da Redazione | 04/Mar/2022 | Eventi, News, Primo piano
Si inaugura il 6 marzo a Roma “Jazz Idea”, il nuovo festival jazz del Conservatorio Santa Cecilia, con la direzione artistica di Carla Marcotulli, cantante e docente di Canto Jazz presso il Conservatorio.
Una nuova manifestazione ad ingresso libero, che vede protagonisti grandi nomi del jazz italiano e internazionale accanto ai nuovi talenti provenienti dal Dipartimento Jazz del Conservatorio di Santa Cecilia. Tanti gli artisti presenti nel cartellone, tra cui David Linx e il suo Voices Unlimited in quartetto con il grande batterista statunitense Bruce Ditmas (concerto 3 aprile, Masterclass 4 aprile), Alex Sipiagin ospite del quartetto di Riccardo Fassi e Stefano Cantarano (27 marzo), Maurizio Giammarco con il suo Syncontribe trio (13 marzo), Franco D’Andrea (concerto in piano solo il 20 marzo, Masterclass il 21 marzo), Giovanni Tommaso (6 marzo nel trio guidato dalla pianista di Cinzia Gizzi, 7 marzo Masterclass), Paolo Damiani con Daniele Roccato (10 aprile), Bruno Tommaso con una Masterclass (21 aprile), Rosario Giuliani in duo con Pietro Lussu (20 marzo), Nicola Stilo con Carla Marcotulli (27 marzo), Mario Corvini e Claudio Corvini con il Santa Cecilia Jazz Ensemble (6 marzo), Fabio Zeppetella, Pietro Leveratto e Ettore Fioravanti in quartetto con Carla Marcotulli e Cinzia Gizzi per un tributo a Dick Halligan (10 aprile), Lucio Perotti in trio (13 marzo).
-
-
- Carla Marcotulli
-
- Franco D’Andrea
-
- David Linx
Tredici concerti aperti al pubblico, strutturati in sei appuntamenti, che si terranno nella bellissima Sala Accademica del Conservatorio (via Dei Greci 18), caratterizzata da una delle migliori acustiche al mondo e dal Grande Organo Walcker-Tamburini. Protagoniste del Festival sono le nuove idee musicali, attraverso un dialogo interattivo fra tradizione e nuovi linguaggi.
Rilevante, la partnership con l’Università Ca’ Foscari: il 3 aprile il gruppo di improvvisazione del Conservatorio di Santa Cecilia si unirà in concerto a quello dell’Università, denominato MusiCa Foscari e guidato dal M° Daniele Goldoni. Un incontro che sarà preceduto, qualche giorno prima, da un live all’Auditorium Santa Margherita di Venezia. Il concerto inaugurale, domenica 6 marzo alle 18, omaggia Charles Mingus in occasione del centenario della sua nascita, attraverso una formazione orchestrale con sonorità che ricordano uno dei suoi ensemble più rappresentativi: la Mingus Big Band. Protagonista sarà il Santa Cecilia Jazz Ensemble diretto da Mario Corvini, che interpreterà i brani di Mingus arrangiati dagli allievi del corso di Composizione Jazz del Conservatorio, tenuto da Pietro Leveratto. Special guest: il trombettista Claudio Corvini. In apertura, il trio guidato dalla pianista Cinzia Gizzi, con una ritmica eccellente formata dal celebre contrabbassista Giovanni Tommaso – una leggenda del jazz italiano e internazionale – e da Marco Valeri – uno dei batteristi più creativi del panorama nazionale.
Il festival “Jazz Idea” rappresenta anche un ideale passaggio di consegne: da Paolo Damiani – fondatore e direttore del precedente Festival “Percorsi Jazz” – a Carla Marcotulli, ideatrice del nuovo format che ha tra gli obiettivi proprio quello del trasferimento di informazioni tra gli artisti di riferimento del jazz e le energie della nuova generazione.
