Per dodici giorni Palermo capitale del jazz

Varie produzioni in esclusiva europea e prime assolute per un totale di ben 10 produzioni orchestrali, 6 Direttori d’Orchestra, 110 concerti dislocati in 4 luoghi diversi tra il Teatro di Verdura, il Real Teatro Santa Cecilia, il Complesso Santa Maria dello Spasimo e il Palazzo Chiaramonte, conosciuto come Steri, sede dell’Università cittadina: questa, in poche ma eloquenti cifre, la carta d’identità del Sicilia Jazz Festival che in dodici giorni (dal 24 giugno al 5 luglio) ha trasformato Palermo in una sorta di mecca del jazz.
La capitale della Sicilia è stata come invasa da un’ondata di musica che ha interessato migliaia e migliaia di spettatori che hanno ascoltato con interesse i tanti concerti proposti. Peccato che nessuno di noi possegga il dono dell’ubiquità in quanto, ad esempio, avrei assistito assai volentieri alle performances di Dino Rubino, Giacomo Tantillo, Giuseppe Milici…tanto per fare qualche nome.

Altra caratteristica del Festival: il ruolo dato all’ Orchestra Jazz Siciliana che ha avuto l’onore e l’onere di accompagnare alcuni dei grandi solisti presenti al Festival, e la possibilità fornita ai giovani musicisti dei conservatori siciliani di esibirsi finalmente in pubblico. Ed è proprio questa attenzione ai talenti locali che rende un Festival del Jazz degno di essere pensato, realizzato e sostenuto con fondi pubblici. In effetti il Festival, organizzato dalla Regione Siciliana – Assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo – con il coordinamento artistico affidato alla Fondazione The Brass Group, istituita con legge del 1° febbraio 2006, n. 5,  si avvale della preziosa collaborazione del Comune di Palermo, dell’Università di Palermo, delle produzioni originali del Brass Group e degli apporti dei Dipartimenti jazz dei Conservatori “Alessandro Scarlatti” di Palermo, “Arcangelo Corelli” di Messina, “Antonio Scontrino” di Trapani, “Arturo Toscanini” di Ribera e dell’Istituto superiore di studi di musica “Vincenzo Bellini” di Catania. L’obiettivo: come si accennava, coinvolgere in una concreta sinergia strutturale le istituzioni didattiche regionali, i musicisti del territorio e le maestranze locali.

Ma veniamo adesso al lato più strettamente musicale.

Per motivi di lavoro ho potuto assistere solo agli ultimi cinque concerti, tutti comunque di spessore e tutti svoltisi nel magnifico scenario del “Teatro di Verdura”

Ma procediamo con ordine. Il primo luglio è stata di scena la vocalist Dianne Reeves con il suo quintetto completato da John Beasley al piano, Romero Lubambo alla chitarra, Itaiguara Brandao al basso e Terreon Gully alla batteria. A parere di chi scrive, la Reeves è oggi una delle voci più interessanti, suggestive, personali del mondo del jazz e tutto ciò è stato ampiamente evidenziato anche durante il concerto palermitano. Ben supportata dal gruppo, la Reeves ha sciorinato un repertorio godibile dalla prima all’ultima nota in cui le parole lasciavano spesso campo libero a vocalizzi che richiamavano la grande tradizione del canto afro-americano. A conferma della versatilità di un’artista che oltre a vincere vari Grammy Awards (gli ultimi nel 2006, per la colonna sonora del film “Good night, and good luck” diretto da George Clooney, e nel 2015, per l’album “Beautiful life” dopo i precedenti quattro conquistati nel 2001, 2002, 2003 e 2006), in questo ultimo scorcio di tempo si è maggiormente concentrata, come si diceva, sul solco tracciato da voci leggendarie quali quelle di Billie Holiday, Ella Fitzgerald e, soprattutto, di Sarah Vaughan, cui tempo fa ha dedicato un intenso omaggio discografico. Tra le interpretazioni più convincenti le originali versioni di “Morning has broken” scritta da Cat Stevens e “Talk” di Pat Metheny. Insomma un concerto straordinario, sicuramente tra i migliori ascoltati a Palermo, che resterà sicuramente nel cuore e nella mente di chi, come il sottoscritto, ha avuto il piacere di parteciparvi.

Il giorno dopo grande attesa per il concerto di Ivan Lins con Jane Monheit e l’Orchestra Jazz Siciliana, diretta dal maestro Riina. Ora, fermo restando il piacere di aver riascoltato dopo un po’ di tempo Ivan Lins, devo confessare che sono rimato un po’ deluso dall’andamento del concerto. Ed il perché è presto detto: Ivan Lins ha scritto vagonate di musica e quindi mi sarei aspettato di ascoltarlo quasi totalmente in brani di sua composizione. Invece ci ha offerto versioni di brani già iper-noti come “Dindin”, “Insensatez”, “Garota de Ipanema”, “Check to check” che nulla tolgono ma nulla aggiungono alla statura di un artista che, come si diceva, si caratterizza per essere non solo un grande performer ma anche – e forse soprattutto – per le sue straordinarie capacità compositive. Ovviamente non sono mancate sue composizioni ma non abbastanza.

Bene Jane Monheit che ha messo in mostra una bella voce, ben intonata ed equilibrata, accompagnata da una sicura presenza scenica. Altro elemento positivo, il ruolo dato ad alcuni solisti dell’orchestra quali Gaetano Catiglia e Fabio Riina alle trombe, Francesco Marchese e Alex Faraci al sax tenore, Claudio Giambruno e Orazio Maugeri al sax alto, Salvo Pizzo al trombone, Elisa Zimbardo alla chitarra.

Durante l’esibizione di Ivan Lins un siparietto simpaticamente comico: mentre il cantante brasiliano intonava la sua “Ai, Ai, Ai, Ai, Ai” il maestro Riina scivolava senza alcuna conseguenza ma dando così corposa consistenza al titolo del pezzo.

Eccellente prova il 3 luglio della vocalist Simona Molinari accompagnata dall’Orchestra Jazz Siciliana, diretta dal maestro Vito Giordano. A mio avviso la Molinari matura di giorno in giorno in quanto riesce sempre meglio ad attare le sue notevolissime capacità vocali al repertorio che ha scelto di presentare. Un repertorio che sembra fatto apposta per accontentare sia il pubblico del jazz (con una serie di straordinari pezzi quali “Fly Me To The Moon”, “All Of Me”, “The Look Of Love”, “Summertime”) alternate con pezzi più vicini ai giorni d’oggi come “Fragile”. Ma intendiamoci: ciò nulla toglie alla cantante che anzi, come si accennava, evidenzia una versatilità che sicuramente le gioverà nel corso di una carriera già luminosa. Non a caso il suo concerto a Palermo è stato tra i più applauditi con numerose richieste di bis.

Il 4 luglio un mostro sacro del jazz, Christian Mc Bride; quando si parla di questo artista è difficile definirlo dal momento che si tratta di un grande virtuoso del contrabbasso, ma allo stesso tempo di un grande compositore, grande arrangiatore, eccellente didatta e, ciliegina sulla torta, direttore artistico del Newport Jazz Festival. Nato a Filadelfia il 31 maggio 1972, in soli 50 anni ha avuto una carriera davvero incredibile. E come i grandi artisti, fuori dal palco è una persona estremamente gentile e disponibile concedendomi una lunga intervista che pubblicherò nei prossimi giorni.

Venendo al concerto di Palermo, McBride ha evidenziato tutti gli aspetti della sua variegata personalità, suonando magnificamente il contrabbasso ma allo stesso tempo presentando alcune sue composizioni da lui stesso arrangiate per big band e dediche particolarmente sentite: è il caso di “Killer Joe” di Benny Golson, del sempre splendido “Spain” di Chick Corea, “Full House” di Wes Montgomery, “I Should Care” di Axel Stordahl, Paul Weston e Sammy Cahn mentre l’altro hit, “Come Rain or Come Shine” è stato interpretato con bella pertinenza dalla moglie di Christian, Melissa Walker. Quasi inutile sottolineare come la performance di McBride sia stata salutata con applausi a scena aperta da parte dal numeroso pubblico che, d’altro canto, non ha fatto mancare il proprio supporto ai numerosi solisti dell’orchestra che grazie agli arrangiamenti di McBride hanno avuto l’opportunità di mettersi in luce.

