Dodo Versino: “la realizzazione del progetto è nel suo esistere, non nella sua diffusione”

Vorrei immediatamente sgombrare il campo da un possibile equivoco di fondo: mi interesso di questa esperienza musicale perché vi è coinvolto mio figlio? Assolutamente no in quanto il “piccolo” Gatto ha già al suo attivo anche prestigiose incisioni, con un altro celebrato coro, di cui mai ho parlato in questa sede. Allora ne tratto perché si tratta di un nuovo strepitoso gruppo di jazz? Sbagliato anche questo.

Come ben sapete “A proposito di jazz” si occupa di jazz… ma non solo. Essendo assolutamente indipendente, il sito tratta anche altre forme musicali purché, ovviamente, di un certo livello artistico.

Ebbene “Il coro che non c’è”, di cui vi parlo oggi, questo livello artistico a mio avviso l’ha già raggiunto imponendosi come una delle realtà più belle e innovative del panorama musicale romano. Nato dall’aggregazione di un centinaio di giovani dai 14 ai 22 anni, provenienti da vari licei romani (Albertelli, De Sanctis, Keplero e Visconti), nel giro di pochissimo tempo il coro, che canta a cappella sotto la direzione del maestro Dodo Versino, ha ottenuto risultati strabilianti: i video su Youtube sono diventati virali, a “Tú sí que vales” ha intonato un medley dei Queen che ha impressionato sia i 4 giudici sia il pubblico (e l’esclusione dalla finale si spiega forse con la difficoltà di gestire burocraticamente un coro con moltissimi minorenni), ha cantato al MIUR, nel dicembre 2019 è stato invitato al Quirinale per una sorpresa al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, si è esibito in due occasioni nella prestigiosa cornice dell’Auditorium (una prima volta nel corso della serata “1 x Tutti”,  in favore dell’ospedale pediatrico Bambin Gesù e successivamente ha preso parte al VokalFest 2020, il festival della voce e della musica vocale, insieme ad altre sei formazioni provenienti da tutta Italia). Di recente ha registrato un video caricato su Youtube, quale testimonial di un’iniziativa che ha lo scopo di promuovere il Numero verde contro il fumo dell’ISS 800 55 40 88 quale strumento di supporto per superare la dipendenza, attraverso una comunicazione «smart» e «giovane per i giovani». Il video, girato e ambientato a scuola, presso il liceo Cavour di Roma, con la regia di Marco Signoretti e la direzione artistica di Dodo Versino, contiene la canzone “Stop what you’re doing”, composta da Gabriele D’Angelo e Massimo Fava e invita alla presa di coscienza e al cambiamento, individuale e collettivo.

Insomma un successo davvero incredibile che non era certo possibile prevedere e che non a caso ha suscitato l’interesse dei più importanti quotidiani nazionali.

Ma quali i perché di simile affermazione? A queste ed altre domande risponde direttamente il direttore del coro, il vulcanico Dodo Versino, egli stesso profondo conoscitore e amante del canto corale.

-Cominciamo dal nome. Perché “Il coro che non c’è”?

“Mi piaceva l’idea di creare un gruppo di fantasia, un gruppo che non esiste, un gruppo che – come dice la nostra presentazione – non ha una fissa dimora, non ha una sede, non ha un repertorio fisso, non ha un organico fisso, non ha una divisa, non ha un logo e quindi mi piaceva il legame con questo spazio immaginario al cui interno dei ragazzi ‘persi’ nella loro passione per il canto, trovassero un’occasione per ritrovarsi e cantare insieme. Quando i ragazzi si ritrovano assieme, ad esempio in attesa di effettuare una registrazione televisiva, spontaneamente un gruppo si raduna e comincia a cantare… poi si aggiungono gli altri e il coro si compone. Ciò che di questa realtà mi piace particolarmente è il fatto che la stessa è partita da una loro iniziativa più che mia. Così gli uni hanno cominciato a frequentare le prove degli altri, a conoscersi tra di loro, al “Festival di Primavera” di Montecatini così come in altre occasioni. E’ chiaro che in una certa misura io li ho spinti a conoscersi a frequentarsi, ma ripeto, il tutto è nato dalla loro disponibilità per cui ad esempio io mi ritrovo alle prove di un liceo e sono arrivati sette, otto da un altro liceo per venire a conoscere altri ragazzi che hanno questa stessa passione. Così hanno cominciato a conoscersi, a frequentarsi, a vivere insieme al di fuori delle prove raggiungendo quell’amalgama che si può apprezzare nelle loro performance. Ecco, per rispondere compiutamente alla sua domanda, mi sembrava giusto dare al coro un nome che in qualche modo rispondesse a questa bella fantasia”.