Oltre ai concerti, nel programma di Jazz Idea anche Masterclass: lunedì 7 marzo, Giovanni Tommaso in “Teoria della Piramide – 5 Steps to Heaven”; lunedì 21 marzo Franco D’Andrea in “Applicazioni pratiche delle aree intervallari”; lunedì 4 aprile David Linx nel suo “Voice Unlimited Workshop” aperto al pubblico con un contributo di €15; lunedì 21 aprile Bruno Tommaso in “Parafrasi, mascheramenti, plagi e truffe”.
Riservati esclusivamente agli studenti del Conservatorio i quattro incontri con Nicola Stilo per il Silver’n’voices Lab che si terranno il 4, 11, 18 e 25 aprile.
PROGRAMMA DETTAGLIATO
6 MARZO
Cinzia Gizzi trio
Cinzia Gizzi pianoforte / Giovanni Tommaso contrabbasso / Marco Valeri batteria
Mingus Centenary – Santa Cecilia Jazz Ensemble
direttore Mario Corvini
feat. Claudio Corvini
———————————————
13 MARZO
Rivisitando SYMBIOSIS di Claus Ogerman
Lucio Perotti Trio
Lucio Perotti pianoforte / Giulio Scarpato basso / Massimo Di Cristofaro batteria
SYNCOTRIBE TRIO
Maurizio Giammarco sax / Luca Mannutza hammond / Enrico Morello batteria
———————————————
20 MARZO
Rosario Giuliani/ Pietro Lussu duo
Rosario Giuliani sax / Pietro Lussu
Franco D’Andrea piano solo
———————————————
27 MARZO
Santa Cecilia Silver’n’voices Lab
Nicola Stilo & Carla Marcotulli
Riccardo Fassi – Stefano Cantarano Quartet special guest Alex Sipiagin
Alex Sipiagin tromba / Riccardo Fassi piano / Stefano Cantarano contrabbasso
Valerio Vantaggio batteria
———————————————
3 APRILE
Santa Cecilia meets Ca’ Foscari
Alessio Sebastio & Minji Kim
Melting pot
Minji Kim voce / Alessio Sebastio pianoforte
David Linx Voice Unlimited
David Linx voce / Vittorio Esposito piano / Davide Di Mascio contrabbasso,
Bruce Ditmas batteria
———————————————
10 APRILE
Daniele Roccato & Paolo Damiani
Bass in the mirror
Paolo Damiani contrabbasso / Daniele Roccato contrabbasso
Tribute to Dick Halligan and his Music
Cinzia Gizzi piano / Carla Marcotulli voce / Fabio Zeppetella chitarra /
Pietro Leveratto contrabbasso / Ettore Fioravanti batteria
Redazione
da Luigi Onori | 23/Lug/2019 | Appuntamenti, Eventi, News
Tra i festival jazz italiani che possono vantarsi di aver sempre dato spazio ai nostri musicisti c’è sicuramente “Iseo Jazz”. Le sue caratteristiche? Ventisette edizioni, sottotitolo “La casa del jazz italiano”, direzione artistica di Maurizio Franco, organizzazione Musica Oggi, patrocinio dell’associazione MIDJ (Musicisti Italiani Di Jazz). Per chi non le conoscesse, le località attorno al lago di Iseo (in provincia di Brescia) hanno un particolare fascino che unisce lo specchio d’acqua, un panorama prealpino, le viti della Franciacorta, pievi e castelli in una zona ad alto tasso turistico.
“Iseo Jazz” promuove vari progetti speciali e la manifestazione (7-14 luglio) ha visto, tra gli altri, la serata “L’importanza di chiamarsi Enrico” (10/7) in cui hanno suonato insieme i pianisti Enrico Intra ed Enrico Pieranunzi ed il trombettista Enrico Rava. Molti, peraltro, i giovani jazzmen ospitati tra cui Filippo Vignato, Marta Raviglia, Simone Graziano (presidente di MIDJ).
