgendola per adeguarla senza remore ai trend del momento…
I brani eseguiti dalla Petti, sono stati: Close To You di Bacharach in versione chitarra e voce e, nel celeberrimo riff finale, cantata anche dal pubblico in sala, e due pezzi di sua composizione, suonati insieme al pianista Pietro Caroleo: Amar y Vivir, con testo del poeta e cantante venezuelano José Carlos Morgana (accompagnandosi anche alla chitarra) ed E Tornerai, stavolta solo piano e voce.

Marina Tuni

ℹ️ INFO UTILI:
Casa del Jazz – Viale di Porta Ardeatina 55 – Roma
tel. 0680241281 –
La biglietteria è aperta al pubblico nei giorni di spettacolo dalle ore 19:00 fino a 40 minuti dopo l’inizio degli eventi

Gatto&Friends: “L’altra metà del Jazz” – ritorna il ciclo di incontri alla Casa del Jazz

Dopo qualche anno il nostro direttore Gerlando Gatto ritorna alla Casa del Jazz di Roma, con “L’altra metà del Jazz”.

Prendendo spunto dalle pagine del libro, per l’appunto “L’altra metà del Jazz” (Kappa Vu/Euritmica Edizioni), Gatto, autore dell’interessante volume, condurrà sei serate dialogando con alcune delle migliori jazziste italiane (sia affermate sia in fase di lancio).

Così come obiettivo del libro era dimostrare, attraverso una trentina di interviste, come il jazz sia ormai patrimonio ampiamente condiviso anche dalle musiciste, che non si limitano più a cantare ma agiscono in tutti i settori musicali esattamente come gli uomini, così le serate alla Casa del Jazz evidenzieranno come le jazziste italiane, contrariamente a quanto forse alcuni ancora pensano, non sono solo delle vocalist ma anche strumentiste, arrangiatrici, compositrici, direttrici d’orchestra.

Gli incontri si terranno in linea di massima ogni martedì, con inizio alle 21; Gatto intervisterà le jazziste le quali offriranno al pubblico anche alcuni momenti live.

Si parte il prossimo 17 ottobre con la pianista Giuliana Soscia e la cantante Rossella Palagano (ingresso 5€ – clicca qui per acquistare il tuo biglietto ).

Il 24 toccherà alla pianista Cettina Donato, fresca dell’uscita del nuovo disco “Mito” (Alfa Music), che dividerà il palco con l’attore Ninni Bruschetta, ospite del disco e ancora la pianista Miriam Fornari. Il 31 ottobre alla Casa del Jazz arrivano Maria Pia De Vito e la cantante Sonia Spinello con Eugenia Canale al pianoforte. Il mese successivo, si riprenderà il 7 novembre con la pianista Stefania Tallini che dividerà il palco con la contrabbassista Federica Michisanti accompagnata dal pianista Simone Maggio. Il 15 novembre sarà di scena Rita Marcotulli che non ha certo bisogno di ulteriori presentazioni e la bassista e contrabbassista Elisabetta Pasquale; infine, il 20 novembre si chiude con la vocalist Marilena Paradisi accompagnata dal talentuoso, giovane pianista cosentino Carlo Manna e con la cantante Erika Petti.

Soffermiamoci adesso sulla prima serata di martedì 17 ottobre. Tra le big ecco una musicista davvero straordinaria, per la quale il termine “completo” non è sufficiente a delineare tutti gli aspetti di una personalità straordinaria. Giuliana Soscia è infatti allo stesso tempo pianista classica, fisarmonicista pop-jazz, pianista jazz, compositrice, arrangiatrice, direttrice d’orchestra, tutte doti evidenziate nel corso di una oramai lunga carriera costellata da numerose incisioni e altrettanto numerosi riconoscimenti. Quanto mai interessante, quindi, sentire dalla sua viva voce le forti motivazioni che l’hanno accompagnata in tutti questi anni.

Di converso Rossella Palagano è una giovane artista che si affaccia alle grandi ribalte venendo da una terra, la Basilicata, purtroppo non sempre considerata nella dovuta luce nemmeno sotto il profilo jazzistico. Crediamo, perciò, risulti particolarmente stimolante ascoltare dalla viva voce di una protagonista come si vive l’essere jazzista in provincia.