Se non sbaglio attualmente i ragazzi sono 102. Ma ciò significa che il numero può aumentare, diminuire…?

“In realtà i ragazzi attivi sono un’ottantina. Su WhatsApp siamo un centinaio ma ci sono molti ragazzi che non vengono alle prove o che si fanno vedere solo saltuariamente. A “Tú sí que vales” eravamo 102 perché abbiamo coinvolto dei ragazzi che ancora non fanno parte del “Coro che non c’è” ma che avendo preso parte del video dei Queen provenendo dai cori dei licei, abbiamo pensato che era giusto coinvolgerli anche in questa impresa. Ovviamente quella che ci spinge è una logica inclusiva ma abbiamo pensato che sarebbe opportuno includere nel coro quei ragazzi da un canto particolarmente motivati e dall’altro effettivamente in grado di cantare bene. All’inizio abbiamo preso un po’ tutti coloro che mostravano un certo entusiasmo e che provenivano o dai diversi cori dei licei in cui io insegno o da altre scuole in cui ho insegnato nel passato più o meno recente. Oggi un minimo di selezione c’è: per entrare, come già detto, devi essere motivato, devi essere intonato e devi conoscere il repertorio che presentiamo. Adesso che stiamo crescendo abbiamo istituito una sorta di laboratorio in cui entra chi vuole far parte del coro, passa un periodo di apprendistato, se vuole di studio, e quindi entra da titolare nel coro una volta che conoscerà bene i brani in repertorio”.

-A proposito: come scegliete il repertorio?

“Il repertorio pesca prevalentemente dal pop, dalla musica popolare italiana e internazionale, qualche elemento dai gospel e dagli spiritual. Anche in questo caso il tutto è frutto di una collaborazione: in parte sono io che propongo sulla base delle mie preferenze e del mio universo musicale, dall’altro sono i ragazzi che mi sottopongono dei brani a loro particolarmente cari come è capitato per il fortunato medley dei Queen. Ci tengo a sottolineare che una volta scelto il brano noi lo arrangiamo insieme; ovviamente non tutti ma in venticinque, trenta; io durante l’estate lancio il messaggio “chi vuole venire ad arrangiare questo brano?”; di solito mi rispondono circa venti ragazzi e così ci riuniamo e procediamo a studiare e arrangiare il brano, operazione, le assicuro, tutt’altro che banale. Ovviamente “l’azionista di maggioranza” dell’arrangiamento rimango io, perché sono l’unico a possedere alcune competenze specifiche (relative ad esempio all’articolazione delle sezioni, gli intervalli necessari ecc.) che ne rendono possibile la realizzazione. Noi arrangiamo incidendo direttamente sul multi traccia e questo ci consente alla fine di verificare se i nostri sforzi sono approdati a qualcosa di positivo o no. Quest’estate ad esempio abbiamo lavorato su diversi brani, tra cui “Ex’s & Oh’s” di Elle King, brano contemporaneo proposto al gruppo appunto da una nostra corista”.

-Come lei stesso ha avuto occasione di dichiarare in altre interviste, nel coro ci sono elementi assai differenziati, c’è chi sa solo cantare ma senza alcuna esperienza, c’è chi ha l’orecchio assoluto e c’è chi può vantare esperienze corali di diversi anni. Come riesce a fondere queste competenze così diversificate? In particolare che ruolo rivestono i ragazzi più preparati rispetto a quelli meno esperti?

