Sempre in primo piano “Il Jazz Italiano in Epoca Covid”

Procedono le presentazioni dell’ultimo volume del nostro direttore, Gerlando Gatto, “Il Jazz italiano in epoca Covid”.
L’ultima, in ordine di tempo, il 20 agosto presso la terrazza del Kursaal di Giulianova gentilmente messa a disposizione dall’assessore Di Carlo.
Ed è stata una serata davvero magica, al di là di ogni più rosea aspettativa. Gatto si è presentato con al suo fianco il celebre musicista Renzo Ruggieri, uno dei migliori fisarmonicisti jazz a livello europeo. Il tutto impreziosito da un pubblico numeroso ma, quel che più conta attento ed entusiasta.
Gatto ha introdotto la serata con poche ma esaurienti parole sul volume in oggetto, lasciando quindi campo libero a Ruggieri il quale ha affascinato e commosso il pubblico con una sua splendida composizione “Terre”.
La serata è proseguita, quindi, con un serrato dialogo tra Gatto e Ruggieri con quest’ultimo che, oltre ad essere un grandissimo musicista, ha evidenziato una squisita sensibilità nell’illustrare le motivazioni e le valenze del volume. Ma, com’era logico attendersi, il pubblico ha particolarmente gradito le performances solitarie del fisarmonicista che ha presentato, in successione, altre due sue composizioni, “Carnevale” e “La lettera” per chiudere con il celeberrimo “Libertango”. Dal canto suo Gatto ha spiegato perché ha inteso il volume come una testimonianza giornalistica avendo preferito non esporre proprie idee ma lasciar parlare i musicisti.
Alla fine della serata Gatto mi ha confessato che la sua più grade soddisfazione era stata la dichiarazione di una gentile signora che, dopo averlo ringraziato per la presentazione stringata, senza fronzoli, aveva esplicitamente dichiarato che dopo aver sentito Ruggieri, aveva cambiato idea sul jazz: “Prima dicevo che non mi piaceva, ma se questo è jazz adesso lo adoro”. (Redazione)

In precedenza il 2 luglio, nell’ambito del Festival jazz di Palermo di cui vi abbiamo ampiamente riferito, nella splendida cornice del “Ridotto dello Spasimo” appuntamento con Gerlando Gatto per la presentazione del volume in oggetto. All’evento hanno partecipato anche Ignazio Garsia anima pulsante del Brass, Rosanna Minafò instancabile addetto stampa presso la fondazione Brass Group nonché Responsabile Ufficio Stampa presso Sicilia Jazz Festival, e la cantante Kate Worker. La serata è stata vivacizzata da polemiche sollevate da alcuni partecipanti: in effetti mentre Gatto, limitandosi a riportare le opinioni dei musicisti, sottolineava come gli stessi non fossero rimasti particolarmente soddisfatti del comportamento del governo durante quel terribile periodo del lockdown generalizzato, alcuni tra il pubblico hanno fortemente contestato queste affermazioni sostenendo che il governo si era mosso assai bene. E si è arrivati a sostenere che l’Italia era stata la nazione che meglio era riuscita a tutelare i musicisti rimasti senza lavoro, affermazione che francamente si può accettare solo presupponendo una precisa e ben individuata militanza politica. Comunque la serata è ben presto rientrata nei limiti di una piacevole dialettica grazie ad un canto alle pregevoli performance canore della Worker, dall’altro dal sempre puntuale intervento di Garsia che ha riprodotto la sua tesi (per cui ha lanciato una petizione) affinché la produzione delle 58 orchestre pubbliche sia estesa al Jazz, creando 1200 posti di lavoro per un’offerta più rispondente ai bisogni di musica del Paese .

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Parallelamente a queste presentazioni, si susseguono anche le recensioni sulla stampa. Questa volta ne segnaliamo due. La prima è uscita sul quotidiano La Sicilia di Catania di qualche giorno fa a firma di Leonardo Lodato e ve la riproponiamo integralmente:
MUSICA
Gerlando Gatto e il mondo del jazz ai tempi (duri) del Coronavirus (LEONARDO LODATO)
Il silenzio si fa musica. E viceversa. Può sembrare banale (o, forse, anacronistico) ma il libro “Il jazz italiano in epoca Covid” (pp. 217) è occasione e spunto di riflessione/i per chi fa musica e per chi la ascolta, perché il Covid, e soprattutto i consequenziali
lockdown, hanno modificato, se non radicalmente cambiato, certi modi di interpretare le “pause”, generando il silenzio come “sinonimo di attesa”.
Lo sa bene Gerlando Gatto che non vuole ergersi a saccente risolutore di problematiche esistenziali ma che, da ottimo conoscitore della scena jazzistica italiana, ha voluto raccogliere e mettere in ordine “sentimenti” e sensazioni, lo state of mind del mondo del jazz ai tempi del Coronavirus. Quarantuno gli artisti interpellati. Undici domande indirizzate ai protagonisti, per entrare nella loro vita privata o, per meglio dire, come accaduto a tutti noi, “derubata” della routine, del contatto diretto con gli altri. Ed è emblematico che a rispondere per primo alle domande di Gerlando Gatto, sia stato chiamato Claudio Angeleri, pianista e compositore nato proprio in quella Bergamo divenuta tristemente simbolo del disagio e del terrificante scontro con la prima ondata di Covid (e chissà per quanto tempo ci porteremo dentro agli occhi e al cuore, quella sfilata funebre di carri militari).
Racconta Angeleri: «Ho cercato subito di essere vicino ai giovani facendo quello che so fare meglio. Cioè insegnando e suonando… Cambieremo modo di essere e anche di fruire della musica per almeno i prossimi due/tre anni…». Forte delle sue frequentazioni, Gerlando Gatto coinvolge nel progetto artisti di caratura internazionale, pensiamo ad Enrico Rava, Fabrizio Bosso, Franco D’Andrea. E tanti siciliani come lui (catanese di stanza a Roma), come Rosalba Bentivoglio, Francesco Branciamore, Cettina Donato, Pippo Guarnera e Stefano Maltese. Ma è con le parole della vocalist Enrica Bacchia che ci piace l’idea del ripartire da zero per ricostruire
il rapporto tra musica e musicisti, tra palco e spettatore. Da quelle «intuizioni ancora in fasce, campi positivi e negativi di energia con cui relazionarsi, filamenti di futuri astratti da condensare…».

