Jazz: se agli animali piace smooth…

Lo scorso 8 febbraio è stato approvato dalla Camera, dopo il Senato, il disegno di legge di riforma costituzionale che prevede fra l’altro un nuovo comma dell’art. 9 della Costituzione che statuisce il rinvio al legislatore ordinario della definizione di modi e forme per la tutela degli animali (oltre che, finalmente, dell’ambiente e non solo del paesaggio).
La riserva di legge è una novità che recepisce i contenuti del Trattato sul Funzionamento UE nel punto di cui all’art. 13  laddove è sancito che “ l’Unione e gli stati membri devono, poiché gli animali sono esseri  senzienti,  porre attenzione totale alle necessità degli animali”. La senzienza è ora dunque uno status giuridico riconosciuto agli animali nell’ordinamento giuridico italiano. Ed è lo spunto per alcune riflessioni, su queste colonne, su che tipo eventuale di senzienza musicale possa sussistere fra l’ animale e l’uomo.

È il caso anzitutto di sottolineare che diversi compositori si sono ispirati al mondo animale. La fantasia zoologica del Carnevale degli animali di Saint-Saëns è una splendida occasione celebrativa del legame fra uomo e animali attraverso le note. Così dicasi della fiaba Pierino e il lupo di Prokof’ev, che cinquant’anni dopo, nel 1936, “doppia” gli animali con gli strumenti (uccellino/flauto, anatra/oboe, gatto/clarinetto, lupo/corni). Un ventennio ancora ed è Olivier Messiaen a scrivere le partiture pianistiche del Catalogue d’Oiseaux con i canti di uccello classificati, nella prefazione, in gridi, strofe, cadenze-assoli …  ciò a otto secoli dal Cantico delle Creature!
Immaginazione, ispirazione, onomatopea. La Animal House offre un campionario di possibili suoni per concerti e dischi.
La primordiale polifonia del Concordu e Tenore di Orosei, coro sardo che ha collaborato fra gli altri con Salis e Sissoko, si fonda sull’armonia di contra (verso della pecora), bassu (imitazione del bue) e mesuvoche (fischio del vento).
Non solo le voci, anche gli strumenti giocano una loro parte. Nel jazz c’è chi, come il sax di Dewey Redman nell’album Look for the Black Star del 1975, produce animaleschi suoni gutturali. O come il percussionista Airto Moreira che usa con Miles Davis la cuica, tamburo ad attrito brasiliano tipico del samba, il cui suono, alle origini, in Africa, era associato al ruggito della leonessa (secondo altri vicino al vocio della scimmia).
Oltre alla aneddotica, la prospettiva può riguardare progetti più ampi e persino trend stilistici.
Il trombettista Wynton Marsalis, in Spaces, ha associato i movimenti della suite affidata alla Lincoln Center Orchestra di volta in volta a galline, leoni, rane…(S. Mohamed, npr.org/2016 ).
Molto prima di lui era stato Ellington a creare nei ’20s il leopardato ed esotico jungle style che ricreava in note le atmosfere della giungla africana. Non solo. Gli animali a volte possono diventare attori in scena.
Nel 1990 fece scalpore, all’Europa Jazz Festival di Noci, una mucca che sfilava davanti al palco durante il concerto del pianista russo Sergey Kuryokhin.
Nei live il compianto leader dei Pop Mekhanika era solito inserire cavalli, oche con bande musicali (come avvenuto nella rassegna pugliese), il tutto per una scena “totale” con situazioni “allargate” bipedi-quadrupedi di spettacolarità circense. Era la sua una maniera follemente geniale di stravolgere l’idea stessa di concerto coinvolgendo nella esibizione esseri viventi presi dall’ambiente circostante, (re)incarnando una tradizione che vede il jazz lasciarsi alle spalle l’accademia per farsi pura performance.

Gli animali, è notorio, fanno capolino in tanti testi e titoli di brani musicali.
Si sfogli al riguardo la classifica “per mucche” stilata nel 2001 dal “Music Research Group” di Leicester che vede ai primi posti REM, Simon and Garfunkel davanti al Beethoven ovviamente della Pastorale. Senza essere esperti di zoomusicologia si è incuriositi dalla circostanza che grazie alla musica i maiali ingrassino meglio e le pecore producano lana in quantità superiore.
Certamente più che il guardare il “gatto pianista” su YouTube o l’esecuzione “a quattro zampe” su tastiera di una coppia di micetti del tutto speciale od anche la jazz band che suonando “When The Saints” ravvicina a sè un gruppo di vacche al pascolo.
Gesti meccanici, certo. Non è lecito immaginare nella realtà una fattoria degli animali canterina come Nella vecchia fattoria. Tuttavia viene da riflettere sull’accoglienza che, nel nostro immaginario musicale, hanno gli animali. Al punto di redigere graduatorie come “30 Best Horse Songs” (horseillustrated.com) e di dedicare intere cover a mucche tipo Atom Heart Mother , quinto album dei Pink Floyd.
Guardando in dettaglio al repertorio jazzistico si annoverano Silver Swan Rag di Joplin e Tiger Rag della ODJB, Watch Dog, nella versione di Etta James, la Animal Dance del Modern Jazz Quartet, e perché no il sincopato Maramao perché sei morto. Rinviamo comunque alla lettura delle Songs about animals riportate da John Dennis su www.theguardian il 28/4/2011 per un quadro più completo (sarebbe interessante stilarlo anche per le songs italiane, a partire magari da Una zebra a pois).
Nei testi della popular, citazione d’obbligo per The Dog Song di Nellie McKay e per le orecchiabili Felix The Cat e Dolce Lassie, ed ancora da serie tv La canzone di Rin Tin Tin , le varie sigle dell’inossidabile Commissario Rex e nei cartoni animati quella di Titti e (gatto) Silvestro.
Ci sarebbe poi una marea di canzoni “ juniores “– da Johnny Bassotto di Lauzi ad Al lupo al lupo di Dalla, da Occhi di gatto a 44 gatti,  e alle varie melodie dedicate ai vari Micio e Fido di casa nostra, molti dei quali, diciamoci la verità, funzionano da antistress per i rispettivi padroni.
Ma la senzienza ci porta infine ad approfondire l’altro “punto di vista” nel rapporto musicale di cui sopra , quello animale.
Esiste un filone di studi, si prenda ad esempio il “Journal of Feline Medicine and Surgery” dell’Università della Louisiana, relativo a ricerche che comprovano le proprietà tranquillizzanti di certa musica nei confronti di cani e gatti. Il film degli Aristogatti aveva visto lontano? In un certo senso si, ma la propensione verso il jazz non è diffusa.
Secondo il “Vet.Journal” dello scorso 19 gennaio, in uno scritto di materia musicoterapica specifico sui gatti, i compositori preferiti sarebbero Bach e Chopin le cui melodie darebbero un effetto calmante nel far superare loro il logorio della moderna vita da cani (e gatti). Una croccante scoperta, questa, in linea con gli esperimenti sulle galline che fanno più uova sentendo Mozart e sulle vacche che, nell’ascoltare sinfonica, producono più latte per come a suo tempo assodato da altri accreditati studiosi statunitensi ed all’esperienza della Muzak Inc. che produceva musica poi diffusa in stalle e pollai.