“I ragazzi più preparati sono preziosi perché servono da supporto, da sostegno, da buon esempio ai meno preparati. Io stesso quando sono entrato in un coro tanti anni fa ero accanto a due bassi bravissimi e seguendo loro soprattutto attraverso le registrazioni (li registravo proprio con un ingombrante registratore a nastro che trascinavo con me a ogni prova) ho imparato molto. Quindi tornando al “Coro che non c’è” i più bravi, i più preparati non solo supportano l’ensemble ma aiutano a crescere tutti gli altri. Questi ultimi, dal canto loro, devono prepararsi più che bene, devono impegnarsi il doppio per raggiungere il livello richiesto e se non lo fanno glielo facciamo notare. Arrivare alle prove preparati, dopo aver studiato le partiture è particolarmente importante. Comunque ci tengo a precisare che nel corso della mia vita ho visto dei ragazzi all’inizio non particolarmente capaci che grazie allo studio, alla passione e alla partecipazione sono negli anni letteralmente sbocciati e diventare degli ottimi cantori e questa, mi creda, è una grandissima soddisfazione: io ho visto trascinati diventare trascinatori”.

-Quando vi è capitato di esibirvi live, che tipo di reazione avete registrato da parte del pubblico?

“Di solito reagisce molto bene sia perché facciamo cose note e/o molto efficaci, così non è un caso che sia il medley dei “Queen” sia “Carezze” di Marco Maiero (musicista, direttore di coro e compositore friulano, ndr) stiano nella stessa scaletta perché entrambi hanno un impatto, un’efficacia per cui sono in grado di dire qualcosa, di dare un’emozione al pubblico. Con ciò intendo dire che non è tanto importante presentare la hit, importante è che quello che fai abbia un suo messaggio e che i ragazzi in primis lo sentano come un proprio messaggio. Se noi prendiamo il brano più bello mai scritto nella storia della musica, ma per qualche motivo a loro non piace o non li convince perché ad esempio non sono soddisfatti dell’arrangiamento, è molto probabile che quel brano non abbia la stessa efficacia. I ragazzi sono i primi ad adorare (quasi sempre) i brani che cantiamo”.

-Lei poco fa ha parlato di messaggio; quale messaggio?

“Il messaggio che diamo con il coro è che si può fare bene, che si può fare qualcosa di bello con un folto gruppo di persone, anche molto eterogenee: tra un quattordicenne e un ventenne, tra uno che è cresciuto in centro ed un altro che ha sempre abitato in periferia qualche differenza forse c’è, eppure il canto riesce ad unirli e a renderli amici e compagni, sgretolando così buona parte di quelle sterili barriere culturali di cui siamo spesso ottusamente circondati. Il messaggio è quindi: guardate quanto ci piace farvi sentire questa cosa che a noi piace tanto, e piace farla insieme, quindi ascoltateci, speriamo di riuscire a trasmettervi la bellezza della musica e di quanto la musica stessa possa essere fattore unificante”.

-Quindi si può dire un messaggio di coinvolgimento…

“Assolutamente sì, perché siamo noi i primi ad essere coinvolti, artisticamente ed emotivamente. E la presenza del pubblico è importante ma non indispensabile… nel senso che quando i ragazzi si incontrano e cominciano a cantare a loro poco importa se ci sono i parenti, i bidelli della scuola, i prof. o chicchessia, l’importante è cantare assieme e ciò crea aggregazione. Mi creda è davvero bello assistere a questi incontri”.

-Siete arrivati al successo inaspettato in pochissimo tempo. Cosa vi aspettate adesso?

