Sempre in primo piano il jazz italiano ad “Iseo Jazz”

 

Da ben ventisette anni il festival “Iseo Jazz” organizza le sue serate e articola il suo spazio sulla musica prodotta in Italia da jazzisti del Bel Paese. Con coerenza, rigore, divulgazione, ricerca gli organizzatori (la direzione artistica è di Maurizio Franco) propongono numerosi progetti speciali e artisti di varie generazioni, fornendo di anno in anno uno spaccato significativo delle ultime tendenze. Non a caso la rassegna si fregia del sottotitolo “La casa del jazz italiano” ed ha il patrocinio di MIDJ (l’associazione Musicisti Italiani di Jazz); in più, da sempre, la programmazione interagisce con un territorio di rara bellezza e suggestione, rinnovando quel rapporto tra musica e “luoghi” (anche nella loro dimensione amministrativa) che caratterizza le migliori rassegne della penisola.

“Iseo Jazz” inizia il 7 luglio a Palazzolo sull’Oglio (Palazzo comunale) con il trio del pianista Donatello D’Attoma (con Alberto Fidone ed Enrico Morello); completa la serata un progetto speciale intitolato “Il jazz a Milano negli anni cinquanta e sessanta”, epoca e repertorio proposto da Paolo Recchia, Andrea Dulbecco e Nicola Angelucci (sax, vibrafono, batteria).

Il 9 si prosegue a Sale Marasino (chiesa di San Giacomo di Maspiano) con un solo piano di Michele Di Toro, ispirato alle musiche di Nat Cole, George Shearing, Herbie Nichols e Lennie Tristano; anche questo è un progetto speciale della rassegna. Il 10 ci si sposta nell’Azienda Agricola Barone Pizzini (a Provaglio d’Iseo) per uno dei momenti clou del festival: “L’importanza di chiamarsi Enrico”, ovvero solo, duo e trio con i pianisti Enrico Intra ed Enrico Pieranunzi ed il trombettista-flicornista Enrico Rava (sempre progetto speciale dei “Iseo Jazz).

Le serate dell’11 e del 12 propongono le nuove generazioni di jazzisti: nella prima si approda ad Iseo (Sagrato della Pieve di Sant’Andrea) per il Francesco Diodati Trio (Laila Martial, Stefano Tamborrino) ed il Tony Arco Quartetto (Greg Burk, Sandro Cerino, Mauro Battisti) in “Colors of the soul”. Il 12 l’appuntamento è a Pratico (Parco delle erbe danzanti) per l’eversivo trio del trombonista Filippo Vignato (Yannick Lestra, Attila Gyarfas) arricchito dall’eclettica vocalist Marta Raviglia; la serata si completa con Simone Graziano, Francesco Ponticelli ed Enrico Morello.

Il fine settimana conclusivo è tutto ad Iseo e vede artisti di notevole caratura ed esperienza. Sabato 13 al Lido di Sassabanek c’è la Riccardo Fassi Florence Pocket Orchestra; Fassi (piano, composizione, direzione) coinvolge i fiatisti Mirco Rubegni, Stefano Scalzi, Nico Gori e Dario Cecchini e la sezione ritmica composta da Guido Zorn e Bernardo Guerra. Nello stesso spazio si esibisce il gruppo Double Cut guidato da Tino Tracanna, con il “doppio” sassofonista Massimiliamo Milesi e i ritmi Giulio Corini e Filippo Sala. Domenica 14 il gran finale si sposta al Sagrato della Pieve di Sant’Andrea dove riceveranno il “Premio Iseo” alla carriera il contrabbassista-compositore Giovanni Tommaso ed il critico musicale e storico del jazz (in particolare italiano) (nonché nostro validissimo collaboratore) Luigi Onori; Onori anticiperà al pubblico i contenuti del suo libro sul Perigeo, in uscita per Stampa Alternativa in novembre. Tommaso si esibirà in trio con Claudio Filippini ed Alessandro Paternesi. Ultimo concerto per l’Emanuele Cisi Quartet (Dino Rubino, Rosario Bonaccorso, Adam Pache) che omaggerà l’arte sassofonistica di Prez in “No Eyes – Looking at Lester Young”.

