Ciao Dino “gran signore del jazz”

Se n’è andato anche lui dopo una vita straordinaria, dedicata alla musica: all’età di 94 anni ci ha lasciati Dino Piana uno degli artisti che ha contribuito in primissima persona con il suo trombone a scrivere la storia del jazz italiano. Anni attraversati con straordinaria raffinatezza, leggiadria, gentilezza. In effetti si può benissimo essere grandi musicisti senza per questo essere particolarmente simpatici: bene Dino Piana ha invece rappresentato quel che nel mondo “normale” si intende “Un vero signore”.

E per un momento lasciamo da parte i suoi meriti musicali per soffermarci sul Piana uomo: l’ho conosciuto parecchi anni fa ed una volta ho avuto l’onore di ospitarlo nel salotto di casa mia, assieme al figlio Franco, per una interessante chiacchierata sullo stato di salute del jazz italiano. L’ho sempre trovato, oltre che di una innata ed invidiabile eleganza, sempre disponibile, cortese, con il sorriso sulle labbra, bendisposto verso tutti… e soprattutto contento della vita di musicista. Talmente contento che queste qualità le ha trasmesse al figlio Franco, anch’egli persona e musicista di assoluto livello, al quale vanno le più sentite condoglianze mie personali e di tutta la redazione di “A proposito di jazz”… senza dimenticare la compagna di una vita che l’ha sempre sostenuto in questa innata passione.
Passione che si può ben riassumere in una frase che Dino pronunciò nel corso di un’intervista rilasciataci nel 2010: «Ti posso dire che io vivo la performance sempre allo stesso modo, e cioè, quando io vado a fare un concerto sono in uno stato… di follia. È una follia, una gioia, che diventano quasi un… un malessere, ecco». E per quei quattro o cinque che non conoscono Dino Piana, cerchiamo di riassumere in poche righe una carriera di oltre sessant’anni… Dino inizia il suo cammino nel 1959 quando si presenta al concorso radiofonico “La coppa del Jazz”, mettendosi immediatamente in luce come solista. Quindi entra nel quintetto Basso-Valdambrini e nelle orchestre radiofoniche e televisive, continuando l’attività jazzistica. Nella sua lunga carriera prende parte a numerosi festival nazionali ed internazionali fra cui: Comblain-la-Tour, Lugano, Berlino, Lubiana, Nizza… nonché a numerosi concerti per la RTF a Parigi, per la RTB a Bruxelles, per l’UER di Stoccolma, Oslo, Barcellona, Londra, Copenaghen. Ovviamente, sono  innumerevoli le collaborazioni con straordinari musicisti quali, tanto per fare qualche nome, Chet Baker, Frank Rosolino, Slide Hampton, Kenny Klarke, Charles Mingus, Pedro Iturralde, Paco de Lucia, George Coleman, Kay Winding, con il quale ha inciso il disco “Duo Bones”. Suona nelle Big Band di Thad Jones, Mel Lewis, Bob Brookmeyer. Il 12 maggio 1993  si esibisce in una reunion del sestetto “Basso-Valdambrini” alla Town Hall di New York.
Parallelamente, molti sono i dischi in cui è possibile ascoltarlo, sia come leader sia come side man; tra gli ultimi: “Reflections” a nome Dino & Franco Piana Ensemble e soprattutto “Al gir dal bughi” (il giro del Boogie) registrato nel 2019.
Ciao Dino chissà quante belle orchestre troverai lassù.

Gerlando Gatto

Maria Pia De Vito profonda anche nelle parole / Sonia Spinello sorprende il pubblico romano

Ancora una bella serata martedì nell’ambito degli incontri tenuti alla Casa del Jazz dal nostro direttore Gerlando Gatto. Ospiti Maria Pia De Vito e Sonia Spinello.
Atmosfera molto distesa con le due artiste assolutamente a loro agio, pur affrontando tematiche tutt’altro che leggere, ed un pubblico quanto mai attento e recettivo tra cui, in sala, due figure di rilievo del jazz italiano: Cinzia Tedesco una delle voci più autorevoli del panorama vocale e Danilo Blaiotta sicuro talento del nuovo pianismo jazz.
Apre Maria Pia De Vito che canta accompagnandosi al pianoforte: il conduttore la invita a ripercorrere i primi passi della sua carriera, quando frequentava il “Music Inn” e appariva – queste le parole di Gatto – «affamata di Jazz».