La seconda è stata pubblicata su Alias (“Manifesto”) a firma di Luigi Onori già apprezzato collaboratore di “A Proposito di Jazz”.
UN LIBRO
Esce tre mesi dopo l’inizio del lockdown Il jazz italiano in epoca Covid. Parlano i jazzisti (pp. 218, GG edizioni), che il giornalista e critico musicale Gerlando Gatto pubblica nel giugno 2020. La sua è una delle «voci» jazzistiche più autorevoli: Gatto, attivo dagli anni Sessanta, esperienze dalla radio alla carta stampata, dalla tv al web, dal 2007 cura un blog-newsletter che nel ‘17 è diventato testata giornalistica:
A proposito di jazz. Ha realizzato, tra l’altro, due volumi di interviste nel 2017 e ’18 e
usa la forma-intervista nel nuovo testo per dialogare con 41 jazzisti di varie generazioni (E. Rava, L. Tucci), stili (S. Maltese, R. Ruggieri), strumenti (F. D’Andrea, F. Bosso), sesso (C. Donato, R. Bentivoglio).
Si serve di una griglia di undici domande modificandola quando possibile, a seconda
di come l’intervista sia stata raccolta, prevalentemente a distanza. I quesiti-base vanno dalla situazione economica alla mutazione delle relazioni umane e professionali, dai rapporti con istituzioni e organismi di rappresentanza al valore della musica e a cosa ascoltare durante l’isolamento.
Il pianista classico Massimo Giuseppe Bianchi, nella prefazione, specifica che l’autore «ha provato ad andare oltre l’analisi stilistica (…). Gerlando capisce e ama la musica, rispetta i musicisti e da loro è rispettato nonché, come da qui traspare, riconosciuto quale interlocutore credibile (…). Ha voluto, credo, fare quello che un critico non ha tempo o voglia di fare: comunicare direttamente con la persona (…). L’interesse del presente volume, ne sono convinto, non si esaurirà con l’estinzione del pericolo attuale».
Ha ragione il prefattore, perché se a una prima lettura si sente la mancanza di una
sintesi ragionata delle risposte, rileggendo Il jazz italiano in epoca Covid si apprezzano la varietà dei pareri e l’apertura delle idee. Ciò restituisce l’effetto traumatico, spiazzante del primo lockdown e fa capire, a distanza, come l’interpretazione del fenomeno e del suo impatto sia ancora «aperta». Ecco una breve antologia di risposte.
Francesco Cusa: «Ritengo che sarà molto difficile ripartire. Occorrerà approfittare di questo stallo per rivedere la politica dell’organizzazione musicale in Italia, liberarla dai gangli che la congestionano in clan e cordate, per una gestione e selezione più armoniche e meno elitarie. La parola d’ordine è comunque defiscalizzare».
Massimo De Mattia: «Credo che l’arte e la cultura siano il vero capitale, senza il quale oggi saremmo già tutti vittime della disperazione. Abbiamo bisogno
di assurgere a un nuovo stato emotivo di speranza e meraviglia, di folgorazione e
di sogno (…) Non vedo su quali altre forze contare. A parte l’amore».
Maria Pia De Vito: «Si stanno attivando moltissime catene di solidarietà, ed è una bella cosa. Per chi riesce a mettersi in ‘pausa’ nella pausa, è come un ritiro spirituale, una grande pulizia interna. Ma non ho molte illusioni sulle dinamiche dei ‘poteri’ che ritroveremo all’uscita da tutto questo».
Enzo Favata: «Ho deciso di riorganizzare il mio tempo, dando uno schema rigido alle mie lunghe giornate, suddivise con orari ed impegni precisi (…) 400 ore di registrazione, non voglio lasciarle in un cassetto e le cose più interessanti le sto rimasterizzando e mettendo online, sarà un lavoro che continuerò anche finiti i
tempi del coronavirus».
Paolo Fresu: «Seguo con attenzione le istanze del mondo dei lavoratori dello spettacolo che versano in condizioni di estremo disagio. Partecipo a una miriade di tavoli di discussione su questi temi e si sta tentando di mettere assieme tutti e di dialogare perché il nostro mondo è molto vasto ed altrettanto sfilacciato. Dirigo
anche le attività della Federazione Nazionale il Jazz Italiano, della quale sono il presidente».
Enrico Intra: «I rapporti tra persone si modificheranno per chi ha memoria del passato. Per chi non ha cura dei beni comuni che ci circondano e attenzione verso il prossimo non cambierà nulla. Lo dico per esperienza. Ho vissuto da bambino quel drammatico periodo della Seconda guerra mondiale, la povertà del dopoguerra
e certi avvenimenti tragici che hanno segnato la nostra Repubblica qualche decennio
dopo».
Nicola Mingo: «Cerco di reagire mantenendo un contatto diretto con il pubblico (…) attraverso i social. Organizzo dirette e video party con miei home concert, invitando i follower e gli appassionati per stare in compagnia e far ascoltare la mia musica. Il vantaggio dei social è che ti (…) consentono la comunicazione diretta con musicisti e appassionati da ogni parte del mondo».
Franco Piana: «Spero che (il Covid, ndr) ci faccia capire quanto è importante dare la
precedenza alle persone piuttosto che alle cose, siamo sempre troppo presi da noi stessi e abbiamo poco tempo da dedicare alle persone care o a quelle bisognose».

Per dodici giorni Palermo capitale del jazz

Varie produzioni in esclusiva europea e prime assolute per un totale di ben 10 produzioni orchestrali, 6 Direttori d’Orchestra, 110 concerti dislocati in 4 luoghi diversi tra il Teatro di Verdura, il Real Teatro Santa Cecilia, il Complesso Santa Maria dello Spasimo e il Palazzo Chiaramonte, conosciuto come Steri, sede dell’Università cittadina: questa, in poche ma eloquenti cifre, la carta d’identità del Sicilia Jazz Festival che in dodici giorni (dal 24 giugno al 5 luglio) ha trasformato Palermo in una sorta di mecca del jazz.
La capitale della Sicilia è stata come invasa da un’ondata di musica che ha interessato migliaia e migliaia di spettatori che hanno ascoltato con interesse i tanti concerti proposti. Peccato che nessuno di noi possegga il dono dell’ubiquità in quanto, ad esempio, avrei assistito assai volentieri alle performances di Dino Rubino, Giacomo Tantillo, Giuseppe Milici…tanto per fare qualche nome.

Altra caratteristica del Festival: il ruolo dato all’ Orchestra Jazz Siciliana che ha avuto l’onore e l’onere di accompagnare alcuni dei grandi solisti presenti al Festival, e la possibilità fornita ai giovani musicisti dei conservatori siciliani di esibirsi finalmente in pubblico. Ed è proprio questa attenzione ai talenti locali che rende un Festival del Jazz degno di essere pensato, realizzato e sostenuto con fondi pubblici. In effetti il Festival, organizzato dalla Regione Siciliana – Assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo – con il coordinamento artistico affidato alla Fondazione The Brass Group, istituita con legge del 1° febbraio 2006, n. 5,  si avvale della preziosa collaborazione del Comune di Palermo, dell’Università di Palermo, delle produzioni originali del Brass Group e degli apporti dei Dipartimenti jazz dei Conservatori “Alessandro Scarlatti” di Palermo, “Arcangelo Corelli” di Messina, “Antonio Scontrino” di Trapani, “Arturo Toscanini” di Ribera e dell’Istituto superiore di studi di musica “Vincenzo Bellini” di Catania. L’obiettivo: come si accennava, coinvolgere in una concreta sinergia strutturale le istituzioni didattiche regionali, i musicisti del territorio e le maestranze locali.

Ma veniamo adesso al lato più strettamente musicale.

Per motivi di lavoro ho potuto assistere solo agli ultimi cinque concerti, tutti comunque di spessore e tutti svoltisi nel magnifico scenario del “Teatro di Verdura”

Ma procediamo con ordine. Il primo luglio è stata di scena la vocalist Dianne Reeves con il suo quintetto completato da John Beasley al piano, Romero Lubambo alla chitarra, Itaiguara Brandao al basso e Terreon Gully alla batteria. A parere di chi scrive, la Reeves è oggi una delle voci più interessanti, suggestive, personali del mondo del jazz e tutto ciò è stato ampiamente evidenziato anche durante il concerto palermitano. Ben supportata dal gruppo, la Reeves ha sciorinato un repertorio godibile dalla prima all’ultima nota in cui le parole lasciavano spesso campo libero a vocalizzi che richiamavano la grande tradizione del canto afro-americano. A conferma della versatilità di un’artista che oltre a vincere vari Grammy Awards (gli ultimi nel 2006, per la colonna sonora del film “Good night, and good luck” diretto da George Clooney, e nel 2015, per l’album “Beautiful life” dopo i precedenti quattro conquistati nel 2001, 2002, 2003 e 2006), in questo ultimo scorcio di tempo si è maggiormente concentrata, come si diceva, sul solco tracciato da voci leggendarie quali quelle di Billie Holiday, Ella Fitzgerald e, soprattutto, di Sarah Vaughan, cui tempo fa ha dedicato un intenso omaggio discografico. Tra le interpretazioni più convincenti le originali versioni di “Morning has broken” scritta da Cat Stevens e “Talk” di Pat Metheny. Insomma un concerto straordinario, sicuramente tra i migliori ascoltati a Palermo, che resterà sicuramente nel cuore e nella mente di chi, come il sottoscritto, ha avuto il piacere di parteciparvi.

Il giorno dopo grande attesa per il concerto di Ivan Lins con Jane Monheit e l’Orchestra Jazz Siciliana, diretta dal maestro Riina. Ora, fermo restando il piacere di aver riascoltato dopo un po’ di tempo Ivan Lins, devo confessare che sono rimato un po’ deluso dall’andamento del concerto. Ed il perché è presto detto: Ivan Lins ha scritto vagonate di musica e quindi mi sarei aspettato di ascoltarlo quasi totalmente in brani di sua composizione. Invece ci ha offerto versioni di brani già iper-noti come “Dindin”, “Insensatez”, “Garota de Ipanema”, “Check to check” che nulla tolgono ma nulla aggiungono alla statura di un artista che, come si diceva, si caratterizza per essere non solo un grande performer ma anche – e forse soprattutto – per le sue straordinarie capacità compositive. Ovviamente non sono mancate sue composizioni ma non abbastanza.

