Franco Cerri, un elegante sorriso a sei corde

di Flaviano Bosco –

Pare perfino scontato salutare Franco Cerri ora che ha deciso di raggiungere suo figlio per continuare la sua infinita serie di concerti in un’altra dimensione. Dire che era il decano del jazz italiano è auto-evidente e per onorarlo degnamente bisogna di certo osare di più.
Se c’è qualcuno che ha dato al jazz italiano una fisionomia che gli è propria, un gusto tutto nostro, disincantato, leggero, popolare e al tempo stesso colto e raffinatissimo è stato di certo il chitarrista milanese per antonomasia. Cerri ha traghettato generazioni intere dalla musica d’imitazione americana, che nel nostro paese aveva avuto una gloriosa stagione già a partire dagli anni ‘30, verso un sound tutto nuovo, tra le nebbie e il sole della pianura padana “fino ai laghi bianchi del silenzio” come ricorda in una sua canzone Paolo Conte, altro grande testimone del nostro tempo, mentre parla di un chitarrista che si estenua alla ricerca della giusta intonazione.

Se proprio vogliamo andare in ordine cronologico, tutto era iniziato in Europa con l’inarrivabile Django Reinhardt e con il suo sodale Sthépane Grappelli. Cerri poteva dirsi loro allievo diretto, visto che giovanissimo lavorò con entrambi e condiviso un tour europeo con il secondo, durato due anni con centinaia di concerti.
Leggenda vuole che il jazz in origine sia stato per 2/4 afroamericano, 1/4 italiano e tutto il resto una fantasmagoria gitana. Sempre, come dice l’avvocato di Asti in altro contesto ma nella medesima canzone: “la sua origine d’Africa, la sua eleganza di zebra, il suo essere di frontiera, una verde frontiera tra il suonare e l’amare, verde spettacolo in corsa da inseguire. Da inseguire sempre, da inseguire ancora”.
Franco Cerri chitarrista ha vissuto tutta la propria lunga prodigiosa esistenza di musicista puro in questa luce d’orizzonte, continuando ad esplorare i misteri della musica con il suo sorriso da eterno ragazzo, meravigliandosi sempre dei miracoli delle sue dita, come raccontava spesso.
Chi scrive ricorda d’averlo visto in concerto la prima volta sul finire degli anni ‘80 e poi in moltissime altre occasioni tra le quali una memorabile esibizione con il quartetto di Gianni Coscia (11/06/1999 Gorizia) che celebrava gli anni pionieristici del Jazz italiano. I vecchi appunti di allora recitano:
“Quella musica irripetibile che sapeva di Novembre e di bachelite, quei suoni che erano la colonna sonora del ciclismo dei gregari, le salite e gli aeroplani, il vino rosso nei bicchieri di vetro spesso e delle domeniche pomeriggio… quella musica, a dispetto delle hit parade, esiste ancora. Gianni Coscia e Franco Cerri sono stati i sacerdoti officianti del gran rito della memoria, di qualcosa che non passa, migliora e si affina nei decenni. L’Italia, con i propri enormi difetti, con le proprie miserie, è inspiegabilmente custode di un patrimonio musicale inarrivabile che si esprime anche nelle canzoni popolari del secondo dopoguerra, giudicate spesso troppo superficialmente ma che in realtà sono scrigni all’interno dei quali si conserva molto spesso la nostra anima più pura, quella ingenua e sognante, perfino stupida e stupita in un’armonia di danza e di sberleffi.
Nel nostro cuore la “swing era” non è mai finita, le stelle del jazz appartengono anche a noi, scimmie della pianura padana o dei vicoli in festa tra lacrime e Vesuvio. Il lavoro di riscoperta continua delle nostre radici musicali da parte di questi musicisti è pregevolissimo. Cerri è un chitarrista dal suono e dalle abilità ipnotiche che, pur nella sua estrema sobrietà, sa toccare come pochi le corde dell’emozione. Coscia è un musicista più passionale e istrionico che si serve più del cuore che del virtuosismo”.