Il fine settimana conclusivo è stato contrassegnato da due doppi concerti e dal conferimento del Premio Iseo, una iniziativa che annualmente riconosce i meriti di musicisti ed operatori del settore. Il 13 luglio i recital si sono tenuti nella splendida cornice del Lido di Sassabanek, una lingua di terra proiettata nel lago, ricca di strutture immerse in un parco. Sul palco – allestito sullo sfondo lacustre, le montagne e la luce del tramonto – è salito il quartetto Double Cut con Tino Tracanna e Massimiliano Milesi (sax tenore e soprano, melodica), Giulio Corini (contrabbasso) e Filippo Sala (batteria). Hanno proposto al pubblico – con “didattiche” introduzioni del leader Tracanna – i brani dell’ultimo album, “Mappe” (Parco della Musica Records); in esso si valorizza con materiali originali e di repertorio (dal Jimmy Giuffre della “Western Suite” ad Ornette Coleman) un organico senza pianoforte e con due sassofoni, combinazione timbrica che Tracanna e Milesi sanno sfruttare al massimo in una vasta gamma di espressioni. Le musiche, infatti, hanno saputo esprimere la tensione e la macchinistica durezza in “Oli esausti” come la tenerezza nella ballad “Love and love again”, scritta da Milesi.
Molto interessante anche il secondo concerto, in parte penalizzato dall’irrigidimento del clima, con la Florence Pocket Orchestra di Riccardo Fassi. Il pianista (compositore e arrangiatore) ha costituito questo sestetto in cui si riproduce in piccolo una big band con ottoni (l’eccellente Fabio Morgera, tromba, e Stefano Scalzi, trombone), ance (il bravo Nico Gori, alto e clarinetto) e sezione ritimica (Guido Zorn al contrabbasso e Bernardo Guerra, batteria). I brani proposti, tutti di Fassi – come “Random Sequencer”, “Mon Vilain”, “The Hawk” – si sono mossi in una dimensione orchestrale, aprendo spazi ai solisti e lavorando sugli impasti timbrici.
Il 14 luglio la pioggia battente del tardo pomeriggio ha fatto spostare concerti e premiazione – previsti ad Iseo – dal sagrato della Pieve di S.Andrea al Castello Oldofredi la cui sala comunale non è riuscita a contenere il folto pubblico. Primo ad esibirsi l’Emanuele Cisi Quartet che ha suonato i brani del progetto-disco “No Eyes – Looking at Lester Young” (Warner), uno dei lavori discografici migliori degli ultimi tempi. Tra lo swing di “Jumpin’ at the Woodside” e l’incanto mingusiano di “Goodbye Porkpie Hat” il sassofonista tenore ha conquistato l’uditorio con la complicità di Dino Rubino (piano e tromba), Rosario Bonaccorso (contrabbasso) ed Adam Pache (batteria). Prima del set conclusivo, il direttore artistico – insieme al sindaco di Iseo e ad Enrico Intra – hanno consegnato i Premi Iseo 2019. Per i musicisti è stato insignito della targa Giovanni Tommaso, <<Per l’alto valore artistico della sua musica e per aver contribuito allo sviluppo del jazz italiano nel mondo>>; per gli operatori il sottoscritto << Per la preziosa attività critica ed editoriale svolta a sostegno della musica jazz più progettuale e della scena jazzistica italiana>>. Inutile dire che i riconoscimenti fanno piacere.
Giovanni Tommaso (in trio con Claudio Filippini al piano ed Alessandro Paternesi alla batteria) ha confermato la sua grande classe e statura con un intenso concerto proponendo, tra gli altri, un brano inedito (“Waltz for Lucca”) dalla toccante melodia, la ballad “Here’s That Rainy Day”, due testimonianze del suo amore per il cinema (“Cine Moderno” e il tema principale de “Il postino”, quest’ultimo del suo amico Luis Bacalov) ed una particolare versione di un brano di Aaron Copland. Pubblico entusiasta e appuntamento alla ventottesima edizione.