Gran finale il 5 luglio con Snarky Puppy ovvero la band del momento. Nato nel 2004 come progetto estemporaneo di un gruppo di studenti di un college del Texas, il collettivo statunitense che ruota attorno al perno costituito dal bassista, compositore e produttore Michael League (la formazione è variabile e a volte comprende anche alcune dozzine di musicisti) ha consolidato il percorso artistico non solo con dischi accolti assai bene da pubblico e critica, ma soprattutto attraverso un’attività live che sembra costituire la loro dimensione ideale. Dimensione che è stata pienamente confermata dal concerto palermitano in cui il gruppo si è presentato in nonetto. Ma questo appuntamento è risultato particolarmente interessante in quanto il gruppo ha presentato tutta musica nuova, una serie di brani che andranno a costituire il prossimo lavoro discografico. Come al solito la loro musica è risultata coinvolgente essendo il risultato di una ricerca che riesce a mescolare jazz, fusion, funk, prog e rhythm’n blues in una miscela con cui  hanno rapidamente scalato le classifiche discografiche di questi ultimi tre lustri, conquistando anche vari Grammy Awards.

Gerlando Gatto

Udin&Jazz 2022 ovvero Play Jazz Not War

Di recente abbiamo fornito alcune anticipazioni su Udin&Jazz 2022 sottolineando, come fattori di grande positività, il fatto che la manifestazione rientrasse a Udine, sua sede naturale.
Adesso il programma è stato presentato nella sua interezza, e si tratta di un programma di sicuro spessore in quanto, more solito, riesce a coniugare l’esigenza di valorizzare le risorse locali con l’opportunità di offrire al pubblico alcune vere e proprie eccellenze del jazz di oggi.
Il Festival, giunto alla 32esima edizione e da sempre organizzato da Euritmica, per la direzione artistica di Giancarlo Velliscig, si svolgerà dall’11 al 16 luglio. Una settimana, quindi, densa di concerti, di eventi, di laboratori, di mostre, a valorizzare i molteplici aspetti di questa straordinaria musica, che in queste zone ha trovato sempre terreno fertile come dimostrano i numerosi talenti che provengono dal Friuli-Venezia Giulia.
Il clima culturale che, anche grazie alla musica, in questi anni si è sviluppato a Udine «ci inorgoglisce – ha dichiarato Velliscig nel corso della conferenza stampa di presentazione del Festival – e ci dà energia e slancio per continuare, in un non facile futuro in cui i rapporti umani e culturali dovranno essere fondamentali per la ricostruzione di tessuti sociali devastati da anni di pandemia e di inasprimenti bellici ed economici; confidiamo pertanto che il progetto di Udin&Jazz, che da qualche tempo si sviluppa anche in versione invernale, venga valutato e vissuto in senso positivo anche da parte della comunità regionale e locale, così come fino ad oggi è accaduto. Anche per questo il nostro motto di quest’anno sarà Play Jazz, not War!».
Udin&Jazz 2022 si apre l’11 luglio con la proiezione, introdotta dal critico musicale Andrea Ioime, del film “Gli Stati Uniti contro Billie Holiday” al Giardino Loris Fortuna in Piazza Primo Maggio (in collaborazione con il C.E.C.); dal 12 al 16 luglio poi, Udin&Jazz ospiterà due concerti a sera al Teatro Palamostre (alle 20 e alle 22) e contestualmente, in fasce orarie diverse, altri concerti, incontri e presentazioni.
Apertura il 12 luglio, nella sala Carmelo Bene del Teatro Palamostre (ore 18.30) con il vernissage della Mostra “I Colori del Jazz”, dell’artista udinese, Ivana Burello; la serata proseguirà, nella sala Pasolini, sempre al Palamostre, con due concerti: dapprima il pianista udinese, che risiede a Parigi, Emanuele Filippi, definito da Enrico Rava “uno dei migliori pianisti della nuova generazione”, presenta il suo nuovo progetto, “Heart Chant”, esibendosi con il giovane sassofonista olandese Ben van Gelder, uno dei musicisti più interessanti della nuova scena jazz Europea; successivamente, alle 22, il quartetto del celebre trombettista Fabrizio Bosso, completato da Julian Oliver Mazzariello, piano, Jacopo Ferrazza, double bass / e Nicola Angelucci, batteria presenterà  il suo ultimo lavoro “WE4”.
Il 13 luglio, il Palamostre ospiterà la presentazione del libro a fumetti “Mingus”, di Flavio Massarutto e Squaz, alla presenza dell’autore. A seguire, i concerti del quartetto internazionale della contrabbassista Rosa Brunello, con il suo nuovissimo “Sounds Like Freedom” e l’omaggio all’infinito universo dei Beatles di uno dei più grandi chitarristi del nostro tempo, Al Di Meola, che presenta “Across the Universe” alla testa del suo trio acustico con Peo Alfonsi alla chitarra e Sergio Martinez alle percussioni.

Il 14 luglio, ancora due concerti: s’inizia con la musica di “Scenario”, nuovo progetto dei C’Mon Tigre, collettivo che coinvolge diversi musicisti nazionali e internazionali (tra cui il friulano Mirko Cisilino), e si prosegue con il trio del pianista Vijay Iyer, uno dei grandi protagonisti del nuovo pianismo jazz, che presenta, tra l’altro, la straordinaria bassista Linda May Han Oh e il batterista Tyshawn Sorey a costituire un ensemble, che prescindendo dal valore del leader, viene oggi considerato uno dei migliori gruppi jazz in esercizio.
Il Brasile sarà il protagonista della penultima giornata del festival, il 15 luglio. Alle 18.30, il Palamostre ospiterà un incontro dal titolo “La Musica brasiliana ieri e oggi” in cui il conduttore di Radio 1 Rai, Max De Tomassi illustrerà le dinamiche musicali del grande Paese sudamericano. Alle 20 l’esibizione di Mel Freire, cantante e compositrice di Belo Horizonte che rende omaggio alla grande Elis Regina, cui segue il concerto di Ivan Lins, autentica star e maestro della Musica Popular Brasileira sicuramente uno degli eventi clou dell’intero Festival; Ivan sarà accompagnato da André Sarbib piano, Léo Espinosa basso, Claudio Ribeiro chitarra e Chris Wells batteria.
Chiusura il 16 luglio, con la musica travolgente degli Snarky Puppy, collettivo statunitense guidato dal geniaccio Michael League che conta circa 25 musicisti in rotazione, band tra le più acclamate della scena jazz contemporanea, band che avevamo già avuto modo di apprezzare nelle scorse edizioni di Udin&Jazz. Per sottolineare l’importanza di questo gruppo, basti ricordare che League, Laurance e compagni, hanno di recente vinto l’ennesimo Grammy Award come miglior album strumentale.
Nella mattinata del 16 luglio, Udin&Jazz propone un concerto/laboratorio interattivo interamente dedicato ai bambini e alle loro famiglie: U&j 4 Kids.
Tra gli eventi in cartellone, per Aspettando Udin&Jazz, è in corso una serie di 5 concerti che si alternano tra lo storico Jazz Caffè Caucigh ed il Giangio Garden al Parco Brun: il 25-06 il trio di Bruno Cesselli, il 30-6 Giampaolo Rinaldi Trio, il 2-7 Luca Dal Sacco Trio, il 5-7 Matteo Sgobino & Luna Troublante, e il 9-7 l’Armando Battiston duo; gli aperitivi del Jazz Corner, alle 18,30 alla Ghiacciaia, saranno animati il 12-7 da Laura Clemente/Gaetano Valli Duo e il 14-7 dal duo di Michele Pirona e Stefano Andreutti.
Sempre alla Ghiacciaia il 14 luglio – alle 12 – il sottoscritto presenterà il suo ultimo libro di interviste “Il Jazz Italiano in Epoca Covid”, dialogando con Andrea Ioime.
Le notti di Udin&Jazz Festival saranno animate dalle dirette del MUUD Podcast, alla Tana del Luppolo, accanto al Palamostre, con approfondimenti di quanto proposto dal festival attraverso interviste, incontri ed esibizioni di giovani musicisti, flash di jazz contemporaneo e non solo. In presenza oppure in streaming.
Udin&Jazz gode del patrocinio e del sostegno di: Ministero della Cultura, Regione Autonoma Friuli Venezia-Giulia – Assessorato alla Cultura, Fondazione Friuli, PromoTurismoFvg, Cciaa di Udine e della sponsorship di Reale Mutua Assicurazioni Franz e Di Lena, Udine e della Banca di Udine.

