Riflettori su Mafalda Minnozzi e Francesco Di Giulio e i loro nuovi progetti

In attesa di pubblicare la solitamente corposa rubrica su “I nostri CD”, cosa che avverrà nei primi di settembre, vorrei sottoporre alla vostra attenzione due artisti che ritengo particolarmente interessanti: una, Mafalda Minnozzi, continua a proporre in giro per il mondo la musica italiana… e non solo, l’altro, Francesco Di Giulio, è un giovane artista abruzzese che meriterebbe ben altra considerazione.

Ma procediamo con ordine. Anticipato esclusivamente dalla pubblicazione di due singoli estratti dall’album – “A felicidade” (24 giugno) e “Once I Loved”D (9 luglio) – e da 8 concerti “première” realizzati a novembre con il quintetto americano, di cui 6 in Italia e 2 al Birdland di NYC (sold-out), il 20 luglio scorso è stato lanciato l’ultimo album di Mafalda Minnozzi, “Sensorial- Portraits in Bossa & Jazz”, distribuito su tutte le piattaforme digitali. Contemporaneamente è stata data la possibilità non solo di ascoltare i brani sulle piattaforme ma anche di vederli sul canale YouTube di Mafalda (disponibili 13 video realizzati durante la registrazione in studio a NY, uno per ogni brano) e di approfondirli con il podcast, per entrare nello spirito dell’artista. Al momento l’approfondimento con i podcast riguarda solo tre brani ma è intenzione dell’artista dedicare ad ogni pezzo la stessa attenzione. Insomma un’azione promozionale a tutto campo che ben si attaglia ad un album che presenta numerosi punti di forza.
Innanzitutto la ‘ricchezza’ dell’organico. A conferma della statura di artista internazionale, per quest’ultima impresa la Minnozzi è riuscita a raccogliere accanto a sé una pletora di musicisti di assoluto rilievo: al contrabbasso si alternano Harvie Swartz (classe 1948) a ben ragione considerato il bassista dei chitarristi avendo inciso tra gli altri con  John Scofield, Mick Goodrick, John Abercrombie, Gene Bertoncini, Mike Stern, Jim Hall, Leni Stern, e Essiet Okon Essiet già con Benny Golson, Johnny Griffin,  Cedar Walton; alla batteria Victor Jones, personaggio di assoluto rilievo nel panorama jazzistico internazionale come dimostrano gli oltre cento dischi cui ha partecipato sia come leader sia come sideman; alle percussioni Rogerio Boccato che può vantare collaborazioni con Maria Schneider, John Patitucci, Danilo Perez; al  pianoforte Art Hirahara già leader in trio e in quartetto con Linda Oh e Donny McCaslin; Will Calhoun  vincitore di decine di premi tra cui il ‘Buddy Rich Jazz Masters Award for outstanding performance by a drummer’ all’Udu nigeriano e shaker nel brano n. 7 (“Samba da Benção”) …e naturalmente quel Paul Ricci, alle chitarre sulle cui eccelse qualità mi sono già soffermato diverse volte su questi stessi spazi.
Secondo punto di forza, la bellezza del repertorio. In cartellone ben sette composizioni di Antonio Carlos Jobim tra cui le notissime “A Felicidade” che apre l’album, “Dindi”, “Desafinado” e “Triste”, mentre gli altri sei pezzi completano un magnifico affresco dei maggiori compositori brasiliani chiamando in causa Baden Powell (“Samba da Benção”), Chico Buarque (“Morro Dois Irmãos”), Toninho Horta (“Mocidade”), Filó Machado (“Jogral”), Alcyvando Luz e Carlos Coqueijo (“É Preciso Perdoar”).
In terzo luogo, ma non certo in ordine d’importanza, l’eccellente livello delle esecuzioni che come sottolinea lo stesso titolo dell’album non si limita ad una mera riproposizione della bossa-nova ma introduce ben individuabili elementi jazzistici nelle celebri melodie brasiliane (si ascolti a mo’ di esempio con quanta pertinenza le note del coltraniano “Lonnie’s Lament” vengano utilizzate per introdurre “É Preciso Perdoar”).

Il risultato è affascinante. La Minnozzi si conferma interprete sensibile, sorretta da una tecnica vocale di rilievo che le consente di ascendere senza difficoltà alcuna alle  note più alte, brava anche nello scat (la si ascolti in “Mocidade”) e cosa non proprio comune perfettamente in grado di esprimersi sia in perfetto portoghese sia in perfetto inglese; la sua voce, a tratti lievemente nasale, si staglia stentorea sul meraviglioso tappeto armonico-ritmico disegnato dai compagni di viaggio, sulla scorta di pregevoli arrangiamenti cui non è di certo estranea la mano di Paul Ricci. E di rilievo il modo in cui riesce a colloquiare con i compagni di viaggio: certo l’intesa con Paul Ricci è cementata da anni di fruttuosa collaborazione ma con gli altri no. Eppure l’intesa è perfetta: si ascolti come riesce a interloquire con le improvvisazioni di Hirahara in “Vivo Sonhando” (Jobim).
E le perle offerte dalla vocalist si succedono senza soluzione di continuità fino al conclusivo “Dindi” di Jobim impreziosito da un ispirato arrangiamento, di sapore blues.
Insomma un album di assoluto spessore, forse il migliore nella già prestigiosa carriera della Minnozzi.

Si ringrazia Chris Drukker per la photogallery di Mafalda Minnozi

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Trombonista abruzzese, classe 1983, Francesco Di Giulio è sulle scene jazzistiche oramai da parecchi anni.
Dopo la maturità scientifica conseguita nel 2002, si dedica interamente alla musica, al jazz. Così nel 2007 ottiene una borsa di studio presso i seminari estivi di Siena Jazz e successivamente partecipa ad un International Jazz Master a Siena. Nel 2009 ottiene il Diploma Accademico di primo livello in Jazz, Musiche improvvisate e Musiche del nostro tempo (Triennio Superiore Sperimentale di I livello) presso il Conservatorio di Musica “G. B. Martini” di Bologna. L’anno successivo vince una borsa di studio presso la New Bulgarian University in cui ha l’occasione di studiare, tra gli altri, con Glenn Ferris. L’attività professionale vera e propria inizia già nei primissimi anni 2000 e negli ultimi dieci anni si è notevolmente intensificata con la partecipazione, tra l’altro, a numerosi gruppi e orchestre sia come I trombone, sia come side-man, sia come compositore.
Per conoscerlo meglio ecco tre album, registrati in periodi diversi.
Cuneman – “Tension and Relief” UR Records è il secondo capitolo del progetto musicale Cuneman che in questa occasione cambia radicalmente pelle: non più il quartetto composto da sax, tromba, contrabbasso e batteria del primo disco del 2018 ma una formazione allargata a sei, con l’aggiunta del trombone suonato proprio da Francesco Di Giulio e del susafono nelle sapienti mani di Mauro Ottolini. Il risultato è eccellente in quanto il gruppo conserva le sue caratteristiche migliori, vale a dire una sapiente ricerca sulle armonie senza scivolare nel banale, con una giusta considerazione del passato ma con più di un occhio rivolto al free jazz. In quest’ambito particolarmente positivo l’inserimento di Di Giulio che riesce a ben dialogare con i compagni di viaggio (si ascolti il suo assolo in “Schifano”). Il gruppo sarà impegnato il prossimo 18 agosto alla Civitella di Chieti.