La vocalist risponde con fervore e il quadro che ne deriva è quello di un ambiente musicale molto vivo, ricco di fermenti, di novità, di un pubblico che man mano si avvicina al jazz apprezzandone il nuovo linguaggio. In tale contesto si forma la personalità della De Vito che, a partire da quei giorni, mai si è fermata nella ricerca di un’espressione artistica che meglio la rappresenti. Di qui una sperimentazione sulla vocalità che attraversa vari terreni: dal free jazz all’elettronica, dal lavoro sulla forma canzone anglofona, senza limitazioni di genere, alle riletture su musiche rinascimentali e barocche, fino alla personale elaborazione della lingua e della cultura napoletana attraverso la musica di improvvisazione. E il primo “regalo” musicale lo offre riproponendo un brano di Joni Mitchell, per sua stessa ammissione una delle sue muse ispiratrici.
Trattandosi di una cantante che come nessun’altra ha saputo valorizzare la lingua napoletana in un ambito totalmente diverso, non poteva mancare un omaggio a questa particolare sperimentazione; ecco dunque la De Vito interpretare con sincera partecipazione “Il Paradiso Dei Cacciottielli “tratto da un album particolarmente significativo intitolato “Phoné” del 2018 in cui la De Vito si esibiva accanto a John Taylor, Gianluigi Trovesi, Enzo Pietropaoli, Federico Sanesi.
L’intervista si sposta poi sull’ultimo lavoro della vocalist campana, “This Woman’s work“ per la Parco della Musica Records, riflessione in musica sulla condizione femminile, particolarmente in sintonia con il secondo libro di Gatto dedicato all’universo femminile del jazz. Su questo particolarissimo tema la De Vito si è soffermata parecchio con riflessioni sempre assai puntuali.
Avviandosi alla conclusione Maria Pia ci ha offerto un breve saggio di improvvisazione a cappella suscitando l’entusiasmo del pubblico che l’ha salutata con calorosi applausi.

Atmosfere completamente diverse nella seconda parte della serata con la vocalist Sonia Spinello accompagnata al piano dall’ottima Eugenia Canale della quale, proprio in questi giorni, è uscito l’album “Risvegli” per la Barnum.
Tornando alla serata presso la Casa del Jazz, Gatto ha tenuto a precisare che l’invito alla Spinello era determinato dal fatto che questa artista praticamente non è conosciuta nel centro-sud Italia nonostante al Nord abbia già raggiunto una buona popolarità grazie ad alcune ottime produzioni discografiche.
Spronata dalle domande di Gatto, la Spinello ha parlato a lungo delle sue attività che vanno ben al di là del fatto squisitamente musicale, estendendosi a tutta una serie di implicazioni che riguardano l’utilizzo della voce in funzione terapeutica.
Sollecitata dal critico musicale, la Spinello ha poi rammentato le tappe fondamentali della sua carriera, ponendo un particolare accento su alcuni album da cui ha tratto due brani interpretati l’altra sera: “Visions”  tratto da “Wonderland”, un album dedicato a Stevie Wonder inciso con Roberto Olzer al piano, Yuri Goloubev al basso, Mauro Beggio alla batteria, Fabio Buonarota al flicorno, Bebo Ferra  chitarra, e “Inverni”, da “Sospesa”  registrato con  Fabio Buonarota flicorno e tromba, Lorenzo Cominoli chitarra, Roberto Olzer pianoforte, Ivan Segreto voce.
Anche in questo caso convinti applausi del pubblico.
E chiudiamo con una importante comunicazione di servizio: per problemi legati alle attività della Casa del Jazz, la prossima puntata de “L’altra metà del jazz” è stata spostata al 29 novembre. Quindi gli incontri con Gatto riprenderanno il 15 (non martedì 14) con Rita Marcotulli e Ottavia Rinaldi: insomma un altro appuntamento particolarmente stimolante (ingresso 5€ – biglietti online su TicketOne.