Gerlando Gatto

Grandi voci…e non solo al Sicilia Jazz Festival

La Sicilia è terra di jazz non solo perché ha dato i natali a tanti musicisti di livello (alcuni dei quali hanno davvero scritto la storia del jazz italiano) ma anche perché ogni anno vi si svolgono manifestazioni di grande interesse.
Tra queste figura senza dubbio alcuno il “Sicilia Jazz Festival” che ha aperto i battenti con la sua nuova edizione ricca di grandi nomi e con progetti artistici inediti.
La manifestazione si svolgerà da oggi, venerdì 24 Giugno, al 5 Luglio nel cuore del centro storico di Palermo ed in alcuni dei più bei suggestivi siti monumentali, e sarà impreziosita da concerti tra big, musicisti residenti, Maestri e giovani talenti dei Conservatori siciliani. In tutto sono previsti 110 concerti al Teatro di Verdura, Real Teatro Santa Cecilia, Complesso Monumentale Santa Maria dello Spasimo e Steri. Peculiarità di quest’anno sarà la direzione dell’OJS, affidata per ogni concerto a Direttori diversi al Teatro di Verdura, il M° Gabriele Comeglio, il M° Giuseppe Vasapolli, il M° Piero Romano, il M° Domenico Riina, il M° Antonino Pedone, il M° Vito Giordano.

L’apertura è stata affidata ad un doppio concerto: la Concertgebouw Jazz Orchestra con la grande artista olandese Trijntje Oosterhuis sul palco dello Steri nel JazzVillage alle ore 19.30 presenta “Sing Sinatra”; due ore dopo al Teatro di Verdura il pubblico potrà ascoltare le orchestrazioni e gli arrangiamenti di canzoni d’autori italiani appositamente commissionati al Grammy Award, Michael Abene, già Associate Professor of Jazz Composition at Manhattan School of Music, interpretati da Paolo Fresu in prima assoluta, accompagnato dall’Orchestra Jazz Siciliana, diretta dal resident conductor, Domenico Riina.

Il giorno dopo di scena una delle mie preferite: la vocalist Sarah Jane Morris; oramai da tanto tempo sulle scene la Morris nulla ha perso dell’originario fascino conservando una naturalezza ed una squisita gentilezza che raramente si riscontrano in artiste del suo calibro.
Il 26 Raphael Gualazzi e il 27 i New York Voices sempre con l’Orchestra Jazz Siciliana; il gruppo vocale statunitense è stato fondato nel 1987 da Peter Eldridge, Caprice Fox, Sara Krieger, Darmon Meader e Kim Nazarian.

Il 28 e 29 ancora spazio alle voci con le performances, rispettivamente, di Max Gazzé e della vocalist olandese Fay Claassen ( Nijmegen, 2 dicembre 1969 ) che bene hanno fatto gli organizzatori ad invitare dato che ancora nel nostro Paese non è molto conosciuta.

Il 30 giugno sarà di scena Tom Seals; il pianista e vocalist sta ottenendo un grande successo di pubblico e di critica grazie da un canto ad un pianismo a tratti elettrizzate sostenuto da una solida tecnica, dall’altro ad un modo di cantare con brillantezza e un pizzico di ironia che mai fa male. Il confronto con la formazione siciliana diretta da Vito Giordano si preannuncia, quindi, elettrizzante anche per l’inedito repertorio costituito prevalentemente da composizioni originali dello stesso Seals.

Il I luglio appuntamento da non perdere con un’altra delle grandi voci del jazz di oggi: Dianne Reeves che si presenterà con il suo quintetto insieme all’Orchestra Jazz Siciliana, diretta da Giuseppe Vasapolli. Artista versatile e di grande comunicativa, Dianne Reeves conosce assai bene non solo l’intero universo della musica “nera” ma anche tutti quei territori affini con cui il jazz si è misurato nel corso degli ultimi 100 anni; di qui le sue brillanti collaborazioni con musicisti di ambito assai diverso come Sergio Mendes, Harry Belafonte, Charles Aznavour e Salomon Burke.

Sabato 2 luglio escursione nel mondo della grande musica brasiliana con due artisti di assoluto livello mondiale: Ivan Lins, che si esibirà insieme a Jane Monheit e l’Orchestra Jazz Siciliana diretta da Domenico Riina. Lins è artista di fama internazionale che per oltre 30 anni ha scritto e interpretato i brani più belli di Música Popular Brasileira e jazz. È anche pianista di squisito tocco jazzistico e da mezzo secolo le sue canzoni, ricche di bellezza melodica e seduzioni armoniche, impreziosiscono il repertorio di grandi voci come Elis Regina, Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald, Barbra Streisand, Dionne Warwick, Michael Bublé e, appunto, di Jane Monheit. Quest’ultima è una acclamata stella della nuova generazione del canto jazz statunitense che proprio col musicista di Rio De Janeiro vanta una intensa e felice collaborazione; la vocalist ha da poco pubblicato il suo ultimo album “Come What May”, prodotto da Joel Lindsey e Sharon Terrell e dedicato ad alcuni standard del jazz, ben coadiuvata da Michael Kanan (piano); Rick Montabano (drums); David Robaire (bass); Kevin Winard (percussion); Miles Okazaki (guitars).

Il 3 luglio una delle più belle voci del panorama musicale nazionale, Simona Molinari, con l’Orchestra Jazz Siciliana diretta da Vito Giordano, in un programma che accanto ad alcuni capolavori del jazz propone anche canzoni del nostro tempo.

Ultime due giornate col botto, se ci consentite l’espressione: il 4 avremo modo di ascoltare uno dei grandi del jazz in assoluto, il contrabbassista Christian McBride, con l’orchestra Jazz Siciliana diretta nell’occasione da Domenico Riina, in un omaggio a Jimmy Smith, Wes Montgomery e Oliver Nelson, ovvero lo stesso progetto che proprio da poco ha guadagnato al contrabbassista l’ottavo Grammy Awards della sua carriera. Christian McBride è a ben ragione considerato uno degli indiscussi maestri del contrabbasso jazz, per virtuosismo tecnico, senso dello swing, gusto musicale e sapiente uso dell’archetto. Inutile in questa sede ricordare gli artisti con cui McBride ha collaborato…forse sarebbe più facile elencare quelli con cui non ha suonato, esercizio che comunque rimandiamo ad altra occasione. Per il momento è importante sottolineare come il musicista abbia scelto Palermo e il Sicilia Jazz Festival per inaugurare il suo tour europeo.

Martedì 5 luglio chiusura straordinaria con Snarky Puppy . Nato nel 2004 come progetto estemporaneo di un gruppo di giovani musicisti attorno al compositore e produttore Michael League, nel corso di questi ultimi anni la formazione ha ottenuto straordinari riconoscimenti di pubblico e di critica grazie ai notevoli album presentati ma soprattutto alle esibizioni live in cui riesce a dare il meglio di sé evidenziando eclettismo, presenza scenica e ovviamente preparazione musicale di ogni singolo partecipante.

Il Festival è organizzato dalla Regione Siciliana – Assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo, il cui coordinamento artistico è affidato alla Fondazione The Brass Group, e si avvale della preziosa collaborazione del Comune di Palermo, dell’Università di Palermo, delle produzioni originali del Brass Group e degli apporti dei Dipartimenti jazz dei Conservatori “Alessandro Scarlatti” di Palermo, “Arcangelo Corelli” di Messina, “Antonio Scontrino” di Trapani, “Arturo Toscanini” di Ribera e dell’Istituto superiore di studi di musica “Vincenzo Bellini” di Catania.