 

Con Tedesco e Paradisi il canto jazz spicca il volo! I concerti all’Auditorium di Roma venerdì 19 e sabato 20 gennaio

Fine settimana all’insegna del canto jazz all’Auditorium Parco della Musica di Roma: venerdì 19 gennaio e il successivo sabato abbiamo ascoltato due delle più belle voci che il jazz italiano possa attualmente vantare, seppure in contesti assai diversi. Così venerdì è stata la volta di Cinzia Tedesco, con alle spalle la big-band diretta con la solita perizia e passione da Bruno Biriaco, e sabato di scena Marilena Paradisi supportata dallo straripante talento di Kirk Lightsey.

Ma procediamo con ordine. La Tedesco ha riproposto il materiale tratto dai due ultimi CD dedicati rispettivamente a Bob Dylan e Giuseppe Verdi. Ad onor del vero pochissime volte mi era capitato di ascoltare Cinzia dal vivo, per cui, dopo la splendida impressione lasciatami dal disco dedicato a Verdi, mi sono recato al concerto con la speranza di confermare tali positive sensazioni. Ed in effetti è stato così… almeno al novanta per cento.  Inizio scoppiettante con la big band che introduce il concerto eseguendo il coltraniano “Giant Steps”… e si ha subito la sensazione che l’orchestra è in palla.

Subito dopo entra Cinzia Tedesco salutata da applausi convinti; “La donna è mobile” da “Rigoletto” è il primo brano proposto dalla vocalist; Cinzia lo affronta con la verve e la precisione di sempre, ben supportata dalla band che, come ha spiegato Biriaco, si è sottoposta ad un duro lavoro prima di affrontare questa impegnativa prova. In effetti una cosa è arrangiare la musica di Verdi per quintetto, altra cosa – molto più rischiosa – è avvicinarsi a queste storiche partiture con una big band. L’ostacolo è stato brillantemente superato grazie al congiunto lavoro di Stefano Sabatini che si era già occupato degli arrangiamenti e dello stesso Biriaco che ha curato l’orchestrazione. Così Cinzia ha potuto esibire al meglio le sue doti ben sapendo di avere ‘al suo servizio’ una band ben rodata, composta da eccellenti jazzisti che mi consentirete di citare uno per uno: Pietro Iodice, batteria; Stefano Sabatini, pianoforte; Luca Pirozzi, basso; Gianni Savelli, Paolo Recchia, Nino Rapicavoli, Torquato Sdrucia, Elvio Ghigliordini a costituire la sezione sax, Roberto Schiano, Luca Giustozzi  ed Enzo de Rosa ai tromboni; Claudio Corvini, Fernando Brusco, Roman Villanueva e Francesco Fratini alle trombe.

Tornando allo sviluppo della serata, dopo il “Rigoletto” è stata la volta de “La Traviata” con “Addio del passato” e dell’ ”Aida” con “Celeste Aida” che la Tedesco ha affrontato con la solita umiltà e pertinenza che si ascoltava nel disco, quindi niente inutili virtuosismi ma la necessità di mettere al servizio dell’espressività, dell’interpretazione i propri notevolissimi mezzi vocali: capacità di restare perfettamente intonata su tutti i registri, quasi assoluta mancanza di vibrato, capacità di coniugare tradizione classica con tradizione jazzistica senza stravolgere i temi che restano perfettamente riconoscibili nella loro integrità. Peccato che durante le frequenti incursioni della Tedesco sui registri acuti, probabilmente per un difetto di riproduzione del suono, la timbrica della voce cambiava diventando più metallica e quindi meno espressiva.

La pagina dedicata a Verdi si chiudeva con “Tacea la notte placida” da “Il Trovatore”.

A segnare una cesura tra prima e seconda parte del concerto ci pensava l’orchestra che eseguiva magnificamente “A Remark You Made” il celebre brano scritto da Joe Zawinul per Jaco Pastorius e contenuto nell’album “Heavy Weather” registrato tra il 1976 e il 1977. Torna in scena la Tedesco per proporre i brani di Bob Dylan: “I Shall be released”, “Knockin’ on Heaven’s Door”, “Meet Me in the Morning” e “Like a Rolling Stone” offerto come bis.