Alcuni ricercatori hanno spostato il tiro verso reggae e soft rock che, a detta della Scottish SPCA, associazione che collabora con l’università di Glasgow, pare piacciano ai cani (midogguide.com/it/dog) che per contro odierebbero l’heavy metal.
Per tornare al jazz, chissà se, come avvenuto per Elègie di Gabriel Fauret, l’amico animale intra moenia non si senta sopito, sedotto da Bill Evans!
A dire il vero il dailyJournal.net del 13 luglio 2017 ci ha rassicurato al riguardo – “gli animali possono gioire dei suoni smooth del jazz” – nel presentare una serie di concerti allo zoo di Indianapolis. Ma la cronaca giornalistica non è detto combaci con la evidenza scientifica. Sul jazz, a proposito di animali acquatici e suoni del mare, sarebbero gli squali, secondo uno studio australiano pubblicato su “Animal Cognition” ripreso da “National Geographic”, a manifestare “propensione per questo genere musicale” (corriere.it, 21/5/2018).
E David Rothenberg, filosofo compositore e clarinettista jazz, è giunto alla conclusione che “è possibile creare sicuramente un linguaggio di interposizione, anche casualmente jazz, che si raccorda per raccogliere segnali non decifrabili in prima approssimazione” (cfr. E. Garzia, Jazz ed ispirazione “animalista”, percorsimusicali.eu, 1/9/2015).
Resta il fatto che molti risultati scientifici inerenti ai “senzienti” felini e canidi domestici paiono a tutti gli effetti acquisiti. Col timore per i collezionisti che cani e gatti alla fine se ne possano contendere i dischi di jazz a suono di morsi e graffi!

Amedeo Furfaro

Grande Jazz al Roma Jazz Festival – In programma dal 1 al 21 novembre

Ci siamo. A ulteriore conferma del ritorno ad una vita normale, lunedì 1 novembre si apre la 45° edizione del Roma Jazz Festival che si concluderà il 21 novembre.
In programma 19 concerti in Auditorium Parco della Musica e al Monk; diretto come oramai da tanti anni da Mario Ciampà, il Roma Jazz Festival 2021 è realizzato con il contributo del MIC – Ministero della Cultura, di Roma Capitale ed è prodotto da IMF Foundation in co-realizzazione con Fondazione Musica per Roma.
Come al solito, questa manifestazione si caratterizza per la ricerca di un tema che anno dopo anno muta per affrontare sempre nuove sfide. Per questo difficilissimo periodo si è deciso di proseguire nell’esplorazione trasversale di ciò che ha cambiato la nostra vita in questi ultimi anni, e delle forme espressive che la musica e la cultura hanno assunto tramite l’uso delle tecnologie e dei social media. Di qui la scelta del “Jazz Code” quale tema di questa quarantacinquesima edizione del Roma Jazz festival.  Jazz, quindi, come “codice aperto”, da sempre proiettato nella continua ricerca di nuove forme, di nuove atmosfere, di nuove sonorità. Un crocevia tra le arti e i linguaggi in cui la musica si confronta con il multimediale e con le arti visive che entrano in sintonia con i suoni.
A dare concretezza a questi concetti, un cartellone di assoluto rilievo che accanto alle stelle del jazz, ai nuovi talenti internazionali unisce alcuni tra i più prestigiosi musicisti italiani.

