Esce l’album dedicato a Frida Kahlo dell’Euro Latin Winner Israel Varela

Il 10° disco di un artista incredibile che dal cuore del Messico mette in musica le lettere di Frida Kahlo al marito Diego Rivera, insieme ad un cast stellare di caratura mondiale tra cui Shai Maestro, Rita Marcotulli, Ben Wendel, Nguyen Le, Michel Benita, Julian Heredia, Humberto Flores, Luis Villalobos, Rudyck Vidal, Serena Brancale.
Musica ai massimi livelli tecnici, espressivi ed emozionali.
Una vera esperienza per l’ascoltatore.

Esce mercoledì 14 luglio il nuovo album del grande compositore, batterista, vocalist e producer messicano Israel Varela, vincitore dell’Euro Latin Award. Artista incredibile che unisce più anime musicali, è tra i più importanti esponenti internazionali di flamenco jazz. Grazie alla sua originalità e al suo stile ha stretto collaborazioni e suonato con grandi della musica mondiale come Pat Metheny, Charlie Haden, Mike Stern, Pino Daniele, Joaquin Cortez, Andrea Bocelli, Diego Amador.

“Frida en Silencio”, pubblicato dall’etichetta Forward Music Italy, è il suo 10° lavoro discografico, che Varela ha dedicato alla rivoluzionaria pittrice messicana Frida Kahlo: la sua Arte, attraverso le sue parole nelle lettere scritte all’amato marito Diego Rivera, rivive nel disco attraverso 12 brani e un cast davvero stellare con 20 musicisti di caratura mondiale.

Batteria, percussioni, pianoforte, sax, contrabbasso, archi ed oggetti simbolici usati percussivamente – come la macchina da scrivere – uniti al suono della danza “percussiva” della eccezionale Karen Rubio Lugo innovatrice e sperimentatrice del flamenco moderno – e una all-star band per un album che spinge la Musica ai suoi massimi livelli in termini tecnici, espressivi, emozionali.

Recitate da Karen Rubio Lugo e intonate dalla splendida voce di Israel Varela, le parole di Frida sono il leit motiv del disco, che è stato concepito proprio in Messico, durante la visita alla celebre Casa Azul della pittrice. La vita della grande artista è dunque raccontata dalla musicalità e dalla personalità fuori dal comune del virtuoso batterista.

Le comuni radici messicane (Varela è originario di Tijuana, Lugo di Guadalajara), espresse anche nel loro esplosivo progetto in duo “Made In Mexico”, danno a questo disco una profondità in piú: amore, passione, nostalgia e presagi fanno parte dell’arte di Frida Kahlo come di quella di Israel Varela, che per questo disco ha voluto con sé grandi artisti internazionali, insieme a meravigliosi talenti del panorama jazz italiano. Due stelle del pianismo mondiale, Shai Maestro e Rita Marcotulli, legati a Varela da tante collaborazioni live e discografiche (Marcotulli con Varela ha stretto un sodalizio in duo con il disco “Yin and Yang” realizzato con la Cam Jazz), l’incredibile sassofonista statunitense Ben Wendel, il celebre chitarrista francese/vienamita Nguyên Lê, al grande contrabbassista francese Michel Benita, il bassista spagnolo Julian Heredia, i tre artisti messicani Humberto Flores, Luis Villalobos, Rudyck Vidal, la cantante Serena Brancale che per questo disco firma il brano “Silencio”, il pianista Claudio Filippini, i contrabbassisti Jacopo Ferrazza e Giuseppe Romagnoli, la vocalist Paola Repele e il giovanissimo Josei Varela.

Un ensemble di immenso livello artistico che sarà protagonista di un lungo tour, a partire da luglio – con le prime date italiane – fino al 2022 con la tournée internazionale tra Stati Uniti, Asia e Europa.

La vita di Frida Kahlo, nata nel 1907 a Coyoacán in Messico è stata caratterizzata da passioni, sventura. Ribelle, insofferente delle costrizioni e nemica del nazismo, fu obbligata dalla sua colonna vertebrale bifida e da un incidente d’autobus, a subire innumerevoli operazioni chirurgiche. Ogni volta costretta per mesi a letto, dipingeva semiseduta, concentrandosi sul tema dell’autoritratto, sempre più crudele e primitivo, nonostante la bellezza del suo viso e delle trecce, costantemente attorniate da fiori. Oltre al grande amore Diego Rivera, Frida ebbe relazioni con l’artista André Beton e con Lev Trotsky. Morì a causa delle sue condizioni fisiche nel 1954, a soli 47 anni, mentre preparava una mostra a Città del Messico.

Registrato nei bellissimi Forward Studio di Grottaferrata con ulteriori incisioni realizzate a New York, Los Angeles, Parigi, Granada, Monterrey, Minnesota, Mexico D.F., il disco “Frida en silencio” si distingue per il suo lirismo e sonorità ariose quanto passionali, per lo stile personale che rispecchia il pensiero artistico di Israel Varela, per le tematiche profonde e universali. Una esperienza per chi lo ascolta, a partire dalle radici della cultura messicana, passando per il jazz contemporaneo e il flamenco.

Il 25 giugno è uscito il primo singolo “Espejo de la Noche”, con un videoclip realizzato dal vivo con la danza di Karen Lugo e un quartetto d’archi, mentre il brano “Colores de Tayen” è protagonista del  video musicale girato dal regista Alberto Nacci, con Israel Varela e Karen Lugo, che ha vinto in molti Festival internazionali (New York, California, India, Osaka) il Primo Premio come miglior video musicale.

Israel Varela, che ha visto le sue musiche arrangiate ed eseguite dalla OSEM-Orchestra Sinfonica dello Stato del Messico, traccia con questo decimo album una summa delle grandi esperienze di tutta la sua carriera, e apre le porte ad ulteriore nuova sperimentazione. Da decenni impegnato in tour mondiali che hanno toccato oltre 30 Paesi, sui palchi dei più grandi teatri e festival jazz, Israel Varela ha creato un suo stile strumentale e compositivo che coniuga in maniera assolutamente perfetta jazz, latin e flamenco. La sua voce, ha il potere di incantare e rendere ancora più mistico e profondo il senso della sua musica, arricchisce la sua ricerca di poesia, suono, ritmo ed emozione. La sua unicità si è unita sul palco, durante i tour mondiali che hanno toccato i più grandi teatri e Festival del mondo, con quella di tanti grandi artisti come Pat Metheny, Charlie Haden, Mike Stern, YO-YO-MA, George Benson, Joaquin Cortes, Andrea Bocelli, Alex Acuna, Victor Bailey, Abe Laboriel, Pino Daniele, Diego Amador, Rita Marcotulli, Karen Lugo, Jorge Pardo, Markus Stockhausen, Kamal Musallam, Richard Bona, Chano Dominguez, Michel Benita, Andy Sheppard, Maria Pia de Vito, Javier Colina.

La tracklist: 1.Veo Horizontes  2. Espejo de la noche  3.Autorretrato  4.Flores  5.Ausecia de ti  6.Colores de Tayen  7.Huye  8.Silencio  9.Lo que el agua  10.Elvenadito  11.Azul  12.Las dos Fridas

CONTATTI
www.israelvarela.com
Management: www.newageproductions.it
Ufficio Stampa: Fiorenza Gherardi De Candei – tel. 328.1743236  info@fiorenzagherardi.com

Forlì Open Music – F.O.M. IV edizione

Forlì Open Music – F.O.M. – IV edizione

L’esclusiva rassegna dedicata a diversi linguaggi musicali dalla tradizione al presente, quest’anno allarga i suoi confini accogliendo il Festival di Musica Contemporanea Italiana: 12 appuntamenti tra cui Joe Morris in esclusiva e la data unica della Paal Nilssen-Love Large Unit – 11, 12, 13 ottobre 2019 ex Chiesa San Giacomo – Piazza Guido da Montefeltro – Forlì

Ingresso libero fino ad esaurimento posti

Dopo l’entusiasmante edizione del 2018, torna Forlì Open Music la rassegna internazionale dedicata ai diversi linguaggi musicali dalla tradizione al presente, che per il 2019 allarga i suoi confini accogliendo il Festival di Musica Contemporanea Italiana e ampliando il cartellone e la durata del festival.