Dopo questo primo articolo, presenteremo di volta in volta tutti gli appuntamenti di questo ciclo, lo ripetiamo, condotto dal nostro direttore Gerlando Gatto. 

Marina Tuni

ℹ️ INFO UTILI:
Casa del Jazz – Viale di Porta Ardeatina 55 – Roma
tel. 0680241281 –
La biglietteria è aperta al pubblico nei giorni di spettacolo dalle ore 19:00 fino a 40 minuti dopo l’inizio degli eventi

L’altra metà del Jazz, il secondo libro di interviste di Gerlando Gatto, continua a far parlare di sé…

Il secondo libro di interviste di Gerlando Gatto, “L’Altra Metà del Jazz – Voci di donne nella musica Jazz” (2018, KappaVu – Euritmica edizioni) continua a far parlare di sé, anzi a far parlare il suo autore e, soprattutto, le trenta musiciste intervistate! (Redazione)

Cliccando qui potrete accedere all’articolo completo di Guido Michelone pubblicato su Doppio Jazz, con l’intervista in esclusiva a Gerlando Gatto 

Riportiamo il testo dell’intervista:

quote
«Gerlando Gatto, giornalista professionista, decano della critica jazz italiana di alto livello, negli ultimi anni ha composto una sorta di trittico librario (destinato forse a diventare un polittico) con tre volumi dedicati alla realtà locale, sia pur con apertura internazionali: il primo testo è Gente di Jazz. Interviste e personaggi dentro un festival jazz e l’ultimo, al momento, è Il Jazz Italiano in Epoca Covid. Parlano i jazzisti. Nel mezzo c’è questo originalissimo L’Altra Metà del Jazz. Voci di donne nella musica jazz, di cui l’autore stesso ci parla approfonditamente in quest’intervista esclusiva.

-Gerlando, come ti è venuta in mente l’idea di un libro di interviste a sole donne jazziste?
La genesi di questo libro è piuttosto particolare. Nel maggio del 2017, quando si trattava di dare l’ok alla stampa, in fase di impaginazione del mio primo libro Gente di Jazz, per ragioni di spazio saltarono due interviste a Tiziana Ghiglioni e Rita Marcotulli. Così il libro uscì con interviste solo a “maschietti”. La prima ad accorgersi di questa anomalia fu mia moglie di solito molto attenta al mio lavoro; lei mi rimproverò aspramente anche perché poteva venir fuori l’immagine di un giornalista (il sottoscritto) che non considerava le musiciste di jazz mentre nella vita privata aveva molte amicizie reali con jazziste quali la stessa Marcotulli, Maria Pia De Vito, Marilena Paradisi, Antonella Vitale… e l’elenco potrebbe allungarsi di molto.

-Anche per esperienza personale, i rimproveri delle mogli hanno spesso risvolti positivi…
Infatti, questa ramanzina mi fece riflettere molto e mi rafforzò in un’idea che già da tempo mi frullava in testa: dedicare un libro di interviste solo alle jazziste e non già per ghettizzarle ancora una volta ma per dimostrare con i fatti quale importanza abbiano oggi le musiciste jazz, concetto che stenta a passare nella mentalità comune. Parlai, quindi, di questo progetto con Giancarlo Velliscig presidente di Euritmica che insieme a KappaVu avevano curato l’edizione di Gente di Jazz e con Marina Tuni che mi è stata accanto nella stesura di tutti e tre i libri che ho pubblicato. Ambedue trovarono l’idea giusta e così il libro è uscito ottenendo un grande successo. Una precisazione: grande successo non di vendite ma di attestati di stima.