Completamente diverso il secondo album, “Mo’ Better Band” – “Li vuoi quei kiwi?”
La Mo’ Better Band nasce nel 2003 da un’idea di Fabrizio Leonetti, fondatore e sassofonista del gruppo: l’obiettivo era fondere la versatilità e l’organico tipici della classica banda italiana, con l’energia di un repertorio principalmente funky con “ammiccamenti” al jazz. Il tutto portato per le strade, in mezzo alla gente, per farla ascoltare anche a chi non è un appassionato di jazz.  Il nome della band proviene da ‘Mo’ Better Blues’, il brano eseguito, nell’omonimo film di Spike Lee del 1990, dal Brandford Marsalis Quartet. Di Giulio entra nella band nel 2007 nella duplice veste di strumentista e compositore ed in questo album firma il brano d’apertura (“Jam”) e quello di chiusura (“Soul In Da Hole”) a conferma di un apporto tutt’altro che marginale, come evidenziato anche dal convincente assolo nella title track.
Determinante è invece il ruolo di Di Giulio nel terzo album, “Re-Birth of The Cool” il cui contenuto musicale è già chiaramente espresso nel titolo. Si tratta, infatti, della rilettura dello storico album di Miles Davis pubblicato nel 1957 dalla Capitol Records che raccoglie le registrazioni effettuate tra il 1949 e il 1950 dal “nonetto”, capitanato da Miles Davis con gli arrangiamenti di Gil Evans. Come sottolineato dall’amico e collega Fabio Ciminiera “sulla scorta delle trascrizioni del trombonista Francesco Di Giulio e della sua conduzione e, va da sé, sulla scia delle registrazioni originali è stato costituito un nonetto fedele all’originale, con l’incontro tra musicisti jazz e classici e con alcuni dei solisti emergenti della scena abruzzese-marchigiana”. Confrontarsi con un’impresa del genere non era certo impresa facile e il trombonista-leader in questa occasione ne è uscito più che bene; sotto la sua conduzione il gruppo ha evidenziato un buon affiatamento generale e i musicisti hanno avuto modo di esplicitare appieno le proprie potenzialità data la scelta, effettuata allo stesso Di Giulio, di dare maggiore spazio agli assolo mantenendo inalterate per il resto le strutture architettate all’epoca. Ulteriore elemento che rende particolarmente riuscito l’album, il fatto che è stato registrato dal vivo il 21 giugno del 2012 durante un concerto alla Villa Comunale di Roseto degli Abruzzi.

Gerlando Gatto

Udin&Jazz 2018: quando l’età non conta

È proprio vero che, a certi livelli, l’età conto poco o nulla: Dave Holland (classe 1946), Norma Winstone (classe 1941) e Tony Allen (classe 1940) sono stati gli indiscussi protagonisti della 28° edizione di “Udine&Jazz” svoltasi sotto l’insegna “Take A Jazz Break” dal 27 giugno al 6 luglio, con una appendice in programma il 24 luglio con “Laid Black Tour” il nuovo progetto di Marcus Miller.

Personalmente ho assistito alla parte centrale della programmazione prevista dal 2 al 6 luglio e ho potuto constatare come, ancora una volta, la manifestazione abbia mantenuto fede alle proprie caratteristiche quali valorizzare i talenti locali e dare il giusto spazio alle donne: su undici concerti ben quattro erano al femminile. Altra considerazione non secondaria: è stata attuata la formula del doppio concerto a sera, tutto a titolo gratuito eccezion fatta per l’esibizione del contrabbassista Avishai Cohen.

Ma procediamo con ordine. Lunedì 2 luglio, alle 18, alla Loggia del Lionello, appuntamento con la “Udin&Jazz Big Band”. È questa una formazione che sta molto a cuore al patron del Festival, Giancarlo Velliscig, che non a caso la invita in diverse occasioni. E ne ha ben donde dal momento che si tratta di un’orchestra in crescita esponenziale grazie all’affiatamento raggiunto nel tempo, alla bontà degli arrangiamenti e ad alcuni solisti davvero di livello come il trombettista Mirko Cisilino e il pianista Emanuele Filippi, dai quali è nata l’idea di costituire la big-band. Il progetto presentato quest’anno, “Sounds Across Boundaries Reload” propone un repertorio di composizioni originali ispirate alla musica popolare di diverse tradizioni del mondo.

Alle 20, al Teatro Palamostre, location scelta oculatamente per tutti i concerti ad evitare le bizze di un clima non del tutto estivo, esibizione del trio del pianista siculo-udinese Dario Carnovale coadiuvato da Simone Serafini al contrabbasso, fedele compagno di viaggio da una decina d’anni e dall’austriaco Klemens Marktl alla batteria. Batterista, ma soprattutto pianista, compositore, arrangiatore Dario viene oramai considerato una delle più belle realtà del jazz made in Italy anche se, dal punto di vista concertistico, non è che lo si ascolti molto nella varie regioni italiane. È il solito discorso per cui gli organizzatori oramai puntano quasi esclusivamente sulla ‘cassetta’ senza peritarsi di far ascoltare al proprio pubblico qualcosa di nuovo ed interessante. E che Carnovale sia un musicista che merita la massima attenzione è stato ribadito anche da questa esibizione. Dotato di una preparazione classica che gli consente di muoversi con grande agilità su tutte le ottave della tastiera, con tocco nitido e preciso, Dario ha sciorinato un pianismo brillante, ora rilassato al limite dell’onirico, ora fortemente percussivo ma sempre rispondente ad una logica precisa al cui interno pagina scritta e improvvisazione trovavano un mirabile equilibrio. In tale ambito, grande il contributo del batterista austriaco, che onestamente non conoscevamo, e che ha fornito al trio un supporto timbrico di assoluto livello.