Luigi Onori
da Redazione | 05/Lug/2019 | Appuntamenti, Eventi, News, Primo piano
Da ben ventisette anni il festival “Iseo Jazz” organizza le sue serate e articola il suo spazio sulla musica prodotta in Italia da jazzisti del Bel Paese. Con coerenza, rigore, divulgazione, ricerca gli organizzatori (la direzione artistica è di Maurizio Franco) propongono numerosi progetti speciali e artisti di varie generazioni, fornendo di anno in anno uno spaccato significativo delle ultime tendenze. Non a caso la rassegna si fregia del sottotitolo “La casa del jazz italiano” ed ha il patrocinio di MIDJ (l’associazione Musicisti Italiani di Jazz); in più, da sempre, la programmazione interagisce con un territorio di rara bellezza e suggestione, rinnovando quel rapporto tra musica e “luoghi” (anche nella loro dimensione amministrativa) che caratterizza le migliori rassegne della penisola.
“Iseo Jazz” inizia il 7 luglio a Palazzolo sull’Oglio (Palazzo comunale) con il trio del pianista Donatello D’Attoma (con Alberto Fidone ed Enrico Morello); completa la serata un progetto speciale intitolato “Il jazz a Milano negli anni cinquanta e sessanta”, epoca e repertorio proposto da Paolo Recchia, Andrea Dulbecco e Nicola Angelucci (sax, vibrafono, batteria).
Il 9 si prosegue a Sale Marasino (chiesa di San Giacomo di Maspiano) con un solo piano di Michele Di Toro, ispirato alle musiche di Nat Cole, George Shearing, Herbie Nichols e Lennie Tristano; anche questo è un progetto speciale della rassegna. Il 10 ci si sposta nell’Azienda Agricola Barone Pizzini (a Provaglio d’Iseo) per uno dei momenti clou del festival: “L’importanza di chiamarsi Enrico”, ovvero solo, duo e trio con i pianisti Enrico Intra ed Enrico Pieranunzi ed il trombettista-flicornista Enrico Rava (sempre progetto speciale dei “Iseo Jazz).
Le serate dell’11 e del 12 propongono le nuove generazioni di jazzisti: nella prima si approda ad Iseo (Sagrato della Pieve di Sant’Andrea) per il Francesco Diodati Trio (Laila Martial, Stefano Tamborrino) ed il Tony Arco Quartetto (Greg Burk, Sandro Cerino, Mauro Battisti) in “Colors of the soul”. Il 12 l’appuntamento è a Pratico (Parco delle erbe danzanti) per l’eversivo trio del trombonista Filippo Vignato (Yannick Lestra, Attila Gyarfas) arricchito dall’eclettica vocalist Marta Raviglia; la serata si completa con Simone Graziano, Francesco Ponticelli ed Enrico Morello.
Il fine settimana conclusivo è tutto ad Iseo e vede artisti di notevole caratura ed esperienza. Sabato 13 al Lido di Sassabanek c’è la Riccardo Fassi Florence Pocket Orchestra; Fassi (piano, composizione, direzione) coinvolge i fiatisti Mirco Rubegni, Stefano Scalzi, Nico Gori e Dario Cecchini e la sezione ritmica composta da Guido Zorn e Bernardo Guerra. Nello stesso spazio si esibisce il gruppo Double Cut guidato da Tino Tracanna, con il “doppio” sassofonista Massimiliamo Milesi e i ritmi Giulio Corini e Filippo Sala. Domenica 14 il gran finale si sposta al Sagrato della Pieve di Sant’Andrea dove riceveranno il “Premio Iseo” alla carriera il contrabbassista-compositore Giovanni Tommaso ed il critico musicale e storico del jazz (in particolare italiano) (nonché nostro validissimo collaboratore) Luigi Onori; Onori anticiperà al pubblico i contenuti del suo libro sul Perigeo, in uscita per Stampa Alternativa in novembre. Tommaso si esibirà in trio con Claudio Filippini ed Alessandro Paternesi. Ultimo concerto per l’Emanuele Cisi Quartet (Dino Rubino, Rosario Bonaccorso, Adam Pache) che omaggerà l’arte sassofonistica di Prez in “No Eyes – Looking at Lester Young”.
da Luigi Onori | 25/Mag/2019 | Primo piano, Recensioni
Un centenario passato sotto silenzio, quello del pianista-compositore afroamericano Herbie Nichols nato nel 1919 e scomparso nel 1963, quarantaquattrenne, a causa di una leucemia. Il suo amico ed allievo Roswell Rudd, trombonista, sosteneva che a favorire, se non a causare, la morte di Nichols fosse stata anche la profonda frustrazione di un artista eccelso, all’avanguardia, che non riusciva a vivere della propria musica ma sopravviveva facendo il sideman in gruppi dixieland oppure suonando in locali scadenti. Lo raccontava già A.B. Spellman nel 1966, nel suo bel libro “Four Jazz Lives” (tradotto in italiano nel 2013, da minimum fax).