Ecco quindi alcuni dei grandi nomi del pantheon mondiale della musica jazz come il sax tenore Joe Lovano, per la prima volta in Italia insieme al pianista polacco Marcin Wasilewski, il chitarrista John Scofield in duo con il contrabasso di Dave Holland, il celeberrimo pianista Brad Mehldau, la sassofonista Lakecia Benjamin e Roberto Fonseca, da molti considerato come l’Herbie Hancock de L’Avana. Senza trascurare l’incontro fra l’introspezione meditativa e l’attenzione per i diritti civili di The Vijay Iyer Trio
Naturalmente riflettori puntati anche sui nuovi talenti come il trombettista di New York Theo Croker e scoprire, grazie a Theon Cross, come uno strumento particolare come la tuba sia finita al centro della più innovativa scena londinese.
Per quanto concerne il made in Italy, da ascoltare con molta attenzione le sonorità della giovane italo-tunisina LNDFK, figlia della Napoli più contemporanea, mentre con il post-bop notturno si misurano i milanesi Studio Murena. Sempre in primo piano uno degli eroi della nostra infanzia, Zorro, grazie al giustamente celebrato Tinissima Quartet. Sarà altresì possibile modificare il corso di un concerto direttamente da mobile app come nel live di Tin Men and The telephone e rivivere l’esperienza di celebri videogame a suon di jazz come nel progetto, in anteprima nazionale, della Young Art Jazz Ensemble diretta da Mario Corvini. Ascolteremo altresì lo space funk dei Tangram e il jazz elettronico e cosmico di Gianluca Petrella, mentre ci si potrà smarrire fra le incursioni cinematografiche di La Batteria e le spericolate traiettorie di Ugoless, riflettere sulle memorie future di Paolo Damiani e sulla speranza di un futuro diverso come fa Giovanni Guidi con la Little Italy Orchestra.

Gerlando Gatto

1° novembre h21
MARCIN WASILEWSKI TRIO & JOE LOVANO
ARCTIC RIFF
Auditorium Parco della Musica | Sala Petrassi

2 novembre h21
GIOVANNI GUIDI/LITTLE ITALY ORCHESTRA
Auditorium Parco della Musica | Sala Petrassi

3 novembre h21
FRANCESCO BEARZATTI/TINISSIMA QUARTET
ZORRO
Auditorium Parco della Musica | Sala Petrassi

4 novembre h21
BRAD MEHLDAU TRIO
Auditorium Parco della Musica | Sala Sinopoli

5 novembre h21
UGOLESS feat. DOMENIO SANNA
Auditorium Parco della Musica | Teatro Studio Borgna

6 novembre h21
YOUNG ART JAZZ ENSEMBLE diretta da MARIO CORVINI
JAZZ IS A (VIDEO) GAME
Auditorium Parco della Musica | Teatro Studio Borgna

7 novembre h12 – h21
RJF NO JAZZ PARTY: THE TANGRAM + LA BATTERIA + STUDIO MURENA
Monk

7 novembre h21
PAOLO DAMIANI UNIT
MEMORIE FUTURE
Auditorium Parco della Musica | Sala Petrassi

8 novembre h21
THEO CROKER
BLK2LIFE
Auditorium Parco della Musica | Teatro Studio Borgna

10 novembre h21
LAKECIA BENJAMIN
PURSUANCE – THE COLTRANES
Auditorium Parco della Musica | Teatro Studio Borgna

11 novembre h21
ROBERTO FONSECA
YESUN
Auditorium Parco della Musica | Sala Sinopoli

11 novembre h21
LNDFK
Auditorium Parco della Musica | Teatro Studio Borgna

12 novembre h21
JOHN SCOFIELD/DAVE HOLLAND DUO
Auditorium Parco della Musica | Sala Sinopoli

15 novembre h21
GIANLUCA PETRELLA guest V3RBO
COSMIC RENAISSANCE
Auditorium Parco della Musica | Teatro Studio Borgna

16 novembre h21
THE VIJAY IYER TRIO
UNEASY
Auditorium Parco della Musica | Sala Sinopoli

18 novembre h21
TIN MEN AND THE TELEPHONE
GREATEST SHOW
Auditorium Parco della Musica | Teatro Studio Borgna

21 novembre h21
THEON CROSS TRIO
WE GO AGAIN
Monk

Odio l’Estate – Storia segreta di un’intossicazione da Real Book

di Alessandro Fadalti –

Il caldo ha mollato la presa solo negli ultimi giorni ed è così che ci siamo accorti che l’estate è effettivamente finita. Questo preambolo può sembrare una chiacchiera spiccia e situazionale sul meteo, se non fosse che settembre sia un mese che porta con sé una forte carica emotiva. Potremmo considerarlo il Capodanno mai festeggiato, anche se non ci sono bottiglie da stappare come durante il cenone a cui segue il più classico dei countdown. Tuttavia, proprio come quando si chiude dicembre, percepiamo il finire di qualcosa e l’inizio di un nuovo ciclo. Finisce il periodo vacanziero, le persone tornano ad affrontare la quotidianità, le giornate si accorciano, le cicale smettono di intontirci con i loro cori e l’idea di un tuffo in mare ci annoia. Per quanto nell’immaginario collettivo sia rilassante come periodo dovremmo ammettere che sotto sotto l’estate fa un po’ schifo. Bruno Martino la odiava veramente? Non potrò mai saperlo ma è spesso a lui che rivolgo i miei pensieri quando ho finito di digerire il pranzo di Ferragosto. Tutto ciò mi diede, mesi fa, lo spunto per pormi nuovamente una di quelle domande a cui nessuno è interessato. Sfogliavo alcuni indici dei Real Book per cercare qualche brano jazz da suonare e mi apparve come un anatema “Estate”; era inizio giugno e già leggere il titolo mi faceva salire la tristezza della fine di qualcosa che non era nemmeno incominciata, una sensazione perversa. A livello più lucido ho cercato risposta al quesito: «come è accaduto che una canzone italiana sia diventata uno standard jazz/latin a livello internazionale?» solo negli ultimi giorni. La storia è complessa e incompleta, vi si intrecciano molti nomi ed eventi, inoltre parliamo di un brano che ha avuto eterogenei adattamenti a livello testuale; proverò dunque ad usare un approccio cronologico per arrivare a un punto della situazione di carattere più speculativo che analitico.
La prima tappa di questo viaggio è a Napoli nel 1960, la storia che si racconta è che all’Hotel Royal Bruno Brighetti scrive il testo in seguito a un’intossicazione alimentare da frutti di mare. Il brano doveva chiamarsi “Odio l’Estate”, una dedica sentimentale a una stagione dove gli amori sono intensi ma fugaci, che causano dolore e che si spera finisca presto. La prima strofa e il ritornello infatti recitano:
Strofa 1 e 2:
Estate
Sei calda come i baci che ho perduto
Sei piena di un amore che è passato
Che il cuore mio vorrebbe cancellar