Redazione

ℹ️ INFO UTILI:
Casa del Jazz – Viale di Porta Ardeatina 55 – Roma
tel. 0680241281 –
La biglietteria è aperta al pubblico nei giorni di spettacolo dalle ore 19:00 fino a 40 minuti dopo l’inizio degli eventi

A Latina un quartetto per ricordare Nicola Arigliano

Ancora un evento importante nell’ambito della 24° stagione del Latina Jazz Club “Luciano Marinelli” con il terzo appuntamento del “Latina in Jazz 23/24”: il prossimo sabato 4 novembre, alle ore 21:00 presso il Circolo Cittadino “Sante Palumbo“ in scena “Fasano, Biseo, Tatti, Ascolese – My Dear Nicola”.

Il 6 dicembre di quest’anno Nicola Arigliano avrebbe compiuto 100 anni dalla sua nascita e proprio da questo spunto nasce l’idea di omaggiare il personaggio, Crooner per eccellenza, con il concerto “My Dear Nicola” a lui dedicato e che vedrà protagonisti sul palco quattro musicisti di grande valore artistico che hanno avuto modo di collaborare, negli anni trascorsi, con il grande Nicola Arigliano.

Si tratta di Giampaolo Ascolese (batteria), Elio Tatti (contrabbasso), Riccardo Biseo (pianoforte) e Franco Fasano, uno dei più grandi cantautori della musica Italiana. Un concerto dedicato al cantante, attore, volto noto della TV jazzista e artista con lo swing nel sangue. Voce calda e di velluto, volto caratteristico e Go Man! Un concerto in ricordo di un personaggio entrato nell’Olimpo dei grandissimi del jazz. Un Crooner, anzi, il Crooner italiano amato e ammirato anche dagli artisti d’oltreoceano. Il Crooner “Colpevole” di aver inventato uno stile unico nel suo genere.

Redazione

Cettina Donato: una splendida conferma! Miriam Fornari: una luminosa promessa!

Ancora una serata molto positiva alla Casa del Jazz di Roma in occasione de “L’altra metà del Jazz” la serie di incontri curati da Gerlando Gatto e dedicati alle musiciste di jazz.
La serata si è aperta con la pianista messinese Cettina Donato; come prima di lei Giuliana Soscia, anche la Donato vanta un curriculum di pregio: laureata in composizione Jazz a Berklee, piano classico, musica jazz e didattica musicale al Conservatorio “A. Corelli”, e psicologia sociale all’Università di Messina, ha conseguito due master in Didattica Speciale; ha collaborato con numerosi artisti, tra i quali Stefano Battista e Fabrizio Bosso, ed è stata insignita del premio JazzIt per i suoi arrangiamenti nel 2013, 2016, 2018 e 2019. Con lei sul palco il noto attore, e conterraneo della musicista, Ninni Bruschetta, con cui ha lavorato in vari progetti.