Ci volle la lungimiranza del produttore Alfred Lion a portare nel 1955-’56 Nichols in sala di incisione per uno dei suoi pochi album, in trio. In realtà il songbook del pianista contava circa centosettanta composizioni (svariate con liriche di suo pugno) e Rudd – tra i più esperti in materia – ne conosceva una settantina. Un centinaio di lavori sono, quindi, andati persi ma una parte significativa del repertorio nicholsiano resta nelle incisioni Blue Note e Bethelem, più altri inediti che man mano vengono proposti. Tanti e significativi jazzisti, americani ed europei, hanno infatti valorizzato nel tempo una musica di sorprendente attualità: Steve Lacy, Rudd, la ICP con Misha Mengelberg ed Han Bennink, Buell Neidlinger, Simon Nabatov tra gli altri.
Di grande spessore appare, quindi, la serata “Herbie Nichols 100” che la romana Casa del Jazz, per iniziativa del direttore Luciano Linzi, ha organizzato venerdì 17 maggio scorso, serata che ha visto una breve introduzione storico-biografica sul musicista newyorkese di chi scrive seguita da un ottimo concerto del Riccardo Fassi Quintet. Come ha spiegato il leader-pianista, il “testimone” del repertorio di Herbie Nichols gli è stato direttamente passato da due musicisti: il pianista e didatta inglese Martin Joseph, che nelle sue lezioni di storia del jazz alla Scuola Popolare di Musica di Testaccio gli dedicava particolare attenzione; il trombonista Roswell Rudd che, in occasione del disco “Double Exposure” (Wide, 2009, Fassi 4tet con Rudd, Paolino Dalla Porta e Massimo Manzi), gli regalò partiture inedite che aveva ricevuto direttamente dal padre di Nichols. In realtà il concerto romano ha avuto una doppia valenza: la realizzazione in quintetto con due fiati (Torquato Sdrucia, Carlo Conti; Steve Cantarano al contrabbasso e Pietro Iodice alla batteria, tutti eccellenti come il pianista-leader) che ha dato spessore e ricchezza a brani eseguiti dall’autore solo in trio, anche se pensati per organici più ampli; l’esecuzione di una serie di inediti di notevole bellezza e visionarietà. Unico appunto alla serata la mancanza nel pubblico degli studenti di musica di scuole e conservatori che avrebbero potuto ascoltare dal vivo un repertorio pregevole e modernissimo, che secondo A.B.Spellman – se debitamente promosso – avrebbe potuto costituire un’alternativa (a livello di estetica) a quello di Bud Powell e John Lewis negli anni ’50.
La scaletta del concerto ha, in effetti, montato con sagacia composizioni note ed inedite, ampliandone la tavolozza timbrica ed esaltandone la dinamica, sottolineando la forte e caratterizzante componente ritmica di Nichols; apprezzato da Mary Lou Williams, il pianista aveva studiato attentamente la musica di Monk ma la propria aveva radici e riferimenti amplissimi (Bartok, Prokofiev, Hindemith, la musica caraibica ed una conoscenza enciclopedica del jazz, dal ragtime all’hard-bop). Si sono ascoltati “Third World” dalle armonie molto moderne, con un bel solo di piano, uno scambio (Four) tra batteria e pianoforte ed un assolo al tenore di Carlo Conti che ha esaltato gli aspetti coltraniani (prima di Coltrane) insiti nel brano; “Cro-magnon Nights” dalla particolare linea melodico-ritmica, con colori quasi mingusiani; “Shuffle Montgomery” dal tema suadente, impreziosita da un arioso assolo di piano e da un efficace solo di baritono (Sdrucia); “The Happening” che sfrutta un tempo di marcia; la poco conosciuta “Ina” che per le sue armonie sembra uscita dalla penna di Wayne Shorter; la ballad inedita – e magistrale – “I Never Loved or Cared With Love”; l’asimmetrica e monkiana “Double Exposure”; un altro inedito basato su una scala della musica classica indiana, “Carnacagi”: nulla sfuggiva alla colta e onnivora curiosità di Herbie Nichols. Il concerto si è concluso con il brano più noto dello sfortunato pianista: “Lady Sings The Blues”, un omaggio-ritratto a Billie Holiday di cui scrisse anche le parole.