“L’idea con cui siamo partiti era e rimane ostinatamente amatoriale. E’ ovvio che se ci invitano a fare un tour mondiale di duecento date in due anni noi siamo ben felici…”

-Data la consistenza numerica del coro mi pare un po’ difficile…

“Certo, naturalmente ciò non accadrà ma in cuor nostro noi rivendichiamo la nostra amatorialità e la nostra imperfezione; non siamo il coro migliore del mondo né crediamo di esserlo, e dunque tutto ciò che viene è buono. Non ci aspettiamo alcunché in particolare; devo dire che ci ha stupiti molto questo successo così repentino, non ci aspettavamo che da quel video girato in due ore – perché il  “Queencubo” è stato effettivamente girato in due ore – scaturisse tutto quel che è successo; sì per arrangiarlo ci son voluti sei mesi e altrettanti per impararlo ma rimane pur sempre una sorta di saggio di fine anno fatto nelle scuole. Da lì sono nate un sacco di cose e ci ha fatto molto piacere. Comunque la realizzazione del progetto non è nella sua diffusione ma nel suo esistere in quanto progetto. Se poi staremo un anno, vedendoci una volta al mese per poi fare un concerto per strada al Pantheon, va bene lo stesso”.

-Questa carica di entusiasmo che io stesso ho potuto notare nei ragazzi, da cosa viene?

“Da tanti elementi primo fra tutti l’evidente potere aggregante e trascinante della musica…ma questo è ben noto. Poi che io sia, come dicono, una sorta di pifferaio magico potrà anche essere vero ma deriva dal fatto che in primis mi piace molto la musica corale per cui ci tengo davvero tanto a questa iniziativa. Quindi se questa mia passione trova terreno fertile in tanti ragazzi che sono o diventano anch’essi appassionati di questo genere, di questa musica, allora ne sono davvero felice e non lesino alcuno sforzo. Comunque, mi creda, io sono davvero felice quando mi accorgo che non servo più: quando vedo che i ragazzi si assembrano e cominciano a cantare senza che io li diriga questa per me è la più grande soddisfazione”.

Gerlando Gatto

Rita Marcotulli è Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana

È “Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana”; tra i tanti riconoscimenti ottenuti nell’arco di una lunga e luminosa carriera Rita Marcotulli può adesso annoverare anche questa onorificenza conferitale dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Già ufficializzata, la prestigiosa nomina sarà ulteriormente suggellata il 1 giugno al Quirinale con la sua partecipazione al ricevimento per la Festa della Repubblica.

Se una tale notizia farà piacere a tutti gli appassionati italiani, per il sottoscritto ha un significato particolare. Come detto molte volte, conosco Rita da quando ha cominciato a muovere i primissimi passi nel mondo della musica e fautore di questo felice incontro fu Mandrake, il percussionista con cui Rita suonava in quel periodo. Ebbene Mandrake – che è stato uno dei miei più cari ed affettuosi amici – mi dichiarò senza mezzi termini, “tieni d’occhio questa ragazza che è davvero formidabile e di cui sentiremo tanto parlare”. E così è stato; da allora ho sempre avvertito un legame particolare per questa artista anche per il comune sentimento che ci legava a Mandrake prematuramente e inopinatamente scomparso a soli 54 anni.

Eccomi, quindi a celebrare ancora una volta quella che personalmente considero una delle più grandi pianiste di jazz e non solo a livello nazionale ché Rita ha avuto la forza di imporsi anche su scene jazzisticamente difficili come la Scandinavia e la Francia. Ovviamente neanche la scena italiana le ha risparmiato i giusti riconoscimenti. Così è stata la prima donna ad aver vinto un David di Donatello per la miglior colonna sonora (nel 2011, per “Basilicata coast to coast”), ottenendo, tra l’altro, il Ciak d’oro, il Nastro d’Argento e due vittorie al Top Jazz prima come miglior talento emergente e poi come miglior talento italiano.