Bene Jane Monheit che ha messo in mostra una bella voce, ben intonata ed equilibrata, accompagnata da una sicura presenza scenica. Altro elemento positivo, il ruolo dato ad alcuni solisti dell’orchestra quali Gaetano Catiglia e Fabio Riina alle trombe, Francesco Marchese e Alex Faraci al sax tenore, Claudio Giambruno e Orazio Maugeri al sax alto, Salvo Pizzo al trombone, Elisa Zimbardo alla chitarra.

Durante l’esibizione di Ivan Lins un siparietto simpaticamente comico: mentre il cantante brasiliano intonava la sua “Ai, Ai, Ai, Ai, Ai” il maestro Riina scivolava senza alcuna conseguenza ma dando così corposa consistenza al titolo del pezzo.

Eccellente prova il 3 luglio della vocalist Simona Molinari accompagnata dall’Orchestra Jazz Siciliana, diretta dal maestro Vito Giordano. A mio avviso la Molinari matura di giorno in giorno in quanto riesce sempre meglio ad attare le sue notevolissime capacità vocali al repertorio che ha scelto di presentare. Un repertorio che sembra fatto apposta per accontentare sia il pubblico del jazz (con una serie di straordinari pezzi quali “Fly Me To The Moon”, “All Of Me”, “The Look Of Love”, “Summertime”) alternate con pezzi più vicini ai giorni d’oggi come “Fragile”. Ma intendiamoci: ciò nulla toglie alla cantante che anzi, come si accennava, evidenzia una versatilità che sicuramente le gioverà nel corso di una carriera già luminosa. Non a caso il suo concerto a Palermo è stato tra i più applauditi con numerose richieste di bis.

Il 4 luglio un mostro sacro del jazz, Christian Mc Bride; quando si parla di questo artista è difficile definirlo dal momento che si tratta di un grande virtuoso del contrabbasso, ma allo stesso tempo di un grande compositore, grande arrangiatore, eccellente didatta e, ciliegina sulla torta, direttore artistico del Newport Jazz Festival. Nato a Filadelfia il 31 maggio 1972, in soli 50 anni ha avuto una carriera davvero incredibile. E come i grandi artisti, fuori dal palco è una persona estremamente gentile e disponibile concedendomi una lunga intervista che pubblicherò nei prossimi giorni.

Venendo al concerto di Palermo, McBride ha evidenziato tutti gli aspetti della sua variegata personalità, suonando magnificamente il contrabbasso ma allo stesso tempo presentando alcune sue composizioni da lui stesso arrangiate per big band e dediche particolarmente sentite: è il caso di “Killer Joe” di Benny Golson, del sempre splendido “Spain” di Chick Corea, “Full House” di Wes Montgomery, “I Should Care” di Axel Stordahl, Paul Weston e Sammy Cahn mentre l’altro hit, “Come Rain or Come Shine” è stato interpretato con bella pertinenza dalla moglie di Christian, Melissa Walker. Quasi inutile sottolineare come la performance di McBride sia stata salutata con applausi a scena aperta da parte dal numeroso pubblico che, d’altro canto, non ha fatto mancare il proprio supporto ai numerosi solisti dell’orchestra che grazie agli arrangiamenti di McBride hanno avuto l’opportunità di mettersi in luce.

Gran finale il 5 luglio con Snarky Puppy ovvero la band del momento. Nato nel 2004 come progetto estemporaneo di un gruppo di studenti di un college del Texas, il collettivo statunitense che ruota attorno al perno costituito dal bassista, compositore e produttore Michael League (la formazione è variabile e a volte comprende anche alcune dozzine di musicisti) ha consolidato il percorso artistico non solo con dischi accolti assai bene da pubblico e critica, ma soprattutto attraverso un’attività live che sembra costituire la loro dimensione ideale. Dimensione che è stata pienamente confermata dal concerto palermitano in cui il gruppo si è presentato in nonetto. Ma questo appuntamento è risultato particolarmente interessante in quanto il gruppo ha presentato tutta musica nuova, una serie di brani che andranno a costituire il prossimo lavoro discografico. Come al solito la loro musica è risultata coinvolgente essendo il risultato di una ricerca che riesce a mescolare jazz, fusion, funk, prog e rhythm’n blues in una miscela con cui  hanno rapidamente scalato le classifiche discografiche di questi ultimi tre lustri, conquistando anche vari Grammy Awards.

Gerlando Gatto

Grandi voci…e non solo al Sicilia Jazz Festival

La Sicilia è terra di jazz non solo perché ha dato i natali a tanti musicisti di livello (alcuni dei quali hanno davvero scritto la storia del jazz italiano) ma anche perché ogni anno vi si svolgono manifestazioni di grande interesse.
Tra queste figura senza dubbio alcuno il “Sicilia Jazz Festival” che ha aperto i battenti con la sua nuova edizione ricca di grandi nomi e con progetti artistici inediti.
La manifestazione si svolgerà da oggi, venerdì 24 Giugno, al 5 Luglio nel cuore del centro storico di Palermo ed in alcuni dei più bei suggestivi siti monumentali, e sarà impreziosita da concerti tra big, musicisti residenti, Maestri e giovani talenti dei Conservatori siciliani. In tutto sono previsti 110 concerti al Teatro di Verdura, Real Teatro Santa Cecilia, Complesso Monumentale Santa Maria dello Spasimo e Steri. Peculiarità di quest’anno sarà la direzione dell’OJS, affidata per ogni concerto a Direttori diversi al Teatro di Verdura, il M° Gabriele Comeglio, il M° Giuseppe Vasapolli, il M° Piero Romano, il M° Domenico Riina, il M° Antonino Pedone, il M° Vito Giordano.

L’apertura è stata affidata ad un doppio concerto: la Concertgebouw Jazz Orchestra con la grande artista olandese Trijntje Oosterhuis sul palco dello Steri nel JazzVillage alle ore 19.30 presenta “Sing Sinatra”; due ore dopo al Teatro di Verdura il pubblico potrà ascoltare le orchestrazioni e gli arrangiamenti di canzoni d’autori italiani appositamente commissionati al Grammy Award, Michael Abene, già Associate Professor of Jazz Composition at Manhattan School of Music, interpretati da Paolo Fresu in prima assoluta, accompagnato dall’Orchestra Jazz Siciliana, diretta dal resident conductor, Domenico Riina.

Il giorno dopo di scena una delle mie preferite: la vocalist Sarah Jane Morris; oramai da tanto tempo sulle scene la Morris nulla ha perso dell’originario fascino conservando una naturalezza ed una squisita gentilezza che raramente si riscontrano in artiste del suo calibro.
Il 26 Raphael Gualazzi e il 27 i New York Voices sempre con l’Orchestra Jazz Siciliana; il gruppo vocale statunitense è stato fondato nel 1987 da Peter Eldridge, Caprice Fox, Sara Krieger, Darmon Meader e Kim Nazarian.

Il 28 e 29 ancora spazio alle voci con le performances, rispettivamente, di Max Gazzé e della vocalist olandese Fay Claassen ( Nijmegen, 2 dicembre 1969 ) che bene hanno fatto gli organizzatori ad invitare dato che ancora nel nostro Paese non è molto conosciuta.

Il 30 giugno sarà di scena Tom Seals; il pianista e vocalist sta ottenendo un grande successo di pubblico e di critica grazie da un canto ad un pianismo a tratti elettrizzate sostenuto da una solida tecnica, dall’altro ad un modo di cantare con brillantezza e un pizzico di ironia che mai fa male. Il confronto con la formazione siciliana diretta da Vito Giordano si preannuncia, quindi, elettrizzante anche per l’inedito repertorio costituito prevalentemente da composizioni originali dello stesso Seals.

Il I luglio appuntamento da non perdere con un’altra delle grandi voci del jazz di oggi: Dianne Reeves che si presenterà con il suo quintetto insieme all’Orchestra Jazz Siciliana, diretta da Giuseppe Vasapolli. Artista versatile e di grande comunicativa, Dianne Reeves conosce assai bene non solo l’intero universo della musica “nera” ma anche tutti quei territori affini con cui il jazz si è misurato nel corso degli ultimi 100 anni; di qui le sue brillanti collaborazioni con musicisti di ambito assai diverso come Sergio Mendes, Harry Belafonte, Charles Aznavour e Salomon Burke.