-In che modo le hai prevalentemente intervistate? Telefono, e-mail, prima o dopo i concerti? In hotel? O altro ancora?
Ovviamente un po’ di tutto. Tengo a precisare che il libro contiene alcune interviste storiche, tra cui una a Dora Musumeci mai pubblicate in precedenza e interviste – la maggior parte – realizzate proprio per questa pubblicazione. Ovviamente se dovessi raccontare la storia di ogni singola intervista forse potrei scrivere un altro libro, ma colgo l’occasione per segnalartene qualcuna. Innanzitutto, in questa sede vorrei ancora una volta ricordare la figura di Dora Musumeci la prima vera jazzista italiana, pianista e vocalist, di grandissimo spessore del tutto ignorata dai critici vecchi e nuovi, così come evidenziato anche nelle più recenti Storie del jazz. Ebbene la intervistai nel 1998 come primo atto di un libro a lei dedicato. Purtroppo, un pirata della strada la falciò nel pieno centro di Catania e ovviamente non fu possibile proseguire. Nel 2017 era a Roma Sarah Jane Morris un’artista che in famiglia amiamo tutti e tre: io, mia moglie e mio figlio.

-Un’occasione da cogliere al volo, come si suol dire

Così quando l’artista ci concesse un appuntamento per intervistarla ci recammo tutti e tre e lei [Sarah Jane Morris] fu di una straordinaria dolcezza. Un altro episodio: ho sempre ammirato la pianista e compositrice Myra Melford ma non avevo avuto l’occasione di incontrarla; quasi per caso, decisi di contattarla su Facebook ed ebbi così modo di conoscere non solo un’artista formidabile ma una persona di squisita gentilezza. Non altrettanto potrei dire di una celebre vocalist statunitense di cui non farò il nome che aveva delegato tutto a un portavoce, il quale voleva indicarmi lui quali domanda fare e quali no, al che si beccò un bel… infine vorrei ricordare l’intervista a Radka Toneff, una straordinaria cantante norvegese che ebbi modo di intervistare durante il mio soggiorno in quel Paese e che purtroppo se ne andò suicida nel 1983 a soli 30 anni. Ma, come accennavo, ogni intervista contiene in sé un’altra storia per cui mi fermo qui.

-Pensi che in questa fase storica (il XXI secolo grosso modo) ci sia stata davvero un’emancipazione per la donna che vuole occuparsi di jazz?
In una certa misura sì… ma solo in una certa misura.

-Come spieghi la cronica scarsa presenza nella storia del jazz dell’universo femminile (a parte quello canoro)?
Questa domanda si riallaccia alla precedente. Il jazz è nato in un ambiente prevalentemente maschilista e anche quando negli anni Venti si affermò il blues classico portato in auge da vocalist donne, queste donne faticarono non poco per far assurgere in primo piano tematiche femministe. Al riguardo consiglierei di leggere il bel libro di Angela Davis Blues e femminismo nero. In buona sostanza i maschi l’hanno sempre fatta da padroni nel micro-universo jazzistico anche quando si sapeva benissimo che c’erano moltissime musiciste al di fuori dell’ambito vocale che potevano suonare in qualsivoglia contesto.

-Nel tuo libro su 31 intervistate ben 11 sono straniere da tutto il mondo. Riveli diversità d’approccio, nel parlare e nel dialogo, tra italiane e straniere?
Sostanzialmente no. Ho notato invece diversità di approccio a seconda del rapporto con le intervistate. Ad esempio, Marilena Paradisi si è aperta in modo davvero straordinario, così come Enrica Bacchia si è rivelata nella sua complessa umanità al limite del commovente. Con le straniere questo non è stato possibile in quanto con nessuna c’era un vero e proprio legame di amicizia.

-E fra le straniere noti particolari differenze fra le jazziste?
C’è poco da fare: tranne qualche eccezione le star mai dimenticano di essere tali e non vorrei aggiungere altro.