A seguire è stata la volta di ‘CrossCurrents’, ovvero Dave Holland al contrabbasso, Chris Potter ai sax tenore e soprano e lo specialista di tabla Zakir Hussain, già collaboratore di John McLaughlin e Jan Garbarek. Ovviamente la musica ascoltata da questo trio è stata completamente diversa da quella di Carnovale e compagni. Qui a farla da padrona è il ritmo, un ritmo intenso, travolgente dettato da Zakir Hussain ed è stato davvero un bel sentire come le concezioni prettamente jazzistiche di un sempre superlativo Dave Holland si intrecciassero magnificamente con le ardite architetture disegnate dalle tabla di Hussain, la cui arte si rifà chiaramente alla musica classica indiana. Su un tessuto modale, comune a tutte le composizioni, i due si intendono a meraviglia, con Hussain a colorare la musica con timbriche e dinamiche multiformi e Holland a disegnare con il suo strumento vere e proprie sculture, allo stesso tempo di grande precisione e varietà, con quel suggerire le linee melodiche che verranno in seguito da lui stesso sviluppate. In tale contesto Potter, che pure tanto ha collaborato con Holland, è sembrato a tratti un po’ avulso dalla situazione. Ma, come si dice, è voler cercare il pelo nell’uovo ché il concerto, nel suo insieme, è stato superlativo, con il vertice toccato proprio nel bis quando Potter, al sax tenore, ha avuto modo di estrinsecare appieno l’originalità del suo sound e quella carica lirica che non aveva potuto esprimere in precedenza.

Martedì 3 luglio concerti al femminile e diciamo subito che è stata forse la più bella serata del festival. Merito di Norma Winstone e di Youn Sun Nah.

Alle 20 sono saliti sul palco la vocalist Norma Winstone, il pianista friulano Glauco Venier, il sassofonista e clarinettista Klaus Gesing e il percussionista norvegese Helge Andreas Norbakken, praticamente la stessa formazione che nel marzo del 2017 aveva registrato “Descansado-Music for Films” per la ECM con l’aggiunta del violoncellista Mario Brunello. Ed è stato proprio questo il progetto presentato a Udine; grazie ai preziosi arrangiamenti di Venier e di Gesing e alla squisita sensibilità della Winstone che ha rivisitato i testi di alcuni brani, abbiamo potuto verificare come anche alle prese con temi legati ad un più facile ascolto, sia possibile raggiungere vette di grande lirismo. Merito, ovviamente, di tutti i musicisti ma davvero sorprendente è stata la prova della Winstone che ha mantenuto una voce fresca, una timbrica che sembra non conoscere l’usura del tempo, e soprattutto una capacità di interpretare che oggi le consente di narrare, cantando, delle storie, sì da coinvolgere tutto il pubblico a prescindere dal fatto che il testo sia in inglese e quindi ad alcuni incomprensibile, e che alle volte la vocalist si sia impegnata in uno scat preciso e non banale. Così le musiche di compositori quali Rota, Michel Legrand, Ennio Morricone, Bacalov sono assurte a nuova vita con alcune perle assolute quali il tema di “Taxi Driver” di Bernard Herrmann porto con sensibile partecipazione e l’ardita rivisitazione di Everybody’s Talking, il tema conduttore di “Uomo da marciapiede” composto da Fred Neil nel 1966 per altro non inserito nell’album di cui in precedenza, sulla base di Second Spring, splendido brano di Glauco Venier. Scoppiettante la seconda parte della serata con Youn Sun Nah, accompagnata dalle funamboliche chitarre di Ulf Walkenius. Avevamo già avuto modo di apprezzare le qualità vocali della vocalist coreana e l’avevamo conosciuta meglio nel corso dell’intervista che potrete leggere su “L’altra metà del jazz”. Ascoltarla, quindi, inerpicarsi sulle note delle composizioni originali o degli standard non è stata una sorpresa. E tuttavia sentirla cantare è sempre un’esperienza unica. La Sun Nah è dotata di una tecnica straordinaria sempre al servizio dell’espressività cosicché non si ha mai l’impressione di un virtuosismo fine a se stesso. E la cosa assume davvero il sapore di straordinarietà ove si pensi che fino ai 30 anni quest’artista viveva nel suo Paese e nulla conosceva di jazz. Quindi una maturazione incredibile, frutto anche di uno studio assiduo, cosicché nel corso delle sue esibizioni quasi nulla è lasciato al caso, senza che ciò infici quel tasso di improvvisazione che rende unica ogni interpretazione jazzistica. Improvvisazione che viene stimolata dal musicista svedese il quale, oltre ad essere stato l’ultimo chitarrista di Oscar Peterson, ha sviluppato una sorta di stile orchestrale per cui la sua chitarra riempie ogni spazio. Volendo citare alcuni dei brani presentati durante il concerto è d’obbligo ricordare le interpretazioni di “Hallelujah” di Leonard Cohen e “Avec Le Temps” di Léo Ferré, il sentito omaggio alla canzone francese che è stata la molla principale per cui la Sun Nah si è trasferita in Europa. Certo, ascoltando una dopo l’altra Norma Winstone e Youn Sun Nah era inevitabile operare dei paragoni. Non ci sottraiamo a questa difficile operazione dicendo semplicemente che gli anni di carriera alle spalle della Winstone si fanno sentire quanto a capacità di trasmettere emozione.

Mercoledì 4 luglio è stata la serata più applaudita ma a parere del vostro cronista la più debole. Sul palco, in successione, i Forq che presentavano il nuovo album “Threq” e Avishai Cohen nella sua unica data italiana con il nuovo album “1970”.

Il filo conduttore della serata era evidenziare le diverse influenze che starebbero indirizzando il jazz verso nuovi territori, ma non a caso abbiamo usato il condizionale in quanto non ci sembra che dai Forq o dal nuovo Cohen possano venire input degni di nota.

I Forq sono composti dal chitarrista Chris McQueen (anche membro di Bokanté) e dal batterista Jason Thomas, ambedue provenienti dagli “Snarky Puppy” (del cui concerto romano vi abbiamo appena riferito in queste pagine) cui si sono aggiunti il tastierista Henry Hey già collaboratore di David Bowie e il bassista Kevin Scott. Si tratta di quattro musicisti indubbiamente talentuosi che declinano, però, la loro cifra stilistica attraverso un repertorio più vicino al rock e al funk che al jazz. Di qui un ricorso ad una musica fortemente materica, a costruzioni ritmiche molto ben congegnate e ad assolo trascinanti, di buona fattura. Non a caso sono stati a lungo applauditi dal pubblico giovanile accorso numeroso a sentirli e non a caso hanno venduto un certo numero di dischi.

Come accennato, la seconda parte della serata era dedicata al progetto “1970” di Avishai Cohen, che si è presentato al pubblico udinese con il suo gruppo completato da Shai Bachar tastiere e voce, Marc Kakon chitarra basso e voce, Noam David batteria e Karen Malka voce. Come più volte dichiarato dallo stesso Cohen, scopo dell’album è rifarsi a quelle musiche che egli aveva ascoltato, per l’appunto, negli anni ’70. Ma perché? Questo è l’interrogativo di fondo cui Cohen, a nostro avviso non ha saputo dare risposte esaurienti. In effetti se l’intento è esclusivamente quello di riproporre, attraverso un certo repertorio, determinati stati d’animo allora non si comprende perché una virata tanto decisa verso il pop; certo si  strizza l’occhio al jazz,  al funk, al latino-americano, ad Israele, ed anzi i momenti migliori sono stati proprio quelli con espliciti riferimenti ebraici come in “D’ror Yikra”, inno composto nella Spagna nel 960, e “Alon Basela”, ma l’appiattimento tanto deciso verso stilemi popolari – nell’accezione non certo migliore del termine – toglie credibilità all’intera operazione. Né bastano a nobilitarla quei rari momenti in cui Cohen, sia al pizzicato sia con l’archetto, ci ha ricordato quale straordinario musicista egli in realtà sia. Il concerto si è chiuso con la riproposizione di “Vamonos pa’l monte” di Eddie Palmieri, ad evidenziare l’amore del musicista israeliano per la musica latino-americana.