È sembrato giusto ricordarlo così, vivo e vibrante com’è stato fino allo scadere di questo suo transito terrestre. Imperturbabile e impermeabile alle mode passeggere, ha sempre continuato a riproporre i suoi accordi cristallini di una musica che apparteneva ad un altro tempo senza mai apparire anacronistica. Da perfetto autodidatta, il chitarrista milanese aveva trovato il proprio suono e continuò ad arrotarlo e affilarlo per decenni in infinite anche minime variazioni, modulazioni e riflessioni.
Ricevette la prima chitarra nel settembre del 1943 e trovò i primi accordi ascoltando i dischi di Benny Goodman, Louis Armstrong, Duke Ellington a casa di un amico più ricco, mentre per mantenersi faceva il muratore. Già durante la guerra cominciò subito a suonare a Radio Tevere, voce di Roma libera che era invece la voce della famigerata Repubblica sociale italiana che, in teoria, considerava il jazz “musica degenerata e negroide”, mentre il figlio di Mussolini era uno dei migliori pianisti jazz della sua epoca, nel nostro paese sempre in mezzo alle contraddizioni e ai miracoli della musica.
Cerri in seguito cominciò a suonare nell’orchestra di Gorni Kramer che scovò il suo talento una domenica pomeriggio mentre, a Milano, faceva ballare la gente in un cortile con la sua piccola band. Lo scritturò all’istante inserendolo nell’ambiente della musica del primo dopoguerra dove, giovanissimo, divenne uno dei musicisti e compositori più importanti e contesi tra Natalino Otto e il Quartetto Cetra, in sintesi i pionieri del jazz italiano più autentico. Il resto della sua lunghissima carriera è consegnato alla storia e alla leggenda con collaborazioni da far tremare le vene e i polsi, con le star più luminose del firmamento della musica di ispirazione afroamericana. Oltre ai nomi già citati ricordiamo almeno: Billie Holiday, Chet Baker – del quale fu contrabbassista per tre anni – Wes Montgomery, Mal Waldron, Dizzy Gillespie e centinaia di altri in una stagione di sogni in musica del tutto irripetibile.
È superfluo citare tutti i suoi successi e la sua discografia infinita. Per evocare tutta un’epoca basta ricordare ancora il suo sodalizio con Nicola Arigliano, grande crooner della canzone italiana, oggi quasi dimenticato dal grande pubblico ma che fu un talento inimitabile, che condivise con il chitarrista anche una vasta fama catodica dovuta, tra l’altro, a iconici spot pubblicitari della televisione d’antan.
Fantastica la loro interpretazione del classico Cherokee di Charlie Parker a Sanremo nel 1959, con Cerri alla chitarra Manouche-Maccaferri proprio come quella di Django Reinhardt. I due calcarono ancora un’ultima volta il palco di Sanremo in una memorabile serata del 2005.
Tra le sue incisioni più recenti vale la pena di ricordare anche quella con Antonio Onorato del 2016, recensita con grande favore su questa stessa rivista nel 2016 dall’ottima Marina Tuni. Un duo chitarristico spettacolare nel quale, sulla base di alcuni standard, Cerri, a 91 anni suonati, si metteva ancora una volta alla prova con musicisti molto più giovani di lui e di diversa formazione, come quelli che componevano la fantastica sezione ritmica di quel disco straordinario, giovani Maestri del Jazz italiano come Simone Serafini e Luca Colussi.
Vogliamo ricordarcelo così Franco Cerri con il sorriso sempre stampato sulla faccia e la chitarra imbracciata. Come diceva quella vecchia canzone di Vera Lynn: “ We’ll meet again, don’t know where, don’t know when, but I know we’ll meet again some sunny day…”

Flaviano Bosco

La foto di copertina è di Angelo Salvin

Paola Munda in gara a Musicultura e Sanremo Rock&Trend con due brani in dialetto siciliano

Ai Grammy Awards 2021 è entrata in ballottaggio per le Nominations con ben 2 album: il suo disco solista {Amuri}Amari scritto interamente in dialetto siciliano, e Keep Dancing del suo gruppo di circle singing The Lotus Sound.
Entrambi gli album sono entrati in lista per le categorie “Album of The Year” e “Best World Music Album”, e sono stati prodotti a Los Angeles dal Grammy nominated Luca Zadra.