-A differenza delle straniere (dove per circa metà incontriamo strumentiste o bandleader) le jazz woman tricolori sono tutte cantanti: perché questa penuria in Italia di donne che non suonano uno strumento (salvo qualche eccezione che tu hai ovviamente evidenziato)?
Hai ragione… ma solo in parte. Tornando al mio libro ci sono, infatti, ben sei musiciste che non sono solo vocalist: Giulia Barba si sta sempre più confermando eccellente sassofonista, Marcella Carboni è arpista di assoluto livello, Rita Marcotulli è pianista che tutto il mondo ci invidia, Silvia Bolognesi è considerata una delle migliori contrabbassiste a livello europeo, Donatella Luttazzi oltre a cantare suona bene la chitarra mentre di Dora Musumeci ho già parlato. Questo per dire che anche in Italia la situazione sta cambiando anche se attraversiamo un momento particolarmente difficile e delicato le cui responsabilità, a mio avviso, ricadono anche sugli stessi musicisti alcuni troppo ideologizzati, altri troppo poco.

-Vero o no che sembra essere tornato (magari con ironia) lo stereotipo della cantante jazz un po’ vamp o sexy o dark lady rispetto alle femministe alla Jeanne Lee o Nina Simone degli anni ’60-’70?
Francamente non mi sembra. Ma la mia opinione vale per quel che vale dal momento che negli ultimi anni ho di molto diradato la mia presenza ai concerti e quindi non ho avuto modo di percepire ciò che tu affermi.

-Da quanto ti hanno raccontato, rispetto alle narrazioni del passato, il jazz è ancora un ambiente maschilista?
A questa domanda ho già risposto seppur tra le righe in precedenza. Comunque lo ribadisco in modo chiaro e netto: il jazz rimane un ambiente maschilista e ci vorrà ancora qualche tempo perché le cose cambino realmente e non solo di facciata”.

-Come mai nel giornalismo, nella critica, nell’insegnamento, nella fotografia, nell’organizzazione del jazz la donna è largamente e tristemente assente (o minoritaria)?
Innanzitutto vorrei sottolineare come in tutti gli ambiti che hai citato si prosegue lungo la vecchia strada per cui il merito, le capacità sono all’ultimo posto. Vedi ciò che accade nell’editoria, nei Conservatori per cui gli studenti pagano cifre rilevanti per avere un’educazione al massimo livello e i direttori viceversa pensano a risparmiare a scapito della qualità dell’insegnamento. Purtroppo, valgono altri elementi. Ciò detto la risposta alla tua domanda va ricercata nel fatto che gli spazi sono veramente pochi e dato il maschilismo imperante per le donne non è facile trovare un terreno su cui avventurarsi».
unquote

Nicola Mingo e Marilena Paradisi all’Alexanderplatz di Roma

Nonostante il Covid continui a condizionare le nostre vite, le attività jazzistiche non si fermano seppure fortemente rallentate. In questo senso esemplare il comportamento dell’Alexanderplatz Jazz Club di Roma che continua a programmare concerti di eccellente livello. In quest’ambito vi segnaliamo due eventi degni della massima attenzione.
Giovedì prossimo, 8 ottobre, di scena il quartetto del chitarrista Nicola Mingo coadiuvato da Giorgio Rosciglione al contrabbasso, Gegè Munari alla batteria e Leonardo Borghi al pianoforte.
In programma brani tratti dall’ultimo CD del chitarrista napoletano “Blues Travel”. Come ho già avuto modo di scrivere in altre occasioni, Mingo rappresenta una solida realtà del panorama jazzistico non solo italiano: a testimoniarlo i suoi 8 album, gli indiscussi apprezzamenti di critica e pubblico… e forse ancor di più la stima da parte dei suoi colleghi musicisti. In quest’ultimo lavoro discografico, Mingo si è presentato
in quartetto con Giorgio Rosciglione al contrabbasso, Gegè Munari alla batteria e Andrea Rea al pianoforte, quindi due fidi compagni di viaggio cui si è aggiunto il bravo Rea, già vincitore, nel 2007, del Prestigioso premio internazionale “Massimo Urbani”, E la formazione con cui suonerà nel locale romano è praticamente la stessa eccezion fatta per Leonardo Borghi che sostituisce Andrea Rea. Ma non è arduo supporre che l’intesa all’interno del gruppo non ne soffrirà più di tanto data la profonda empatia che lega gli altri tre musicisti i quali suonano assieme già da molto tempo. Comunque sarà ancora una volta un vero piacere ascoltare questo quartetto impegnato in un repertorio assai variegato che va da pezzi scritti dallo stesso Mingo, che conferma così le sue doti compositive, ad altri brani dovuti alla penna di grandi della musica quali Harold Mabern, Kurt Weill, George Benson, Isham Jones, Wes Montgomery, Kenny Dorham.