Odio l’Estate
Il sole che ogni giorno ci donava
Gli splendidi tramonti che creava
Adesso brucia solo con furor


Ritornello:

Tornerà un altro inverno
Cadranno mille petali di rose
La neve coprirà tutte le cose
E il cuore un po’ di pace troverà

Strofa 3:
Odio l’Estate
Che ha dato il suo profumo ad ogni fiore
L’ estate che ha creato il nostro amore
Per farmi poi morire di dolor

Dopo quel “morire di dolor” segue l’intervento orchestrale degli archi, e poi dei fiati, in solo, a commentare questo dolore. Successivamente, il brano si conclude con la ripetizione del ritornello e la terza strofa, per chiudere con quell’anatema fino a sparire nel silenzio: “Odio l’estate”. Rispetto alle atmosfere della canzone leggera della bella vita notturna italiana, durante gli anni del boom, tutto ciò era sicuramente in forte controtendenza, infatti Lelio Luttazzi nello stesso anno, in una trasmissione televisiva, ne fa una parodia “Odio le Statue”. Si dice che Bruno Martino, risentito della parodia, fece togliere dalle riedizioni successive la parola “Odio” dal titolo. Luttazzi non poteva sapere che da lì in poi molti artisti al di fuori dell’Italia si sarebbero cimentati a cambiarne il testo. La canzone, non la parodia ovviamente, riscuote un successo tiepido in patria, si ricordano alcune esecuzioni, tra cui quella di Milva nello stesso anno.

La tappa successiva è la meno citata e forse la più interessante. Helen Merill (nome d’arte di Jelena Ana Milčetić) è una cantante statunitense nota, ha collaborato con nomi del jazz come Clifford Brown, Oscar Pettiford e a incidere alcuni dei suoi successi c’era il tocco magico di Gil Evans, che scrisse degli arrangiamenti appositamente per lei nel ’56 (esperienza che diede i frutti a Evans per il successivo lavoro con Miles Davis). Tuttavia, negli anni ’60, la Merill si trovava in Europa, nello specifico a Roma, e lavorava con Pietro Umiliani, ma l’incontro con Morricone l’ha portata nel ‘62 a cantare “Estate” in una versione arrangiata e diretta dal maestro.
Che sia questo il ponte che ci porta alla terza tappa del brano? Perché misteriosamente nel ’65 compare “Maybe This Summer”, un adattamento inglese scritto da Al Stillman (Albert Irving Silverman) e Arthur Altman, due parolieri e musicisti che restituiranno la canzone grazie alla voce della cantante Peggy Lee. Questo è l’esatto momento in cui, per la prima volta, il testo verrà cambiato.
Strofa 1 e 2:
This summer,
Perhaps I’ll meet the one who’ll be my true love,
The one who won’t be just another new love,
Who’ll still be mine when leaves begin to fall,
Maybe this summer,
I’ll feel the glow of someone’s warm caresses,
And I will know at last what happiness is,
This summer if my lover comes to call.

Ritornello:
Will she whisper she loves me,
And tell me life was empty ‘till she found me,
And say how much she wants her arms around me,
Each day of every winter, spring and fall.
Maybe this summer…

Alla terza strofa, in questo caso, viene sostituita una breve sezione strumentale che fa una variazione sulla melodia del ritornello, raddoppiandone la durata. A livello testuale, scompare la malinconia e tutto il malessere, la canzone parla di un amore che si spera possa perdurare anche durante l’autunno e l’inverno, tutt’altro rispetto a Brighetti che non vedeva l’ora che arrivasse l’inverno e cancellasse i dolori estivi d’amore. Il fatto che il testo sia stato tradotto in inglese è un passo altrettanto inusuale, un brano italiano di musica leggera era arrivato alle orecchie e alla mano di compositori USA.
Da lì in poi il brano resta in un dimenticatoio per una decina d’anni, fino a quando João Gilberto la sente durante un tour in Italia negli anni ‘60, almeno questa è la storia che si racconta. La suona e la canta in lingua originale ma toglie la parola “Odio” addirittura dal testo oltre che dal titolo, come già Brighetti e Martino fecero. Il motivo della scelta può essere molteplice, ma quello più accreditato è di carattere stilistico, a Gilberto non piaceva e in generale, a ben pensarci, forse quella parola, associata all’estate non si adatta all’atmosfera Saudade tanto cara ai bossanovari brasiliani. Nel 1977 la canzone ritorna in auge e Gilberto la porta alla fama inserendola inaspettatamente nel suo album “Amoroso”, ed è forse questo il nodo più importante, perché da lì in poi la melodia viene ripresa senza il canto da alcuni jazzisti statunitensi, tra cui ad esempio Chet Baker, Joe Pass, e Michel Petrucciani da poco trasferitosi nel nuovo continente, ma anche Toots Thielemans in Europa.