In una vitale e rilassata atmosfera, arricchita dalla verve siciliana di Cettina e Ninni, la chiacchierata è iniziata con una panoramica sulla situazione del jazz in Sicilia, da cui è emersa una delle problematiche principali legate all’ambiente socio-culturale. Secondo la Donato, i musicisti, spesso dotati di un notevole talento, si accontentano di troppo poco, mancando la volontà di esplorare ciò che accade oltre i confini dell’isola.  Cettina ha poi raccontato gli inizi della sua carriera di direttrice d’orchestra e ha illustrato come il noto pianista Salvatore Bonafede si sia prodigato per farle da maestro di piano e mentore: in seguito, grazie alla profonda esperienza maturata negli anni,  ha evidenziato l’esistenza di una profonda differenza tra i conservatori italiani e quelli statunitensi, ricordando con molto affetto come questi (riferendosi in particolare al Berklee College of Music di Boston, dove come già detto si è laureata in composizione jazz) siano luogo di incontro tra persone provenienti da diversi Paesi e dagli innumerevoli background culturali. Come logica conseguenza, se un arrangiatore ha la necessità di uno strumento particolare, in quell’ambiente è facilissimo trovarlo; è proprio grazie a questa particolare situazione che, nel 2011, la musicista siciliana ha potuto assemblare in pochissimi giorni la Cettina Donato Orchestra e a registrare un disco in mezza giornata! Di qui il discorso si è spostato sulle sue capacità di  far convivere musica classica e jazz: in realtà – ha sostenuto la musicista – la definizione di jazz è molto vaga, difficile da dare anche dagli stessi jazzisti, sottolineando un genere in continuo mutamento, oltre che un abbattimento del concetto stesso di genere musicale, tema che verrà poi ripreso dalla seconda musicista della serata. Infine, interpellata riguardo ai consigli che lei darebbe alle nuove generazioni di musiciste jazz, Cettina suggerisce savoir-faire, umiltà, studio costante in primis e di acquisire le competenze necessarie, soprattutto non sottovalutando il ruolo che la fortuna e la serendipity possono avere in queste situazioni.
Anche questa parte è stata allietata da alcuni brani suonati dalla pianista; i primi sono stati Vorrei Nuotare e l’ironico e divertente I Siciliani, entrambi impreziositi da un bravissimo Bruschetta il cui apporto alla serata è stato tutt’altro che marginale, con interventi sempre misurati e quanto mai pertinenti. In conclusione, una struggente The Sweetest Love, brano dedicato alla memoria della madre con la Donato visibilmente commossa.

La protagonista del secondo intervento è stata Miriam Fornari: nativa di Assisi, laureata in Piano Jazz alla Siena Jazz University, è attualmente studentessa al Conservatorio di Santa Cecilia di Roma (dove risiede) e all’Accademia La Voce.
Miriam narra del suo avvicinamento al mondo della musica fin dai primi anni di età e della sua progressione negli anni. Nel corso dell’intervista riprende un po’ il concetto di genere di cui la Donato aveva parlato in precedenza, sia descrivendo una scena musicale in cui il concetto di genere sta diventando ormai desueto, sia con il suo stesso stile eclettico, influenzato dal jazz, dal rock e dalla musica elettronica. Ne ha dato alcuni esempi con le sue composizioni Samsara, Drawing (di cui è stato proiettato e illustrato il video in anteprima assoluta) e Cielo. Parte importante della sua musica, racconta Miriam, è la ricerca del silenzio, ovvero lo studio del rapporto che vi è tra il suono e il terreno fertile su cui esso si sviluppa, argomento, tra l’altro della sua tesi di laurea. Miriam spiega anche di come la sua musica voglia esprimere il rapporto tra la realtà e i sogni, specificatamente di come questi influenzino la vita di tutti i giorni. Infine, parla delle aspettative per il suo futuro, della musica che rappresenta la sua vita, delineando un quadro in cui la maggior parte dei musicisti sono uomini ma che, come già affermato da Rossella Palagano lo scorso martedì, è in continua evoluzione e cambiamento.
In conclusione, anche questo secondo appuntamento è stato molto stimolante e interessante: un degno seguito alla puntata di martedì scorso che, nonostante il meteo sfavorevole, è riuscita ad attrarre un numeroso pubblico alla Casa del Jazz.

Il prossimo incontro è in programma martedì 31 ottobre, con inizio sempre alle 21, ed avrà come protagoniste Maria Pia De Vito, Sonia Spinello ed Eugenia Canale. Ingresso 5€. Clicca qui per acquistare i biglietti online

APdJ ringrazia Riccardo Romagnoli per le immagini

Redazione

ℹ️ INFO UTILI:
Casa del Jazz – Viale di Porta Ardeatina 55 – Roma
tel. 0680241281 –
La biglietteria è aperta al pubblico nei giorni di spettacolo dalle ore 19:00 fino a 40 minuti dopo l’inizio degli eventi

 

Alla Casa del Jazz la preghiera
di Sade Mangiaracina

Vulcanica come la sua terra, la siciliana Sade Magiaracina ha presentato l’altra sera alla Casa del Jazz di Roma il suo ultimo disco, “Prayers”… anzi, ad onor del vero, solo una parte dell’album. In effetti “Prayers” consta di due CD, in cui la pianista compositrice e arrangiatrice si avvale di due formazioni diverse: la prima con Marco Bardoscia al contrabbasso e Gianluca Brugnano alla batteria, supportati in tre pezzi dal Quartetto Alborada, la seconda con   con l’aggiunta in un solo brano del già citato Quartetto Alborada.