Sabato 2 luglio escursione nel mondo della grande musica brasiliana con due artisti di assoluto livello mondiale: Ivan Lins, che si esibirà insieme a Jane Monheit e l’Orchestra Jazz Siciliana diretta da Domenico Riina. Lins è artista di fama internazionale che per oltre 30 anni ha scritto e interpretato i brani più belli di Música Popular Brasileira e jazz. È anche pianista di squisito tocco jazzistico e da mezzo secolo le sue canzoni, ricche di bellezza melodica e seduzioni armoniche, impreziosiscono il repertorio di grandi voci come Elis Regina, Sarah Vaughan, Ella Fitzgerald, Barbra Streisand, Dionne Warwick, Michael Bublé e, appunto, di Jane Monheit. Quest’ultima è una acclamata stella della nuova generazione del canto jazz statunitense che proprio col musicista di Rio De Janeiro vanta una intensa e felice collaborazione; la vocalist ha da poco pubblicato il suo ultimo album “Come What May”, prodotto da Joel Lindsey e Sharon Terrell e dedicato ad alcuni standard del jazz, ben coadiuvata da Michael Kanan (piano); Rick Montabano (drums); David Robaire (bass); Kevin Winard (percussion); Miles Okazaki (guitars).

Il 3 luglio una delle più belle voci del panorama musicale nazionale, Simona Molinari, con l’Orchestra Jazz Siciliana diretta da Vito Giordano, in un programma che accanto ad alcuni capolavori del jazz propone anche canzoni del nostro tempo.

Ultime due giornate col botto, se ci consentite l’espressione: il 4 avremo modo di ascoltare uno dei grandi del jazz in assoluto, il contrabbassista Christian McBride, con l’orchestra Jazz Siciliana diretta nell’occasione da Domenico Riina, in un omaggio a Jimmy Smith, Wes Montgomery e Oliver Nelson, ovvero lo stesso progetto che proprio da poco ha guadagnato al contrabbassista l’ottavo Grammy Awards della sua carriera. Christian McBride è a ben ragione considerato uno degli indiscussi maestri del contrabbasso jazz, per virtuosismo tecnico, senso dello swing, gusto musicale e sapiente uso dell’archetto. Inutile in questa sede ricordare gli artisti con cui McBride ha collaborato…forse sarebbe più facile elencare quelli con cui non ha suonato, esercizio che comunque rimandiamo ad altra occasione. Per il momento è importante sottolineare come il musicista abbia scelto Palermo e il Sicilia Jazz Festival per inaugurare il suo tour europeo.

Martedì 5 luglio chiusura straordinaria con Snarky Puppy . Nato nel 2004 come progetto estemporaneo di un gruppo di giovani musicisti attorno al compositore e produttore Michael League, nel corso di questi ultimi anni la formazione ha ottenuto straordinari riconoscimenti di pubblico e di critica grazie ai notevoli album presentati ma soprattutto alle esibizioni live in cui riesce a dare il meglio di sé evidenziando eclettismo, presenza scenica e ovviamente preparazione musicale di ogni singolo partecipante.

Il Festival è organizzato dalla Regione Siciliana – Assessorato al Turismo, Sport e Spettacolo, il cui coordinamento artistico è affidato alla Fondazione The Brass Group, e si avvale della preziosa collaborazione del Comune di Palermo, dell’Università di Palermo, delle produzioni originali del Brass Group e degli apporti dei Dipartimenti jazz dei Conservatori “Alessandro Scarlatti” di Palermo, “Arcangelo Corelli” di Messina, “Antonio Scontrino” di Trapani, “Arturo Toscanini” di Ribera e dell’Istituto superiore di studi di musica “Vincenzo Bellini” di Catania.

Gerlando Gatto

Udin&Jazz torna a Udine, nella sua sede naturale, dal 12 al 16 luglio

Udin&Jazz ritorna nel suo luogo naturale: il capoluogo friulano ospiterà dal 12 al 16 luglio la 32° edizione di “Udin&Jazz”, a cura di Euritmica, la gloriosa manifestazione che nel corso degli anni ha assunto un’importanza sempre crescente nel pur vastissimo panorama dei festival italiani dedicati alla musica afro-americana.
Viene così archiviata la parentesi, per altro più che positiva, di GradoJazz, che per tre anni, anche in tempi di pandemia, ha portato in regione grandi stelle della musica nazionale e internazionale (King Crimson, Paolo Conte, Stefano Bollani, Gonzalo Rubalcaba, Paolo Fresu, Dee Dee Bridgewater, Brad Mehldau e molti altri…) e il successo delle due edizioni invernali di Udin&JazzWinter al Teatro Palamostre di Udine.

Ma, a mio avviso, un festival che si chiama “Udin&Jazz” trova il suo perché anche per la località in cui si svolge. In effetti molte volte mi è capitato di sottolineare come oggi un Festival del Jazz assume rilievo solo se soddisfa determinate condizioni. In primo luogo essere strettamente legato al territorio in cui si svolge, sì da valorizzarne i contenuti cultuali ed economici (prodotti tipici); in secondo luogo se, contrariamente ai “grandi festival” non  si inseguono i grandi nomi solo per fare cassetta (poco importa se poi con il jazz poco o nulla hanno a che vedere) e viceversa si dà il giusto spazio ai musicisti locali. E sotto questo specifico aspetto tutte le regioni italiane potrebbero benissimo dare spazio ai tanti talenti locali solo che a Udine si fa da sempre e in molti altri posti purtroppo no.
Ciò, ovviamente, nulla toglie che si dia ampio rilievo alle stelle di primaria grandezza e più in generale a quei musicisti che si esprimono su alti livelli qualitativi. E anche da questo punto di vista Udin&Jazz non ha mai deluso, cosa che accadrà anche quest’anno visto le prime notizie che si hanno sul programma il cui dettaglio verrà presentato a breve.
In effetti si sa già che la chiusura del Festival sarà affidata sabato 16 luglio 2022 alle 21, al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, ad una delle band più acclamate dello scenario del nuovo jazz contemporaneo mondiale, gli Snarky Puppy. Guidato da Michael League, il collettivo, con circa 25 musicisti in rotazione, si muove tra jazz, funk e R&B, musica scritta e improvvisazione totale e ritorna nel 2022 con un nuovo album live appena inciso, “Empire Central”, il quattordicesimo, una lettera d’amore a Dallas, il luogo dove l’avventura è iniziata nel 2004. “Empire Central”, per loro stessa ammissione, è il progetto più ambizioso e comunicativo di sempre, e arriva dopo quasi 2.000 spettacoli, 13 album, 4 premi Grammy, 8 premi JazzTimes e Downbeat e centinaia di masterclass presso istituzioni educative in tutto il mondo.
Ovviamente appena sarà varato il calendario completo avrete modo di leggerlo su questo stesso spazio.
U&J è ideato e organizzato dall’Associazione Culturale Euritmica e gode del sostegno di: Regione FVG, Fondazione Friuli, Reale Mutua Assicurazioni Udine Franz&Dilena, Banca di Udine, oltre agli importanti partenariati con Radio 1 Rai, Radio 3 Rai e Rai FVG. Udin&Jazz è altresì gemellato con alcuni tra i più prestigiosi festival jazz europei, come quello di Vienne in Francia, di cui è partner nell’organizzazione della 3a edizione di JazzUp.

Gerlando Gatto

Gerlando Gatto & Francesco Venerucci “Jazz & Covid tra Parole e Musica alla Civica Scuola delle Arti di Roma

Proseguono le presentazioni dal vivo del terzo libro del nostro direttore Gerlando Gatto, “Il Jazz Italiano in Epoca Covid”, che avevano subito una battuta d’arresto a causa della pandemia.
L’evento, inserito nel cartellone di Inside The Music, un progetto a cura di Fabrica Harmonica, si svolgerà alla Civica Scuola delle Arti di Via Bari, 22 (II piano) a Roma, domenica 27 febbraio 2022 con inizio alle ore 18.30

Si tratta di un’occasione unica perché, in realtà, le presentazioni saranno due! Infatti, in abbinamento a quella del libro di Gerlando, il pianista e compositore Francesco Venerucci presenterà il suo nuovo CD “Tramas”, un disco che vede la partecipazione speciale di Dave Liebman, flautista e sassofonista statunitense e dove le liner notes sono a cura dello stesso Gatto.