Come già detto in apertura, sabato 20 strepitoso concerto di Marilena Paradisi e Kirk Lightsey. Marilena Paradisi – non faccio fatica a confessarlo – è una delle mie vocalist preferite che seguo con attenzione e che ho profondamente ammirato per il coraggio dimostrato nell’incidere una serie di album tutt’altro che commerciali dedicati alle possibilità della voce umana. Per quanto concerne il pianista statunitense, era da qualche tempo che non lo vedevo e l’ho trovato francamente toccato dall’usura del tempo… ma solo per le rughe che gli solcano il viso ché il fisico resta asciutto come sempre e intatte sono rimaste la verve, la simpatia, la voglia di suonare e soprattutto la grande maestria nel porre le mani sulla tastiera. Lightsey (classe 1937) ad onta della non giovanissima età, rimane un artista formidabile, un pianista capace sia di empire da solo tutto lo spazio sonoro (mai si è avvertita durante il concerto la mancanza di qualche altro strumento) sia di mettersi al servizio dei compagni di viaggio, nel caso in oggetto la vocalist Marilena Paradisi. Di qui un’esibizione che, a mio avviso, è risultata migliore dell’album “Some Place Called Where”, registrato dai due lo scorso anno e che per la prima volta in assoluto veniva presentato live.

In effetti abbiamo avuto modo di apprezzare più a lungo e meglio il pianismo, ora orchestrale, ora di estrema delicatezza di Kirk mentre Marilena non poteva trovare occasione migliore per festeggiare il proprio compleanno che cadeva proprio il 20 gennaio.

La performance della cantante è stata semplicemente superlativa: sono andato al concerto con una mia amica, anch’essa cantante di jazz, ed è facile immaginare come nel microcosmo del jazz italiano spesso tra gli stessi musicisti non corra buon sangue. Ebbene, per tutta la durata del concerto, questa amica non ha fatto altro che ripetermi: “Ma quanto è brava Marilena, hai sentito con quanta disinvoltura ha affrontato questo passaggio? Che musicalità… Fantastico”.

Ed aveva ragione. Come si accennava, Marilena ha studiato a lungo le possibilità della voce raggiungendo un controllo della stessa quasi assoluto; è un piacere sentirla destreggiarsi tra i vari registri, passare dal grave all’acuto senza alcun problema, con una padronanza dell’emissione totale, senza che la voce mai denunciasse una minima incrinatura o che andasse fuori riga.

Così, uno dopo l’altro, abbiamo riascoltato gli otto brani contenuti nel CD ed anche in questa scelta di repertorio la Paradisi merita un grande elogio: infatti la scelta è caduta su brani tutti di grandi autori (Mingus, Bernstein, Waldron, Carter… tanto per citarne alcuni) ma tutti poco orecchiabili e poco battuti. Insomma nessuna concezione al facile ascolto. A questi pezzi, durante la serata di sabato, il duo ha aggiunto altre quattro perle vale a dire “Infant eyes” di Wayne Shorter, “Lament” di J.J.Johnson, “Lullaby of the Leaves” di Bernice Petckere e “All Blues” di Miles Davis come bis.

Si ringraziano i fotografi Massimo De Dominicis per le immagini di Cinzia Tedesco e Fabrizio Sodani per quelle di Marilena Paradisi.

Gerlando Gatto

“PEACE HOTEL” Il nuovo album del sassofonista Paolo Recchia

“Peace Hotel” è il nuovo album del giovane sassofonista Paolo Recchia pubblicato in contemporanea in Giappone, Italia, Olanda e Sati Uniti, prodotto dall’etichetta giapponese Albòre Jazz. Composto da brani originali e standard della tradizione jazzistica totalmente riarrangiati e rivisitati dal sassofonista di Fondi per il trio in versione pianoless e drumless, “Peace Hotel” si contraddistingue per uno stile attento alle dinamiche, fatto di atmosfere calde e misteriose. La formazione si completa con Enrico Bracco alla chitarra, abile, sofisticato con uno spettacolare mix di tradizione e modernità; e Nicola Borrelli al contrabbasso, con uno swing solido e un impeccabile senso del ritmo.