Tre giorni, dall’11 al 13 ottobre, ospitati tra le millenarie mura della Chiesa di San Giacomo a Forlì, e 12 appuntamenti di assoluta qualità con artisti considerati internazionalmente le punte di diamante dei rispettivi ambiti musicali, come Joe Morris (in esclusiva), la Paal Nilssen-Love Large Unit (data unica), il Quartetto Maurice, gli Zaum Percussion, Fabrizio Ottaviucci, il duo Monica Benvenuti e Francesco Giomi e tanti altri. Performer diversi tra loro ma allo stesso tempo molto vicini, quasi compenetranti, nonostante le etichette affibbiate.

Non solo musica: il programma di quest’anno abbraccerà anche altre forme d’arte, come la fotografia con la mostra di Žiga Koritnik e la presentazione del suo monumentale Cloud Arrangers che apriranno il Festival, e la letteratura, con la presentazione del libro postumo Non abbastanza per me di Stefano Scodanibbio, contrabbassista virtuoso e compositore che ha illuminato il panorama musicale degli ultimi trent’anni.

Da sempre caratterizzata dentro e fuori i confini nazionali per la sua trasversalità rispetto a vari mondi musicali, Forlì Open Music, quest’anno insieme al Festival di Musica Contemporanea Italiana, porrà attenzione e sensibilizzerà gli ascoltatori su musiche diverse nate nello stesso contesto storico, mostrando non solo il prodotto finale ma anche i luoghi e le espressioni sonore del pensiero. Una musica che può essere scrittura ma anche realizzazione estemporanea, improvvisazione, sperimentazione, evocazione.

La direzione artistica di FOM è sempre a cura dell’associazione culturale Area Sismica che da nove anni organizza anche il Festival di Musica Contemporanea Italiana, con lo scopo di divulgare le opere e l’arte di compositori e interpreti nati e formati nel nostro paese. La quarta edizione di Forlì Open Music è organizzata da Area Sismica con la consulenza di Fabrizio Ottaviucci, e in collaborazione con il Comune di Forlì e i Musei di San Domenico, e il sostegno della Regione Emilia Romagna, del MiBACT e della Fondazione Cassa di Risparmio di Forlì.

IL PROGRAMMA

Entrando nel dettaglio del calendario, l’apertura – venerdì 11 ottobre, ore 19 – è affidata alla mostra fotografica di Žiga Koritnik, fotografo sloveno di fama internazionale specializzato nella fotografia di spettacolo, in particolare nell’ambito del jazz. Ha ritratto i più grandi musicisti del mondo ed è per questo ospite fisso di moltissimi festival in Europa e Stati Uniti: il Vienna jazz festival e il Saalfelden in Austria, Musique Metisses di Angouleme in France, il Vision Festival di New York, i festival di Skopjie in Macedonia e di Sant’Anna Arresi in Sardegna. Le sue immagini sono pubblicate da prestigiose riviste internazionali come l’italiana Zoom, che gli ha dedicato un intero articolo nel 2005, la giapponese Jazznin, e altre come Time Out, Jazz Times, Jazziz, Signal to Noise, Neue Zeitschrift fur Musik, Village Voice. Ha realizzato numerose mostre e pubblicazioni, e le sue foto sono utilizzate in diverse opere discografiche e letterarie: è di Ziga Koritnik la foto di copertina dell’edizione slovena dell’autobiografia di Miles Davis.  Durante la serata sarà presentato il suo nuovo libro fotografico, Cloud Arrangers, nel quale ha raccolto la sua intera e prestigiosa carriera. Un volume di 376 pagine, con 278 foto quasi tutte in bianco e nero, in cui Ziga Koritnik fa il punto di oltre trent’anni di lavoro sulla musica, anzi nella musica.

Protagonista del primo concerto – sabato 12 ottobre, ore 20.30 – sarà un enfant prodige, il talentuosissimo Jacopo Fulimeni, a sottolineare come una delle vocazioni del Festival sia anche quella di portare alla luce i migliori rappresentanti delle nuove generazioni, che siano interpreti o compositori.  Diciotto anni appena compiuti, ha iniziato lo studio del pianoforte all’età di 8 anni, mentre a 9 anni ha sostenuto l’esame di ammissione per la classe di pianoforte al Conservatorio “G.B.Pergolesi” di Fermo, risultando 1° su 54 candidati. Tra i più interessanti giovani talenti a livello nazionale, già vincitore di numerosissime competizioni pianistiche nazionali e internazionali, Fulimeni è stato insignito del premio Arca d’Oro di Torino, prestigioso riconoscimento nel cui albo figurano nomi come Riccardo Muti e Riccardo Chailly. Nonostante la giovane età ha già un’agenda fittissima di impegni, tra i prossimi è stato  invitato dal governo ungherese a tenere un concerto per la stagione 2019/2020 presso il Liszt Ferenc Memorial Museum di Budapest. A Forlì presenterà un repertorio di notevole difficoltà con musiche di Liszt, Alkan e Rameau.

A seguire, un concerto più vicino alle epoche contemporanee con il Quartetto Maurice, che interpreterà composizioni immaginifiche di Giacinto Scelsi e Francesco Lanza. Insignito di numerosi premi e riconoscimenti, fra i più recenti dei quali spiccano quello ricevuto ai Ferienkurse fur Neue Musik 2016 di Darmstadt come migliori interpreti e il XXXV Premio della Critica Musicale “Franco Abbiati” 2015 dedicato a Piero Farulli, il Quartetto Maurice  di Torino è una formazione ben nota a livello internazionale che vanta ad oggi ben 17 anni di attività oltre a una lunghissima serie di collaborazioni con alcuni dei più importanti compositori viventi. Fondato nel 2002, dopo aver approfondito l’ambito classico, il Quartetto si è dedicato alla musica dei secoli XX e XXI, esplorando ogni tipo di linguaggio contemporaneo. Tra i vari progetti, 4+1 inteso come quartetto d’archi + elettronica, con cui si delinea la volontà del Quartetto Maurice di considerare l’elemento elettronico come un quinto membro del gruppo e di lavorare quindi in senso cameristico con l’elettronica, cogliendo le suggestioni sonore che essa offre per poi rilanciarle in ambito acustico, in un fluire di novità acustiche che si alimentano vicendevolmente. Si è esibito nei maggiori festival in Italia ed in tutto il mondo, oltre ad annoverare nel proprio curriculum anche la direzione e codirezione artistica di festival ed eventi culturali.