Nel corso della sua carriera Rita Marcotulli è, quindi, riuscita ad affermare il suo stile raffinato in numerosi progetti e generi musicali che l’hanno portata ad esibirsi in tutto il mondo con grandi artisti e nelle location più importanti a livello internazionale. Elencare i musicisti con cui ha collaborato e i progetti che ha varato sarebbe davvero troppo lungo e probabilmente inutile in questa sede. Basta forse ricordare gli oltre 25 album cui ha dato vita tra cui “Woman Next Door – Omaggio Truffaut”, che nel 1998 il magazine inglese The Guardian nominòmiglior disco dell’anno”, e l’ultimo di Giorgio Gaber “Io non mi sento italiano” pubblicato nel 2003 e vincitore nello stesso anno della ‘Targa Tenco’.

Proprio in questi giorni è uscito l’ultimo album inciso da Rita Marcotulli in duo con il batterista e vocalist messicano Israel Varela, il live “Yin e Yang” (ed. Cam Jazz), di cui vi riferisco assai volentieri. Il CD fa parte di quelle registrazioni effettuate da Ermanno Basso produttore dell’etichetta e Stefano Amerio anima e titolare dei celebri “Artesuono Recording Studios” nelle cantine del Friuli Venezia Giulia. Già in questo stesso spazio vi avevo segnalato un album di Pieranunzi, “Wine & Waltzes”, registrato nelle cantine del Friuli e adesso questa nuova realizzazione di Marcotulli e Varela evidenzia come la scommessa di Basso e Amerio sia stata vinta alla grande.

L’album si apre con una intro di Varela che disegna uno straordinario tappeto ritmico su cui si inserisce con naturalezza il pianismo della Marcotulli, sempre preciso, essenziale, mai ridondante. E che Rita sia una grandissima artista lo dimostra anche il fatto che per tutta la durata dell’album mai si avverte la mancanza del sostegno armonico solitamente fornito dal contrabbasso. In programma otto brani scritti quasi tutti dalla pianista, eccezion fatta per due pezzi di Israel Varela, e “Vou Ver” di Lokua Kanza (cantante e compositore originario della Repubblica Democratica del Congo) e Vander Lee (cantautore brasiliano venuto meno nel 2016) interpretato al canto magnificamente da Varela. Chi si immaginasse una musica disegnata dalla pianista, con Varela nel semplice ruolo di accompagnatore, sbaglierebbe di grosso ché gli spazi sono equamente divisi e il drumming ‘melodico’ (se mi consentite l’espressione) di Varela ha un ruolo di assoluto rilievo così come gli interventi vocali sempre pertinenti. Lo si ascolti ad esempio in “Everything Is Not” a mio avviso uno dei brani più riusciti dell’album, caratterizzato da una perfetta intesa e da una suadente linea melodica disegnata quasi in crescendo dalla pianista romana, sottolineata dalla delicata voce di Varela, e in “Aria” la cui apertura è affidata ad un centrato assolo del percussionista. E così di sorpresa in sorpresa si arriva alla fine dell’album con la netta sensazione di aver ascoltato due straordinari improvvisatori capaci di regalarci qualcosa di unico.

Per questo nuovo progetto, Rita Marcotulli sarà impegnata nei prossimi mesi in tour con un eccellente quartetto europeo formato dal bassista Michel Benita, il sassofonista britannico Andy Sheppard (vincitore di numerosi British Jazz Awards) e lo stesso Varela.

Gerlando Gatto

Rita Marcotulli riceve dal Presidente Mattarella l’onorificenza di Ufficiale della Repubblica Italiana