Gerlando Gatto

Kenny Barron: a colloquio con l’enciclopedia del jazz

È con vero piacere che “A proposito di jazz” accoglie tra i suoi collaboratori un giovane musicista appena laureato con 110 e lode al Conservatorio di Latina. Il suo nome: Daniele Mele. Daniele, classe ’97, inizia a studiare pianoforte all’età di 13 anni. Dopo una doverosa formazione classica con il M. Ilaria Liberati intraprende gli studi Jazz presso il Conservatorio “O. Respighi” di Latina sotto la guida del M. Andrea Beneventano, dove, come si diceva si diploma con lode. Approfondisce gli studi con Andrea Rea, Roberto Bottalico, Ignasi Terraza, Kevin Harris, e si forma seguendo masterclass di Jazz e di musica classica in tutta Italia (Berklee, Siena Jazz, Arcevia Jazz, etc.).
L’inizio di questa collaborazione con il nostro blog è di quelli che lasciano il segno: si tratta, infatti, di una approfondita intervista con Kenny Barron, pianista e compositore tra i più importanti ancora sulla scena.
Nato a Filadelfia, il 9 giugno 1943, Kenny si esibisce da quando aveva quindici anni e in tutto questo arco di tempo ha saputo sviluppare uno stile personale che lo colloca tra i grandi della tastiera di tutti i tempi: ancora oggi le sue registrazioni con Stan Getz nulla hanno perso dell’originario fascino così come quelle del gruppo Sphere di cui  nel 1980 fu uno dei fondatori, con Charlie Rouse (sax), Buster Williams (basso) e Ben Riley (batteria).
E, alla grandezza dell’artista, si è sempre accompagnata una statura umana di straordinaria dolcezza: chi scrive queste note ha avuto l’opportunità di intervistarlo oramai parecchi anni fa e ne conserva un ricordo bellissimo dovuto proprio alla gentilezza e alla disponibilità dell’uomo. Gentilezza e disponibilità che dimostra appieno in questa intervista che pubblichiamo qui di seguito. (G.G.)

Ore 9:00 (New York) il giorno 25/04/2021.
-Sono molto emozionato in questo momento e la ringrazio per avermi concesso quest’intervista.
“Oh, è un piacere”.

Prima parlavo con mio padre, gli stavo dicendo che credo ci sia una grande differenza tra musica jazz e musica pop: se voglio parlare con un “nome importante” del Jazz posso avere qualche possibilità di farlo, mentre credo che se volessi parlare con un idolo del pop avrei maggiori difficoltà.
“Sì, lo penso anch’io”. (ride)

-Sì… il jazz è più popolare del pop!

“È vero”.

Mi fa piacere sapere che sta bene. Vorrei chiederle della vaccinazione, perché so che si è vaccinato: è andato tutto bene?
“Oh sì, ho avuto due dosi di Moderna. Due dosi, quindi… ora sono a posto”.

-Benissimo. Questo è un periodo assurdo!
“Sì, lo è”.

-Se non le spiace, parleremo di alcuni punti che mi interessano particolarmente. So che ha suonato in Italia ad Umbria Jazz con numerosi musicisti, e mi piacerebbe sapere quale fu la sua prima volta qui e perché.

“La prima volta in Italia fu… wow… nel 1963? ’63 o ’64, ero con Dizzy Gillespie. Sì, eravamo a Milano”.

-Era una tappa del tour che faceste in giro per il mondo?
“Sì, suonammo in Piazza Duomo e la cattedrale è incredibilmente bella. Quella fu la prima volta”.

-Le piace l’Italia?
“La amo. La gente, il popolo… non si può mangiare male in Italia. È veramente difficile!”.

È vero. E invece cosa mi dice del suo rapporto con la musica italiana? Per esempio, io sono di Napoli, nel Sud Italia. Sono cresciuto ascoltando “O sole mio” e “Tu sì ‘na cosa grande”. Conosce queste canzoni?
“Oh sì, le ho sentite tante volte. Non ho mai saputo i nomi dei compositori, ma le ho sentite tante volte”.

-Ok! Ha qualche aneddoto particolare dell’Italia, o ci sono musicisti di sua conoscenza qui?
“Ah… beh, ovviamente una delle mie persone preferite è Dado (Moroni, NdT). Abbiamo suonato insieme in duo, e numerose volte abbiamo fatto dei tour suonando la musica di Monk, eravamo quattro pianisti. A dire il vero abbiamo un progetto insieme per il prossimo anno, penso a Budapest… ho suonato con lui tante volte, e gli voglio bene. La prima volta che ho incontrato Dado è stata ad un seminario in una città vicino Genova, Nervi.

-Stava partecipando ad un seminario su di lei?
“No no, in realtà era il mio interprete!”.

-Ah, bello! (si ride)
“Siamo diventati presto amici, e lì l’ho sentito suonare per la prima volta. In realtà c’era una jam session ogni sera lì al club. Andai per sentirlo suonare e ne rimasi affascinato, è un musicista incredibile… anche con contrabbasso e batteria!

-Oh… non lo sapevo!
”Oh sì, lo assumerei! Per suonare il contrabbasso, e lo assumerei anche per suonare la batteria”.

-Interessante…
“E ho fatto una registrazione con Stefano, Stefano Di Battista, alcuni anni fa. E il contrabbassista, di cui non ricordo il nome ora…”

-Forse Rosciglione? Giorgio o Dario Rosciglione?
“Oh, no. Li conosco, padre e figlio. Era un musicista più giovane. Comunque tutti bravi musicisti”.

-Bene. Adesso mi piacerebbe parlare con lei dei tre album che amo. Il primo è “Canta Brasil”. Lo adoro! Sa, ballo salsa e bachata con la mia fidanzata…
“Ah-ah, wow!”.

Sì, ballavo prima del Covid ovviamente, ora è tutto chiuso. Ma mi piace, perciò quando ascolto questo tipo di ritmi inizio a ballare e a muovermi. Mi è davvero piaciuto quell’album, e sbaglio se affermo che è iniziato tutto con L’uomo, Dizzy Gillespie?
“Oh, più o meno; in realtà non suonavamo così tanti pezzi brasiliani… ma quell’esperienza è stata d’introduzione alla musica brasiliana: suonavamo “Desafinado”, “Samba De Uma Nota So”. Tuttavia, ciò che davvero mi avvicinò alla musica brasiliana fu ascoltare “Brasil ‘65”, sai… nel 1965! Stavo ascoltando la radio a San Francisco, quando passarono proprio quell’album e ne rimasi folgorato. C’erano chitarre eccezionali, poi Wanda De Sah, e il pianista, era il leader, Sergio Mendes… fu il gruppo che mi portò alla musica brasiliana. Da quel momento in poi ho lavorato con Stan Getz, che suonava molto questo tipo di musica, e poi ho fatto ricerche e ascoltato musica Brasiliana più datata, quella della scuola del Samba. Poi ho conosciuto Nilson Matta, Duduka da Fonseca e Romero Lubambo, e iniziammo a suonare e suonare insieme. Mi insegnarono molti ritmi differenti, e da dove provenivano… questi ritmi vengono dal Nord del Brasile, questi altri dal Sud. Iniziai a lavorare con loro. E così fondammo la band, Canta Brasil”.

-Mi scusi ma vorrei sapere qualcosa di più su Gillespie. Com’era al di fuori del mondo musicale? Ho iniziato a studiare il jazz un po’ di tempo fa, e lui è uno di quei grandi nomi che si devono necessariamente studiare, e da cui si deve prendere il più possibile.
“Fuori dal mondo musicale? Era un grande, davvero una persona cortese, anche molto divertente… fuori dal mondo musicale”.

-Non lo era durante la musica?
“Oh sì, era egualmente divertente! Ma molte persone pensavano che fosse solo apparenza, invece lui era così anche fuori dal palco. Era divertente, molto cortese e molto rispettoso”.