Prayers” è il terzo disco dell’artista e la formazione con cui ha suonato a Roma (Marco Bardoscia e Gianluca Brugnano) si è dimostrata particolarmente funzionale rispetto alla musica della leader che in questo album ha voluto convogliare un suo ben preciso pensiero: “Prayers” – afferma infatti Sade – è il modo per esprimere l’esigenza di ogni essere umano di rapportarsi, almeno una volta nella vita, per qualsiasi motivo, con il divino a ciò che è astratto e intangibile”.

Insomma un album che si inserisce nel solco di quella ‘spiritualità’ tanto presente nel mondo del jazz: come non citare al riguardo “A love Supreme” di John Coltrane, tanto per fare qualche esempio.

Obiettivo raggiunto? Come al solito quando si incidono album del genere, vale a dire con una progettualità ben precisa, è sempre difficile stabilire se la musica riesce a ben veicolare il messaggio dell’artista. In questo caso, più ascoltando il concerto che il disco, questo messaggio arriva specie nei momenti in cui la musica assume un andamento quasi circolare, con la ripetizione di brevi frammenti melodici in cui Sade fa sfoggio di grande tecnica anche nel controllare perfettamente le dinamiche. Così il pianoforte, sotto le sue mani, assume anche le vesti di uno strumento a percussione raggiungendo momenti di alta intensità che emozionano un pubblico molto attento e competente. È il caso ad esempio di “Journey to Haya Sophia”, ispirato da un viaggio in Turchia, o ancora di “My Prayer” e soprattutto di “Jerusalem”, frutto di un viaggio che Sade fece alcuni anni fa con il marito e il loro bimbo di pochi mesi. Bene: nessuno avrebbe immaginato che di lì a poco il pezzo sarebbe diventato di così drammatica attualità. Il tutto mantenendo un equilibrio costante ad evidenziare la bravura degli altri musicisti. Marco Badoscia è musicista a noi già ben noto che non a caso abbiamo altre volte segnalato all’attenzione degli ascoltatori per l’assoluta padronanza dello strumento e la capacità di ben adeguarsi alle indicazioni del leader, mentre Brugnano ha offerto un drumming sempre preciso, mai invadente. E ambedue sono stati in grado da un canto di dare risalto alle origini mediterranee della musica di Sade, dall’altro di confermare quello straordinario interplay che avevamo già ammirato in precedenti occasioni – nello specifico nei due suoi album precedenti “Le Mie Donne” e “Madiba”, dal quale tra l’altro è tratto il brano “Destroying Pass Book”, eseguito in serata – rendendo praticamente impossibile discernere tra parti scritte e parti improvvisate. Al riguardo mi sembra opportuno segnalare gli assolo dei musicisti in questione: è il caso ad esempio de “La Terra dei Ciclopi”, omaggio alle radici sicule della pianista e tratta dall’omonimo album, dove Brugnano prima dell’inizio vero e proprio del brano si esibisce in un lungo ed energico assolo di batteria, o della conclusione di “Dreamers”, caratterizzata da una struggente sezione di contrabbasso offerta da Badoscia.

E concludiamo questa breve disamina del concerto di Sade Mangiaracina, con alcune parole sul vol.2 dell’album quello in cui, lo ricordiamo, si ascoltano Salvatore Maltana voce e contrabbasso e Luca Aquino alla tromba. In questa sede la musica si fa ancora più introspettiva grazie soprattutto alla tromba di Luca Aquino eccellente interprete delle intenzioni della Leader.

In definitiva un gran be concerto e un album che merita tutta la nostra attenzione.