La quinta tappa è quella che vede protagonista Joel Edward Siegel, professore d’inglese, critico musicale e cinematografico, produttore musicale e paroliere. Un personaggio polivalente che si avventura a scrivere un altro adattamento con testo in inglese, che l’abbia scoperta tramite Gilberto? Potrebbe essere, infatti l’atmosfera del brano è stravolta definitivamente nel suo senso di quell’estate tanto odiata che tutti conosciamo. Il testo è solo leggermente malinconico:
Strofa:
Estate
You bath me in the glow of your caresses
You’ve turned my eager no to tender yeses
You sweep away my sorrow with your sigh
Estate
Oh how the golden sunlight bends the willow
Your blossoms send the perfume to my pillow
Oh who could know you half as well as I

Ritornello:
I always feel you near me
In every song the morning breeze composes
All the tender wonder of the roses
Each time the setting sun shines on the sea

Qui il ritornello, invece, ha un accompagnamento molto ricco a livello armonico e con alcune risposte del piano tra una frase e l’altra, che anche in questo caso allungano la durata a livello strutturale. Il testo in questo adattamento racconta un amore attraverso metafore legate a questa stagione, non rappresenta soltanto una speranza come in Stillman e Altman, in questa versione l’amore è vissuto a pieno senza paure e dubbi e questo si riflette attraverso immagini estive ricche di sensualità. Siegel ha lavorato come produttore musicale anche per alcuni album della cantante Shirley Horn. Lei, nell’album “Softly” del 1987, ha reso celebre questo adattamento con una interpretazione che dona alla mente la visione di un’estate magica, dalla consistenza del fine velluto e passionale.
La sesta tappa ci porta qualche anno dopo ad ascoltare una delle versioni più uniche, a mio parere. Nel 1990 esce l’album “Sabìa” che porterà al successo la cantante statunitense Susannah McCorkle. La sua voce restituisce una “Estate” dallo spirito molto simile a quella di Brighetti e Martino

Strofa 1 e 2:
Summer,
I met you in the blazing heat of summer
The days were long and nights were sweet at summer
I fell in love with summer in my heart
Summer,
When we drank wine at sunset on a beach
When happiness seems almost at our reach
You held me tight and swore we never part

Ritornello:
Now I dread every summer
When all the world around me is in bloom
Instead of feeling hope I’m filled with gloom
I pray for early autumn every year

Strofa 3:
Summer,
The night you left I laid awake in cry
And in those hours something in me died
As summer turn to winter in my heart

L’estate si trasforma letteralmente in un inverno nel suo cuore, un amore finito nella tristezza assoluta dove sembra che l’unico appoggio confortevole siano i bei ricordi di pace e serenità che collegava due amanti in un sentimento… caldo come un’estate. La nota più particolare di questa versione è che dopo la terza strofa e un solo di Sax, la cantante riprende intonando il ritornello in italiano con il testo originale. Le analogie, inoltre, ci portano alla chiusura, dove con la ripetizione del ritornello in inglese la canzone si spegne con la parola Summer che incede lentamente fino a dissolversi. Il richiamo alla versione originale è forte, non solo perché canta in italiano ma perché la struttura del brano e l’atmosfera che crea è simile al dolore di cui parla Brighetti, a tratti, a mio parere, accentuata dal fatto che la cantante soffriva di depressione; sicuramente la sua interpretazione trasmette la ricchezza dei suoi sentimenti più profondi. Questa vicinanza con la versione originale è inoltre supportata dal fatto che McCorkle ha studiato lettere e si è cimentata nella sua carriera nella traduzione di canzoni brasiliane ed europee, tra cui francesi e italiane. L’adattamento della McCorkle è l’ultima tappa cronologicamente interessante prima di arrivare al punto da cui sono partito, per dare un senso finale a questo viaggio e una risposta a una domanda curiosa ma inutile, sto parlando di quel maledetto Real Book!
Settima tappa: non è un segreto la storia dei Real Book, gli studenti della Berklee College of Music si sono cimentati a trascrivere il più possibile il patrimonio dei cosiddetti standard jazz al fine di renderli accessibili e trasmetterli alle generazioni future per motivi di studio. In questa raccolta di spartiti troviamo nel terzo libro, quello dedicato alle nuove aggiunte, nella sua quinta edizione del ’91: “Estatè”. Una versione che sembra trascritta male a mio dire, oppure, ipotesi più probabile, trascritta da una versione a cui è difficile risalire, siccome tra il ritmo della melodia e gli accordi non ho trovato alcuna corrispondenza con i vari arrangiamenti e interpretazioni. A guidarci in una possibile identificazione è la scritta in alto: “Musica di Bruno Martino, Testo di Joel E. Siegel”. Sicuramente chi l’ha trascritta si sarà basato sulla versione di Shirley Horn a cui poi altri interpreti si sono ispirati, ma il cerchio non si restringe abbastanza per due motivi, il primo è che il brano viene etichettato come “bossanova” nonostante la versione della Horn non abbia per niente questo feeling bossa e in secondo luogo non ho trovato nuovamente corrispondenze. Evitando conclusioni forzate, direi che quella versione sia più una guida all’interprete che una versione pari-pari, così come altri standard presenti in quel libro. Tuttavia, nella sesta edizione del Real Book a cura della Hal Leonard, appare la canzone nell’edizione Real Book Vol II del 2005 (pag.120), nel Latin Book e nel The Real Vocal Book nella Low Voice Edition, queste ultime sono filologicamente affidabili, il ritmo e gli accordi rispecchiano la versione italiana, mentre il Latin Book quella di João Gilberto, ma in entrambe in alto troviamo scritto questa volta: “Musica di Bruno Martino – Testo di Bruno Brighetti. Il passaggio del Real Book è forse la definitiva chiave di volta della fama del brano; infatti, dal ’91 in poi diventa difficile o quasi impossibile tener conto di quante versioni siano state realmente arrangiate, eseguite o registrate.
Real Book o meno, ad oggi “Estate” resta una di quelle canzoni che il jazzista medio, nella sua formazione, probabilmente affronterà, ma di cui pochi hanno conoscenza della sua storia ironica, di come sia arrivata da un Hotel di Napoli ai palchi e studi di registrazione di tutto il mondo. Sull’onda dell’ironia, mi concedo comicamente di ringraziare i frutti di mare andati a male per il loro splendido lavoro con l’intestino di Brighetti, davvero un bel testo.
Ci sarebbero altre interpretazioni da citare ma la carta non ha abbastanza spazio; quindi, in conclusione cito le due più originali che meritano quantomeno una menzione. La prima ci porta in Francia con “Un été” di Claude Nougaro, una traduzione in francese del testo suonata in stile Chanson. L’ultima versione è contenuta in una compilation di brani estivi in stile Italo-disco uscita nell’1988 dal titolo: “Estate…(Odio l’Estate)” di Riviera, nome d’arte della pianista e cantante Elga Paoli, cui particolarità è il titolo: “This Summer” con il testo di Altman e Silverman, un mix bizzarro ma che ho trovato piacevole proprio per questa fusione assurda.