– Quindi il vostro tour mondiale si è tenuto tra il ’62 e il ’66. Che cosa mi dice rispetto alle tappe? Mi ha parlato di Milano, nel ’63.
“Sì, in Italia. Ma abbiamo suonato anche in altri posti: Copenaghen, in Svezia, Varsavia in Polonia, che al tempo era ancora comunista”.

-E fuori dall’Europa?
“Non abbiamo suonato fuori dall’Europa. Abbiamo fatto solo un tour europeo, e quella fu la prima volta che andai in Europa. Fu un inizio fantastico per me!”.

-Sì, posso immaginarlo! (si ride) Parliamo del secondo album, si intitola “Two as One”, l’album con Buster Williams.
“Oh Buster!”.

-E questo lavoro è di particolare importanza per gli italiani, perché è stato registrato a Perugia al Teatro Morlacchi.
“Sì”.

– Ricordo “All of You” e “Someday My Prince Will Come”, e l’ostinato di Buster… 40 secondi forse sul fa, e poi tutto il sound che si apre quando suona il Re basso e con tutte quelle frequenze che arricchiscono la musica. Meraviglioso!
“Certo”(ride)

-E Buster Williams? Com’è?
“Io amo suonare con Buster Williams. In effetti ho appena visto un video su di lui… non so se avete Amazon Prime in Italia”.

-Ce l’abbiamo.
“Si intitola “Bass To Infinity”. È tutto sulla sua vita, ci sono alcune interviste con Herbie Hancock, Lenny White… tutti suonavano insieme a Buster. Dura un’ora, è molto interessante. Sai lui è buddista, perciò parla della sua pratica e di molte altre cose. Ci conosciamo dal 1958, quando eravamo entrambi adolescenti a Philadelphia. Lo conosco da molto tempo, abbiamo lavorato molto insieme… è uno dei miei contrabbassisti preferiti in tutto il mondo”.

-Ho letto che ha suonato con… c’è qualcuno con cui non ha suonato? Ha suonato davvero con tutti!
“Sì, tutti. Le cantanti lo amano, ha lavorato con Nancy Wilson per molto tempo, e anche Sarah Vaughan. Questo video racconta anche delle prime volte in cui uscì per esibirsi, appena terminata la scuola superiore, con Gene Ammons e Sonny Stitt, e di quando ha dovuto avere il permesso da sua madre… dagli un’occhiata!”.

-Senz’altro. Sa… l’inizio della mia tesi di laurea contiene una frase su Philadelphia, e sul fatto che tutti i grandi musicisti sono di lì. È una specie di magia. (ridono)
“Non tutti, ma molti sono di lì! Io penso che una delle ragioni, prima di tutto, è che è molto vicina a New York, a solo due ore di guida. Perciò Philadelphia era una delle tappe principali per i musicisti che provenivano da New York, e io ricordo di aver visto Kenny Dorham e molte altre persone che semplicemente scendevano per andare a fare un concerto a Philly. E si può arrivare a Philadelphia per una sera, e poi tornare indietro quando il concerto è finito. Ai tempi aveva due Club principali che presentavano musicisti di fama mondiale, uno si chiamava Pep’s e l’altro Showboat. Vedevo ‘Trane, Yusef Lateef e Miles suonare lì, e molti altri. Philly era un luogo dove si lavorava, e penso sia per questa ragione che c’erano molti giovani musicisti, incluso me, che poi migliorarono con tutta quella musica attorno.

-Capisco.
“Philly aveva anche molti posti di lavoro per questi giovani musicisti, ci sono molti club in cui ho lavorato. Ed era una gran cosa, avere posti in cui suonare. Questo mi ha aiutato nella crescita, c’erano altri giovani musicisti con cui ho socializzato che sono ancora in giro! C’erano Sonny Fortune, beh lui è venuto a mancare ora, siamo cresciuti insieme… e Buster come sai. Philly era proprio un gran posto”.

-Il prossimo musicista di cui vorrei parlare è anche lui di Philly, e ora mi riferisco al terzo album, che è anche il mio preferito: sto parlando di “People Time”.
“Oh, Stan!”.

-Sì, questo album è la ragione per cui ho iniziato a studiare la sua musica e il suo modo di suonare il pianoforte. È vero che lui la considerava l’altra metà della mela, in senso musicale?
“Ehm, non lo so… così diceva! (ride) Beh, credo che per dirlo lo pensasse davvero. Musicalmente eravamo… empatici? Avevamo un approccio alla musica simile, la melodia era importante”.

-Sì! Sa Kenny, ho sempre l’impressione che quando Stan smette di suonare lei continui a suonare il sassofono ma usando il piano, e viceversa.
“Ah!” (ride)

– È incredibile! Davvero, mi sembra che siate come connessi.
“Sì, lo credo anch’io. Entrambi amavamo la liricità, e questo è importante. Stan poteva suonare una ballad e farti piangere, con il suo sound e le sue idee e la sua creatività. Quello fu un concerto interessante, specialmente in duo, lui era… beh, sono sicuro che conosci la storia”.

-La conosco.
“Era malato al tempo, quando registrammo in duo. Aveva una sorta di tumore del sangue, perciò sentiva molto dolore. Dovevamo registrare per tre sere, ma andammo avanti soltanto per due, lui non riuscì a finire l’ultima sera. Avemmo solo un altro concerto insieme dopo quell’episodio, a Parigi, e non riusciva a suonare molto. Lui suonava la melodia e io feci la maggior parte dei soli al pianoforte, e quella fu l’ultima volta che lo vidi”.

-Mi dispiace molto.
“Era marzo e io lo chiamai un mese più tardi, per sapere come stesse. Mi disse che stava bene e che avrebbe suonato per il prossimo tour, e poi a giugno… è venuto a mancare. Abbiamo perso una bella persona.

-Sì. Secondo me  Stan Getz e Paul Desmond sono due grandi sassofonisti che rimarranno nella storia del jazz
“Davvero?”.

-Sì, mi piacciono davvero tanto. Sicuramente c’è anche Charlie Parker, e tutti quei sassofonisti formidabili che sono fuori da ogni sorta di classificazione. Ma mi piacciono molto Paul e Stan per il modo che hanno di suonare.
“Quindi tu ami… il loro sound?”.

-Sì.
“Lo apprezzo. Paul aveva un sound molto morbido e snello, tenero. E una delle prime registrazioni che ho ascoltato era di Dave Brubeck e Paul Desmond, era ‘Jazz Goes To College’”.

-Sì, me la ricordo. Forse anni ’60?
“In realtà tardi anni ’50, perché ancora vivevo a Philly. Questo era uno dei miei pezzi preferiti”.

– Solo un’ultima cosa su Stan Getz… in quale occasione iniziò a collaborare con lui, a quanti anni? Ha mai rimpianto di non averlo conosciuto prima?
“Rimpiango sempre di non aver conosciuto prima le persone, ma sono lieto quando le conosco! Ricevetti una chiamata per lavorare con lui, per sostituire Chick Corea. Allora aveva una band con Stanley Clarke, Tony Williams e Chick. Mi chiamò e mi chiese di prendere il suo posto, questa fu la prima volta che lavorai con Stan. Era incredibile, suonavamo tutta la musica di Chick Corea. Penso si chiamasse “Captain Marvel Band” o qualcosa del genere. Era un piccolo tour, suonammo per poche serate soprattutto in Sud Carolina e a Baltimora. Quando partimmo Stan mi disse: “Sei davvero un musicista con esperienza”, e per me quello era un grande complimento. Per un po’ non l’ho più sentito, e poi pochi mesi dopo mi chiamò per un posto alla Stanford University”.

-Ho capito.
“Artist-in-residence. Mi chiamò per chiedermi di andare lì e suonare in alcuni concerti con lui. Da quel momento iniziammo ad andare in Europa durante l’estate perché io insegnavo alla Rutgers University e lui a Stanford, perciò non potevamo provare molto durante l’anno accademico. Ma in estate andammo a tutti i grandi festival d’Europa. Aveva una buona band, con Victor Lewis e Rufus Reid. Facemmo un paio di registrazioni a Montmartre con il quartetto, e un paio in duo. Sempre grande musica, grande scrittura. Registrammo un pezzo elettronico dal titolo “Apasionado”, in California. Mi piaceva, per me era qualcosa di diverso! C’erano gli archi e tutti i tipi di strumenti elettronici. Una grande esperienza che non avevo mai fatto prima”.