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Mercoledì 21 ottobre sarà la volta della vocalist Marilena Paradisi in trio con Riccardo Biseo al pianoforte e Steve Cantarano al contrabbasso.  “Estemporanea-Mente” è il titolo che Marilena ha voluto dare al suo spettacolo per esprimere tutto il senso della sua ricerca musicale. In buona sostanza un viaggio nella musica come ricerca sulla improvvisazione e sull’estemporaneità, essenze del linguaggio jazzistico. In programma musiche di W. Shorter; P. Markowitz; J. Henderson; H. Mancini; B. Hutcherson; Cy Coleman; A. Butler; M. Tyner; T. Harrell; M. Davis, Mal Waldrom; J. Mercer; Edu Lobo; Eumir Deodato; Wilson-Asher, ecc.

Marilena Paradisi – ph Paolo Soriani

Vocalist, compositrice, improvvisatrice, l’espressività della Paradisi spazia dal jazz alla musica contemporanea, con un’attenzione particolare all’uso e alla sperimentazione della voce. Proprio grazie a queste peculiarità, ha ottenuto riconoscimenti internazionali, con recensioni sui principali magazine internazionali di settore. Dal 2002 al 2018, Marilena ha pubblicato ben 8 album come leader, in collaborazione con importanti musicisti italiani e internazionali. I primi tre di jazz: “I’ll Never Be The Same” (Philology 2002), col trio di Eliot Zigmund; “Intimate Conversation” (Abeat Records 2004) in duo col contrabbassista Pietro Leveratto, il Cd Live “Pensiero Omaggio a Gino Paoli”, in trio con Renato Sellani e Dino Piana (Philology 2007). Gli ultimi tre di contemporanea e improvvisazione totale, con cui esplora nuove possibilità della voce, e sperimenta l’improvvisazione sulle opere d’arte: “Rainbow Inside” (Silta Records 2010), con il chitarrista Arturo Tallini, “Prelude For Voice and Silence” (Silta Classics, 2011) voce sola e in duo con la cantante giapponese Michiko Hirayama. “Come Dirti”, special guest Stefania Tallini e, settimo progetto a suo nome, “The Cave” (Silta Records 2013), in duo col percussionista Ivan Macera, una ricerca sui suoni nelle grotte del Paleolitico, presentato a gennaio 2014 all’Auditorium Parco della Musica di Roma.
Nel 2017 pubblica, con la prestigiosa etichetta norvegese Losen Records, il cd “Some Place Called Where”, in duo con il leggendario 82enne pianista americano Kirk Lightsey, pianista di Dexter Gordon, Chet Baker, Bobby Hutcherson e tanti altri. Il duo ottiene recensioni stellari in tutti i più importanti magazine del mondo confermando l’assoluto livello della vocalist romana.

Gerlando Gatto

Il Jazz ai tempi del Coronavirus le nostre interviste: Marilena Paradisi, vocalist

Marilena Paradisi, vocalist, intervista raccolta da Gerlando Gatto

Marilena Paradisi

-Come sta vivendo queste giornate
“Sto cercando di vivere in modo positivo questo periodo di quarantena, a casa, ovviamente, come tutti.  Confesso all’inizio è stata molto dura un senso di smarrimento, di oppressione, la conta delle vittime giornaliera che ancora non finisce, il sentirsi confusi su informazioni non sempre chiare dei media. Umore alterno. Ma dobbiamo andarci fino in fondo. Difficile pronunciarsi adesso. Dobbiamo solo resistere”.

-Tutto ciò come ha influito sul suo lavoro?
“Penso come a tutti quanti, una vera tragedia, i pochi concerti faticosamente racimolati annullati, o raramente riprogrammati. Progetti parcheggiati. Scuole di musica chiuse, qualche allievo affezionato in lezioni online, ma insomma direi ci avviciniamo allo zero totale”.