Il nuovo album trae ispirazione da un luogo reale che diventa, nell’immaginario del leader Paolo Recchia, anche un luogo metafisico di equilibrio perfetto, “Peace Hotel”, che rappresenta la serenità, la gioia, l’amore per gli affetti. In senso strettamente musicale, questa raccolta di brani rappresenta un passo ulteriore nella realizzazione di un progetto intimo, creativo e di ricerca personale, pensato per il trio come conseguenza naturale del feeling musicale ed umano creatosi nell’album precedente (“Three for Getz”, Albòre Jazz, 2013).

L’album “Peace Hotel” è composto da 9 brani che portano la firma di ogni componente del trio oltre a standard della tradizione jazzistica e del songbook americano. Le tracce dell’album sono state selezionate in modo da rispecchiare il giovane leader sia nel modo di essere sia nel fare musica jazz: in piena libertà e nel rispetto delle regole, sia nella ricerca della qualità sia dell’originalità. «Ci sono le mie passioni, i miei riferimenti musicali di Oggi e di Ieri – racconta senza induci Paolo Recchia – Credo che ci sia una sostanziale differenza tra la registrazione di un disco e l’intento di far crescere e portare avanti nel tempo un progetto musicale, come è in questo caso – e continua – La bellezza sta nel lavoro di crescita costante e nel rinnovato amore quotidiano per quello che si fa; la difficoltà sta nella tentazione di fare qualcosa di nuovo stravolgendo ogni lavoro precedente. Questo nuovo disco, “Peace Hotel”, – il sassofonista Paolo Recchia conclude – è la prosecuzione in termini di sinergia e di impegno costante sulla strada dello sviluppo di un progetto musicale in cui credo molto».

Paolo Recchia esordisce a livello discografico nel 2008 con  “Introducing Paolo Recchia featuring Dado Moroni”; nel 2011 pubblica il suo secondo cd “Ari’s Desire” con ospite il noto trombettista Alex Sipiagin, entrambi per la Via Veneto Jazz e distribuiti EMI Music. “Three for Getz”, che vanta le note di copertina di Dino Piana – uno dei più prestigiosi musicisti della storia del jazz italiano – è il suo terzo album (Albòre Jazz, 2013) che ha riscosso grandi consensi di pubblico e di critica sia a livello nazionale sia internazionale in due anni consecutivi di tour ed arrivato alla sesta ristampa.

Paolo Recchia nasce nel 1980 a Fondi, piccola città del sud pontino a metà strada tra Roma e Napoli. Rimane affascinato e si appassiona al sassofono contralto fin da bambino, grazie al padre; inizia a suonare all’età di 11 anni, dedicandosi dapprima agli studi classici e poi al jazz, che scopre ed inizia profondamente ad amare ascoltando alcuni dischi di Charlie Parker e Massimo Urbani.  Ha frequentato master class tenute da Bob Mintzer, Rick Margitza, Billy Harper, Harry Allen, Dave Liebman, Enrico Pieranunzi, Chris Potter, Rosario Giuliani, Paolo Fresu. Il suo modo di comunicare attraverso il sassofono è ricco di sensibilità, di forza e chiarezza espressiva. Un sound bilanciato e spesso composto, ma capace di incredibili impennate emotive dove arriva a toccare corde più passionali a volte nostalgiche, o semplicemente rivelatrici di un gusto intimistico. Il suo stile compositivo fonda le radici negli albori del bebop, anche se poi si libera verso una contemporaneità più tangibile. E’ forse proprio questa la sua forza che deriva da anni di studio e di intenso approfondimento sulla cultura afroamericana. Molte le collaborazioni illustri, come quella con il pianista David Kikoski (nel 2013) e con Joel Frahm (2008) ospiti delle formazioni a suo nome fino alle più recenti in duo con Danny Grissett, con l’Andrea Pozza UK Connection Trio, con George Garzone e tanti altri nomi illustri del jazz nazionale ed internazionale. Ad ottobre del 2015, Paolo Recchia vince il primo premio alla terza edizione del Festivalul International de Jazz “Johnny Raducanu” a Brăila in Romania, aperto a giovani musicisti jazz provenienti da ogni parte del mondo, in memoria del contrabbassista soprannominato “Mr. Jazz of Romania” – che fondò la Romanian Jazz School e che formò numerose generazioni di musicisti jazz, morto nel 2011 all’età di 79 anni. Oltre alla sua intensa attività concertistica, Paolo Recchia tiene regolarmente lezioni ed è docente di sassofono presso i corsi di formazione per big band a Lanciano. (altro…)