Subito dopo è il turno dei Zaum Percussion, un trio che riunisce al suo interno 3 dei più grandi percussionisti della scena internazionale per un omaggio al genio di Mario Bertoncini e a quello di Lorenzo Pagliei. Fondato nel 2018, Zaum Percussion è un ensemble formato da Simone Beneventi, Carlota Cáceres e Lorenzo Colombo, provenienti da percorsi di studio e di attività artistica internazionali. Accomunati dall’interesse per la ricerca, la creazione di nuove forme di produzione e fruizione musicale, lo studio e la ripresa delle opere più significative del repertorio per percussioni del XX e XXI secolo, i tre hanno fatto convergere in questo ensemble le loro esperienze, i loro ambiti di azione e i loro interessi artistici affini. Simone Beneventi nato a Reggio Emilia (1982), è stato premiato con il Leone D’Argento alla  Biennale  di  Musica  a  Venezia (Repertorio  Zero).  La sua ricerca nella costruzione di nuovi strumenti e  di  nuove  soluzioni  compositive per le percussioni hanno definito il suo campo d’azione come “Solismo Creativo”. Carlota Cáceres originaria di Badajoz, Spagna (1988), è una percussionista poliedrica che combina le sue passioni per la musica contemporanea, il teatro musicale e l’orchestra. Vincitrice del primo e secondo premio alla Kiefer Hablitzel  Stiftung  competion,  Carlota  vive  a  Palma  di  Maiorca  dove  insegna  al Conservatorio Superiore delle Isole Baleari. Lorenzo Colombo, nato a Milano (1990), ha vinto come solista il Premio Nazionale delle Arti, il Yamaha Foundation Price e l’International Percussion Competition. Nel 2016 è stato identificato come promettente giovane performer dall’ULYSSES NETWORK e da Steven Schick per Manifeste/IRCAM a Parigi. Al momento Zaum percussion è artist in residence al Festival Milano Musica per il triennio 2018/2020.

Anche in questa edizione del FOM ci saranno eventi organizzati in esclusiva mondiale, come il solo abbagliante dell’incredibile chitarrista compositore improvvisatore statunitense Joe Morris, che chiuderà la prima serata di concerti. Definito da Downbeat Magazine “il principale chitarrista di musica libera della sua generazione” e dalla rivista WIRE come “uno dei più grandi improvvisatori viventi”, Joe Morris è uno dei più grandi chitarristi del free jazz e della free music. Ha composto oltre 150 brani musicali originali e ha al suo attivo più di 140 registrazioni incise da etichette quali Leo, Aum Fidelity, ECM, Rare Noise e dalle sue etichette Riti e Glacial Erratic. Dotato di uno stile molto personale che unisce varie ispirazioni – tradizionali, classiche, d’avanguardia – Morris vanta collaborazioni prestigiose tra cui quelle con Matthew Shipp, William Parker, Ken Vandermark, Joe e Mat Maneri, Butch Morris e molti altri. Ha tenuto conferenze e seminari sulla propria musica e sull’improvvisazione negli Stati Uniti, in Canada e in Europa, attualmente insegna presso il Tufts University Extension College e il New England Conservatory nei dipartimenti di jazz e improvvisazione. Nel 1998 e nel 2002 è stato nominato Miglior Chitarrista ai New York Jazz Awards.

La terza e ultima giornata di Forlì Open Music 2019 si apre – domenica 13 ottobre, ore 11 – con l’Open Day delle scuole musicali di Forlì, un progetto che coinvolge e fonde in formazioni diverse gli studenti dell’Istituto Masini e del Liceo Musicale Statale.

Segue L’evoluzione del linguaggio musicale” una conversazione/concerto a cura del maestro Fabrizio Ottaviucci che accompagnerà il pubblico attraverso le epoche musicali, fino a decifrare gli stilemi contemporanei. Le strade principali percorse da alcuni tra i più importanti compositori dei primi decenni del XX secolo, momento cardine per lo sviluppo successivo della musica, saranno oggetto di riflessioni e di ascolto.  Fabrizio Ottaviucci, è conosciuto soprattutto per la sua attività di interprete nella musica contemporanea, per le sue prestigiose e durature collaborazioni con maestri del calibro di Markus Stockhausen e Stefano Scodanibbio, per le sue interpretazioni di Stockhausen, Cage, Riley e Scelsi con cui collaborò direttamente. Pianista eclettico, Ottaviucci unisce alla prassi interpretativa quella compositiva, spostandosi dalla musica minimalista a quella seriale, dodecafonica e aleatoria. Diplomatosi brillantemente in pianoforte presso il Conservatorio di Pesaro, ha inoltre studiato composizione e musica elettronica. Ha tenuto centinaia di concerti nelle maggiori città italiane e tedesche, con tournée in Spagna, Austria, Inghilterra, Polonia, Messico, Stati Uniti, Canada e India; ed è stato più volte invitato a prestigiosi festival come il Festival Pontino, Milano Musica, Rassegna Nuova Musica Macerata, Ravenna Festival, Festival Cervantino Messico, Angelica Bologna, Biennale Venezia, Musica d’hoy Madrid e tanti altri. Quest’anno Ottaviucci ha collaborato con Area Sismica per la realizzazione della quarta edizione di FOM.

Si proseguirà poi con un altro appuntamento organizzato dall’Istituto Musicale Angelo Masini di Forlì, che vede protagonista la formazione Piano & Wind Quintet. In programma il quintetto K 452 di Mozart (1784), che innovativo per scrittura e organico, sembra superare i confini cameristici per incontrare quelli orchestrali e viaggiare tra le epoche divenendo riferimento per Rimsky-Korsakov che col suo quintetto in Si bemolle maggiore (1876), a chiusura del concerto, attua un felice sodalizio tra la tradizione russa e la cultura occidentale. Questo filo che lega le anime di due compositori solo apparentemente lontane si trasforma in una rete fittissima di intese, condivisioni e interazioni che legano le vite dei cinque componenti del Piano & Wind, stabilendo un incontro dei musicisti appartenenti alla storia dell’Istituto Musicale Masini – Roberto Fantini all’oboe, Yuri Ciccarese al flauto, Stefano Bertozzi al clarinetto, Pierluigi Di Tella al piano – con gli esponenti più acclamati del panorama musicale internazionale: Paolo Carlini, primo Fagotto dell’orchestra della Toscana nonché interprete solista di molte opere del repertorio contemporaneo a lui dedicate e Guido Corti considerato tra i migliori cornisti d’ Europa. Il concerto è dedicato al Dott. Giulio Vanitelli e offerto dalla moglie l’artista pittrice Anny Wernert.

Lo sguardo tornerà a posarsi sui mondi contemporanei con un omaggio a uno dei suoi più illuminati rappresentanti, Marco Stroppa, compositore fra i primi in Italia ad aver approfondito lo studio della musica elettronica con una lunga collaborazione all’Ircam di Parigi, attento studioso di informatica, scienze cognitive e intelligenza artificiale. Ad eseguire la sua musica, sarà il giovane e talentuoso Erik Bertsch. Pianista italiano di origini olandesi, Bertsch si dedica con uguale curiosità e spirito di ricerca al repertorio classico, romantico, novecentesco e contemporaneo. Diplomatosi a pieni voti al Conservatorio “Cherubini” di Firenze sotto la guida del maestro Maria Teresa Carunchio, ha seguito corsi di perfezionamento tenuti da Alexander Lonquich, Bruno Canino, Enrico Pace e altri. Ha approfondito la sua conoscenza del repertorio antico attraverso lo studio del clavicembalo e dell’organo; allo stesso tempo si è dedicato con passione alla musica contemporanea, perfezionandosi con pianisti come Pierre-Laurent Aimard e Tamara Stefanovich (Piano Academy, Monaco di Baviera) e Maria Grazia Bellocchio (Divertimento Ensemble, Milano). Svolge un’intensa attiva concertistica, sia in veste di solista che in formazioni da camera, collaborando inoltre con importanti compositori come Ivan Fedele, Alessandro Solbiati, Marco Stroppa, ma anche con giovani compositori che a lui hanno dedicato nuovi lavori. Fra i suoi ultimi progetti di particolare rilevanza è stata l’esecuzione integrale del Primo Libro delle Miniature Estrose di Marco Stroppa, un ciclo di lavori di grande virtuosismo eseguito da Erik per la prima volta in Italia nella sua interezza e di cui ci farà ascoltare un estratto a Forlì.