Giovedì 5 luglio ancora due concerti interessanti. In apertura Quintorigo con la presentazione del nuovo doppio album “Opposites”. Avevamo già avuto modo di ascoltare l’album e l’avevamo trovato interessante, impressione confermata dal concerto udinese. L’album presenta due repertori: nel primo CD solo composizioni originali del gruppo, nel secondo una serie di cover interpretate con pertinenza. Ovviamente durante il concerto non è stato possibile riproporre l’intero contenuto di “Opposites” ma nell’ora e mezzo loro dedicata i Quintorigo hanno avuto modo di enunciare ancora una volta le caratteristiche del loro linguaggio. Vale a dire una sorta di dialogo-contrapposizione tra gli archi dall’impronta classicheggiante di Andrea Costa (violino), Gionata Costa (violoncello) e il sax di Valentino Bianchi, dal chiaro sapore jazzistico, con la sezione ritmica (Stefano Ricci contrabbasso e Gianluca Nanni batteria e percussioni) a fungere da collante. Il tutto impreziosito dalla voce di Alessio Velliscig che pur essendo entrato nel gruppo da poco si è tuttavia ben amalgamato, contribuendo non poco al successo del concerto. Dotato di una bella estensione vocale, di un indubbio senso del ritmo e di una convincente presenza scenica, Velliscig ha interpretato al meglio i brani vocali tra cui un eccellente “Alabama Song” di Weill. Da quanto sin qui detto, risulta evidente come il gruppo sia in grado di affrontare territori anche molto diversi tra di loro senza perdere in coerenza ed omogeneità.

La seconda parte della serata prevedeva una vera e propria icona del jazz, vale a dire il batterista nigeriano Tony Allen con il suo nuovo progetto “The Source”, album di debutto per la Blue Note Records, considerato dallo stesso batterista come la sua migliore creazione artistica in quanto segna il realizzarsi di un sogno d’infanzia. Così, in perfetta coerenza con il titolo del lavoro discografico, abbiamo ascoltato un jazz senza se e senza ma, un jazz canonico che si rifà espressamente alle radici della musica afro-americana vale a dire, da un canto gli input della musica africana derivanti anche dalla lunga collaborazione con Fela Kuti, dall’altro gli stilemi più prettamente jazzistici assunti nel corso della sua lunga carriera negli States. A declinare l’insieme una formazione di tutto rispetto in cui il lavoro ritmico-armonico viene sviluppato da Jean Philippe Dary al piano e tastiera, Jeff Kellner alla chitarra e Mathias Allamane al contrabbasso mentre la front-line con Nicolas Giraud alla tromba e Yann Jankielewicz al sax tenore, si fanno valere sia nelle parti obbligate sia in quelle improvvisate. Dal canto suo Tony Allen dirige il tutto quasi in punta di bacchette, senza farsi notare, ma con grande musicalità e senso del percorso che si vuol compiere.

Venerdì 6 luglio serata interamente dedicata alla musica brasiliana con tre appuntamenti: “Cool Romantics” ovvero il nuovo progetto del duo eMPathia formato da Mafalda Minozzi alla voce e Paul Ricci alle chitarre con l’aggiunta, per l’occasione, del pianista Art Hirahara; una chiacchierata condotta da Max De Tomassi sull’arte di Chico Buarque de Hollanda con la partecipazione di Gianni Minà; “Caro Chico” ovvero la presentazione dell’album di Susanna Stivali in omaggio a Chico Buarque.

Serata dall’andamento alterno e forse un po’ lunga. A dar fuoco alle polveri è stato il duo (per l’occasione trio) eMPathia: e francamente l’espressione dar fuoco alle polveri è del tutto pertinente: la Minozzi, dotata di quelle straordinarie possibilità vocali che ben conosciamo e di una prorompente presenza scenica, non si è risparmiata dando fondo a tutte le energie. Partita quasi in sordina ha man mano sciorinato i suoi volteggi vocali senza rete, che hanno conquistato il pubblico non a caso plaudente a lungo alla fine del concerto. Non bisogna però dimenticare il ruolo sempre prezioso svolto da Paul Ricci. Paul è chitarrista jazz fino al midollo, e non un chitarrista qualsiasi ma un musicista che coniuga una eccellente preparazione tecnica con una squisita sensibilità. Ciò gli consente, grazie anche alla lunghissima collaborazione con la Minnozzi, di esplorare ogni minimo anfratto melodico-armonico dei brani eseguiti sì da fornire alla vocalist un tappeto di estrema sicurezza su cui volteggiare a piacimento, con la certezza che qualunque cosa ella faccia la chitarra di Paul è sempre lì a sostenerla. E questo vale indipendentemente dal fatto che si affronti un pezzo jazz o un brano tratto dalla tradizione europea e statunitense. Come si accennava, nell’occasione il duo è diventato trio grazie all’aggiunta di Art Hirahara al pianoforte che lavorando quasi per sottrazione ha vieppiù valorizzato il canto della Minnozzi.

Dopo un set così esplosivo, difficile il compito della cantante romana Susanna Stivali che ha presentato il suo ultimo album “Caro Chico”. Ben coadiuvata da un eccellente Alessandro Gwiss al pianoforte, Marco Siniscalco basso elettrico e contrabbasso e Emanuele Smimmo alla batteria, la Stivali ha reinterpretato alcuni brani di Chico Buarque alla luce della sua sensibilità jazzistica, suggerendo così un nuovo modo di rileggere il grande artista brasiliano.

Gerlando Gatto

Per le immagini, si ringrazia il fotografo Angelo Salvin© e l’ufficio stampa di Udin&Jazz 2018

Udin&Jazz 2018 e U&J Borghi Swing: a Udine e a Marano per godere il jazz come momento di relax

Puntuale come un orologio svizzero, con l’avvento della bella stagione ecco ricomparire l’estate jazzistica ovvero quel fiorire di iniziative dedicate al jazz che ad onta della conclamata crisi economica continuano ad interessare tutta la penisola. Già questo spazio si è occupato di alcune di queste iniziative che riteniamo di particolare interesse trascurando le più grandi kermesse che a nostro avviso hanno oramai ben poca ragione di esistere.