Tornata momentaneamente in Italia, Paola Munda è diventata subito finalista di Sanremo Rock&Trend 2021 (per la regione Sicilia) e del prestigioso Festival della Canzone Popolare e d’Autore Italiana Musicultura 2021 con i due brani in siciliano L’egghiri a biriri com’è e Picchì picchì chianciti tratti proprio da {Amuri}Amari. La sua esibizione tra i finalisti si terrà sabato 27 marzo al Teatro Lauro Rossi di Macerata; ad accompagnarla sul palco, il percussionista palermitano Manfredi Caputo e due singers dei The Lotus Sound: Anna Signorini e Serle Siliani.

Il suo lungo percorso inizia dal Teatro Massimo di Palermo, ma è grazie al suo arrivo negli Stati Uniti che il suo talento vocale e compositivo trova terreno fertile. Nel 2019 ha ricevuto la Honorable Mention al prestigioso “International Songwriting Competition” (USA) grazie al quale viene invitata a far parte di Beyond Music, una comunità globale di musicisti e cantautori creata da Tina Turner.

Membro attivo della Singing Tribe di Bobby McFerrin, si è specializzata in Circle Singing e Performance, esplorando musica indiana, balcanica, gospel, greca, microtonale, africana e brasiliana.
Si è esibita su grandi palcoscenici, tra cui la Saint John Cathedral di New York con la regia di Paul Winter, al BSO di Boston con A.R. Rahman (idolo della musica indiana contemporanea), il New England Conservatory, il Berklee Performance Center.
Selezionatrice e Giudice per i CARA Awards 2021 e gli AVA Awards 2021, è membro attivo di CASA (Contemporary A Cappella Society of America).
Di recente ha coordinato 88 artisti da 26 Paesi.
per il brano appena pubblicato “Pause For Humanity”, di cui è compositrice ed executive producer, in collaborazione con le Nazioni Unite (ONU) a sostegno dei Sustainable Development Goals, e promosso dal Guru indiano Deepak Chopra.
É membro di Univoz, ensemble a cappella vincitore della “Adults category” del TV show statunitense “Sing That Thing” 2019, e in Giappone del Concorso Nazionale A Cappella con Premio della Critica e Speciale Menzione del Direttore di Gara.
Si è Diplomata Magna cum Laude a Boston, presso il prestigioso Berklee College of Music, con cui tuttora collabora.

Rientrata momentaneamente in Italia, ha presentato il suo disco {Amuri}Amari all’Auditorium Rai di Palermo: “È un album che nasce dalle più profonde pieghe del mio essere, – dice Paola Munda – un album scritto sognando di andare lontano, ma con lo sguardo sempre rivolto alla mia Sicilia, la mia terra d’amuri e aranci amari. Presentarlo “a casa” in anteprima assoluta, nella mia città, con “la mia gente”, condividendo il palco con musicisti che sanno di quali dolori e di quali desideri batte la mia musica è stata l’esperienza più straordinaria che potessi immaginare.”

CONTATTI
www.paolamunda.com
Paola Munda: paolamunda@gmail.com

Ufficio Stampa Paola Munda: Fiorenza Gherardi De Candei – info@fiorenzagherardi.com, tel. 328.1743236

Paola Munda coordina 88 musicisti da 26 Paesi per il suo brano “Pause for Humanity” in collaborazione con le Nazioni Unite (ONU) e promosso da Deepak Chopra