Tanto Jazz nei programmi di “Musica per Roma”

Presentata nei giorni scorsi la stagione 2014-2015 all’Auditorium Parco della Musica

3Cohens_Katz_0282c_8X12

Nei giorni scorsi è stato presentato alla stampa il programma di “Musica per Roma” (leggi Auditorium) per la stagione 2014-2015.

Ancora una volta gli organizzatori hanno predisposto un cartellone ove c’è ampio spazio per le varie manifestazioni artistiche pur cercando di mantenere un qualche filo rosso che le unisca; così, ad esempio, eventi musicali si intersecano con attività teatrali, artistiche e culturali, mentre performance di natura scenica, letteraria o visuale presentano contiguità con il mondo delle sette note.

Ed è proprio a quest’ultimo settore, con specifico riferimento al jazz, che come al solito si indirizza la nostra attenzione. Dobbiamo, al riguardo, constatare come, dopo un periodo di magra, l’Auditorium torni a riproporci una serie di appuntamenti jazzistici notevoli per numero e qualità.

E’ già ai nastri di partenza l’annuale edizione del “Roma Jazz Festival” condotto more solito, con mano sicura, da Mario Ciampà. Il tema scelto per quest’anno è lo swing in un accostamento con gli USA ove lo swing divenne la colonna sonora di quel “New Deal” con cui si riuscì a superare la gravissima crisi del ’29.

Parallelamente a questo filo conduttore ci sono altri due elementi giustamente tenuti in considerazione da Ciampà: il 40° anniversario della scomparsa di Duke Ellington, considerato uno dei più importanti compositori di tutta la storia del jazz, e i 70 anni della liberazione di Roma da parte delle truppe angloamericane.

Insomma una serie di elementi musicali e non che si incontrano e si intersecano per delineare un momento importante . Il programma si svolge dal 14 al 30 novembre con alcuni appuntamenti davvero degni di rilievo: Dave Holland/Kenny Barron in apertura; 3 Cohen’s Sextet e Jason Moran/Robert Glasper rispettivamente il 16 e 17; Dee Dee Bridgewater il 25 novembre; Bireli Lagrene & Gipsy Project il 27. Anche quest’anno molto spazio ai musicisti italiani: Fabrizio Bosso Quartet & Paolo Silvestri Ensemble in “Swinging Duke” il 19 novembre; Enrico Rava – Parco della Musica Jazz Lab il giorno dopo; Franco D’Andrea/Daniele D’Agaro/Mauro Ottolini il 24 novembre. La chiusura del Festival è affidata all’ Orchestra Operaia “Swing Era”.

(altro…)

Intervista a Dario Carnovale. “Anche per un jazzista è importante avere solide basi classiche”

carnovale piano

Da Palermo a Udine, un cambio sostanziale che Dario Carnovale ha affrontato da circa un anno alla ricerca di una più precisa identità. Identità che a 35 anni sembra oramai emergere in tutta la sua valenza: batterista, ma soprattutto pianista, compositore, arrangiatore Dario viene oramai considerato una delle più belle realtà del jazz made in Italy. Ma conosciamolo meglio attraverso l’intervista qui di seguito pubblicata.

Dalla Sicilia al Friuli: un balzo lungo come quasi tutta l’Italia. Come mai questa scelta così radicale?
“Innanzitutto ricerca di tranquillità”

In Sicilia non c’era?
“Poca. E’ strano ma anche il clima influenza molto il mio mondo artistico: a volte ricerco più un tempo uggioso e fresco; con il caldo non mi sento proprio a mio agio, non riesco a essere creativo”.