Eh sì, perché lo ripetiamo per l’ennesima volta, oggi un Festival del Jazz si giustifica solo se è in grado di valorizzare le eccellenze locali, cosa che ben pochi sono disposti a fare. Tra questi ultimi va senza dubbio inserito il Festival Internazionale Udin&Jazz, giunto alla ventottesima edizione e organizzato da Euritmica, per la direzione artistica di Giancarlo Velliscig.

Quest’anno la rassegna si svolgerà dal 27 giugno al 24 luglio a Udine e provincia ma dal 22 al 24 giugno sarà preceduta, presso il borgo di Marano e la sua suggestiva laguna, da una nuovissima manifestazione che si colloca all’interno del progetto “BORGHI SWING”, iniziativa di valorizzazione e riscoperta dei meravigliosi borghi italiani attraverso la musica jazz, patrocinata dal MiBACT.

Il progetto artistico, con un programma costruito ad hoc per valorizzare anche una significativa espressione del panorama jazzistico del Friuli Venezia Giulia, si inserisce in una più ampia proposta di turismo esperienziale, che prevede la partecipazione attiva alle numerose iniziative in programma, attraverso cui conoscere il luogo, l’ambiente che lo circonda, la sua storia, i suoi riti, la cultura e l’enogastronomia in modo più attraente e spontaneo.

Il programma prevede ben undici concerti in tre giorni, tutti ad ingresso gratuito, con la partecipazione di artisti affermati anche a livello internazionale; particolarmente interessante la serata conclusiva che vedrà impegnati, all’alba, l’Afrikanpiano di Claudio Cojaniz; alle 19 “THE HamMonk SPHERE Trio” con Nevio Zaninotto, sax tenore e soprano, Luca Colussi, batteria, Rudy Fantin, Hammond Organ feat. Russ Spiegel, chitarra; alle 20.30 “THE LICAONES” con Francesco Bearzatti, sax, Mauro Ottolini, trombone, Oscar Marchioni, organo, Paolo Mappa, batteria e alle 22 gran finale con la “Udin&Jazz Big Band”.

E veniamo, adesso, a Udin&Jazz la cui insegna quest’anno è “#takeajazzbreak”, ovvero un’esortazione a ridurre il ritmo, a prendere una pausa dalla superficialità frenetica di questi nostri giorni, a uscire dal mondo virtuale, dai social, dalla tecnologia, per assaporare il gusto di emozioni reali, condivise, vissute andando ai concerti ad ascoltare una musica che si rinnova sempre… il jazz, naturalmente! Musica declinata, però, non solo attraverso le note ma anche attraverso incontri, conferenze, libri…

Il festival si apre con due concerti nella provincia di Udine: il 27 giugno, a Tricesimo, si esibirà la cantante Barbara Errico accompagnata dagli Short Sleepers feat. Mauro Costantini e Gianni Massarutto, mentre il 28 giugno, a Cervignano del Friuli, performance di Disorder at the Border, progetto firmato da Daniele D’Agaro, Giovanni Maier, in questa occasione con Marko Lasič alla batteria al posto di Zlatko Kaučič.

Dal 2 luglio eccoci a Udine con una nuova e suggestiva location nel cuore della città: Largo Ospedale Vecchio, una sorta di anfiteatro architettonico di fronte alla Chiesa di San Francesco, ora sede museale.

Le serate, tranne qualche eccezione, si articoleranno con la formula del doppio concerto ad ingresso libero (alle 20 e alle 22) e su un cartellone, che, come al solito, alterna a musicisti di chiaro valore internazionale, jazzisti “nazionali” che hanno saputo comunque conquistarsi una oramai solida reputazione. E’ il caso, ad esempio, del pianista siciliano oramai da tempo ‘emigrato’ a Udine, Dario Carnovale, che sarà di scena il 2 luglio con Simone Serafini, contrabbasso e Klemens Marktl, batteria; sempre lunedì 2 luglio si esibirà la Udin&Jazz Big Band che nasce da un’idea di Emanuele Filippi e Mirko Cisilino, idea che Udin&Jazz ha fatto propria, decidendo di sostenere con forza il collettivo sia come resident band del festival sia offrendogli diverse occasioni per esibirsi e per far crescere un potenziale diventato davvero importante

Il 5 luglio sarà la volta di “Quintorigo” che presenterà in anteprima il suo nuovo CD; il 6 nell’ambito della serata dedicata al Brasile, avremo modo di ascoltare colei che è stata insignita del titolo di “Ambasciatrice della Musica Italiana in Brasile” (Paese in cui vive e dove, da oltre vent’anni, è un’autentica star), ossia Mafalda Minnozzi con il suo abituale partner Paul Ricci alla chitarra cui si aggiungerà come special guest il pianista Art Hirahara; sempre il 6 la vocalist romana Susanna Stivali, riproporrà in quartetto con Alessandro Gwis, pianoforte, Marco Siniscalco, basso elettrico e contrabasso, Emanuele Smimmo, batteria  i brani contenuti nel suo ultimo lavoro “Caro Chico” evidentemente dedicato a Chico Buarque.

A questo punto il Festival si interrompe per riprendere il 24 con il concerto forse più atteso: “LAID BLACK TOUR” con Marcus Miller, basso, Alex Han, sax, Brett Williams, tastiere e Alex Bailey, batteria.

Se Marcus Miller, come si accennava è probabilmente l’artista più atteso, non è l’unica stella di caratura internazionale presente al Festival. Così a chiudere l’importante giornata del 2 luglio ci sarà il trio del celebre contrabbassista Dave Holland, con Zakir Hussain, tabla e Chris Potter, sax.

Il 3 luglio due grandi artiste: la vocalist Norma Winstone con Klaus Gesing, clarinetto basso, sax soprano, Glauco Venier, piano e Helge Andreas Norbakken, percussioni, vale a dire il trio che ha registrato alcuni album di successo per la ECM con l’aggiunta di un percussionista; a seguire un duo di grande spessore costituito dalla vocalist coreana Youn Sun Nah e dal chitarrista svedese Ulf Wakenius.

Il 4 luglio ancora due concerti da non perdere: alle 20 “THRĒQ” il nuovo progetto dei FORQ con Chris McQueen, chitarra, Henry Hey, tastiere, Kevin Scott, basso e Jason ‘JT’ Thomas, batteria: il gruppo nasce da una costola degli Snarky Puppy, ed in breve ha raggiunto i vertici di gradimento in tutto il mondo; in successione, in anteprima e unica data italiana il bassista Avishai Cohen, presenterà il suo nuovo progetto “1970” con Shai Bachar, tastiere, voce, Marc Kakon, chitarra, basso, voce, Karen Malka, voce e Noam David, batteria.

 

Il 5 luglio una delle leggende della batteria jazz, ossia Tony Allen con Mathias Allamane, contrabbasso, Jeff Kellner, chitarra, Jean Philippe Dary, tastiere, Nicolas Giraud, tromba, Yann Jankielewicz, sassofono, tastiere.