A volte – come scrisse il critico letterario, saggista e romanziere Giacomo Debenedetti – progetto e destino non coincidono.
Luigi Onori
da Luca Bramanti | 06/Dic/2018 | Comunicati stampa
Il trio propone musiche di Riccardo Fassi e brani di grandi compositori come Steve Lacy e Frank Zappa, utilizzando le tastiere elettroniche e combinando sonorità funk con groove ispirati al jazz sperimentale di Miles Davis degli Anni ’70 (in particolare da Bitches Brew in poi), al jazz-groove di Jimmy Smith, alla creatività di Frank Zappa, ai sintetizzatori di Joe Zawinul, alla lounge music di Lex Baxter, ai Lifetime di Tony Williams. Musica aperta e di grande impatto emotivo dove l’improvvisazione svolge un ruolo fondamentale.
Riccardo Fassi è uno dei più attivi pianisti/tastieristi/compositori del jazz italiano. Riccardo Fassi è Direttore del Dipartimento di Jazz al Conservatorio di Firenze. Marco Siniscalco è una promessa del basso,dotato di grande versatilità, passa dal jazz tradizionale al funk con originalità e fantasia. Si ricorda la sua lunga collaborazione con gli Aires Tango. Inoltre si è esibito negli anni al fianco di artisti come Paul Mc Candless, Kenny Wheeler e molti altri. Davide Savarese è uno batteristi italiani dell’ultima generazione più in vista, dotato di una carica emotiva ed un bagaglio tecnico-musicale di grande impatto. Si è formato alla Saint Louis Music School e ha collaborato con numerosi artisti appartenenti a varie estrazioni musicali.
Sul palco Riccardo Fassi (tastiere), Marco Siniscalco (basso) e Davide Savarese (batteria).
Sabato 8 dicembre 2018
(doppio set) ore 21 e 23.30
Elegance Cafè Jazz Club
Via Francesco Carletti, 5 – Roma
Euro 15 (concerto e prima consumazione)
Infoline +390657284458
da Gerlando Gatto | 23/Ott/2018 | Primo piano, Recensioni
Frank Zappa
Capita spesso, quando si va ai concerti, di imbattersi in un pubblico poco preparato, di bocca buona, che magari per divertirsi non vede l’ora di accompagnare la musica con il battito delle mani, sovvertendo ogni logica metrica.
Completamente diverso, invece, il clima che si è registrato all’Auditorium Parco della Musica di Roma la sera del 10 ottobre: un pubblico competente, assolutamente consapevole di ciò che accadeva sul palco e talmente entusiasta da richiedere e ottenere ben cinque bis.
In effetti “RomaEuropa Festival” ci ha regalato una serata memorabile, portando in scena una musica straordinaria come quella di Frank Zappa, eseguita da una band straordinaria quale l’“Ensemble Giorgio Bernasconi dell’Accademia Teatro alla Scala”, specializzata nel repertorio del XX secolo e diretta nell’occasione da Peter Rundell. E credo bastino queste poche righe per rendersi conto di ciò che abbiamo ascoltato.
Frank Zappa è uno di quei pochissimi musicisti senza tempo nel senso che la sua musica la si può collocare nel secolo scorso o in quello che verrà e il risultato sarà sempre lo stesso, vale a dire un’espressione artistica scollegata da qualsiasi parametro temporale, che conserva intatta tutta la sua valenza. Quelle linee sghembe che non ti aspetti, quei continui cambiamenti di ritmo, quel mescolare input provenienti dai generi più diversi (dal rock al blues, dal jazz al progressive, dall’avanguardia al cabaret) sono solo alcuni degli elementi che hanno reso la produzione zappiana assolutamente unica tanto da far dire a Pierre Boulez che Zappa «Era una figura eccezionale perché apparteneva a due mondi: quello della musica pop e quello della musica classica».