Un siciliano anomalo…un siculo-nordico
“Probabilmente…non ho mai avuto un pigiama invernale”.

Qualche antenato del Nord?
“E chi lo sa… ma non credo”.

Comunque bando agli scherzi: come ti sei avvicinato alla musica e al jazz in particolare?
“Provengo da una famiglia di musicisti. A due anni mi hanno messo le bacchette in mano e la leggenda dice che a due anni ero già in grado di fornire un discreto accompagnamento. Ad onor del vero un po’ ci credo perché con mio figlio è stata un po’ la stessa cosa: a due anni era in grado di swingare; ho un filmino in cui suona la batteria ed è stato visto da alcuni importanti batteristi americani che non credevano all’età del bimbo. Comunque a cinque anni mi sono avvicinato al pianoforte avendo sempre l’improvvisazione come matrice di base”.

Che tipo di studi hai fatto?
“Classici. Nella musica classica devi avere la fortuna di trovare un buon insegnante: quando un maestro si accorge di avere un allievo molto creativo, personale, con un talento evidente, deve riuscire a lasciarlo libero. Da questo punto di vista sono stato abbastanza penalizzato da piccolo: già leggevo le sonate di Beethoven, quelle difficili, ma mi veniva proibito di suonarle. Io penso che ciò sia fondamentalmente sbagliato. E’ chiaro che non poteva esserci una esecuzione da concorso ma un bambino di nove, dieci anni che legge le sonate di Beethoven ripeto quelle difficili a partire cioè dall’op.53, deve essere lasciato libero di eseguirle. Altra stupidaggine quella di limitare i movimenti corporei: mi ricordo che quando suonavo Bach entravo in una specie di trans e mi muovevo in modo circolare proprio perché sentivo delle sensazioni che esprimevo anche attraverso il corpo. Tutto questo veniva criticato; mi si diceva “stai suonando Bach non Chopin” perché chiaramente ci si muove a seconda della partitura…poi mi capitò di vedere Glenn Gould…e a quel punto mi consolai un po’ ”.

E adesso quale reverenda età hai raggiunto?
“Ben trentacinque”.

Ma gli studi classici li hai ultimati?
“All’età di ventiquattro anni ho avuto la fortuna di incontrare una pianista eccezionale, allieva di Franco Scala della prestigiosa accademia di Imola, Irene Inzerillo. Con lei ho fatto un percorso di quasi due anni: ho del tutto interrotto l’attività concertistica per andare ogni giorno a lezione da lei; erano delle lezioni particolari: ad esempio mi dava sei giorni di tempo per imparare a memoria sei studi di Chopin e poi la domenica dovevo eseguirli, sempre a memoria, magari davanti a dei suoi colleghi. Era quindi molto stressante ma mi è servito moltissimo perché ho davvero scoperto molti segreti del pianoforte. Da allora in poi mi sono avvicinato allo strumento in modo molto più consapevole”.

Ti sei diplomato al Conservatorio?
“Fortunatamente l’ho mollato al quarto anno. E dico fortunatamente perché dopo qualche tempo ho sentito i miei vecchi colleghi di corso e quasi nessuno suonava più, chi affetto da tendinite chi privo di voglia. Devo dire che i miei hanno avuto con me molta pazienza perché sin da giovane ero molto critico nei confronti dei miei insegnanti e del metodo seguito e mai hanno cercato di tarparmi le ali. In compenso mi sono diplomato in conservatorio con il massimo dei voti, ma in strumenti a percussioni”.

Già, perché tu sei anche un ottimo batterista. Come concili le due cose?
“In modo molto naturale: per me lo strumento è solo un mezzo per esprimere quello che ti frulla in testa musicalmente. Questo genere di approccio fisico e mentale mi permette di avvicinarmi a qualsiasi strumento la mia curiosità mi spinga a studiare. Lo stesso approccio fisico che si basa su rilassatezza e utilizzo del peso del corpo che è parte basilare del mio modo di suonare il piano è ugualmente fondamentale per la batteria e questo fa si che suonare la batteria mi risulti naturale”.