-Ok. Dato che lo ha accennato, mi piacerebbe parlare dell’insegnamento. Lei era un insegnante di pianoforte alla Rutgers University, e poi alla Julliard, la vecchia Manhattan School.
“Esatto”.

-Insegna ancora? O ha lasciato?
“No, mi sono congedato”.

-Perché, se posso chiedere?
“Beh, sto invecchiando! (ride) A un certo punto senti che hai bisogno di imparare qualcosa, ed io avevo bisogno di imparare altro. Avevo bisogno di ascoltare altre persone suonare, in un certo senso di “istruirmi”. Gli studenti erano bravi, intendo bravi davvero… che cosa avevo da dare loro? A Manhattan c’erano Gerald Clayton, Aaron Parks, era uno dei miei studenti, e molti altri… alla Julliard avevo Jonathan Batiste, alla Rutgers Terence Blanchard, Harry Allen. E tutti loro suonavano benissimo il pianoforte!”.

-Com’era un sua lezione tipo? Cosa faceva durante l’ora?
“Sostanzialmente suonavamo insieme. Ho sempre avuto due pianoforti nella mia aula. Suonavamo insieme perché questo mi permetteva di capire cosa effettivamente sapessero o non sapessero suonare. Insomma, erano al punto in cui io non avevo bisogno di dire loro “questo è un accordo di Do”, non avevano bisogno di questo da me: sapevano già come come suonare. Eravamo interessati a sottigliezze e rifiniture, e idee su tocco, frasi, cose del genere”.

-Quindi le sue lezioni erano come delle performance dal vivo, ma guidate?
“Sì, una cosa di questo tipo! Suonavamo e poi ci fermavamo, e dicevo “Ok, qui stiamo suonando una ballad, non dovete suonare così rigidamente, non c’è bisogno di suonare così tante note in questa ballad… lasciate spazio, anche il silenzio è parte della musica”, cose così. E penso che la prendessero molto seriamente”.

-Quindi… ha dei suggerimenti per diventare un buon insegnante? C’è un ingrediente speciale?
“No, non penso. Certo dipende, le persone hanno diversi modi di insegnare. Il mio modo di insegnare era quello di ascoltare i musicisti e sentire costa potevano fare, e sfidarli. Prendevamo una canzone e la suonavamo per 30 minuti, e poi facevamo un botta e risposta, per fare esercizio. E poi provavamo a sfidarci l’un l’altro, ed è un bene quando gli studenti provano a sfidare anche te. (si ride) Ho imparato molto anch’io”.

-Ok.
“Non è tipo “sono il tuo insegnante e tu fai quello che dico”, a quel livello non è così. È più uno scambio di idee. Imparo da loro, loro imparano da me”.

-Certo, grazie mille. Parliamo adesso di composizione. Lei ha composto molto: adoro “Until Then e Sunshower”, in particolare. Quanto pensa sia importante scrivere pezzi originali, che abbiano la propria firma?
“Penso sia importante, e che si debba scrivere il più possibile. Quello che cerco nella scrittura, quello che cerco di raggiungere nella composizione è… la semplicità. Non scrivo cose in 11/8, 9… non scrivo cose in tempi strani. Non sento la musica in quel modo! Alcuni musicisti lo fanno comodamente e mi piace ascoltarli, ma il mio approccio è più che altro fatto di melodie semplici, armonie che forse qualche volta sono ingannevoli… o forse non qualche volta! Per me funziona la semplicità”.

-Sì. Stavo pensando… lei reputa questo un passaggio fondamentale? Un passaggio che un musicista deve fare per sentirsi completo? O pensa che si possa saltare?
“Intendi saltare la scrittura?”.

-Sì.
“Beh, non tutti i musicisti sono compositori, alcuni di loro non scrivono. Ma, come dice qualcuno, l’improvvisazione è composizione, solo che non è scritta”.

-Infatti.
“Un musicista Jazz compone tutto il tempo… quando inizia a scrivere, quella è una composizione! (si ride) Ma molti musicisti semplicemente non sono per la scrittura, e li capisco. Io penso che sia un altro aspetto di te che dovresti esplorare”.

-Ok. Guardi, una volta ho frequentato una masterclass di Billy Childs. Secondo me è un grande compositore.

“Sì, lo è.”

-E ha detto qualcosa che io ritengo incredibile. Ha detto: “Il segreto del comporre è creare qualcosa di sorprendente, e allo stesso tempo inevitabile”.
“Sì, ok”.

-Mi suona come qualcosa del tipo: “Devi creare musica che ha dei legami con il passato, in modo che ascoltandola tu sappia dove sta andando, ma che abbia anche qualcosa di sorprendente che ne cambia la direzione”, no?
“Sì, sì, sì”.

-È d’accordo?
“Sono d’accordo. E ho ascoltato abbastanza musica di Billy Childs, è un compositore brillante”.

-Lei ricorda un buon consiglio che qualcuno le ha dato recentemente o nel passato, o un evento particolare che ha cambiato il suo modo di comporre e suonare?
“Ehm… sì! Qualcuno una volta mi diede un’idea che io poi ho provato ad applicare: prova a suonare il tuo solo nello spazio di una quinta perfetta. Tutte le tue parti di improvvisazione. Ovviamente non puoi farlo chorus dopo chorus dopo chorus, ma fai una prova. Quanto puoi suonare solo in quel piccolo spazio di una quinta perfetta?”.

-Non ho capito bene, Mr. Barron…
“Sul pianoforte, una quinta perfetta, da Do a Sol. E stai suonando una canzone, qualunque essa sia, prova a suonare tutto all’interno di quella quinta perfetta, cromaticamente”.

-Ok!
“E vedi come va. È qualcosa che puoi provare… potresti restare sorpreso. Perché qualsiasi nota tu metta insieme funzionerà contro qualsiasi accordo suonerai. Deve essere risolto, ma funziona. Questo è un consiglio che qualcuno mi diede e che ho provato. È qualcosa da ricordare”.

-Ok, ora… l’ultima parte. Oltre la musica, sono curioso rispetto alla giornata tipica di Kenny Barron. Ci sono delle cose particolari che ama fare nel tempo libero, se non suona?
“Mi piace leggere molto. Mi piace leggere romanzi”.

-Che tipo di romanzi?
“Mi piace James Patterson, romanzi gialli e cose di questo tipo”.

-Sì! Le piace Zafon? Carlos Ruiz Zafon?
“Oh, non lo conosco”.

-No? È bravo! E Dan Brown?… quello de “Il Codice Da Vinci”.

-“Oh sì sì l’ho letto! (ridono di gran gusto) L’ho letto. In realtà ho anche visto il film”.

-Sì… mi scusi, l’ho interrotta.
“No, non fa niente. Stavo dicendo che durante il Covid non c’è molto altro da fare, perché altrimenti andrei da qualche parte, ascolto musica o cose di questo tipo. Perciò questo è ciò che faccio, leggo e provo anche a cucinare!”.

-Cosa cucina?
“Schnitzel… bistecca! Cose del genere”.

-Le piace la pizza?
“La amo. E a Napoli ho mangiato la migliore pizza della mia vita.”

-Wow! Si ricorda il posto?
“No, ma era così fina… con l’aglio…non ricordo perché mi ci hanno portato. Quella fu la migliore pizza che io abbia mai mangiato. E amo anche mangiare! (si ride) Che è un male!