A seguire il F.O.M. pone sotto i riflettori un altro gigante dei nostri tempi, Sylvano Bussotti, che sarà interpretato dal duo Benvenuti & Giomi, per un evento nato in collaborazione con Tempo Reale di Firenze, centro di ricerca musicale fondato da Luciano Berio. Già da alcuni anni Tempo Reale ha voluto rendere omaggio a uno dei massimi compositori italiani quale è Bussotti, con un ciclo di progetti che reinterpretano in un luce nuova e attualissima una serie di opere della sua produzione musicale meno conosciuta. I programmi – costruiti insieme allo stesso Bussotti e a Rocco Quaglia – ruotano intorno alla voce di Monica Benvenuti, cantante iconica del maestro fiorentino, così come ad un utilizzo inedito per lui degli strumenti elettronici. Il concerto si pone quindi come un unicum originalissimo e sorprendente nel panorama interpretativo della sua musica, ed è affidato alla bravura e alla maestria di due affermati solisti. Monica Benvenuti, cantante soprano nota nel panorama nazionale ed internazionale per le sue interpretazioni di musica contemporanea, ha sviluppato un interesse specifico per la musica del Novecento che l’ha portata a esplorare le potenzialità della voce umana in rapporto ai diversi linguaggi, dalla recitazione al canto lirico, attraverso molteplici livelli espressivi. Ha tenuto concerti in tutto il mondo, spesso interpretando musiche a lei dedicate. Francesco Giomi, compositore e regista del suono, ha maturato una lunga esperienza nel campo della musica di ricerca e dei suoi rapporti con le altre arti. Da molti anni collabora con Tempo Reale, del quale è attualmente direttore; in questo ambito ha diretto l’equipe di produzione del centro nei principali teatri di tutto il mondo per le opere di  Luciano Berio, e collaborando anche con musicisti e artisti come Virgilio Sieni, Henri Pousseur, Micha Van Hoecke, David Moss, Uri Caine, Sonia Bergamasco, Jim Black, Simona Bertozzi, Elio Martusciello.

Da Sylvano Bussotti a Stefano Scodanibbio con la presentazione, curata da una delle penne più illuminate del panorama dei critici musicali, Mario Gamba, del suo libro Non abbastanza per me. Scritti e taccuini, edizioni Quodlibet. Si tratta di un libro che Giorgio Agamben e Maresa Scodanibbio hanno costruito raccogliendo articoli, annotazioni dai taccuini privati e note ai pezzi musicali che il grande contrabbassista maceratese (Macerata 1956 – Cuernavaca 2012) aveva scritto nel corso della sua vita: gli appunti di viaggio (l’India, l’amatissimo Messico, la Svezia, la Spagna, la California), gli incontri decisivi (Scelsi, Berio, Xenakis, Nono, ma anche poeti e scrittori, come Sanguinetti e Agamben), le annotazioni illuminanti sulla musica si compongono in una sequenza vertiginosa, che ricorda la velocità e l’esattezza con cui egli riusciva a trarre dal contrabbasso sonorità prima di lui insospettate. Durante la presentazione saranno proiettate riprese dell’indimenticabile genio maceratese e il M.to Fabrizio Ottaviucci interpreterà “Terre Lontane” per pianoforte, video e musiche preregistrate da Scodanibbio stesso. Nella composizione “Terre Lontane” un nastro magnetico realizzato con i suoni di contrabbasso manipolati elettronicamente avvolge il pianoforte in un viaggio timbrico dal colore scuro e profondo, dove gli scintillanti gesti sonori dello strumento a tastiera si adagiano quasi senza interferire con l’inesorabilità del paesaggio. L’opera si può considerare un lavoro di musica elettronica centrato sulla elaborazione del suono del contrabbasso in cui il pianoforte fa da testimone, assiste, accompagna.

E poi il finale, di quelli col botto, con la data unica italiana della monumentale ed esplosiva orchestra Large Unit del batterista norvegese Paal Nilssen-Love. Assieme alla Fire!Orchestra, ospitata in un’edizione memorabile del F.O.M. del 2016, la Large Unit è la formazione più grande del mondo dedita alla musica libera e all’incrocio e fusione di stilemi diversi. Paal Nilssen-Love è uno dei musicisti più operosi e prolifici che ci siano. Messosi fin da subito in luce con band come The Thing, Ballister, Hairy Bones, Chicago Tentet e Original Silence, nonché con collaborazioni con musicisti come Arto Lindsay, Otomo Yoshihide, Akira Sakata, Ken Vandermark, Jim O’Rourke, Peter Brötzmann, Thurston Moore e molti altri, e con un’impressionante attività dal vivo nei 5 continenti, nel 2013 Nilssen-Love ha deciso che era il momento di creare una sua big band e così i Large Unit hanno preso vita. Composta principalmente da musicisti norvegesi, la Large Unit si manifesta come un’intensa forza motrice sul palco, ma si trasforma anche in passaggi più sottili e materici. Il gruppo si è quasi subito allargato acquisendo membri dalla Finlandia, Svezia e Danimarca. Nel 2015 l’orchestra si è estesa fino a raggiungere i 14 elementi, con l’inserimento di due percussionisti brasiliani e ha registrato dal vivo e in studio il cd “ANA” che precede l’EP del 2013 “First Blow” e l’imponente album di debutto “Erta Ale”. Nilssen-Love ha successivamente scritto nuovi brani per il tour mondiale del 2015 che sono stati registrati e pubblicati in “Fluku”. Nel 2018 la band si è connessa al festival di musica contemporanea nyMusikk Only Connect di Oslo, incidendo “More Fun, Please!”. La musica dei Large Unit parte dalle composizioni scritte da Nilssen-Love, ma i musicisti hanno sempre la massima libertà di dare il proprio apporto anche in maniera importante. La potenza dell’orchestra non è in discussione, basta notare la sezione ritmica, ma sorprende come riesca a disegnare paesaggi sonori di meravigliosa rarefazione. La quiete prima e dopo la tempesta…

Ufficio Stampa

Michela Giorgini –  giorginimichela@gmail.com

Il Festival di Berchidda festeggia il trentennale

 

“Di musica e di terra: il racconto del festival di Berchidda a 30 anni dalla sua nascita” Così si chiamano le quattro presentazioni-recital che Paolo Fresu ha tenuto in giro per l’Italia (una doppia a Bologna, poi Roma e Milano) dal 22 al 28 marzo per lanciare la XXX edizione del “suo” festival internazionale “Timeinjazz”. Si terrà per nove giorni (8-16 agosto) tra Berchidda ed una galassia di luoghi urbani ed extraurbani del nord Sardegna (chiese campestri, boschi, siti archeologici…) secondo un rapporto tra ambiente-suoni-natura che la rassegna ha da molto tempo sviluppato.

Nella Sala Ospiti del romano Parco della Musica il 24 marzo il festival è stato presentato dal trombettista (che ne è inventore e direttore artistico) in compagnia di Gianfranco Cabiddu, regista responsabile della sezione cinema di “Time in Jazz”, manifestazione che ha sempre curato e coltivato il rapporto tra le diverse arti.

Il tema del 2017, declinato in senso non autocelebrativo, è proprio il trentennale. Sono attesi moltissimi artisti tra cui Andy Sheppard, Tomasz Stanko, Enrico Rava, Gianluca Petrella, Uri Caine, Art Ensemble of Chicago, Markus Stockhausen, Eivind Aarset, Eric Truffaz, Ada Montellanico, Giovanni Guidi, Dino Rubino, Zoe Pia e gli Huntertones. Tra gli innumerevoli recital il ritorno al Demanio Forestale Monte Limbara Sud (con Enrico Zanisi in solo ed il duo Sheppard/Aarset, 9/8), una performance “ferroviaria” (Raffaele Casarano e Marco Bardoscia, 10/8), il concerto pomeridiano (ore 18) a l’Agnata, tenuta vicino Tempio Pausania in cui ha vissuto Fabrizio De Andre’. A lui e a Lucio Dalla sarà dedicato il recital “Le Rondini e la Nina” al quale parteciperanno Gaetano Curreri, Fabrizio Foschini, Paolo Fresu e Casarano.