Tra gli eventi non musicali ricordiamo martedì 3 luglio presso Largo Ospedale Vecchio ad ingresso libero “I 20 ANNI DI “ARTESUONO” DI STEFANO AMERIO”; dialogano con Stefano Amerio: Glauco Venier e U.T. Gandhi, Ermanno Basso, Cam Jazz e Luca d’Agostino, fotografo.

Il 4 luglio alle ore 18:00, nella suggestiva e intima Corte Savorgnan, sempre ad ingresso libero, verrà presentato il libro del sottoscritto “L’ALTRA METÀ DEL JAZZ” – Voci di Donne nella Musica Jazz (KappaVu / Euritmica ed.)

Gerlando Gatto

 

Parte dal Teatro Fontana di Milano il 7 aprile il tour europeo di eMPathia Jazz Duo

L’eMPathia Jazz duo della vocalist Mafalda Minnozzi con il chitarrista newyorchese Paul Ricci, feat. Giovanni Falzone (tromba), sul palco del Teatro Fontana di Milano il 7 aprile 2018 (h 21) – prima data italiana del “Cool Romantics Tour 2018”

Il duo è da poco rientrato da una tournée di oltre due mesi negli Stati Uniti: sold-out in alcuni dei più importanti jazz club del mondo!

Biglietti on line su Vivaticket.it e nelle prevendite collegate / Info e prenotazioni: +39 02 6901 5733 / fontana.teatro@elsinor.net / www.teatrofontana.it

Milano, 13 marzo 2018  – Il Teatro Fontana di Milano ospita, il 7 aprile, la prima data italiana del “Cool Romantics Tour 2018” di eMPathia Jazz Duo, della vocalist Mafalda Minnozzi, ambasciatrice della musica italiana nel mondo e star in Brasile, paese in cui vive da vent’anni, e del chitarrista newyorchese Paul Ricci. Assieme ai due artisti, sul palcoscenico del teatro milanese in un featuring prestigioso, l’eclettico trombettista siciliano Giovanni Falzone, figura di spicco del jazz italiano ed europeo.

La Minnozzi e Ricci sono reduci da un lungo tour negli Stati Uniti, iniziato a gennaio con un sold-out al leggendario Birdland di NYC ed esibizioni da tutto esaurito in diversi locali culto della musica jazz quali il Mezzrow, il Jazz Forum a New York e il Trumpets di Montclair. Dagli States, il Cool Romantics Tour si trasferisce dunque in Europa, dove è in allestimento un calendario di concerti organizzati dalla Mbm Management di Marco Bisconti; dopo la premiére milanese e la data di Alessandria del 14 aprile, il duo debutterà con il nuovo spettacolo anche in Germania, il 18 aprile a Monaco di Baviera e il 21 a Brema, partecipando alla prestigiosa Jazzahead Clubnight.

Cool Romantics” (Mpi-2017) è il titolo dell’album che sta per essere distribuito in Italia e che completa una trilogia composta da “eMPathia Jazz Duo” (Mpi/Egea 2015), album di esordio del progetto omonimo, cui è seguito “Inside” (Mpi/Onerpm 2016).

In “Cool Romantics” il duo ha raggiunto un perfetto equlibrio di fattori in cui emerge la ricerca dell’essenzialità, grazie ai raffinati arrangiamenti e allo stile peculiare del fingerpicking di Paul Ricci, chitarrista di fama internazionale, e all’approccio estetico-espressivo di Mafalda, intriso da una forte teatralità, che inventa, trasforma, traduce ritmi, timbri e gesti; questa combinazione di elementi crea il linguaggio personale e distintivo di eMPathia.

Sul palco del teatro milanese, situato nel cuore del quartiere Isola e luogo d’incontro delle arti, il duo, supportato dalle preziose sottolineature della tromba del funambolico Giovanni Falzone, musicista di razza dalla personalità prorompente, volteggia tra samba, bossa nova, swing, blues e musica d’autore, firmando inconfondibili interpretazioni che vanno dalla lettura struggente di “Insensatez”, di Antonio Carlos Jobim, al “divertissement” musicale creato in “Via con me” di Paolo Conte e ad una versione piena di temperamento “di Triste sera” di Luigi Tenco.

Mafalda, interprete poliedrica di levatura internazionale, canta nella sua lingua madre, in inglese (“Dindi”, “My shining hour”), in francese (nella rilettura blues di “Nuages” di Django Reinhardt) e in portoghese, sebbene il vero linguaggio di eMPathia sia quello creato dal dialogo tra la sua voce e la chitarra di Paul, le cui linee digradano fino ad accogliere la tromba di Falzone, in un sempre più effuso paesaggio sonoro.

L’incontro tra Mafalda e Paul è avvenuto nel 1996, in Brasile, paese dove lei è famosissima; da allora, ha avuto inizio una parabola artistica sfociata nel loro attuale progetto. La vocalist vanta collaborazioni con Martinho da Vila, Milton Nascimento, Leny Andrade, Toquinho, Guinga, Paulo Moura, Art Hirahara, Jane Duboc, Gene Bertoncini, Gabriele Mirabassi, mentre Ricci ha suonato con Roy Haynes, Kenny Barron, Gary Burton, Sonny Fortune, Bebel Gilberto, Astrud Gilberto, Mino Cinelu, Randy Brecker, Manolo Badrena e il grande Harry Belafonte. Riferendosi alla Minnozzi, il critico musicale Gerlando Gatto ha scritto: “… Mafalda è un artista veramente cosmopolita, che canta in diverse lingue con piena padronanza delle stesse e con estrema disinvoltura … mi viene in mente Caterina Valente …”

 Biglietti on line su Vivaticket.it e nelle prevendite collegate. Info e prenotazioni: +39 02 6901 5733 / fontana.teatro@elsinor.net

 

 

 

Comunicato stampa

eMPathia Jazz Duo – Mafalda Minnozzi e Paul Ricci in Concerto / Giovedì 28 dicembre – Teatro storico “Subasio di Spello” ore 21:30

Evento speciale di solidarietà presentato da Tamat in collaborazione con Donne Insieme Onlus e  “Donne in Jazz” di DOT Radio con il contributo e il patrocinio del Comune di Spello

Interculturalità, bossa nova, canzone d’autore italiana e impegno sociale: ovvero, il jazz che unisce dell’eMPathia Jazz Duo di Mafalda Minnozzi e Paul Ricci, in concerto giovedì 28 dicembre, con inizio alle 21:30, nello storico Teatro Comunale Subasio di Spello, un evento speciale dedicato alla solidarietà.

 Il concerto è presentato dalla ONG Tamat in collaborazione con Donne Insieme Onlus e  DOT Radio, all’interno della trasmissione “Donne In Jazz”, con il contributo e il patrocinio del Comune di Spello.

Una collaborazione tra associazioni no-profit regionali e l’amministrazione comunale di Spello, che intende dare un respiro diverso a queste festività con un’iniziativa culturale che metta al centro impegno civile e attenzione sociale, donne e benessere, lungo le latitudini della voce di Mafalfa Minnozzi e della chitarra di Paul Ricci, con i suoi particolari arrangiamenti.