L’album si snoda attraverso nove tracce, tutte originali, nel quale il comune denominatore è l’assoluta qualità di composizioni ed esecuzioni, ed un gusto che fa di questo lavoro una bellissima conferma del talento del cinquantunenne pianista romano. Jazz ma non solo; si va dalle sponde del Mar Mediterraneo a quelle atlantiche direzione New Orleans, dall’Africa all’Europa. Fra le composizioni spicca la dedica alla tragedia del Ponte Morandi di Genova del 2018, testimoniata dall’intensità del brano “August 14th”.

“Il Jazz Italiano in Epoca Covid” (Lulu ed.), è il terzo libro di interviste firmato dallo storico giornalista di Jazz Gerlando Gatto, dopo “Gente di Jazz (2017, due ristampe) e “L’altra metà del Jazz” (2018), pubblicati entrambi per i tipi di KappaVu Edizioni/Euritmica.
Si tratta di un instant book che raccoglie, attraverso 41 interviste, pensieri, speranze, progetti, consigli di ascolto ma anche paure e preoccupazioni di musicisti e musiciste del Jazz italiano, immortalati in un periodo compreso tra marzo e maggio 2020, durante il lockdown dovuto alle misure di contenimento della pandemia da Covid-19.
Tra gli artisti intervistati in “Il Jazz Italiano in Epoca Covid” troviamo: Maria Pia De Vito, Paolo Fresu, Enrico Intra, Enrico Rava, Franco D’Andrea, Rita Marcotulli, solo per citare alcuni di essi, tutti personaggi di riferimento del jazz nazionale, che compaiono nel volume.
Per l’ideazione e la realizzazione dell’opera, Gatto si è avvalso della collaborazione della scrivente, la giornalista musicale Marina Tuni, che ha anche raccolto alcune delle interviste assieme a Daniela Floris.
A concludere la serata, una degustazione di vini bio della Cantina Ponziani, nata dalla passione di un gruppo di donne che producono vini caratterizzati dal grande amore per il territorio, vocato alla viticoltura, qualità, sperimentazione e cura del dettaglio per i vini IGT Umbria della Tenuta, situata nel verde delle colline di Orvieto, a metà strada tra Roma e Firenze.
INGRESSO A NUMERO CHIUSO con prenotazione obbligatoria fino esaurimento posti – 5€
CLICCA QUI PER ACQUISTARE IL BIGLIETTO ONLINE
info: 393 914 5351 – evento disponibile anche su Facebook Live Streaming alla pagina di Inside the Music

Marina Tuni

I nostri CD

ACT – Compilation in primo piano Predisporre delle compilation è impresa allo stesso tempo facile ma estremamente rischiosa. Facile perché quando si ha a disposizione un catalogo piuttosto ampio e variegato come quello della ACT risulta agevole scegliere fior da fiore e produrre un album. Il rischio, o meglio la difficoltà consiste nel trovare un filo rosso che leghi in maniera plausibile i vari artisti presentati. E crediamo che sotto questo profilo le scelte della casa tedesca risultano appropriate. Ecco quindi le tre ultime compilation che vi presentiamo in questa sede.
In “Romantic Freedom – Blue in Green” la ACT risponde a quella che è sempre stata una sua antica mission, valorizzare i giovani pianisti talentuosi che man mano si affacciavano sulla scena europea. Ecco quindi raccolti alcuni artisti – in solo, in duo o in trio – che nel corso degli anni sono diventati elementi di primissimo piano nel panorama internazionale e non solo europeo. Qualche nome: Esbjörn Svensson, Joachim Kühn, Michael Wollny, Iiro Rantala, David Helbock, Leszek Mozdzer, Johanna Summer, Bugge Wesseltoft, Carsten Dahl, Yaron Herman, Jacob Karlzon…Insomma una fotografia quanto mai esaustiva della scena pianistica europea a tutto vantaggio, sia di giovani appassionati che ancora poco conoscono, sia di “vecchi” appassionati che magari hanno voglia di sentire uno dopo l’altro alcuni dei loro pianisti preferiti.

“Magic Moments 14 – In the Spirit of jazz” è una compilation fortemente voluta dal boss dell’etichetta Siggi Loch, il quale – informa l’ufficio stampa della stessa ACT – ha personalmente selezionato con cura i migliori titoli recenti dal suo catalogo. Una accanto all’altra possiamo così ascoltare le star dell’etichetta: Nils Landgren, Emile Parisien, Nesrine, Lars Danielsson, Joachim Kühn, etc. In repertorio sedici brani che illustrano al meglio da un canto ciò che il jazz ha rappresentato nel mondo, dall’altro quale sia ancora oggi la sua capacità di unire, di creare un ponte tra gli uomini indipendentemente da qualsivoglia barriera di etnia o di religione.

“Fahrt ins Blaue III – dreamin’ in the spirit of jazz” in oltre un’ora di musica offre un momento di sincero relax pur restando a tutti gli effetti in territorio jazzistico. D’altro canto gli artisti scelti non ammettono obiezioni al riguardo. Si parte con due piccole ma luccicanti perle di Esbjorn Svensson registrato sia in piano solo sia alla testa del suo gruppo E.S.T. e si prosegue con una sfilza di nomi che hanno dato lustro al jazz europeo come, tanto per fare qualche esempio, il quartetto di Nils Landgren, il trio composto dal nostro Paolo Fresu con Richard Galliano e Jan Lundgren, le vocalist Viktoria Tolstoy e Norah Jones, Ulf Wakenius. L’album trova la sua omogeneità nella gradevolezza di tutti i brani all’insegna di una cantabilità ben lontana da qualsivoglia sperimentazione.

Harald Bergersen – “Baritone” – Losen Cantabilità che caratterizza anche questo nuovissimo album del baritonista Harald Bergersen che alla verde età di 84 continua a calcare validamente le scene e ad essere giustamente considerato una icona del jazz norvegese. In questa sua ultima fatica discografica è alla testa di un quartetto completato da Bård Helgerud (guitar), Fredrik Eide Nilsen (double bass), Torstein Ellingsen (drums & percussion). Il repertorio consta di 12 brani con cui Harald intende omaggiare alcuni grandi quali Tommy Flanagan, Billy Strayhorn, Thad Jones e Gerry Mulligan tra gli altri. Insomma una sorta di viaggio in un passato non tanto prossimo ma reinterpretato con coerenza, sincerità d’ispirazione e tanta, tanta bravura strumentale. Il quartetto si muove con leggerezza affrontando anche partiture non particolarmente semplici com’è il caso, ad esempio, di “Chelsea Bridge” un brano all’apparenza semplice ma come tutte le composizioni di Stratyhorn in realtà assai complesso da rendere efficacemente. All’ottima riuscita dell’album hanno contribuito in maniera sostanziale tutti i componenti del gruppo, dal chitarrista Bård Helgerud (lo si ascolti ad esempio in “Three and One” di Thad Jones in “Blues in the Closet” di Oscar Pettiford o in “Observing” di Helgerud con uno straniante richiamo alle musiche di Django) alla sezione ritmica quanto mai precisa e propulsiva (ammirevole Nilsen soprattutto nel già citato “Blues in the Closet”). Ma su tutti spicca sempre il sax baritono del leader, dal suono morbido, dall’eloquio forbito che richiama alla mente il post-bop non scevro da alcune sfumature ‘bossanovistiche’ se non a tratti addirittura funk.

Danilo Blaiotta – “The White Nights Suite” – Filibusta Solo due anni fa, nel 2020, Danilo Blaiotta veniva salutato come un talento emergente grazie alla buona riuscita dell’album “Departures” (Filibusta Records). Il secondo capitolo discografico del Danilo Blaiotta Trio (con Jacopo Ferrazza al contrabbasso e Valerio Vantaggio alla batteria) è questo “The White Nights Suite”. Si tratta di una composizione originale suddivisa in 11 movimenti, tutti a firma del leader, ispirata al romanzo “Le notti bianche “di Fedor Dostoevsky. L’organico che si ascolta nel disco presenta, accanto al già citato trio, Stefano Carbonelli alla chitarra elettrica, Fabrizio Bosso alla tromba e Achille Succi al sax alto e clarinetto basso. Il titolo dell’album richiama esplicitamente l’opera del grande scrittore e filosofo russo così come nel primo brano – “Fisrt Night / St. Petersburg” – è chiaro il riferimento alla passeggiata del protagonista per le strade di Pietroburgo. Di qui l’album prende man mano consistenza raggiungendo picchi di grande intensità espressiva come nel brano “The Meeting” che evidenzia da un lato Bosso il quale, abbandonato il suo virtuosismo spesso muscolare, si esprime con dolce misura, dall’altro il leader che disegna un assolo tra i più notevoli dell’intero album. Ma non è la sola perla del CD; si ascolti, ad esempio, con quale pertinenza il trio – senza ospiti – esegue “Second Night – The Dreamer” a rappresentare il dialogo tra i due protagonisti attraverso l’empatia del trio; e ancora superlativo il clarinetto basso di Achille Succi in “Nasten’ka” un pezzo dal sapore vagamente balcanico mentre in “Third Night” il linguaggio del gruppo assume colorature più prettamente jazzistiche.