Nel corso della conferenza stampa si è parlato, oltreché dell’attualità, dei temi della rassegna, della sua capacità di creare valori materiali (un’economia da indotto di tutto rispetto) e immateriali, della peculiarità del rapporto tra artisti e pubblico che si determina nei giorni del festival. Dopo la conferenza stampa, in una Sala Sinopoli quasi piena, si è esibito il Devil Quartet che vede Fresu (tromba, flicorno ed elettronica) insieme a Bebo Ferra (chitarra elettrica ed acustica), Paolino Dalla Porta (contrabbasso) e Stefano Bagnoli (batteria). Il gruppo si è prodotto in un set ora adrenalico ora più meditativo, pescando nel repertorio dell’ultimo album (“Desertico”) e nelle nuove composizioni/registrazioni che vedranno la luce nel febbraio 2018. Tra le pagine più felici “Moto perpetuo” (tema della colonna sonora scritta dal trombettista per “Percorsi di pace”, documentario di Ferdinando Vicentini Orgnani), “Game/Eleven” (cinetica medley di Della Porta), “Elogio del discount” (un pezzo di Fresu, dal repertorio dell’Angel Quartet), un delicato brano composto da Bagnoli in memoria del trombettista ed arrangiatore Giulio Libano, l’aggressiva e accelerata versione di “Satisfaction” dei Rolling Stones. Doppio bis con la fresiana ninna-nanna “Inno alla vita” (dedicata, nella serata all’auditorium, ai bambini siriani profughi) ed una versione del tema della fiction “Un posto al sole”.

I nostri CD. Dal minimalismo di Bärtsch alla fusion degli Yellow Jackets

a proposito di jazz - i nostri cd

Nik Bärtsch’s Mobile – “Continuum” – ECM 2464
ContinuumProva impegnativa questa del pianista svizzero Nik Bärtsch alla testa del suo gruppo “Mobile” con Sha clarinetto basso e clarinetto contrabbasso, Kaspar Rast e Nicolas Stocker batteria e percussioni, e il quintetto d’archi Extended costituito da Etienne Abelin e Ola Sendecki violini, David Schnee viola, Solme Hong e Ambrosius Huber cello. E già dall’organico si capisce abbastanza bene in quale orbita si muova il gruppo: una ricerca che cerca di coniugare il jazz da un lato con la musica colta contemporanea europea, dall’altro con il minimalismo di marca statunitense. In effetti Nik Bärtsch può vantare approfonditi studi di Conservatorio, anche se, ad onor del vero, in questo “Continuum” l’influenza predominante sembra essere quella del minimalismo americano. Di qui una musica incentrata sovente sulla reiterazione di minuscole celle melodiche che mutano pelle in modo quasi impercettibile. Il tutto sorretto da un robusto impianto ritmico che dimostra come Nik conosca assai bene anche il linguaggio jazzistico. Elemento, questo, che si riscontra anche nel brano conclusivo, “Modul 8_11”, che a tratti – ma solo a tratti – sembra quasi virare verso un andamento ritmico funky, Di impronta più nettamente cameristica sono, invece, “Modul 12”, “Modul 18” e “Modul 60” ; “Modul 44” – il brano più lungo dell’ album – è introdotto da un bel gioco di spazzole per poi svilupparsi su un ostinato eseguito dal pianoforte mentre in “Modul4” il gruppo insiste troppo sulla riproposizione del medesimo gruppo di note. Tra gli esecutori, oltre il leader, una nota particolare la merita Sha, compositore, sassofonista e clarinettista ; classe 1983, Sha ha studiato presso la Jazz School di Lucerna avendo come insegnanti Don Li, Sujay Bobade , Bänz Oester e lo stesso Nik Bärtsch; in questo album suonando con perizia il clarinetto basso, non ha minimamente fatto rimpiangere l’assenza del contrabbasso. Insomma un album ben costruito, ben studiato e altrettanto ben suonato… anche se alle volte il gioco della reiterazione può indurre nell’ascoltatore una certa stanchezza, cosa che andrebbe assolutamente evitata.

Carla Bley – “Andando el Tiempo” – ECM 2487
Andando El TiempoDi recente ci siamo occupati degli ottanta anni di questa straordinaria e geniale artista che torna a stupire il mondo del jazz con questa sua ultima produzione. Coadiuvata da
Andy Sheppard al sax tenore e soprano e dal compagno di vita e di musica Steve Swallow al basso, Carla evidenzia ancora una volta quanto sia ampia la sua capacità compositiva e come sia ancora fresco ed entusiasmante il suo pianismo. E la cosa , ad onor del vero, non stupisce più di tanto ove si tenga presente che i tre collaborano oramai da tanti anni nulla perdendo dell’originario entusiasmo, anzi aggiungendo sempre qualcosa in termini di empatia. Per averne conferma basta riascoltare “Trios” inciso qualche anno dalla stessa formazione e confrontarlo con questo “Andando el Tiempo”: i tre, se possibile, dimostrano di conoscersi ancora meglio e di saper dialogare su livelli di quasi perfezione, anche perché questa volta le composizioni sono tutte nuove. In effetti l’album ha una genesi particolare dal momento che la Bley ha scritto la musica rispondendo al preciso invito di Manfred Eicher , patron della ECM, di realizzare un disco che raccontasse una storia. Ecco quindi ‘Sin Fin’, ‘Potacion de Guaya’ e ‘Camino al Volver’ (i tre brani attraverso cui si articola la suite che da il titolo all’album) a fotografare il recupero dalla dipendenza dalle droghe di un amico della Bley. Di qui l’uso del ritmo di tango, come espressione di pathos, per evidenziare la caduta e la lotta. ‘Naked Bridges/Diving Brides’ è il regalo di nozze per il matrimonio di Andy Sheppard, influenzato – ammette la stessa Bley – dalla poesia di Paul Haines, librettista di Carla per opere precedenti tra cui ‘Escalator Over The Hill’, e dalla musica di Mendelssohn la cui marcia nuziale viene esplicitamente richiamata . Infine ‘Saints Alive!’ racconta la Bley – è ‘un’espressione usata da vecchie signore sedute sotto il portico nel fresco della sera, mentre si scambiano pettegolezzi particolarmente succosi’, clima reso perfettamente dal dialogo raffinato ed elegante tra Steve Swallow e dapprima il piano della Bley e successivamente il sax di Andy Sheppard. Ma, come si accennava in precedenza, è tutto l’album ad essere caratterizzato da questo dialogo fra i tre che producono un jazz da camera in cui il pianismo così misurato, quasi minimale si coniuga alla perfezione con il lirismo dei sassofoni di Sheppard mentre Swallow si incarica di cucire il tutto con l’enorme carica di swing, alle volte sotterranea ma sempre ben presente che scaturisce dal suo basso elettrico. Il tutto senza che minimamente si avverta la mancanza della batteria.