Dura da oltre vent’anni il sodalizio artistico di Mafalda Minnozzi, interprete della  bellezza e della tradizione musicale italiana e napoletana in Brasile e in altri paesi del mondo e artista impegnata in progetti educativi nelle periferie di Rio de Janeiro, e Paul Ricci, compositore e produttore newyorkese in costante evoluzione e sempre alla ricerca del suono nella “voce” della chitarra jazz. Lo stile che caratterizza la loro unione musicale è molto personale e di forte impatto emotivo e usa il ritmo come linguaggio universale per valorizzare la potente e “atletica” voce dell’artista italiana.

A Spello il duo jazz darà vita ad una serata straordinaria portando, per la prima volta in Umbria, l’ultimo dei tanti progetti musicali che portano la loro firma: “eMPathia”, con influenze e incursioni nella musica brasiliana, latina, jazz, africana, non dimenticando i grandi classici del repertorio autoriale italiano.

L’ingresso al concerto è ad offerta libera e il ricavato sarà devoluto a supporto delle attività e dei servizi delle associazioni promotrici.

“eMPathia” Jazz Duo – Mafalda Minnozzi e Paul Ricci in concerto è  un’iniziativa Tamat con Donne Insieme Olus, DOT Radio e il supporto del Comune di Spello, DIVA International e Drinking Wine. Media partner  Subasio TV

Per informazioni: Colomba Damiani / Tamat / m: +39 347.976.2589 comunicazione@tamat.org

comunicato stampa

#empathiajazzduoplusfriends #mafaldaminnozzisolidarity #ricominciamodaljazz #sulpalcoperunpalco

 Note a margine: Tamat: Organizzazione non governativa riconosciuta dal Ministero degli Affari esteri e dalla Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo: dal 1995 ha sviluppato progetti in Albania, Bolivia, Bosnia, Burkina Faso, Mali, Perù, Suriname oltre che Italia nelle regioni di Umbria, Emilia Romagna, Marche, Lazio, Piemonte e Puglia.  I suoi partner europei per l’attuazione dei progetti UE sono basati in: Austria, Belgio, Cipro, Francia, Grecia, Germania, Gran Bretagna, Lituania, Polonia, Portogallo, Puglia, Slovenia e Spagna.  “Lavoriamo su sovranità alimentare, sicurezza alimentare, agro-ecologia e agri-cultura. Crediamo nelle persone e nel rafforzamento delle competenze personali, per il miglioramento delle condizioni di vita di ognuno. Sosteniamo le organizzazioni locali, facendo in modo che ogni persona in ogni luogo possa vivere di risorse e competenze proprie. Supportiamo le popolazioni locali e la società civile per implementare soluzioni di sviluppo sostenibile in ambito sociale, ambientale, culturale ed economico. Cooperiamo in Africa, America Latina e Balcani. Lavoriamo in Italia con le associazioni locali, la società civile, le istituzioni e università sui temi e le sfide legate a sviluppo e processi di interdipendenza globale. Siamo per un mondo più equo, più giusto e più vicino alle donne”.

 Donne Insieme Onlus: è un’associazione di persone che mettono in comune la loro esperienza e le loro difficoltà nell’ affrontare la malattia aiutandosi a vicenda per superare questo evento difficile, “un gruppo di donne che come te”, hanno avuto problemi al seno. “Ci siamo riunite, perchè insieme possiamo combattere la malattia, la depressione ed il disagio emotivo che ne consegue. Insieme sulla strada della conoscenza e della prevenzione”. L’associazione nasce l’ 8 marzo giorno in cui si festeggia la giornata internazioanale della donna.

DOT Radio è stata fondata nel 2009 . E’ una web-radio indipendente, che trasmette 24 ore su 24 con una redazione attenta e appassionata. “Si dà largo spazio alla musica italiana e straniera di vario genere oltre a radiogiornali, informazioni meteo e programmi culturali,  portivi, di attualità e intrattenimento, che danno un carattere preciso al canale e costituiscono una alternativa di alta qualità ai contenuti radiofonici mainstream”.

“Ricominciamo dal Jazz”: a San Severino Marche il canto di Mafalda Minnozzi accende la solidarietà!

Una delle caratteristiche della musica Jazz è di dare ampio spazio all’improvvisazione, tra i processi creativi più affascinanti, che sorprende anche per il tempo velocissimo che intercorre tra il formarsi di un’immagine musicale nella mente e la sua effettiva realizzazione sonora. Nel caso di “Ricominciamo dal Jazz”, evento benefico svoltosi al Teatro Feronia di San Severino Marche (MC) il 10 dicembre, la solidarietà non si è certo improvvisata, come recitava anche il titolo del concerto, anzi… l’organizzazione è stata impeccabile e molti jazzisti di altissimo spessore come il clarinettista Gabriele Mirabassi, il bandoneonista Daniele di Bonaventura, il pianista Giovanni Ceccarelli, il vibrafonista Marco Pacassoni, il chitarrista Antonio Onorato e due talenti locali: David Padella e Maurizio Moscatelli, oltre a due attori di fama quali Alessandro Incerto e Massimo Reale, non hanno esitato a rispondere alla chiamata della vocalist Mafalda Minnozzi, di origine settempedana, un segno di comunanza verso le popolazioni marchigiane ancora provate dal sisma che ha colpito la regione nel 2016.

E così che al Feronia, delizioso teatro all’italiana progettato da Ireneo Aleandri, inaugurato nel 1828 e oggi diretto con passione da Francesco Rapaccioni, si è radunato attorno all’eMPathia Jazz Duo, di Mafalda Minnozzi e del chitarrista newyorchese Paul Ricci, un manipolo di artisti di indubbio valore e notorietà, accomunati dalla medesima radice solidale e da una filosofia della condivisione, oltre che da una sensibilità nell’arte e nella vita, per un incontro che aveva il nobile intento di raccogliere fondi – ma anche e soprattutto attenzione – per avviare la ricostruzione del palcoscenico del Cinema Teatro Italia, casa delle attività culturali, specie giovanili e studentesche, che il terremoto ha reso inagibile.

Dopo il saluto degli organizzatori e del sindaco Rosa Piermattei, Mafalda e Paul salgono sul palco. Lei è meravigliosa ed elegante, fasciata in un abito nero con uno strascico rosso, lunghissimo, che rappresenta la scia di distruzione che il terremoto ha portato con se. Un paio di brani in duo per scaldare le corde, siano esse vocali o della chitarra: Triste Sera, brano tra i meno “coverizzati” di Luigi Tenco, dove la cantante sfoggia da subito una tessitura vocale che mette in evidenza la sua enorme solidità tecnica e il suo gran mestiere… e A Felicidade, un classico di Jobim/De Moraes (che Mafalda ha cantato anche con Toquinho, la scorsa estate al Sant’Elpidio Jazz Festival). La chitarra di Paul lo riveste di un mood ritmico e incalzante, dove Mafalda fa danzare le parole, giocando ad allungare e ad aprire le note  e dove, nel finale, sublima la tristezza dei versi di De Moraes in un loop… Não tem fim, não tem fim…

Il primo “friend empatico” della serata è il giovane contrabbassista locale David Padella, laddove locale è un mero dato statistico in quanto il suo talento è innegabile. Il trio popone una rivisitazione sognante di Estate, di Bruno Martino, un bellissimo fermo immagine per un’esecuzione patinata e vintage.