Alessandro Fadalti

Il jazz Festival Gubbio No Borders compie 20 anni: l’edizione 2021 tra concerti, cinema e masterclass

Compie 20 anni il Festival Gubbio No Borders, nato dalla grande passione per la musica e per il jazz grazie all’impegno e all’entusiasmo della Associazione Jazz Club Gubbio che negli anni ha ospitato nella città di Gubbio grandi nomi del panorama musicale nazionale e internazionale tra cui Benny Golson, James Senese & Napoli Centrale, Paul Wertico, Gino Paoli, Samuele Bersani, Fabrizio Bosso, Danilo Rea, Quintorigo, Maria Pia De Vito, Greta Panettieri, Giovanni Tommaso, Javier Girotto e Dado Moroni.
Una ricorrenza importante, quella del 20° anno, che verrà celebrata con una edizione festosa a partire dal giorno di Ferragosto fino al 31 agosto con un cartellone che comprenderà concerti, cinema, matinèe, street parade e masterclass, con la direzione artistica di Luigi Filippini.
Un programma ricco e multistilistico, reso possibile grazie anche alla collaborazione e al patrocinio del Comune di Gubbio, il prezioso sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, la partnership con la Direzione Regionale Musei Umbria e con l’IIS Cassata-Gattapone.
Ad inaugurare il Gubbio No Borders 2021, il giorno di Ferragosto, sarà la P-Funking band che alle 18.30 e alle 21.30 inonderà le vie della Città di note, invitando il pubblico a unirsi alla parata per i festeggiamenti della 20a edizione.

Lunedì 16 agosto grande attesa nella bellissima cornice del Teatro Romano per il noto sassofonista Francesco Bearzatti con il suo acclamato Tinissima 4tet e il nuovo progetto “Zorro”.
Sabato 21 agosto alle 11.30, il concerto del mattino con la band Le Scat Noir presso i suggestivi giardini pensili del Palazzo Ducale.
Lunedì 23 agosto alle 21.15 protagonista un altro grande sassofonista, Javier Girotto – un gradito ritorno al Gubbio No Borders – insieme all’ottimo pianista Natalio Mangalavite. Due raffinati artisti argentini che hanno fatto innamorare l’Italia con la loro musica, e che al Palazzo Ducale presenteranno tutto il loro universo sonoro.
Le serate di domenica 29 e lunedì 30 agosto sono dedicate al NoBorders Cinema, con la proiezione dei due film “La mélodie” di Rachid Hami e “Il concerto” di Radu Mihâileanu. Location: Il Voltone presso il Palazzo Ducale.
Martedì 31 agosto alle 21.15 si torna al Palazzo Ducale per l’ultimo concerto della XX edizione: quello della cantautrice Sara Marini con il suo progetto “Djelem do mar”.
Il 25, 26 e 27 agosto tornano al Festival le Masterclass che prenderanno avvio dalle ore 9 presso l’IIS Cassata-Gattapone.
Info per costi e iscrizioni: Associazione Jazz Club Gubbio: www.jazzclubgubbio.itgubbiojazzclub@gmail.com,  tel. 347.8283783 – 333.4192889.

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Facebook: www.facebook.com/gubbionoborders
Associazione Jazz Club Gubbio: tel. 347.8283783 – 333.4192889 – 075.9220693
Ufficio Stampa: Fiorenza Gherardi De Candei – tel. 328.1743236 e-mail info@fiorenzagherardi.com

A Tutto Jazz!

La tanto auspicata rinascita del Paese vede ai nastri di partenza anche molti festival del jazz che, more solito, si terranno lungo tutto l’parco dello stivale. Ecco, quindi, alcuni cenni sulle manifestazioni che ci appaiono di particolare interesse.