Wolfert Brederode Trio- “Black Ice” – ECM 2476
Black IceWolfert Brederode al piano, Gulli Gudmundsson al contrabbasso e Jasper van Hulten alla batteria sono i protagonisti di questo interessante album registrato nel luglio del 2015 all’Auditorium dello Studio RSI di Lugano. In effetti si tratta di un trio abbastanza atipico in quanto è costituito da due olandesi (il pianista-leader e il batterista) e un islandese (il contrabbassista); la collaborazione tra Brederode e Gudmundsson data oramai da molti anni passando dal free alla musica per teatro mentre l’innesto del batterista è piuttosto recente, non a caso “Black Ice” è il primo album inciso da questa formazione dopo i due precedenti CD in casa ECM registrati da un quartetto sempre guidato dal pianista ma comprendente Claudio Puntin (clarinetti), Mats Eilertsen (contrabbasso) e Samuel Rohrer (batteria). Quali le differenze tra i due contesti? A nostro avviso la formula del trio valorizza meglio le raffinatezze del pianismo di Wolfert, la sua capacità di delineare un’atmosfera facendo ricorso solo a poche note, il suo controllo della dinamica, il suo senso melodico ben supportato da una capacità di armonizzazione non comune, il suo tocco così delicato e deciso allo stesso tempo: non a caso ha conseguito i masters degree sia in piano classico sia in piano jazz al Royal Conservatory dell’Aia. Prima avevamo accennato alla lunga collaborazione tra Brederode e Gudmundsson e se ne ha l’ennesima dimostrazione già a partire dal brano d’apertura, “Elegia”, in cui il contrabbasso sottolinea al meglio le invenzioni melodiche di Wolfert mentre Jasper van Hult si dimostra innesto quanto mai felice riuscendo a trovare immediatamente una felice intesa con i compagni di viaggio. In repertorio 13 brani scritti da Brederode eccezion fatta per “Conclusion” di Gudmundsson, tutti intrisi di un profondo lirismo; difficile citarne qualcuno in particolare anche se particolarmente ci ha colpiti “Cocoon”, impreziosito da uno splendido assolo di Gulli Gudmundsson.

Greg Burk – Clean Spring” – SteepleChase 33124
clean-springStatunitense di nascita ma italiano (romano) d’adozione, Greg Burk è artista le cui doti, a nostro avviso, non sono state ancora valorizzate come meriterebbero. E che si tratti di un fior di musicista lo evidenzia a tutto tondo quest’album registrato dal vivo al Teatro Marchetti di Camerino per la prestigiosa SteepleChase nel marzo del 2015. Greg affronta la prova del piano-solo declinandola attraverso quattordici tracce tutte di sua composizione ad evidenziare anche una felice vena compositiva. Greg conosce a fondo lo strumento e lo utilizza in tutta la sua ampiezza con una perfetta indipendenza tra le due mani e un fraseggio fluido, scattante sorretto sempre da pertinenti armonizzazioni. Il tutto guidato da una forte idea di base: ricercare la modernità attraverso l’improvvisazione e la sperimentazione restando, però, in qualche modo ancorato alla tradizione. Di qui una ricerca affatto personale che lo ha portato ad ottenere quei brillanti risultati che si possono apprezzare in quest’ album. Ecco quindi l’omaggio contemporaneamente ad uno dei suoi grandi maestri e alla forma blues in “Blues For Yusef Lateef” mentre in altre tracce come, ad esempio, “A Simple Question” , “Four Reasons”, “Ionosphere” appare evidente la prevalenza dell’improvvisazione. La vena melodica emerge forte in brani quali “Solo una camminata”, “Serena”, “Amore trovato”, lo splendido “Tonos” mentre la title tracke è un delizioso bozzetto caratterizzato da una forte carica ritmica. “Escher Dance” è una sorta di enciclopedia di tecnica pianistica con una continua serie di variazioni tonali e con la mano destra di Burk che vola velocissima sulla tastiera. Il disco si chiude con “Not Forever” un brano di largo respiro in cui si ascolta, tra l’altro, una citazione di “NatureBoy”.

Danielsson, Neset, Lund – “Sun Blowing” – ACT 9821-2
sunblowingIl trio composto da sax tenore, basso e batteria non è certo una novità nel mondo del jazz ma è una formula sempre vincente soprattutto se ad interpretarla sono musicisti quali Marius Neset al sax tenore, Lars Danielsson al basso e Morten Lund alla batteria a costituire una sorta di internazionale scandinava essendo rispettivamente norvegese, svedese e danese. L’idea della registrazione è stata di Morten Lund che ben conosceva gli altri due anche se in realtà il trio si è trovato a registrare in studio senza mai aver suonato assieme. Insomma una scommessa vera e propria che è stata vinta grazie alla brillantezza strumentale di tutti e tre i musicisti e di quell’alchimia che alle volte si crea senza una specifica ragione se non la gioia di suonare assieme. In effetti alle prese con un repertorio di otto brani scritti dai tre con l’aggiunta di “The Cost Of Living” di Don Grolnick, i tre dimostrano di trovarsi a meraviglia: il disegno degli spazi è ottimale così come le improvvisazioni dei singoli che ben si inseriscono nel tessuto complessivo disegnato da batteria e contrabbasso. Comunque, a nostro avviso, una menzione particolare la merita il sassofonista Marius Neset, a suo agio in tutti i brani, e in grado di elaborare un linguaggio, un fraseggio che pur prendendo le mosse dal connazionale Jan Garbarek riesce poi a risultare personale e caratterizzato da un sound ricco, pieno, a tratti potente a tratti dolcemente espressivo: lo si ascolti particolarmente in “Salme” una sua composizione e a nostro avviso uno dei brani meglio riusciti dell’intero album.

Jack DeJohnette/Ravi Coltrane/Matthew Garrison (NO) – “In Movement” – ECM 2488
inmovementQuesto album, almeno per il celebrato batterista, ha una valenza che va ben al di là del fatto squisitamente musicale e che viene esplicitata dallo stesso DeJohnette in una breve nota di copertina: “Matthew – spiega Jack – è il mio figlioccio e ha trascorso molti anni con la mia famiglia durante la sua fanciullezza e Ravi l’ho conosciuto sin da quando era un bambino così lo considero come se fosse un mio figlio”. Senza contare che Jack , nel passato, ha avuto modo di suonare con i padri di ambedue questi giovani musicisti. Non è quindi un caso che l’album si apra con “Alabama” un celebre brano di John Coltrane. Ma non è questa la sola dedica dell’album: ecco quindi “Blue In Green” di Miles Davis e Bill Evans, “Serpentine Fire”, in onore di Maurice White, fondatore degli Earth, Wind and Fire (e ancora una volta Jack ha suonato con tutti e tre questi artisti), “Two Jimmys” in onore di Jimi Hendrix e Jimmy Garrison, mentre “Rashied” è dedicato al batterista Rashied Ali. Insomma un repertorio ricco di riferimenti storici che non possono passare inosservati. Occorre sottolineare come questo trio sia enormemente migliorato nel corso degli anni: lo avevamo ascoltato in concerto nel 2014 e fu una serata insoddisfacente, tanto per usare un eufemismo. I tre apparivano completamente sconnessi, come se mai avessero provato prima di quella serata. E’ stato, quindi, un vero piacere sentire questo album in cui, viceversa, i tre evidenziano un’empatia straordinaria. Il leader, impegnato sia dietro i tamburi e percussioni elettroniche sia al pianoforte, detta i tempi delle esecuzioni e Matthew Garrison al basso elettrico è in grado di seguire gli input del laeder a disegnare un tappeto armonico-ritmico in cui si inserisce perfettamente Ravi Coltrane, positivo con tutti e tre i sassofoni utilizzati: tenore, soprano e sopranino. Il risultato è notevole: DeJohnette è quel grandioso musicista che non ha certo bisogno di ulteriori presentazioni; qualche parola in più è necessaria per i suoi partners: Garrison dimostra di avere un senso compiuto dello spazio entro cui muoversi mentre Ravi ha elaborato un sound molto personale anche al sopranino. I brani sono tutti notevoli con una menzione particolare per le due ballad composte da DeJohnette, “Lydia” dedicata alla moglie e “Soulful Ballad” in cui DeJohnette suona il suo primo strumento, vale a dire il pianoforte. Per chi, viceversa, predilige i climi infuocati, il pezzo forte è costituito da “Rashied” un duetto al fulmicotone tra batteria e sopranino.