E’ una delle artiste italiane più illustri, e per i suoi innumerevoli meriti in ambito musicale il Presidente Sergio Mattarella le ha conferito l’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana: è Rita Marcotulli, pianista e compositrice di grande talento ed eleganza. Prima donna ad aver vinto un David di Donatello per la miglior colonna sonora (nel 2011, per “Basilicata coast to coast”), annovera tra gli altri suoi riconoscimenti il Ciak d’oro, il Nastro d’Argento e le due vittorie al Top Jazz della rivista Musica Jazz prima come miglior talento emergente e poi come miglior talento italiano.
Già ufficializzata, la prestigiosa nomina di Ufficiale della Repubblica Italiana sarà ulteriormente suggellata il 1 giugno al Quirinale con la sua partecipazione al ricevimento per la Festa della Repubblica.
Nel corso della sua carriera Rita Marcotulli è riuscita ad affermare il suo stile raffinato in numerosi progetti e generi musicali che l’hanno portata ad esibirsi in tutto il mondo con grandi artisti e nelle location più importanti a livello internazionale.
Memorabili i suoi concerti con Pino Daniele (è suo il pianoforte e alcuni arrangiamenti dell’album “Non calpestare i fiori nel deserto” vincitore di 8 dischi di platino e della Targa Tenco), Ambrogio Sparagna, la sua esibizione al Festival di Sanremo 1996 con Pat Metheny, il tour mondiale come membro del gruppo del celebre batterista statunitense Billy Cobham, la sua sapiente rilettura dei Pink Floyd con un grande ensemble tra cui Raiz Fausto Mesolella, il live multimediale dedicato a Caravaggio presentato nel 2018 al Festival Umbria Jazz.
Nel 2013, è stata chiamata come membro della Giuria di qualità per la 63esima edizione del Festival di Sanremo.
In ambito jazz spiccano i progetti e le performance con Enrico Rava, Michel Portal, Javier Girotto, Jon Christensen, Palle Danielsson, Peter Erskine, Joe Henderson, Helène La Barrière, Joe Lovano, Kenny Wheeler, Norma Winston, Luciano Biondini, Charlie Mariano, Marilyn Mazur, Sal Nistico, Maria Pia De Vito. Per oltre 15 anni è stata membro del gruppo del sassofonista statunitense Dewey Redman – padre del noto sassofonista Joshua Redman – suonando in tutta Europa e in Sud America.
Tra le sue recenti collaborazioni troviamo Max Gazzè, Gino Paoli, Peppe Servillo, Noa, Massimo Ranieri, Claudio Baglioni e John De Leo. In ambito teatrale e cinematografico: Lella Costa, Chiara Caselli, Stefano Benni, Rocco Papaleo (per cui ha scritto le colonne sonore di “Basilicata coast to coast” e “Una piccola impresa meridionale”), Fabrizio Gifuni, Sonia Bergamasco, Gabriele Lavia, Paolo Briguglia, Daniele Formica, Michele Placido.

Nella sua discografia, oltre 25 album tra cui “Woman Next Door – Omaggio Truffaut”, che nel 1998 il magazine inglese The Guardian ha nominato miglior disco dell’anno, e l’ultimo di Giorgio Gaber “Io non mi sento italiano”.
L’ultimo, appena uscito, è il live “Yin e Yang” (ed. Cam Jazz) in duo con il batterista e vocalist messicano Israel Varela, che a sua volta annovera collaborazioni con Pat Metheny, Charlie Haden, Bireli lagrene, Diego Amador, Bob Mintzer, Mike Stern, Yo Yo Ma, Jorge Pardo. Per questo nuovo progetto, Rita Marcotulli sarà impegnata nei prossimi mesi in tour con un eccellente quartetto europeo formato dal noto bassista Michel Benita, il sassofonista britannico Andy Sheppard (vincitore di numerosi British Jazz Awards) e lo stesso Varela.

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Ufficio Stampa: Fiorenza Gherardi De Candei
Tel. 328.1743236 Email info@fiorenzagherardi.com

La tromba di Fabrizio Bosso, il sax argentino di Javier Girotto e il pianoforte di Massimo Giuseppe Bianchi protagonisti a Musica a Rima 2016

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Giunge alla tredicesima edizione la rassegna musicale estiva “Musica a Rima”, organizzata dall’Associazione Turistica Pro Loco di Rima.
Rima è un piccolo paese di origine Walser ai piedi del Monte Rosa, in Valsesia, ed è una frazione del bellissimo comune di Rima San Giuseppe (VC), situato a ben 1417 metri di altitudine.