34 anni per Gezziamoci il Jazz Festival di Basilicata
“Gezziamoci, il Jazz Festival di Basilicata” è giunto alla sua XXXIV edizione e questo prestigioso traguardo viene raggiunto grazie al fatto di aver sempre tenuto fede alle sue motivazioni di fondo vale a dire l’aderenza alle esigenze del territorio e quindi la volontà di valorizzare lo stesso unitamente ai non pochi talenti locali.
Quest’anno il programma parte da giugno, mantenendo come sempre il cuore del Festival nel mese di Agosto.
Un festival pronto ad accogliere pubblico in sette comuni tra stazioni ferroviarie, chiostri, cattedrali, terrazzi, vicoli, piazze, musei, spiagge con concerti in ogni ora della giornata, laboratori di assaggio, visite guidate, trekking urbani, concerti all’alba, presentazioni di libri e letture condivise, performance di pittura.
Il titolo del Gezziamoci 2021 “Qui Basilicata, la cultura non si ferma!” vuole essere, quindi, la risposta dell’Onyx Jazz Club e di tanti sponsor e amministrazioni ed Enti che hanno voluto, insieme, dare una risposta forte per una ripresa della cultura, del turismo in una delle più interessanti regioni d’Italia.
Per gli appassionati di jazz molti gli appuntamenti da non perdere: in particolare il 20 luglio il trio di Bill Frisell con Thomas Morgan e Rudy Royston; il 5 agosto un altro trio con Kurt Rosenwinkel, chitarra, Dario Deidda, basso elettrico e Greg Hutchinson, batteria; il 7 agosto il solo della magnifica pianista Stefania Tallini; il 26 agosto l’altro piano solo protagonista Fabio Giachino; il 27 agosto Giovanni Amato, tromba – Mario Castellano, pianoforte – Marco De Tilla, contrabbasso, Pasquale Fiore, batteria & Quintetto di archi più due clarinetti, un flauto, un fagotto – Dirige Giovanni Di Napoli; il 28 agosto Rita Marcotulli, pianoforte, Ares Tavolazzi, contrabbasso e Alfredo Golino, batteria mentre il giorno successivo la stessa Marcotulli si esibirà in solo in un particolarissimo concerto programmato all’alba. Ovviamente, ampio lo spazio dedicato ai musicisti locali; così il 17 luglio si esibirà la vocalist Rossella Palagano in quartetto; il 31 sarà la volta del quartetto guidato dal chitarrista Andrea Corrado; il 24 agosto Saverio Pepe canta Battiato con Pier Domenico Niglio, programmazione elettronica; il giorno successivo si potrà ascoltare l’altro quartetto con il vocalist Emanuele Schiavone.

“Double Sky” a Padula dal 19 al 27 agosto
Sono aperte le iscrizioni per partecipare alle masterclass con i protagonisti del festival di musica internazionale “Double Sky” diretto da Maria Pia De Vito, che si terrà dal 19 agosto al 27 agosto presso la Certosa di Padula e che segna il primo passo del più ampio progetto culturale di costituzione di un polo creativo dal titolo “Padula. La Certosa delle Arti”. Un calendario di appuntamenti internazionali che prevede concerti, laboratori, masterclass e incontri, promossi e organizzati dalla Regione Campania attraverso la Scabec e realizzati in collaborazione con la direzione generale della Certosa di San Lorenzo e con la direzione regionale dei Musei MIC, con l’obiettivo di trasformare la più grande certosa d’Italia in un hub culturale in cui musica, arte contemporanea e arte barocca s’incontrano e si fondono.
Sede di eventi ma anche Summer school con classi di formazione e laboratori gratuiti condotti da musicisti del calibro di Rita Marcotulli, Israel Varela, Michele Rabbia, Daniele Roccato e la stessa direttrice Maria Pia De Vito.
Le masterclass di piano, voce, batteria, percussioni, contrabbasso e live electronics si alterneranno ai laboratori del pomeriggio in cui gli studenti potranno praticare insieme ai propri insegnanti elementi di linguaggio ritmico, voce creativa e improvvisazione intuitiva, pensati per ispirare e far crescere giovani artisti della musica e non solo.
Per iscriversi alle masterclass è necessario prenotarsi attraverso il sito www.scabec.it . Il festival Double Sky ospiterà quest’anno Rita Marcotulli, Gianluca Petrella, Luca Aquino, Peppe Servillo, Javier Girotto, Fabrizio Bosso, Giovanni Guidi, Francesco Bearzatti, Michele Rabbia; ma “Padula, la Certosa delle Arti” non è solo musica, è contaminazione, a partire dalla imminente apertura della sezione dedicata all’arte contemporanea che sarà curata da Achille Bonito Oliva, per un progetto originale di formazione per il recupero e il rilancio del patrimonio di arte contemporanea che la Certosa già custodisce.

Varata la seconda edizione del Matino Jazz
Dal 19 al 25 luglio si svolgerà la seconda edizione del Matino Jazz, che, sempre sotto l’attenta guida del direttore artistico Elisabetta Tucci, riparte dopo il lusinghiero successo ottenuto nel luglio dello scorso anno. Molte le novità di quest’anno tra cui gli aperitivi in jazz e il contest per i giovani; si tratta, in particolare, di un concorso cui potranno partecipare, inviando una mail a ‘matinojazz21@gmail.com’, i giovani gruppi emergenti indicando il progetto proposto, il repertorio, la lista dei brani e la line up dei musicisti. La partecipazione è gratuita e le iscrizioni scadono il prossimo 10 luglio. Ma l’attenzione verso i giovani è dimostrata anche dal fatto che saranno i giovani ad aprire le serate dei big. Big che rispondono ai nomi di Giovanni Imparato (voce e percussioni) e Stefano Scartocci (pianoforte) in programma il 19 luglio; Gaetano Riccobono, Massimo Farò, Byron Landham, Davide Palladin, Nicola Barbonin cartellone il 20 luglio; Salvatore Russo con il suo Gypsy Jazz Trio sul palco il 21 luglio; Fulvio Palese, sassofonista salentino doc il 22 luglio; il ben noto Lino Patruno alla testa di un agguerrito sestetto con Clive Riche in veste di ‘guest star’ il 24 luglio.
Infine il 23 e 25 luglio due serate “tra amici” in compagnia del gruppo originario di Matino Jazz composto da Andrea Pace, Giulia Salsone, Bruno Zoia, Piero Fortezza, Elisabetta Tucci, Danilo Cartia.