Duke Ellington – The Complete Newport 1956 Concert – Essential Jazz Classics 55687 – 2 CD
Thew complete newportRecensire questo doppio CD è impresa quanto mai facile: sarebbe sufficiente dire che si tratta di uno dei migliori jazz festival mai organizzati (basti confrontarne i programmi con quelli odierni; oltre Ellington c’erano Louis Armstrong e Buck Clayton) e che l’orchestra registrata il 7 luglio del 1956 è una delle migliori in assoluto che mai abbia calcato i palcoscenici del jazz. In effetti in quegli anni la big band del Duca era in forma smagliante, impreziosita da solisti che davvero hanno fatto la storia del jazz quali, tanto per fare qualche nome, Clark Terry, Quentin Jackson, Jimmy Hamilton, Johnny Hodges, Paul Gonsalves, Harry Carney, per non parlare della straordinaria sezione ritmica costituita dallo stesso Ellington al piano, Jimmy Wood o Al Lucas al contrabbasso e Sam Woodyard alla batteria. Così abbiamo l’opportunità di riascoltare alcune interpretazioni che sono rimaste memorabili come ad esempio l’assolo con 27 chorus di Paul Gonsalves al sax tenore in “Diminuendo and Crescendo in Blue”. Ma il pregio di questa nuova edizione non consiste solo nel riproporre la versione integrale dello storico concerto del ’56. Sono aggiunte le tracce registrate in studio due giorni dopo lo show e l’intera session realizzata in studio nel marzo dello stesso 1956 nonché alcune tracks molto rare tratte da una trasmissione radiofonica a New York tre mesi prima del concerto a Newport.

Fats O – “On Tape” – jazzhaus 123
OnTapeDisco divertente e curioso questo “On Tape” che vede protagonista ‘fatsO’, un ensemble colombiano la cui musica trae evidente ispirazione dal blues così come dal jazz e dall’hard rock: Disco curioso, dicevamo, ed in effetti da musicisti provenienti dalla Colombia, e in modo specifico dalla sua capitale Bogotà, ci si aspetterebbe musica latina nell’accezione più completa del termine. Ed invece ecco questo settetto capitanato da Daniel Restrepo bassista dalla buona tecnica ma soprattutto vocalist dotato di una voce roca e suadente al tempo stesso; accanto a lui una ricca front line con i clarinettisti e sassofonisti Daniel Linero, e Elkin Hernandez, Cesar Daniel Caicedo al sax alto , Pablo Beltran al sax tenore, mentre la sezione ritmica è completata da Santiago Jiménez, chitarrista di formazione classica e Cesar Morales alla batteria con l’aggiunta, quale special guest, dell’alto-sassofonista Daniel Bahamon in “Crying Out”. In repertorio dieci tracce tutte firmate, parole e musica, da Daniel Restrepo che, alla già citata sapienza interpretativa, accoppia una felice vena compositiva. In effetti le sue creazioni disegnano atmosfere molto variegate: così, ad esempio, si passa dallo swingante e allegro “Hello” che apre l’album alla più dolce “It’s Getting Bad” a evidenziare le doti di Santiago Jimenez alla chitarra; dal clima vagamente fusion e malinconico di “Crying Out” in cui il leader duetta con un clarinetto (onestamente non sappiamo da chi imboccato) strumento tipico della tradizione boliviana e chiuso da un bell’assolo di Daniel Bahamon al sax alto, al rock-blues spigoloso e piuttosto duro di “Out of control”; “Pimp” è forse il brano più jazzistico dell’intero album con in bella evidenza la batteria di Cesar Morales e la front line di fiati cui fa seguito il blueseggiante “Movie Star”. “Oye Palo” si caratterizza per essere l’unico brano in cui Restrepo ha fatto ricorso alla lingua spagnola e di conseguenza a stilemi che si rifanno chiaramente alla musica folkloristica boliviana. L’album si chiude con “I’ll Be Fine” , ancora un saggio di bravura di Restrepo come vocalist che in questa occasione richiama, almeno a parere del vostro cronista, il Joe Cocker dei tempi migliori; significativa anche la performance del chitarrista Santiago Jimenez.

Michael Formanek, Ensemble Kolossus – “The Distance” – ECM 2484
TheDistanceImpresa davvero colossale, tanto per citare il nome dell’ensemble, questa intrapresa dal bassista californiano Michael Formanek alla testa di un vasto organico di ben diciotto elementi tra cui non mancano nomi di spicco quali Ralph Alessi , Kris Davis , Oscar Noriega, Chris Speed, Mark Helias che dirige la band anche nei concerti e qualche sorpresa come ascoltare Tim Berne al sax baritono. Insomma un ensemble davvero stellare per una musica che senza dubbio costituisce uno dei non molti capolavori registrati in questi ultimi anni. Le composizioni di Formanek sono di ampio respiro, illuminate da variabili colori orchestrali, da una certa carica di swing anche se alle volte sottotraccia, da un alternarsi di tensione e distensione, da una struttura solida al cui interno i vari solisti trovano la possibilità di esprimere le proprie potenzialità. E’ il caso dello stesso leader sempre straordinario al contrabbasso, ma altresì di molti altri musicisti che con le loro performances riescono a caratterizzare alcuni momenti della lunga suite, “Exoskeleton”, attraverso cui si articola l’album aperto dai sei minuti della title tracke , inusuale preambolo della suite stessa: così, ad esempio, il trombonista Ben Gerstein e la chitarrista Mary Halvorson costituiscono il fulcro su cui ruotano, rispettivamente, la terza e la quinta parte della suite. Ma i momenti più interessanti sono quelli in cui l’orchestra si esprime a pieno organico , compatta, solida…fino al pirotecnico finale in cui ascoltiamo un’improvvisazione collettiva straordinaria per inventiva e allo stesso tempo rispetto della forma: un equilibrio davvero difficile da raggiungere in situazioni del genere.

Allan Harris – “Black Bar Jukebox” – Love Records 233921
Black Bar JukeBoxNato il 4 aprile 1956 a Brooklyn, il vocalist, chitarrista, e compositore Allan Harris può vantare, tra l’altro, numerosi awards tra cui il New York Nightlife Award for “Outstanding Jazz Vocalist” – vinto per ben tre volte – il Backstage Bistro Award for “Ongoing Achievement in Jazz,” e l’ Harlem Speaks “Jazz Museum of Harlem Award.” Il titolo di questo nuovo album è quanto mai esplicativo: attraverso la menzione del jukebox, Harris intende rendere omaggio a tutta una serie di grandi artisti del passato più o meno recente, anche modificando in qualche modo i suoi punti di riferimento. In effetti prima Harris veniva considerato una sorta di straordinaria sintesi di Nat King Cole, Frank Sinatra e Tony Bennett mentre in quest’ultima realizzazione, sotto la guida del produttore Brian Bacchus (lo stesso di Gregory Porter) allarga il suo raggio d’azione includendo in repertorio brani jazz, R&B, country, blues, soul, e musica latina, sia con pezzi originali sia con composizioni di James Moody, Lester Young, Elton John e Bernie Taupin, Rodgers e Hart, Kenny Rankin e John Mayer a disegnare un mosaico tanto variegato quanto affascinante. Alla testa di un sestetto con il batterista Jake Goldbas, il bassista Leon Boykins, il pianista/tastierista Pascal Le Boeuf, con l’aggiunta in veste di special guests del percussionista Samuel Torres e del chitarrista Yotam Silbersteinadd, Allan Harris evidenzia come il suo talento sia rimasto immutato nel corso degli ani. La bellezza della voce caratterizzata da un registro che oscilla tra tenore e baritono e la capacità di interpretare con assoluta padronanza e pertinenza brani tra loro così diversi sono doti proprie solo dei grandi artisti: si ascolti con quanta disinvoltura Allan passi da pezzi quali “I Got A Lot Of Livin’ To Do”, o “Lester Leaps In” un classico di Lester Young trasformato da Eddie Jefferson nel vocalese “I Got The Blues”, o lo swingante “Love’S The Key” tutti di chiara impostazione jazzistica, a “Catfish” di impronta latineggiante, al funky-soulful di “Take Me To The Pilot” un hit di Elton John e Bernie Taupin…fino al sorprendente “Daughters” di John Mayer in cui Allan suona la chitarra acustica disegnando atmosfere che in qualche modo si riallacciano alla mitica Motown.