-Pensa che nel prossimo futuro sarà lo stesso?
“Che dire?  Adesso la priorità è uscire da questo tunnel, dopo? Si prevede una tale crisi economica, che non oso pensare.  E l’effetto di questo allontanamento sociale? Quanto ci vorrà per poter andare a un concerto rilassati? Con la mascherina? O la musica si farà solo con appuntamenti online? Non esisterà più un’audience? Si spenderanno soldi per la musica?  Era già difficile prima, ora sono molto preoccupata, aspettiamo e vedremo”.

-Come riesce a sbarcare il lunario?
“Come dicevo, lo zero è molto vicino, i soldi finiscono se non si lavora! Ma mi reputo fortunata, rispetto a chi sta soffrendo, o combattendo in prima linea, o chi ha figli da sfamare, io per me, sopravvivo con poco”.

-Vive da sola o con qualcuno? E quanto ciò risulta importante?
“Vivo da sola per scelta.  Diciamo che non amo le convivenze. Non mi pesa la solitudine. Certamente mi manca, come a tutti, quello stare insieme agli altri, rilassato, giocoso, senza remore, la socialità quella bella che ti riempie il cuore, quel movimento sociale, quel fermento di idee, lo scambio, ma ho ricevuto anche tante prove di amicizia vera in questo momento, tanta solidarietà’, da amici da tutto il mondo, che poi ho restituito, rafforzamento di amicizie vere.  Per questo penso a questo momento, dopo lo shock iniziale, dal punto di vista umano, a qualcosa di interessante”.

– Pensa che questo momento di forzato isolamento ci indurrà a considerare i rapporti umani e   professionali sotto una luce diversa?
“Indubbiamente si, cambierà tutto.  Sembra che tutti bene o male, tranne qualche eccezione, cerchino di fare il meglio, almeno adesso, e questo sarà una ricchezza umana, che ci ritroveremo dopo, spero”.

-Crede che la musica possa dare la forza per superare questo terribile momento?

“Personalmente sì, io non potrei vivere senza, ma in generale, ora ci sono delle priorità talmente gravi, che, ho paura, la musica, già in grande crisi, sarà messa ancora più da parte. Oppure no, gli italiani liberati affolleranno i jazz club, saranno affamati di musica, arte e bellezza, e sarà un boom e la musica rinascerà!!   ( sogno….)

-Se non la musica a cosa ci si può affidare?
“Musica, arte, poesia, letture, belle telefonate, finirà! Non è per sempre, me lo ripeto tutti i risvegli, dobbiamo resistere ancora un po’, ma finirà. Il dopo non riesco ad immaginarlo, lo confesso, posso solo sperare. Non abbiamo mai vissuto niente del genere prima”.

-Quanto c’è di inutile retorica in questi continui richiami all’unità?
“Sì sono d’accordo, forse un po’, ma ce la racconteremo quando sarà finita l’emergenza. Ora sembra servire a superare questo momento”.

-E’ soddisfatta di come si stanno muovendo i vari organismi di rappresentanza?
“Se intende il governo, non mi pronuncio, il momento è difficile e prematuro fare una qualsiasi analisi o fare qualsiasi polemica.  Cerchiamo di resistere in questo lock down, rispettiamo le regole, e ne usciremo prima”.

-Se avesse la possibilità di essere ricevuta dal Governo, cosa chiederebbe?
“Questo sì, ricordarsi che siamo uno stato laico, di restituire tutto il denaro che hanno rubato e non investito nella sanità pubblica, far pagare l’ICI alla chiesa, i problemi si risolverebbero”.

-Ha qualche particolare suggerimento di ascolto per chi ci legge in questo momento?
“Non saprei, non mi sento molto creativa, ma un suggerimento ce l’ho, riascoltatevi ‘Kind of Blue’ di Miles Davis, pura bellezza! E se posso, vorrei  segnalare questa importante raccolta firme, #velesuoniamo, petizione a sostegno dei lavoratori dello spettacolo, indetta dal MIDJ. Ecco il link:  https://lnkd.in/eam8bDQ