 

Gerlando Gatto

Esce “I Siciliani”, l’album di Ninni Bruschetta e Cettina Donato

Reduci dai successi e dai sold out teatrali de “Il mio nome è Caino” di Claudio Fava, torna in un nuovo sodalizio artistico la vulcanica coppia Ninni Bruschetta-Cettina Donato. Una sinergia unica, entusiasmante. Dopo aver interpretato un testo di teatro civile come una jam session per pianoforte e voce commuovendo il pubblico dei teatri di tutta Italia, il duo propone adesso un’altra faccia della Sicilia, quella poetica e letteraria.
A fare da sfondo all’ispirazione artistica stavolta è lo stretto di Messina, patria comune, passaggio che ha condotto i due artisti sui palcoscenici di tutta Italia e all’estero. Lo stesso varco è stato attraversato molte volte dallo scrittore Antonio Caldarella, originario di Avola e cresciuto tra Napoli, Messina e il resto del mondo.

È la sua poesia che nell’album “I Siciliani”, in uscita il 14 maggio 2021 – e disponibile in streaming e nei digital store https://believe.ffm.to/isiciliani – torna a vivere nella travolgente interpretazione di Ninni Bruschetta, in equilibrio tra recitazione e canto, e le suggestive composizioni originali firmate da Cettina Donato accompagnata da un quartetto jazz e gli archi della BIM Orchestra. Ad anticipare la pubblicazione del disco, il singolo “Alcol”, uscito venerdì 16 aprile https://youtu.be/aSOt_yvGuAI.

Il disco, prodotto dall’etichetta AlfaMusic, è una suite di 8 brani e 3 preludi per pianoforte, tutti composti e arrangiati da Cettina Donato, impegnata in questo disco al piano e – nel brano che dà il titolo al disco “I siciliani” – alle percussioni.
Con la sezione archi della BIM Orchestra unita al quartetto jazz, Cettina Donato torna al suo antico amore per il large jazz ensemble: a completare la formazione il sassofonista Dario Cecchini (Lee Konitz, Natalie Cole Band, Kenny Wheeler Hot Eleven, Funk Off, Paolo Fresu, Enrico Pieranunzi, Dave Liebman), il contrabbassista Dario Rosciglione (Cedar Walton, Joe Lovano, Randy Brecker, Phil Woods, Tony Scott, Danilo Rea) e il batterista Mimmo Campanale (Paolo Fresu, Bob Mintzer, Phil Woods, Lee Konitz, Randy Brecker, Dee Dee Bridgewater).
Le Siciliane è interpretata dall’attrice e cantante Celeste Gugliandolo (seconda a X Factor 2011 con I Moderni). Ninni Bruschetta presta la voce a tutti gli altri brani, che così descrive:
I Siciliani è un’idea moderna.
Le Siciliane è un’idea antica.
Alcol è un’ubriacatura di acquavite di Sardegna: Filu ‘e ferru malidittu!
Amico Fragile l’aveva scritta per me, ma mi disse di no. Io ero a Belgrado il giorno del suo funerale e lui l’aveva già scritto.
Amore Segreto è per chi sa amare tutte le donne insieme, ma una alla volta.
Amuri miu è solo questo.
Ninna Nanna è una profezia.
Vorrei nuotare… nel tuo stesso mare. E dove sennò?

Attore di teatro, cinema e tv, Ninni Bruschetta ha firmato più di 40 regie teatrali, dirigendo, tra gli altri, Anna Maria Guarnieri, Claudio Gioè, Donatella Finocchiaro, Roberto Citran, David Coco, Edy Angelillo e Angelo Campolo.E’ stato per due volte direttore artistico dell’EAR Teatro di Messina. Tra cinema e televisione ha preso parte a quasi cento titoli, spaziando dalle grandi serie generaliste (Squadra Antimafia, Borsellino, Distretto di Polizia,I bastardi di pizzo falcone) al cinema d’autore (Luchetti, Giordana, Corsicato, Guzzanti, Pif, Von Trotta, Woody Allen, Paolo Sorrentino) al record di incassi di “Quo Vado?” di G. Nunziante, con Checco Zalone. E’ uno dei protagonisti della serie cult “Boris” e del relativo film di Ciarrapico, Torre e Vendruscolo nonché dell’ultimo capolavoro televisivo di Mattia Torre (La linea verticale). Premio Tony Bertorelli alla carriera nel 2018. Ha pubblicato tre sceneggiature con Sellerio e due saggi critici sul lavoro dell’attore con Bompiani e Fazi.

Pluripremiata pianista, compositrice e direttore d’orchestra, Cettina Donato da anni è annoverata tra i migliori arrangiatori italiani al Jazzit Award. Conduce la sua carriera concertistica prevalentemente tra Europa e Stati Uniti. Docente di jazz in diversi Conservatori italiani, ha ricoperto il ruolo di International President del Women of Jazz del South Florida. Ha diretto diverse orchestre italiane, mentre a Boston ha fondato big band a suo nome con musicisti provenienti dai cinque continenti. Nella sua carriera ha collaborato con importanti solisti del panorama jazz nazionale e internazionale, pubblicando cinque album a suo nome.

Antonio Caldarella (1959 – 2008), attore, poeta e pittore, è nato ad Avola ed è cresciuto a Napoli, a Messina e in giro per il mondo. In teatro ha lavorato con Antonio Neiwiller, Mario Martone, Elio De Capitani, Ninni Bruschetta e al cinema con Daniele Luchetti, Francesco Calogero, K.M. Brandauer e altri. Le sue poesie sono edite da piccole Case Editrici Siciliane che avevano capito il suo genio, senza che lui si sforzasse di fare qualcosa di più che non fosse scriverle. Persino Jean Paul Manganaro ha scritto parole meravigliose su di lui. Ma dev’essere stato un caso. Forse si erano parlati una sera davanti al mare. I suoi quadri, gli acquerelli e persino i bigliettini da visita dipinti a mano, sono sparsi nelle case di amici e conoscenti che li custodiscono gelosamente.
Il disco “I Siciliani” è dedicato a Stefania Marazzita.

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