Stan Kenton – “The Stuttgart Experience” – SWR 457
The Stuttgart ExperienceLa leggenda del cosiddetto progressive jazz, Stan Kenton, guida una delle più celebri, innovative ma allo stesso tempo controverse formazioni che abbiano illuminato le scene jazzistiche internazionali. L’orchestra è qui registrata durante un concerto tenuto a Stoccarda il 17 gennaio del 1972: La band è infarcita di nomi importanti quali, tanto per citarne qualcuno, Ray Brown, Fred Carter, Richard Torres, e soprattutto il batterista John van Ohlen… oltre naturalmente allo stesso leader al piano. In quel periodo la band attraversava un momento particolarmente felice e aveva introdotto in repertorio alcuni nuovi brani che si possono ascoltare nell’album in oggetto quali il latineggiante “Malaga” di Bill Holmann , un nuovo arrangiamento della “Rhapsody in Blue” ad opera dello stesso Holmann e il brano portante della colonna sonora del film “Love Story” scritto da Francis Lai . Ebbene, a distanza oramai di molti anni, forse si possono abbandonare le polemiche e riconoscere che, al di là dei gusti personali, Stan Kenton fu un grande musicista e che le formazioni da lui dirette erano organici di grande spessore, in grado di interpretare anche le partiture più ostiche senza alcuna difficoltà apparente. Anche la band che si ascolta a Stoccarda è semplicemente poderosa: Kenton , come al solito, ama agire sulle masse sonore, sovrapponendole o allineandole nel tentativo, rivelatosi comunque utopistico, di fondere in un unicum jazz e musica classica. Di qui un flusso sonoro imponente, costante che si riversa sull’ascoltatore con un sound che è divenuto un vero e proprio marchio di fabbrica delle orchestre kentoniane. Tra i brani presenti nell’album due ci hanno particolarmente colpiti soprattutto per la bontà degli arrangiamenti e la qualità degli interventi solistici: “Rhapsody in Blue” arrangiato da Bill Holman e impreziosito da Chuck Carter nell’occasione al sax baritono e “Intermission Riff” con un centrato assolo del bassista John Worster.

Golfam Khayam, Mona Matbou Riahi – “Narrante” – ECM 2475
NarranteDue straordinarie artiste iraniane, Golfam Khayam alla chitarra e Mona Matbou Riahi al clarinetto, hanno formato il “Naqsh Duo” decidendo di proseguire all’estero i propri studi musicali ma restando in qualche modo legate alle proprie tradizioni. Di qui una musica davvero personale, sotto molti aspetti affascinante, raffinata anche se di non facilissima lettura per un pubblico occidentale poco abituato ai microtoni, ai ritmi, ai cicli improvvisativi propri della musica orientale. Questo “Narrante” costituisce il loro debutto in casa ECM ed è la prima volta che un album prodotto da Manfred Eicher viene edito contemporaneamente in Europa e in Iran. Il repertorio è declinato su nove tracce originali delle due musiciste alla ricerca di un contatto tra oriente e occidente. Evidentemente qui siamo ben lontani da quel che si intende per jazz anche se, ascoltando con attenzione l’album, sembra potersi rinvenire qua e là una pratica improvvisativa certo non sconosciuta alle due. In effetti dal punto di vista tecnico-strumentale Golfam e Mona sono preparatissime, tanto per usare un eufemismo, per cui possono benissimo abbandonare la pagina scritta per addentrarsi in territori sconosciuti ed uscirne senza problema alcuno. Il loro tocco è straordinario, la visione musicale sempre coerente, l’intesa profonda: basta ascoltare un qualsiasi brano per rendersi immediatamente conto di come le due si conoscano alla perfezione intrecciando le loro voci strumentali in un dialogo fitto, incessante. In precedenza accennavamo a come il duo non intenda distaccarsi completamente dalle proprie tradizioni e lo dimostra il fatto che alcuni dei brani si richiamano esplicitamente a tale passato: così, ad esempio, la title tracke trae ispirazione dal Guati , una cerimonia di guarigione del Baluchistan caratterizzata da figure ritmiche ripetitive e scale pentatoniche mentre “Lacrimae” evidenzia l’influenza delle tradizioni improvvisative canore del Kurdistan. (altro…)

Live Arts Cultures: un programma 2016 con Markus Stockhausen, Seijiro Murayama e altri

LIVE ARTS CULTURES presenta
IL CALENDARIO DELLE ATTIVITÀ 2016
da GIUGNO a SETTEMBRE
negli spazi di Forte Marghera, Venezia-Mestre

Un programma unico, aperto e fitto di appuntamenti quello che Live Arts Cultures proporrà per i prossimi mesi presso C32 performing art work space (Capannone 32 – Palmanova) a Forte Marghera, Mestre-Venezia, nel segno di una progettualità ampia, in grado di accogliere proposte di relazione artistica non solo con l’Italia ma anche con l’estero.

Pensato con la curatela di due delle fondatrici dell’associazione, Marianna Andrigo e Johann Merrich, vedrà 5 eventi in programma e aperti al pubblico da maggio a settembre, a conclusione di esperienze di vario tipo, tra laboratori, seminari e residenze artistiche che toccheranno il mondo delle arti performative declinate secondo le specificità degli artisti ospiti.

Sabato 4 giugno la conclusione del laboratorio di performance art condotto da Jurgen Fritz e da Vest&Page (27 maggio – 4 giugno) con il supporto di due guest-teacher italiani: Aldo Aliprandi e Marianna Andrigo. Il progetto è in collaborazione con Studio Contemporaneo e International Performance Association, e rappresenta la proposta formativa di Venice International Performance Art Week. L’evento avrà luogo nel capannone 30 di Forte Marghera dalle ore 10.00; culmine dalle 18.00 alle 21.30 con una open situation performance.

Sabato 2 luglio l’evento di restituzione del laboratorio di pratiche performative dedicato a un gruppo di minori stranieri non accompagnati grazie alla collaborazione di LAC con la Cooperativa GEA di Venezia. A condurre il laboratorio gli artisti Andrea Fagarazzi e Ichen Zuffellato. Accompagnano la serata un incontro con Emergency-gruppo territoriale di Venezia, le compagnie Teatro Woodstock e Duse’s Blush, e l’etichetta discografica dedicata alla musica elettronica al femminile electronicgirls. L’appuntamento è parte del progetto Fort In Festival, Festival dell’Inclusione e delle Diversità attraverso l’Arte per il Sociale.

Mercoledì 13 luglio un appuntamento live che segue la conclusione del laboratorio per musicisti elettronici condotto da Markus Stockhausen: “Intuitive Music and More with Electronics”. Il seminario internazionale (11-12-13 luglio) avrà come obiettivo principale l’esplorazione della Musica Intuitiva – così definita da Karlheinz Stockhausen a metà degli anni ‘60 – utilizzando strumenti musicali elettronici o strumenti musicali tradizionali filtrati da sistemi che ne permettano la manipolazione sonora. (altro…)