-No. Non è un male! Sa, quest’anno mi ha fatto realizzare appieno che ci sono anche altre cose oltre alla musica. E se si usano queste cose per nutrire il proprio “appetito musicale”, ci si sentirà più rilassati nel suonare e meglio in generale.
“Lo penso anch’io. Bisogna essere una persona a tutto tondo, il che significa fare tutto nella vita, non solo musica. Ci sono persone ossessionate dalla musica, è tutto ciò che fanno: 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Ascoltano e praticano musica, scrivono musica 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Vorrei essere una di queste persone, ma non lo sono. Ci sono altre cose che catturano la mia attenzione, come la politica o quanto accade nel mondo. Ora c’è il processo di Minneapolis (per la morte di George Floyd, NdT) che mi interessa”.

-Sì, anche a me.
“Succedono anche altre cose. Possono ispirare la tua musica, in un certo qual modo”.

-Sono d’accordo. Quali sono i suoi piani per il futuro? Ci sono nuovi album in cantiere, nuovi progetti?
“Non al momento. C’è un sassofonista, Greg Abate. Ha fatto delle registrazioni di… circa 15 miei pezzi, con il trio. Suona il sassofono contralto, e ha sovrainciso il sassofono e scritto una sorta di sezione di sax in alcuni dei pezzi. È abbastanza interessante! Ma penso che l’unica cosa che vorrei fare prossimamente è un solo, e poi forse un duo, con batteria o percussioni o… un violoncello! Sì qualcosa del genere. Ed è economico da produrre perché non devo pagare me stesso. (ride)”.

Kenny Barron, Udine, Teatro Palamostre, 10.04.2018 Note Nuove

-Verrà in Italia?
“Ci sono dei piani, non so se verranno cancellati o no a questo punto. Penso che a Perugia o Pescara ci potrò essere”.

-Lo spero!
“Lo spero anch’io! E ci sono altre cose… ce n’è una in una città chiamata… Merano? Non Milano, Merano”.

-Sì, nel nord Italia.
“Sì, non sono sicuro che accadrà. Ma penso che per luglio o agosto le cose miglioreranno almeno un po’, lo spero”.

-Sì, ed io sarò lì ad aspettarla! Vaccinato ovviamente, spero di poterla conoscere e abbracciarla nella vita reale.
“Ok! Grazie molte”.

Le sono molto grato, grazie mille.
“È stato un piacere!”.

Ci vediamo presto allora.
“Ok, ciao!”.

-Grazie, arrivederci!

Daniele Mele

As Madalenas al TrentinoInJazz

Venerdì 8 ottobre 2021
ore 19.00
Casa del Vino
Piazza S. Vincenzo 1
Isera (TN)

AS MADALENAS

Cristina Renzetti, Tati Valle: voce, chitarra, percussioni

ingresso 15 euro
con intermezzo di alcune degustazioni di Marzemino Superiore di Isera

Attesissima la serata di venerdì 8 ottobre a Isera per Jazz & Wine/Suono di-vino, il ciclo di eventi legati al jazz e alla degustazione di vini in cantine prestigiose, promosso nel circuito nazionale jazz&wine in collaborazione con il Circolo Controtempo. Al TrentinoInJazz 2021 tornano Cristina Renzetti e Tati Valle, ovvero As Madalenas.

Tra le più attive interpreti di musica brasiliana in Italia, Cristina Renzetti e Tati Valle si sono incontrate nel 2014 per unire le loro voci, le chitarre, le percussioni e dare vita ad un progetto unico, pieno di freschezza e intensità. Il primo album Madeleine (2015) ha riscosso un notevole successo di pubblico e di critica (Venerdì di Repubblica, O Globo Brasil) ed è stato presentato in importanti club e festival tra cui Crossroads, Ravenna Jazz, Casa del jazz, Piazza Verdi Live (Radio 3) etc. Nel 2018 il secondo album Vai, menina ha visto la la partecipazione di molti ospiti tra cui Guinga, Gabriele Mirabassi, Valentino Corvino e Vince Abbracciante, con le due musiciste nel pieno della loro ricerca di un suono energico e al tempo stesso sognante. Dolci e energiche, As Madalenas si scambiano gli strumenti e le intenzioni, la lingua italiana e quella portoghese, esprimendo la forza e la delicatezza del mondo femminile e le sfumature diverse del folklore brasiliano, del samba e della canzone d’autore.

Prossimo appuntamento TIJ: 14 settembre, Trento, Swing Machine.

Cos’è che luccica sul grande mare? È GradoJazz 2021 – dal 17 al 24 luglio a Grado (Go)

di Flaviano Bosco –

Lasciandoci alle spalle mesi davvero difficili e  guardando al prossimo futuro, la prima cosa che ci meritiamo è una bella vacanza “sole e mare” che ci faccia dimenticare le brutture della galera del lockdown: i locali chiusi, gli schermi dei computer, la claustrofobia nelle nostre case e il continuo bombardamento a tappeto di brutte notizie. Ora basta! L’unico obbligo per almeno quindici giorni deve essere quello di non dimenticare a casa l’olio solare, cappellino e occhiali da sole.
Dopo le giornate sul bagnasciuga per ritemprarci, servirebbe una sostanziosa, quotidiana dose di musica, il farmaco migliore per cancellare le nostre passate ubbie.
Sembra un’utopia, un luogo da sogno, una cosa del tutto irreale, ma un posto così esiste davvero: è l’isola che c’è.
Grado, la perla dell’Adriatico, da tre anni ospita quello che, per qualità e bellezze artistiche, può essere considerato uno dei più importanti festival Jazz dell’estate italiana.
Dobbiamo solo lasciarci affascinare dalle sue suggestioni, abbandonandoci ai suoni, alla brezza, alla risacca e al paesaggio ineguagliabile tra la luminosa laguna e il cielo che l’isola d’oro ci regala.
Non sono certo parole da ufficio di promozione turistica, Grado non ne ha quasi bisogno grazie alle sue bellezze e alla sua storia millenaria; poche altre spiagge possono annoverare antiche vestigia romane e basiliche paleocristiane con magnifici mosaici a pochi metri dalla sabbia dorata. Grado Jazz con la sua magia si inserisce perfettamente in questo contesto e anche qui non serve sforzarsi troppo in persuasioni occulte o trovate di marketing, basta dare un occhiata ai nomi degli artisti sul cartellone.
Cominciamo dal calibro più rilevante che ci permette attraverso la sua arte immortale e le parole delle sue canzoni di introdurci alla rassegna. Nemmeno Paolo Conte avrebbe bisogno di tante presentazioni, in realtà, ma non ci si stanca mai di dire che senza di lui in Italia il jazz non esisterebbe nemmeno. Sono state le sue canzoni a contrabbandare nella musica cosiddetta leggera e leggerissima gli accordi e i ritmi dello swing che la tradizione musicale italiana aveva contribuito a creare già nell’epoca dei pionieri della musica degenerata (Nick La Rocca, cornettista di origine siciliana, con la sua Original Dixiland Jazz Band fu il primo ad utilizzare il termine che dal 1918 definisce il genere). Certi capivano il Jazz, l’argenteria spariva, ladri di stelle di Jazz, così eravamo noi, così eravamo noi.
Con la sua orchestra di 11 elementi, l’avvocato di Asti dietro i suoi baffi e con le dita sulla tastiera, celebra ancora i 50 anni della sua Azzurro emblema della canzone italiana propriamente detta e universalmente conosciuta. Il programma di Grado Jazz sembra costruito a partire dai gusti di Conte: dal main stream del songbook classico afroamericano, alla musica brasiliana fino alle suggestioni della musica orientale e ancora dal pianismo più classico e sognante fino alle trombe levigate.
Si esibirà il 24 luglio in un luogo il cui nome da solo evoca le atmosfere e l’alchimia della sua poetica in musica: Parco delle Rose. Sembra fatto apposta per lui e le sue canzoni: sulla riva del mare, alla luce lunare, al ritmo delle onde che si infrangono placide sulla sabbia, non mancherà di certo nemmeno un gelato al limon… mentre un’altra estate passerà. Libertà e perline colorate. Ecco quello che io ti darò…
Dee Dee Bridgewater. È proprio tra le rose che sarà accolta anche una delle più splendide signore del Jazz, dalla grazia e dalla dolcezza impareggiabili unite ad una potenza vocale e ad una presenza scenica davvero sbalorditive. Sul palco delle Rose, il 18  luglio, presenterà, in esclusiva, il suo nuovo progetto musicale accompagnata da giovani talenti e dalla sua solita verve: Ma cos’è la luce piena di vertigine, sguardo di donna che ti fulmina, Come-di, come-di.