Anais Drago – “Solitudo” – Cam Anais Drago è violinista di sicuro spessore, capace di inglobare nel proprio repertorio input provenienti dalle più disparate angolature. Ecco quindi dieci sue composizioni – affiancate dalla “Gnossienne” di Erik Satie da lei stessa arrangiata – in cui non è difficile scoprire le fonti da cui l’artista ha attinto per forgiare la “Sua” musica, una musica che si colloca in un contesto del tutto personale: il linguaggio non è jazzistico in senso stretto in quanto  si allontana egualmente sia dagli stilemi afroamericani,  sia dalla musica classica propriamente detta sia dalla musica contemporanea: siamo, insomma, in un contesto sonoro in cui la Drago ha modo di esprimere tutte le proprie potenzialità senza lasciarsi condizionare da alcunché ma seguendo semplicemente la propria ispirazione, cosa facile a dirsi ma non altrettanto a farsi. E così tutto l’album gode di grande coesione tanto che per gustarne la valenza occorre ascoltarlo con la medesima curiosità dalla prima all’ultima take. Tra queste sceglierne qualcuna in particolare non è impresa facile anche se ci sentiamo di segnalare il già citato brano di Satie, in apertura di album, che sviluppato su un tappeto elettronico, rivela una certa malinconia di fondo, mentre in tutte le composizioni originali appare evidente uno dei suoi principali motivi ispiratori, da lei stessa rilevato nel corso di una recente intervista: “L’improvvisazione e la sperimentazione sono elementi che ricerco in qualità di musicista, tanto quanto rifuggo in qualità di persona”.

Claudio Fasoli – “Next” – Abeat Claudio Fasoli è uno di quei rari musicisti che non sbaglia un colpo. Quando trovate un suo nuovo album state pur certi che si tratta di musica di indubbia qualità. In tanti anni di onorata carriera, il sassofonista si è guadagnato una reputazione ed un rispetto che lo collocano in cima ai migliori sassofonisti e non solo a livello nazionale. E questa sua ultima fatica discografica non fa eccezione. Registrato in quartetto nello scorso maggio, l’album presenta il sassofonista alla testa di una nuova formazione ma perfettamente in linea con quanto è stato proposto in precedenza. Insomma il Fasoli è quello che abbiamo imparato a conoscere nel corso di tutti questi anni, vale a dire non solo un esecutore di assoluto livello ma anche un compositore che conosce perfettamente l’arte di fare musica. In effetti tutti e sette i brani contenuti nel CD sono sue composizioni e alternano momenti di grande intensità ritmica sì da richiamare abbastanza esplicitamente il mondo rock ad atmosfere in cui si sfiora atmosfere più vicine al nuovo jazz europeo, il tutto senza trascurare una certa cantabilità. Da sottolineare il sottile gioco sulle dinamiche, l’uso dei silenzi, il ricorso ad una variegata palette di colori. Ma quel che rende questo album degno della massima attenzione è sempre lui, Claudio Fasoli, che come si accennava in apertura, non ha certo perso questa ulteriore occasione per evidenziare il suo talento. Eccolo, quindi, fraseggiare con eloquio elegante, raffinato, solo all’apparenza semplice ma in realtà frutto di anni di studio, di assiduo lavoro. Fresu, Di Bonaventura, Vacca –

“Tango Macondo” – TUK Music Paolo Fresu – popOFF- Tuk Music Ecco due album di ispirazione completamente diversa ma che hanno il pregio di essere eseguiti in modo magistrale. Il CD dedicato al tango – “Tango Macondo” – vede il musicista sardo affiancato da Daniele di Bonaventura al bandoneon, Pierpaolo Vacca all’organetto e Elisa, Malika Ayane, e Tosca alla voce in tre brani. Il repertorio si sostanzia nella colonna sonora dello spettacolo che sta girando in varie città italiane ottenendo ovunque unanimi consensi. E il perché è facilmente spiegabile: Fresu e compagni riescono a creare un clima quasi onirico in cui l’ascoltatore è portato inevitabilmente a riallacciarsi a qual luogo – Macondo – creato dalla fervida fantasia di Gabriel Garcia Marquez nel suo “Cent’anni di solitudine” e quindi a intraprendere una sorta di viaggio accompagnato dalla musica certo di ispirazione tanguera ma che non disdegna di coniugare il moderno degli effetti elettronici con l’arcaico di bandoneon e organetto. Il tutto, ovviamente, cucito dalla tromba e dal flicorno del leader che non perde occasione per evidenziarsi artista maturo, perfettamente consapevole delle proprie possibilità e quindi in grado di esprimersi sempre con squisita sensibilità. Doti che ritroviamo anche nel secondo album “popOFF” in cui il trombettista sardo ha voluto rendere omaggio alla sua città d’elezione, Bologna, attraverso la rilettura delle canzoni dello “Zecchino d’oro”. Il CD, che si avvale anche di una veste grafica particolarmente curata e accattivante, vede impegnato un organico piuttosto rilevante in cui, accanto al leader, ritroviamo Cristiano Arcelli al sax soprano, clarinetto basso, flauto e melodica, Dino Rubino al piano, Marco Bardoscia al basso, il Quartetto Alborada e la vocalist Cristina Zavalloni cui si aggiunge in un brano il flauto di Luca Devito. Certo suscita una certa curiosità ascoltare le canzoni scritte appositamente per bambini ma sulla base del vecchio ma giusto detto per cui “jazz non è ciò che si suona ma come lo si suona” ecco che melodie in origine destinate ad esecutori in tenera età, si trasformano in pezzi jazzisticamente validi grazie all’interpretazione degli artisti su citati. Ed il disco risulta davvero gradevole senza che per un solo momento si abbia la sensazione di ascoltare qualcosa di banale.

Carmine Ioanna – “Ioanna Music Company” – abeat Delizioso album firmato dal fisarmonicista Carmine Ioanna alla testa di un gruppo con Gianpiero Franco (batteria), Eric Capone (pianoforte e tastiere), Giovanni Montesano (basso e contrabbasso) cui si sono aggiunti in qualità di ospiti Francesco Bearzatti (sax tenore e clarinetto), Gerardo Pizza (alto sax), Daniele Castellano (chitarra), Sophie Martel (sax soprano). L’album ha una storia particolare essendo stato concepito nei mesi scorsi, vale a dire in uno dei periodi più difficili che l’Italia del dopoguerra abbia attraversato, e registrato al teatro “Adele Solimene” di Montella (Avellino) nei primissimi giorni di maggio del 2021 dopo tanti mesi di isolamento, necessariamente lontani dai palcoscenici. Di qui l’idea, esplicitata dallo stesso Carmine nelle brevi note che accompagnano il CD, di pensare “Ioanna Music Company” come non “solo un album bensì un progetto di condivisione umana e artistica”. Logica, perciò,   la scelta di coinvolgere alcuni musicisti e tecnici di grande profilo e soprattutto di grande affinità. Il risultato, come si accennava in apertura, è più che positivo; la musica scorre come una sorta di racconto in cui ognuno può ritrovare le proprie emozioni mantenendo sempre una propria omogeneità. Tutti i brani meritano di essere ascoltati anche se le nostre preferenze vanno alla title track, sette minuti di rara intensità, sottolineati da brevi assolo dei fiati e da un andamento ritmico particolarmente serrato e al successivo “Postcard From Dreamland” un breve bozzetto (inferiore ai due minuti) di toccante dolcezza. Quasi inutile sottolineare come ancora una volta Ioanna si conferma tra i migliori fisarmonicisti oggi in esercizio e non solo nel nostro Paese. Hermon Mehari, Alessandro Lanzoni –