Una musica, quindi, difficile da comprendere appieno e proprio per questo difficile da eseguire. Probabilmente per questo motivo la musica di Zappa non viene eseguita molto spesso; nella realtà italiana bisogna, perciò, dare atto a Riccardo Fassi di aver sempre tenuto in grandissima considerazione la musica di Zappa proponendola in diverse occasioni sia in concerto sia in cd, occasioni in cui Fassi ha sempre posto in evidenza le diverse componenti che animano l’arte zappiana.
Componenti che vengono esaltate nella pagina più celebre e celebrata del compositore di origine siciliana, nonché chitarrista tra i migliori al mondo, “The Yellow Shark”, su cui si è incentrato il concerto dell’Auditorium.
Peter Rundel
Erano gli anni tra il 1991 e il 1993 quando l’orchestra tedesca Ensemble Moderne, diretta dallo stesso Zappa e da Peter Rundel, eseguiva musiche di Zappa a Francoforte, Berlino e Vienna; queste performance vennero registrate dal vivo e pubblicate nel 1993 con il titolo “The Yellow Shark”. Nasceva così l’ultimo album dell’artista, considerato uno dei suoi massimi capolavori in quanto porta ai più alti livelli quella sintesi, cui prima si faceva riferimento, tra i diversi generi in un equilibrio perfetto tra scrittura e improvvisazione. L’album raccoglie una ventina di pezzi, ognuno con una propria storia: quelli scritti apposta per il progetto (1993), inediti (la melodia di Pound for Brown risale agli anni ‘50), quelli tolti da altre destinazioni (come Outrage at Valdez), e le ‘canzoni’ divenute celebri (Uncle Meat, 1969; Roxy & Elsewhere, 1974; Jazz from Hell, 1986).
Ebbene, dopo ben 25 anni, Peter Rundel è tornato a dirigere per la prima volta queste partiture, cercando di rispettare al massimo gli originari intenti del compositore; così – spiega lo stesso Rundel – “ricordo la cura con cui Frank Zappa mise insieme e in ordine i brani dell’album. Persino le transizioni tra un pezzo e l’altro avevano senso e uno scopo e noi, durante la produzione di questo concerto, abbiamo cercato di rispettarne e ripeterne l’ordine”. Di qui la costruzione di un unico grande pezzo diviso in sezioni, al cui interno abbiamo avuto modo di apprezzare sia la maturità dei tanti giovani che costituiscono l’Ensemble Giorgio Bernasconi, sia le capacità di Rundel di mantenere un perfetto equilibrio orchestrale. Al riguardo, non so se molti hanno notato la particolare disposizione dei musicisti sul palco: in ciò nulla è stato lasciato al caso dal momento che Zappa era assolutamente maniacale nel disporre i suoi musicisti in modo da ottenere quella presa di suono che egli riteneva assolutamente indispensabile.
Fatica tutt’altro che inutile: perfetto, anche nel concerto romano, il suono da big band prodotto dall’orchestra nel suo insieme, così come perfetto il suono prodotto dalle piccole sezioni che man mano si andavano alternando, come i quintetti d’archi o di fiati o i duo al pianoforte a creare un’atmosfera da camera. E assolutamente trascinante il sound più orientato verso il rock che caratterizzava alcuni dei pezzi più famosi come “Dog Breath” e “Uncle Meat” che hanno letteralmente entusiasmato il pubblico. Né sono mancati momenti in cui la musica si è fatta più introspettiva, triste: è il caso di “Outrage at Valdez” scritta in occasione del disastro ecologico causato dal naufragio della petroliera Exxon Valdez il 23 marzo del 1989.
Insomma uno dei più bei concerti cui mi sia capitato di assistere negli ultimi mesi.
Gerlando Gatto