Brad Meldhau. Prodigio del pianoforte, ha smesso già da un po’ di essere quell’eterno enfant prodige della tastiera che riempiva le pagine dei rotocalchi. Meldhau si è lasciato alle spalle quell’immagine pubblica di ragazzotto americano evolvendosi in un musicista raffinatissimo, dalle doti interpretative rare e dal prezioso virtuosismo. Si presenta il 19 luglio con il suo leggendario trio che fece furori in tutto il mondo negli anni novanta e che ancora oggi non ha perso la voglia di sperimentare tra post rock, jazz fino alle allucinate visioni bibliche espresse dal leader nel misticheggiante album Finding Gabriel: Io sono qui, sono venuto a suonare, sono venuto ad amare e di nascosto a danzare…

È dedicata alla musica brasiliana una delle serate più attese della rassegna (17 luglio) che da anni presenta le novità più interessanti e la tradizione classica di quell’universo di suoni. A far da guida al pubblico un vecchio amico del festival Max De Tomassi di Radio 1 Rai (media partner ufficiale di GradoJazz, assieme a Radio 3 Rai e Rai FVG), conduttore di Stereo Notte e  già autore della trasmissione Brasil, oggi in Stereo Notte, che ha fatto conoscere al nostro paese le bellezze della musica Carioca.
Potremo ascoltare così la suadente voce di Mafalda Minnozzi Ambasciatrice della canzone italiana in Brasile e il contrario, nelle sue interpretazioni degli standard della Bossa Nova riletti attraverso il Jazz contemporaneo di New York che hanno trovato la sintesi nell’acclamato album Sensorial (2019).

Altro grosso calibro del festival in salsa piccante brasiliana è Ivan Lins che ha messo il proprio sigillo da decenni sul jazz mainstream contemporaneo del paese sudamericano. La sua vena romantica e morbida gli ha permesso di collaborare sia con gli scatenati cubani Irakere sia con il crooner confidenziale Michael Bublè portando nuovamente la musica brasiliana sul palcoscenico internazionale.
Il 21 luglio è la volta di Enrico Rava & Danilo Rea, un duo di autentici colossi della musica italiana. A ottant’anni suonati, è proprio il caso di dirlo, il trombettista triestino-piemontese può considerarsi il padre nobile dell’attuale scena musicale italiana per quanto riguarda gli artisti più ricercati. Se si guardano i componenti dei gruppi che nei suoi sessant’anni di carriera ha incrociato e lanciato si può affermare tranquillamente che li ha disegnati tutti lui soffiando nella sua tromba. Non da meno Danilo Rea che ha attraversato la storia della musica d’arte italiana dal progressive fusion più raffinato dei New Perigeo nei primi anni ‘80, passando per i favolosi Doctor 3, fino alle numerosissime collaborazioni con la creme della musica pop italiana da Mina a Celentano, da Domenico Modugno a Renato Zero e Claudio Baglioni.
David Bowie sarà omaggiato dal progetto musicale di un altro gigante del jazz di casa nostra. Paolo Fresu, con la sua straordinaria band che si avvale dell’incantevole voce di Petra Mangoni, rileggerà le meraviglie del Duca Bianco il 22 luglio. Forse non molti sanno che il battesimo musicale di Bowie avvenne nei Jazz club di Londra nei quali si faceva felicemente trascinare dal fratello. Fu questo che lo spinse a prendere lezione di Sassofono contralto, come dichiarò: Quello strumento divenne per me un emblema, un simbolo di libertà. Da allora non ne fece più a meno fino all’ultimo capolavoro Blackstar che al di là dei generi può essere considerato un’opera d’avanguardia. Fresu rilegge quella straordinaria avventura musicale attraverso la propria arte promettendo fuochi artificiali e che We can be heroes, Just for one day, We can be all us Just for one day.
Saltando ancora dall’altra parte del mondo, Grado Jazz offre ai suoi spettatori una serata interamente dedicata ai tesori musicali dell’Asia che in modo trasversale incontrano i suoni di derivazione afroamenricana. Ad aprire le danze, anzi i canti, il 23 luglio, le voci diplofoniche e triplofoniche degli Huun Huur Tu, maestri del canto laringeo degli sciamani della tundra siberiana e delle steppe mongole. Chi avesse familiarità con le spericolate arditezze della vertiginosa vocalità del compianto Demetrio Stratos può farsi una lontana idea delle meraviglie che proporranno questi musicisti che si accompagnano con gli antichi strumenti della loro tradizione.
All’Asia anteriore appartiene il mondo cui si ispira il giovane ma già acclamato pianista Tigran Hamasyan. Di origine armena ha un’idea totalmente mistica della musica come ricerca di spiritualità assoluta e trascendenza che possiamo associare liberamente al lavoro di ricerca interiore e di riflessione religiosa intrapreso da Brad Meldhau di cui dicevamo. L’arte dell’armeno è stata paragonata alla psicomagia di Alejandro Jodorowsky, quindi il Parco delle Rose deve prepararsi a qualcosa di inaudito dalla bellezza cristallina e straniante.
I manicaretti offerti da Grado Jazz non finiscono certo qui. Gli appassionati si troveranno come bambini in gelateria davanti a tutte quelle vaschette che promettono talmente tanta delizia da non saper quasi scegliere.
Al variegato all’amarena nel nostro giochino infantile potremmo associare la fantastica mostra del fotografo Luca A. d’Agostino e dell’AFIJ sui trent’anni di Udin&Jazz, matrice della rassegna gradese con immagini che restituiscono le emozioni di decenni di concerti (dal 17 al 24 luglio all’ex Cinema Cristallo).

Al gelato al caffè corrisponde il Black Water Music concerto all’alba davanti al mare di Claudio Cojaniz da assaporare nella luce del mattino (18 luglio).
Al sapore tutti frutti sarà decisamente la fanfara urbana Bandakadabra, che per le strade di Grado farà sentire i propri ottoni così come nella tradizione più autentica del Jazz.

Allo stesso modo, al fresco sapore di agrumi saranno le granite in musica distribuite negli angoli più suggestivi della città dal sassofono di Daniele D’Agaro o dalla tromba di Mirko Cisilino.
Necessariamente un gelato al limone servirà alla fine dell’escursione sulla Jazz Boat (20 luglio) attraverso la laguna accompagnati dalla migliore musica dal vivo e dalla degustazione di prodotti tipici di mare e dalle bollicine delle vigne friulane.
Black come il cioccolato più fragrante e goloso sarà il tributo alla fantastica voce soul di Aretha Franklin: Respect! Di Elena Vinci, Joy Jenkins & Michela Grilli (20 luglio).
Aristocratica zuppa inglese e malaga per i classici Standard interpretati dall’Ensemble Jazz del Conservatorio Tartini di Giovanni Maier (21 luglio, prima di Rava/rea).
Sapori sperimentali e d’avanguardia per la band di Michelangelo Scandroglio, giovane e intraprendente contrabbassista toscano tutto Pan di stelle e cacao al peperoncino (22 luglio prima di Fresu).
Un tripudio di creme colorate per i Laboratori musicali per bambini di PraticaMenteMusica e allora via libera a dolci scorpacciate in musica per i più piccoli al sapore di Puffo, gianduia, amarena, liquirizia e pistacchio. Tutte proposte che non sono per niente solo eventi collaterali ma deliziosi dessert che rendono le giornate di Grado Jazz ancora più sfiziose e colorate.
Ormai l’abbiamo capito, a Grado Jazz sarà un’estate torrida e affascinante con duemila enigmi nel jazz, ah non si capisce il motivo, nel tempo fatto di attimi e settimane enigmistiche, Arrivederci all’Isola d’oro sotto la luna del Jazz.
Il programma dettagliato lo trovate nella web-gelateria www.euritmica.it !

Flaviano Bosco