“Arc Fiction” – MIRR Duo senza rete questo che vede protagonisti il trombettista statunitense ma parigino d’adozione Hermon Mehari (classe 1987) e il nostro pianista Alessandro Lanzoni (nato nel 1992) impegnati nel loro primo album in duo registrato nel marzo 2021 e pubblicato il 10 ottobre scorso. Il combo funziona bene: i due si intendono alla perfezione e così la musica scorre fluida, interessante senza che in un solo momento si noti la carenza di altri strumenti. I due amano scambiarsi il ruolo di prim’attore così quando è il pianoforte a dettare la linea, la tromba è pronta a ricevere il testimone e viceversa in un alternarsi di intrecci mai scontati. In repertorio undici brani di cui ben dieci originali (scritti o a due mani o singolarmente dal trombettista e dal pianista) e il celebre “Donna Lee” di Charlie Parker. In particolare “End of the Conqueror”, “B/Bb”, “Reprise in Catharsis”, “Volver”, “Peyote”, “Boston Kreme” e “Penombra” sono stati composti da Mehari e Lanzoni, mentre “Savannah” e “Fabric” sono opera del solo pianista, così come “Dance Cathartic” è da attribuire al solo trombettista. La caratteristica principale dell’album è la godibilità della musica che pur non essendo scontata o banale riesce comunque a farsi ascoltare dal primo all’ultimo minuto. In tale contesto individuare le parti scritte e quelle improvvisate è tutt’altro che facile (si ascolti al riguardo sia “Savannah” sia “Fabric”) dato che i due artisti possono fare affidamento su una squisita sensibilità e su una indubbia preparazione tecnica. Di qui la difficoltà di segnalare qualche brano in particolare anche se personalmente troviamo “Dance Cathartic” particolarmente elegante e ben strutturato.

Angela Milanese – “Racconto italiano” – Caligola Partiamo da un presupposto: le canzoni non sono qualcosa di sciocco, senza importanza ma rappresentano la colonna sonora della nostra vita quotidiana. Basti confrontare i testi degli anni’30 con le composizioni di oggi per rendersi conto di quanto questa affermazione sia veritiera. Se non si ha, quindi, la puzza sotto il naso dei “veri intenditori di jazz” questo è un album che può essere ascoltato con interesse e, perché no, con piacevolezza. Lei è una vocalist-compositrice di squisita sensibilità e ad accompagnarla sono musicisti di rilievo come Paolo Vianello nella duplice veste di pianista-tastierista e arrangiatore, Alvise Seggi al contrabbasso e Luca Colussi alla batteria. In cartellone dieci brani che accompagnano l’ascoltatore in una sorta di viaggio immaginario dagli anni ’30 fino ai giorni d’oggi. La Milanese rilegge questi pezzi secondo la propria cifra stilistica ben coadiuvata da Vianello e compagni. Così canzoni famose come “Ma le gambe” (1938), “Bellezze in bicicletta”, “Un’estate fa”, “Domani è un altro giorno”, “Rosalina” (1984)…tanto per citare qualche titolo, rinascono a nuova vita pronte per essere apprezzate anche dai più giovani che forse mai le hanno ascoltate nella versione originale. Un’ultima non secondaria notazione: l’album è stato registrato durante un concerto svoltosi il 23 maggio del 2019 all’Auditorium Candiani di Mestre, e la dimensione live riflette ancor meglio la bravura dei musicisti che danno vita ad una performance a tratti trascinante.

Bernt Moen Trio – “The Storm” – Losen Il pianista norvegese Bernt Morten è artista poliedrico capace di transitare con estrema disinvoltura da un linguaggio prettamente jazzistico a forme espressive molto prossime al funk e alla fusion. In questa sua ultima realizzazione, registrata nel febbraio del 2021, l’artista torna sul terreno che forse gli è più congeniale vale a dire quello del classico piano trio. Ad accompagnarlo il batterista Jan Jnge Nilsen e il bassista Fredrik Sahlander. In repertorio dodici brani tutti composti dal leader e tutti caratterizzati da una solida struttura e quindi da un profondo senso dello spazio. I tre si muovono con empatia tanto che risulta assai difficile distinguere le parti improvvisate da quelle scritte. Nonostante il linguaggio sia jazzistico nell’accezione più comune del termine, tuttavia in alcuni frangenti si avverte, prepotente, l’eco della tradizione compositiva europea. E’ il caso, ad esempio, del secondo brano in programma “Majestic”, e di altri tre brani, “Ode”, “Floating” e “Sakral” tutti presentati in piano solo in cui, come si accennava, è ben presente una certa atmosfera Romantica. Assai ben costruita la title track che si apre con una intro per piano solo dopo di che i tre improvvisano ben sostenuti dalla batteria. Convincente anche “Passing By, Not Too Fast, Not Too Slow”, il brano più lungo dell’album con i suoi 6’21, in cui Moen e compagni mescolano sapientemente elementi tratti dal jazz così come dal folk, con Fredrik Sahlander in grande spolvero.

Jorge Rossy – “Puerta” – ECM Debutto come leader in casa ECM per Jorge Rossy che si presenta nella duplice veste di compositore (nove dei dieci brani dell’album sono dovuti alla sua penna) ed esecutore. Impegnato al vibrafono e alla marimba dirige un trio completato da Jeff Ballard batteria e percussioni e Robert Landfermann basso. Jorge è quel che si definisce un musicista a 360 gradi: nasce nel 1964 a Barcellona in una famiglia di musicisti, il padre Mario suona piano, chitarra e fisarmonica, ed ha accanto a sé un fratello e una sorella anch’essi musicisti. Inizia così a suonare la batteria all’età di undici anni e nel 1978 comincia a studiare percussioni classiche. Nel 1980 studia armonia jazz e improvvisazione, suonando piano e vibrafono; l’anno successivo inizia a suonare anche la tromba ma lo strumento principale, con cui comincia ad esibirsi professionalmente, è la batteria. Ed è con questo strumento che si fa conoscere collaborando per una decina d’anni con Brad Mehldau. Come si accennava in quest’ultimo lavoro discografico si cimenta al vibrafono e alla marimba con risultati assolutamente eccellenti. Contrariamente a quanto forse ci si potrebbe aspettare da un batterista, in questo album Jorge suona quasi per sottrazione, le note che intona sui suoi strumenti sono poche, sillabate, distillate si potrebbe dire come a voler far respirare la musica. In ciò ben coadiuvato dai due partners che assecondano questo gioco di sottili rimandi, senza eccedere in alcun momento. Dopo aver attraversato varie atmosfere, garantendo anche un pizzico di swing (cfr “Post-Catholic Waltz”) il CD si chiude con un brano dal sapore tanguero, dal significativo titolo “Adios”.

Daniela Spalletta – “Per Aspera ad Astra” – TRP Music La Sicilia continua a proporsi come terra di talenti: proprio dall’Isola arriva infatti questo album della vocalist Daniela Spalletta che definire eccellente forse è poco. Ben coadiuvata da Jani Moder alla chitarra, Seby Burgio al pianoforte, Alberto Fidone al contrabbasso e basso elettrico e Giuseppe Tringali alla batteria cui si aggiunge la TRP Studio Orchestra, ci propone una sorta di viaggio introspettivo al cui termine c’è comunque una luce vitale. Ora, mettere in musica tali concetti, è impresa piuttosto ardua eppure la vocalist siciliana ha in certo qual senso centrato l’obiettivo dal momento che ascoltando l’album si ha come la sensazione di estraniarsi dal presente per immergersi in un flusso sonoro che ci conduce in un altrove non meglio identificato. Sacerdotessa del tutto è lei, la Spalletta, che usa la voce come uno strumento e che non disdegna di sdoppiarsi con la tecnica della sovraincisione pur di restare fedele al suo complesso disegno compositivo. Disegno che si svela man mano con il procedere dell’album declinato attraverso dodici brani tutti scritti ed arrangiati dalla stessa leader la quale si assume per intera la responsabilità dell’album: è lei che l’ha concepito, è lei che ne ha scritto ed arrangiato i pezzi, è lei che ha immaginato e conseguentemente scelto l’organico, è lei che ha saputo sapientemente dosare sia gli interventi dei compagni di viaggio sia le parti improvvisate ivi compreso lo scat che si ascolta in “Samsara”…insomma un’opera davvero complessa che denota il ritratto di un’artista completa, in grado di ricoprire tutte le parti in commedia.