Della potenza immaginifica del pianista Giovanni Ceccarelli, nato a Fabriano ma che da anni vive in Francia, dove ha trovato il successo, ci sarebbe da scrivere un trattato! Il suo è un pianismo a colori, ma colori primari, dell’essenza… ha inoltre un impareggiabile tocco vellutato e con Mafalda e Paul, in un appassionato gioco di sequenze ritmiche, esegue la cinematografica Metti una Sera a Cena, celeberrimo brano di Ennio Morricone, main theme del film omonimo di Patroni Griffi e una pagina dedicata alle raffinate melodie di Cole Porter, con Everytime we say goodbye, dove il contrasto dinamico tra la chitarra di Paul e il piano di Giovanni, e la stilizzazione timbrica di Mafalda risolvono il brano con rinnovata freschezza.

Il suono antico del bandoneon è quanto di più vicino possa scaturire da uno strumento musicale per ricordarci che l’amore è estasi ma anche tormento; e chi più di Daniele Di Bonaventura – nato a Fermo – nell’olimpo dei bandoneonisti europei, avrebbe potuto esprimere al meglio la passione e lo struggimento di composizioni quali Insensatez, bossa nova della coppia Jobim/De Moraes, tra le più celebri al mondo per le innumerevoli incisioni realizzate e la toccante Hymne à l’amour di Edith Piaf? E il bandoneon di Daniele, con le sue melodie carnali, insieme al delicato mantello ritmico della chitarra di Paul e agli arabeschi vocali che disegna Mafalda, rapisce letteralmente il pubblico. C’è da dire che la vocalist, in Hymne à l’amour, è riuscita nel difficile intento di sdrammatizzare il brano, senza intaccarne minimamente intensità e pathos.

Il concerto prosegue con un tributo di eMPathia Duo interamente dedicato a Mina, una delle cantanti italiane più amate di sempre: abbiamo ascoltato Città Vuota, adattata in una minimalista bossa-nova e Nessuno, caricata a swing e temperamento!

Il nobile, quanto impervio, sentimento del perdono è il tema di É preciso perdoar (Bisogna perdonare) portata al successo da João Gilberto, uno dei padri della bossa-nova.  Al chitarrista napoletano Antonio Onorato il compito di reinterpretare questo brano, che Mafalda canta come se fosse uno spiritual. In Antonio si concentrano tecnica, sensibilità, passione e con Paul trova da subito una grande sintonia. Il risultato è avvincente e il trio produce alchimie emozionanti! Il secondo pezzo è uno degli slow più conosciuti del repertorio tradizionale napoletano: Anema ‘e core, una carezza che arriva diritta all’anima, dove una delle due chitarre esegue una sorta di canto essenzialmente monodico e l’altra l’accompagnamento armonico. Il finale è intenso, quasi drammatico: la vocalist canta in ginocchio, ad occhi chiusi, sciorinando una serie di vocalizzi che denotano una perfetta gestione delle nuances dinamiche… a  dir poco strepitoso!

My shining hour, brano che fu scritto nel 1943 per esere inserito nella colonna sonora di una commedia musicale,  ci riporta al jazz più convenzionale. L’ospite sul palco del Feronia è il marchigiano Marco Pacassoni, un maestro del vibrafono e della marimba, un vero incantatore, per come inanella i suoi rintocchi e le sue velocissime sequenze di note! L’abbiamo ascoltato anche in Jogral, con Gabriele Mirabassi, virtuoso del clarinetto a livello internazionale. Questo improvvisato quartetto ha dato vita ad un divertente gioco di scale e di relazioni armoniche.

La “voce” del clarinetto di Mirabassi è unica, penetrante, piena: la sua agilità nei passaggi solistici, e la sua destrezza interpretativa sono emerse prepotentemente in Azzurro, successo di Paolo Conte, forse tra i brani più applauditi della serata (eccezionale la riproduzione del fischio del treno di Mafalda!), in Nuages di Django Reinhardt, nella versione originale con testo in francese e Chega de saudade, focosa e travolgente, pezzo entrato nella leggenda per aver dato inizio al genere della bossa nova…dove Mafalda ha sfoggiato anche la sua anima e le sue doti da attrice (ha studiato con la Compagnia della Rancia di Saverio Marconi) usando linguaggi gestuali, oltre ad ineguagliabili effetti vocali, scat, shake acuti che lei utilizza con naturalezza sorprendente.

Avviandoci verso la fine, Giovanni Ceccarelli e Daniele Di Bonaventura, con gli eMPathia, ci regalano due incantevoli interpretazioni: Io che amo solo te di Sergio Endrigo e Dindi, per la quale è inutile cercare aggettivi… tale è la sua intensità, delicatezza, profondità. Un brano che amo visceralmente. Con un altro talento marchigiano, il sassofonista Maurizio Moscatelli, Mafalda e Paul eseguono Via con Me di Paolo Conte.

Dopo quasi tre ore di grande musica e spettacolo arriva implacabile il tempo del bis, con tutti gli artisti sul palcoscenico del Feronia, preceduto da una lettura scenica dei due attori che nel corso dello spettacolo avevano portato il loro contributo alla causa della solidarietà, recitando brani di Montale e di Quoist: il napoletano Alessandro Incerto (Un posto al sole, La squadra, I bastardi di Pizzofalcone) e il fiorentino Massimo Reale (reduce dal successo de  “Il Penitente” all’Eliseo di Roma con Luca Barbareschi e da quello televisivo nella serie “Rocco Schiavone” con Marco Giallini).

Il brano scelto, Samba da Bênção, la samba delle benedizioni (che servono sempre!), viene usato spesso dai grandi interpreti brasiliani, come forma di saluto, proprio nel finale dei concerti, assieme al mantra antico “saravà” (la forza che movimenta la natura…);  applausi a scroscio per eMPathia jazz duo plus Friends!

Il concerto è stato organizzato dalla MBM Management di Marco Bisconti, in collaborazione con il Comune e la Pro Loco di San Severino Marche.

Nota di colore: al di là della sua innegabile valenza solidale, l’evento ha avuto dei risvolti conviviali, momenti di grande condivisione e amicizia durante i quali gli artisti (e la sottoscritta) hanno potuto apprezzare l’ospitalità del popolo marchigiano e gli eccellenti prodotti gastronomici regionali!

Marina Tuni

La gallery fotografica è di Paolo Soriani Soriansky che ringraziamo!