Hai inciso qualche album come batterista; e più in generale ti esibisci spesso ai tamburi?
“Quando il progetto mi piace la suono molto volentieri. Ho avuto la fortuna di suonare la batteria con grandissimi musicisti come Dado Moroni, Gwilem Simcock, Yuri Goloubev, Pietro Ciancaglini, Paolo Recchia, Stefano D’Anna e di partecipare a dei progetti molto belli quando abitavo a Palermo, con il trio di Fabrizio Brusca e i progetti di Francesco Guaiana e Luca Lo Bianco artisti palermitani dalla personalità molto forte; poi ho fatto anche molta big Band,con L’orchestra jazz del conservatorio di Palermo, con la OMC orchestra e l’orchestra jazz siciliana”.

(altro…)

Paolo Recchia Trio giovedì 31 luglio al Festival “Jazz e Dintorni” di Civitavecchia

La musica di Stan Getz, gigante del jazz di tutti i tempi, nella splendida versione del trio guidato dal giovane sassofonista di Fondi, Paolo Recchia, esponente della nuova leva jazzistica nazionale, sarà protagonista della serata ad ingresso libero di giovedì 31 luglio in occasione del Festival “Jazz e dintorni” giunto alla II edizione che si svolgerà nei Giardini de “La Cittadella della Musica” e che vede la direzione artistica di Franco Ciambella.

Il Paolo Recchia Trio, con Enrico Bracco alla chitarra e Nicola Borrelli al contrabbasso, propone brani tratti dal vastissimo repertorio di Getz (quasi 50 anni di carriera tra Stati Uniti, Europa e Brasile) reinterpretati con originalità e colore ed inclusi nel loro ultimo album “Three for Getz” prodotto dalla etichetta giapponese Albóre Jazz. Un progetto di studio e di riscoperta che Paolo Recchia ha voluto intraprendere per meglio entrare in sintonia e in simbiosi con un artista che portò per primo in America la musica brasiliana, che fu fervido sostenitore della “Bossa Nova” e precursore delle contaminazioni tra i generi. Recchia ha saputo fondere la sua tecnica, le sue conoscenze assimilate nel corso degli anni attraverso lo studio in un linguaggio ed in un suono personale fatto di melodia, padronanza armonica, suono rotondo, sensibilità e swing.

Paolo Recchia esordisce a livello discografico nel 2008 con  “Introducing Paolo Recchia featuring Dado Moroni”;nel 2011pubblica il suo secondo cd “Ari’s Desire” con ospite il noto trombettista Alex Sipiagin, entrambi per la Via Veneto Jazz e distribuiti EMI Music. “Three for Getz” è il suo terzo album che vanta le note di copertina di uno dei più prestigiosi musicisti della storia del jazz italiano, Dino Piana: «Mentre ascoltavo  mi sembrava di sentire Lee Konitz, Bud Shank ed altri musicisti con cui io ho avuto anche la fortuna di suonare. Allo stesso tempo però ho ascoltato emergere la personalità di Paolo (Recchia ndr) proprio nella particolare sensibilità di fraseggio che in un ragazzo giovane, abituato ad altri tipi di linguaggio, non è facile da trovare».

 

PAOLO RECCHIA TRIO

“Three for Getz” Omaggio a Stan Getz

Paolo Recchia (sax), Enrico Bracco (chitarra), Nicola Borrelli (contrabbasso)

Giovedì 31 luglio 2014 – ore 21.00

Festival “Jazz e dintorni” – “La Cittadella della Musica” – Civitavecchia – Via G. d’Annunzio n. 2

 

Contatti Paolo Recchia

Sito Ufficiale: www.paolorecchia.it

Facebook Official: www.facebook.com/PaoloRecchiaOfficialPage

 

Ufficio Stampa e Promozione: Top1 Communication

Per interviste e recensioni album: segreteria@top1communication.eu

Per concerti:tourbooking@paolorecchia.it, marketing@top1communication.eu