Gerlando Gatto

Ibrahim Maalouf incanta il pubblico nell’anteprima di Roma Jazz Festival

La 47° edizione del Roma Jazz Festival non poteva avere un’anteprima più riuscita: il concerto di giovedì 12 ottobre, sul palco della Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone di Roma, è stato un successo clamoroso corroborato dalla standing ovation finale e da lunghi e convinti applausi da parte del numeroso pubblico. Ad esibirsi uno degli strumentisti più popolari della scena francese, il libanese nativo di Beirut ma naturalizzato francese Ibrahim Maalouf alla tromba e al pianoforte, accompagnato da François Delporte alla chitarra, mentre il giovane sassofonista rumeno Mihai Pirvan è stato presentato come una sorta d’ospite d’onore solo verso la fine della performance.

In occasione del concerto in Auditorium, Maalouf ha presentato alcune delle composizioni più celebri della sua carriera, a partire da quelle presenti nel suo ultimo album “40 Melodies”, un disco ricco di ospiti illustri come Sting, Marcus Miller, Matthieu Chedid, Alfredo Rodriguez, Richard Bona, Trilok Gurtu, Hüsnü Senlendrici, Jon Batiste, Arturo Sandoval e molti altri.

Ma nel caso del concerto romano non è stato tanto il repertorio che ha eseguito Maalouf, quanto il come lo ha eseguito. Sulla scia di altri straordinari performer tipo Jacob Collier nel campo del pop e Bobby McFerrin in quello del jazz, Ibrahim ha coinvolto il pubblico fin dalle primissime note del concerto. Entrato in scena con il fido chitarrista ha sollecitato il pubblico a battere le mani ed è stato immediatamente accompagnato dagli spettatori che, guarda caso, riuscivano a seguire il tempo. Poi ha spiegato il filo conduttore della sua esibizione: sciorinare in pubblico il filo rosso che lo ha accompagnato da bambino nell’amore per la musica. Di qui le prime lezioni di pianoforte, divenuto ben presto il suo primo strumento. Eccolo quindi seduto al pianoforte intonare i primi temi; così, in rapida successione, abbiamo ascoltato, tra gli altri, una cover del brano “Ama Fi Intizarak” eseguito originariamente dalla cantante egiziana Uum Kulthum, il suo più grande successo in termini di riproduzioni su Spotify (circa 22 milioni) “True Sorry”, “Lily Will Soon Be a Woman” dedicata alla crescita della sua primogenita, l’inno alla libertà “Red and Black Light”, “Happy Face”, tributo al grande Louis Armstrong…

Ma, indipendentemente dal brano, Ibrahim fa cantare il pubblico intero: lui stesso intona una melodia e poi la fa ripetere al pubblico, lo dirige con le mani per indicare la coda del motif, fa fare esercizi di vocal coaching per cercare di ottenere un effetto vocale simile a quello di Armstrong durante “Happy Face”, nel corso di “Red and Black Light” fa cantare al pubblico la melodia principale mentre lui e Delporte improvvisano alla chitarra e alla tromba, quasi si trattasse di un’enorme loopstation umana, per poi concludere facendo spegnere tutte le luci della sala, e affidando l’illuminazione alle torce degli smartphone degli spettatori, come le grandi popstar nei concerti agli stadi… e lui, al solito, pronto ad improvvisare sull’esperimento dirigendo con le mani il pubblico per dare gli accenti, le pause e quant’altro – il tutto condito da battute, aneddoti e spiegazioni sempre pertinenti. E questo esperimento, se si prendono come unità di misura gli applausi e le ovazioni ricevute da Maalouf dopo l’esecuzione di ogni singolo pezzo, può dirsi più che riuscito.

Un’ultima notazione: verso la fine, come accennato, entra in scena l’alto sassofonista rumeno Mihai Pirvan con cui Maalouf esegue gli ultimi due pezzi, “Feeling Good” (in origine eseguita con il rapper Dear Silas), e “Back to Baskinta”, comparsa nei film “In viaggio con Jacqueline” (2016) e “Regine del campo” (2020); il sassofonista evidenzia una tecnica prestigiosa mentre il timbro non ci ha del tutto convinti, un po’ troppo metallico, probabilmente anche per effetto dell’amplificazione.

Come bis un’altra trascinante composizione del leader, “All I Can’t Say”.

 

Gerlando Gatto

📷 Courtesy © Fondazione Musica per Roma / Musacchio, Ianniello, Pasqualini, Fucilla