Pasquale Stafano – Sparks – enja Quella del piano trio è una formula ancora oggi molto frequentata dai musicisti e, anche se ovviamente non è possibile raggiungere i fasti del passato (si pensi solo al celeberrimo trio Evans Motian LaFaro) tuttavia ci sono jazzisti che riescono ancora a dire qualcosa di originale. Tra questi è il pianista Pasquale Stafano che si ripresenta con un nuovo trio completato da Giorgio Vendola al basso e Saverio Gerardi alla batteria. L’album, registrato il 25 gennaio del 2021, si articola su otto brani tutti composti dal leader che conferma così la sua statura di musicista a 360 gradi. E le composizioni appaiono tutt’altro che banali: in effetti, oltre a presentare una solida struttura di base, si fanno apprezzare per la varietà di atmosfere che propongono, dal jazz canonico alla musica classica, dal funk fino a certi frammenti riconducibili al progressive-rock. In questo mutare di situazioni il ruolo di contrabbasso e batteria è importante: si ascolti ad esempio Vendola in “Mirror of Soul” e Gerardi in “Clocks” per avere un’idea di quale contributo i due abbiano dato alla riuscita dell’incisione. Comunque il filo conduttore è rappresentato dallo stile di Stafano che riesce a transitare da un terreno all’altro con estrema disinvoltura grazie ad una tecnica sopraffina e ad un linguaggio fluido e preciso. Tra i vari brani particolarmente riusciti “Three Days Snow” e “Remembrance” ambedue velati da una leggera malinconia che richiama atmosfere nordiche. L’album si conclude con “The Roller Coaster” introdotto dal contrabbasso suonato con l’archetto che a circa 40 secondi dall’inizio registra l’intervento di pianoforte e batteria per un’esecuzione su tempo veloce con il leader sempre in pieno controllo del materiale sonoro. Virginia Sutera,  Ermanno Novali –

“Duo Sutera Novali” – Aut records Ecco un altro duo che si muove su direttrici completamente diverse da quelle che vedevano protagonisti i su citati Hermon Mehari e Alessandro Lanzoni. Qui siamo su un terreno molto complesso e quindi per sua natura scivoloso: quella ”striscia di terra feconda” (per usare il titolo di una felice rassegna) che si pone tra musica classica e jazz. In effetti i due musicisti – la violinista Virginia Sutera e il pianista Ermanno Novelli – pur essendosi affacciati da poco sulla scena musicale, possono vantare una buona conoscenza di ambedue i generi musicali. E così l’album, registrato alla Sala Piatti di Bergamo il 12 aprile del 2019, in occasione dell’International Jazz Day, presenta una suite in cinque movimenti composti a quattro mani. Ad un primo ascolto sembra che le parti siano scritte dalla prima all’ultima nota ma in realtà si tratta di una improvvisazione che si sviluppa momento dopo momento collocandosi apertamente nell’area della musica contemporanea. Ciò detto, preso atto dell’abilità strumentale dei due, resta il fatto che, almeno a nostro avviso, si avverte come la sensazione di un lavoro non perfettamente compiuto, come se ci fosse ancora qualcos’altro che i due non hanno avuto la possibilità…o il coraggio di esplorare. Insomma un duo di livello ma da cui ci aspettiamo qualcos’altro di più convincente, anche perché il tutto scaturisce da quello straordinario laboratorio di ricerca musicale condotto a Siena da Stefano Battaglia.

Ayumi Tanaka – “Subaqueous Silence” – ECM Titolo molto pertinente per questo nuovo lavoro discografico della pianista nipponica Aymi Tanaka che come Jorge Rossy è al debutto da leader per la ECM. Per l’occasione si presenta in trio con Christian Meaas Svendsen al contrabbasso e Per Oddvar Johansen alla batteria. Si tratta di due musicisti norvegesi e la cosa non stupisce più di tanto ove si tenga conto di due fattori: innanzitutto che la pianista, attratta dalla musica improvvisata norvegese, nel 2011 decise di trasferirsi a Oslo e, in secondo luogo, che proprio nella capitale norvegese ebbe modo di incontrare i due artisti su citati con i quali collabora quindi da oltre dieci anni. Così nel 2016 è stato pubblicato “Memento” per AMP Records. E i frutti di questa lunga collaborazione sono nuovamente a disposizione di tutti ben evidenti: l’intesa fra i tre è praticamente perfetta pur nell’esecuzione di un repertorio tutt’altro che banale. La musica proposta dal trio è lontana da come siamo abituati ad immaginare la musica jazz: nei brani della Tanaka non c’è ombra di swing, ma un   rigore quasi ascetico nell’interpretare partiture che potremmo definire ‘cameristiche’ pur nella consapevolezza che una musica del genere va ascoltata rifiutando qualsivoglia etichettatura. I tre si muovono lungo direttrici che privilegiano atmosfere rarefatte, in cui anche il silenzio gioca un ruolo importante nella ricerca di spaziature così presenti nella musica classica giapponese. Tra i sette brani del CD spicca “Ruins II” in cui la pianista sembra quasi lasciarsi andare ad una sorta di quella dolce malinconia che caratterizza la musica ‘nordica’ e norvegese in particolare.

Eberhard Weber – “Once Upon a Time” – ECM L’altra volta ci eravamo soffermati sulle realizzazioni discografiche per solo basso. Adesso è la volta di un altro grande specialista dello strumento, Eberhard Weber, che ci presenta una registrazione live effettuata al Teatro des Halles di Avignone nell’agosto del 1994, nell’ambito del Barre Phillips’ Festival International De Contrebasse.  L’album acquista un rilievo particolare ove si tenga conto che il jazzista nel 2007 è stato colpito da un ictus che lo ha praticamente estromesso dalle scene, anche se non si tratta del primo album registrato in solitudine dal tedesco. Ricordiamo, al riguardo, “Pendulum” (1993) interamente composto da brani in cui l’unico strumento che li esegue è il contrabbasso, mixato in maniera stratificata per creare diversi effetti sonori e “Résumé” che raccoglie pezzi di varie esibizioni registrate tra il 1990 e il 2007. C’è da sottolineare come proprio dopo questi due album Weber abbia iniziato ad incidere piuttosto copiosamente anche da leader dal momento che in precedenza si era fatto apprezzare soprattutto nel gruppo guidato dal sassofonista norvegese Jan Garbarek. In questo “Once Upon…” Weber offre un ulteriore saggio delle sue grandi qualità. Tutti i brani (di cui alcuni sono tratti dai precedenti album dello stesso Weber, “Orchestra” ECM 1988 e il già citato “Pendulum” ECM 1993) sono degni della massima attenzione anche se, personalmente, preferiamo il sempre verde “My Favorite Things” interpretato con originalità e “Trio for Bassoon and Bass” in cui il contrabbassista evidenzia la sua versatilità nell’improvvisare per parecchi minuti senza soluzione di continuità.

Paul Wertico – “Letter from Rome” – Alfa Music Quando in un combo c’è Paul Wertico si ha la quasi certezza che si tratti di musica eccellente. E anche questa volta la situazione è proprio questa: alla testa di un trio completato da Fabrizio Mocata al piano e Gianmarco Scaglia al contrabbasso, il batterista statunitense non si smentisce e propone un album interessante. In programma nove brani scritti in vari incroci dai tre musicisti con l’aggiunta di un classico della musica leggera italiana, “Vecchio Frak” di Domenico Modugno, un brano che ha già attirato l’attenzione di parecchi jazzisti tra cui Fabrizio Bosso e Marco Tamburini; il trio ne dà un’interpretazione personale e convincente: dopo un’introduzione del basso che disegna la linea melodica, è la volta di Fabrizio Mocata a concepire un assolo che gira attorno alla melodia per approdare, quando entra in campo anche la batteria, su un terreno completamente improvvisato, oramai ben lontano dalla partitura originale. Ed è un po’ questo il canovaccio su cui si sviluppa la musica per tutto il CD, vale a dire l’accenno ad una linea cantabile (introdotta dal piano o dal contrabbasso) e poi i tre che si lasciano andare ad improvvisazioni spesso trascinanti che denotano, oltre ad un’ovvia intesa (Wertico e Scaglia avevano già inciso un altro album, “Dynamics in Meditation”, Challenge Records 2020) la gioia di fare musica, di suonare assieme. Il tutto impreziosito dagli assolo di Paul che si conferma uno dei migliori batteristi oggi in esercizio: ascoltate attentamente il modo in cui tratta i piatti, suo vero e proprio marchio di fabbrica.

Gerlando Gatto