Questa stagione musicale, che in ogni edizione ha ottenuto un grande successo sia di critica che di pubblico, ha ospitato negli anni passati musicisti jazz come Enrico Pieranunzi, Fabrizio Bosso, Rosario Giuliani, Luciano Biondini, il pianista americano Jed Distler, Rita Marcotulli, Paolo Damiani, Paolino Dalla Porta, Bebo Ferra, Guido Manusardi, Sandro Gibellini, Pietro Tonolo, Peo Alfonsi e musicisti classici come Cristina Dancila, Antonio Ballista, Massimo Giuseppe Bianchi, l’orchestra d’archi Interpreti Italiani e altri ancora.

Ogni anno numerosi appassionati si ritrovano qui accomunati dalla passione per la montagna ma, soprattutto, da quella per la grande musica della quale la rassegna “Musica a Rima” è un’assoluta garanzia da tanti anni ormai.

Il programma completo prevede:
Domenica 7 agosto, concerto di musica classica con Massimo Giuseppe Bianchi al pianoforte
In programma: L. van Beethoven Sonata Op.13 “Patetica” R. Schumann Papillons Op. 2
 F. Chopin Scherzo n. 3 Op. 39 R. Schumann Carnaval Op. 9

Domenica 14 agosto, concerto jazz con il grande sassofonista argentino Javier Girotto e Claudio Farinone alla chitarra classica e baritono

Domenica 21 agosto concerto jazz con Fabrizio Bosso, premiato nel 2009 e 2010 come miglior trombettista jazz nel “Top jazz” , il premio della critica nazionale annualmente indetto dalla rivista “Musica Jazz”; al suo fianco suonerà il giovane e talentuoso pianista anglo-italiano Julian Oliver Mazzariello

I concerti si terranno nella Chiesa Parrocchiale di Rima con inizio alle ore 17.30 e ingresso a 10 euro. Ingresso gratuito ai minori di 16 anni.
L’organizzazione intende ringraziare sin d’ora gli sponsor che hanno aderito all’iniziativa ed in particolar modo la Fondazione Cassa di Risparmio di Vercelli, sponsor principale.
Per qualsiasi informazione telefonare al numero 345 8095160 oppure scrivere a prolocorima@gmail.com
www.prolocorima.it

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A proposito di… Classica

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Come ben sapete qui su “A proposito di Jazz” abbiamo sempre avuto la curiosità di aprirci all’ ascolto di ogni altro tipo di musica: il Jazz stesso è un genere musicale che assorbe ogni qualsivoglia stimolo con cui venga casualmente o volutamente in contatto, e per sua natura non è mai chiuso in se stesso, quando è vero Jazz.
Proprio per questo motivo non ci siam fatti sfuggire un’ occasione imperdibile: aprire una finestra settimanale sul mondo discografico della musica classica. E chi ci terrà informati è egli stesso un artista di quel mondo, il pianista e compositore Massimo Giuseppe Bianchi. Un artista con un curriculum incredibilmente ricco, di cui possiamo qui condividere solo una parte, per ovvi motivi di spazio.
 Dopo il diploma al Conservatorio, Massimo Giuseppe Bianchi ha proseguito sotto la guida di Bruno Canino e si è specializzato nel repertorio cameristico seguendo i corsi di Franco Rossi, Maureen Jones, il Trio di Trieste e il Trio di Milano. Ha studiato composizione con Vittorio Fellegara e Bruno Zanolini frequentando anche una masterclass tenuta da György Ligeti. Ha partecipato a festival ed istituzioni di prestigio tra cui  “Settembre Musica” di Torino, Accademia Filarmonica Romana, Associazione Musicale Lucchese, I Concerti del Quirinale di Rai Radio 3, Columbia University (NYC), Parco della Musica.

Ha partecipato a molte trasmissioni radiofoniche perso la Radio Svizzera Italiana e Rai radio 3, come ad esempio “La Stanza della musica”, eseguendo musica in diretta. E’ stato ospite della nota trasmissione radiofonica di Rai Radio 3 “Uomini e Profeti”, condotta da Gabriella Caramore, in un ciclo di trasmissioni da lui ideato dal titolo “Il suono dell’ineffabile”.

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