Una grande impresa, per un messaggio universale: la compositrice e cantante Paola Munda è autrice e executive producer del brano appena pubblicato “Pause for Humanity”, in collaborazione con le Nazioni Unite (ONU) a sostegno dei Sustainable Development Goals e promosso dal Guru indiano Deepak Chopra.
Prodotto e distribuito a livello globale da Rukus Avenue Music Group, “Pause for Humanity” è interpretato dalla cantautrice Grammy-nominated Mayssa Karaa insieme ad 88 musicisti provenienti da 26 Paesi diversi, a rappresentare ogni angolo del pianeta, coordinati da Paola Munda.
Disponibile su tutti i principali digital store come Amazon e Apple Music e sulle piattaforme streaming come Spotify, YouTube e Deezer, il brano porta un messaggio di speranza, positività e solidarietà: in un momento storico in cui l’umanità sta attraversando una delle sfide più complesse delle ultime generazioni, vuole incoraggiare gli ascoltatori di tutto il mondo a prendersi una pausa, riflettere, contestualizzarsi e centrarsi, con un messaggio colmo di gentilezza, speranza e guarigione. Il tutto, rafforzato da una speciale introduzione da parte di Deepak Chopra, il noto medico e guru indiano, autore di molti saggi e progetti internazionali legati al benessere psico-fisico.

Con una carriera avviata da tempo negli Stati Uniti, Paola Munda è Compositrice, cantante ed executive producer. Ai Grammy Awards 2021 è entrata in ballottaggio per le Nominations con ben 2 album: il disco solista {Amuri}Amari e Keep Dancing dei suoi The Lotus Sound, entrambi in lista per le categorie “Album of The Year” e “Best World Music Album” e prodotti a Los Angeles dal Grammy nominated Luca Zadra. Nel 2019 ha ricevuto l’Honorable Mention al prestigioso “International Songwriting Competition” (USA) grazie al quale viene invitata a far parte di Beyond Music, una comunità globale di musicisti e cantautori creata da Tina Turner. Membro attivo della Singing Tribe di Bobby McFerrin, è specializzata in Circle Singing e Performance, ha esplorato musica indiana, balcanica, gospel, greca, microtonale, africana e brasiliana.
Selezionatrice e Giudice per i CARA Awards 2021 e gli AVA Awards 2021, è membro attivo di CASA (Contemporary A Cappella Society of America). Di origini siciliane, è tornata momentaneamente in Italia dove è stata subito selezionata per le finali di Musicultura 2021 e come finalista per la Sicilia a Sanremo Rock & Trend 2021.

Paola Munda: “Pause for Humanity” ha un posto speciale nel mio cuore, specialmente adesso. Era la mia preghiera, nata da un germoglio di uno dei miei sogni, quello di creare qualcosa che potesse unire e dimostrare che ogni singolo essere umano può fare la differenza, indipendentemente da quanto siano difficili i tempi che viviamo. Che possiamo tutti cogliere l’occasione, a partire da ciò che il mondo sta attraversando, per ricominciare da zero e costruire una nuova forma di “umanità”, e possa questo brano diffondere il desiderio di essere gentili e compassionevoli gli uni con gli altri”.

“Questo brano ci sta molto a cuore – afferma Pedro Osuna, che ha curato l’orchestrazione del brano – perché ci ha ricordato che la musica ha il potere di guarire e avvicinare le persone, in un momento in cui ne abbiamo più bisogno che mai. E dal momento che marzo è il mese in cui si celebra il “Women’s History Month”, colgo l’occasione per dire a tutte le giovani artiste del mondo: sognate, create, collaborate insieme, aiutatevi e non ascoltate nessuno che vi dica che non potete farlo o non è la vostra strada”.

Clint Valladares, il Chief Strategist del progetto, ha lavorato insieme al Direttore di Rukus Avenue, Sammy Chand, per guadagnare la collaborazione della PVBLIC Foundation, un’organizzazione di punta nel management di movimenti globali. La visione alla base di queste collaborazioni era di aiutare i creatori di questo progetto a costruire una strategia mondiale e allineare il brano con l’Agenda dei “Sustainable Development Goals” SDG (Obiettivi di Sviluppo Sostenibile – dell’ONU – ndr), pubblicandolo durante il “Women’s History Month”. Rukus Avenue vanta una lunga tradizione di iniziative musicali finalizzate al supporto di una causa, inclusi precedenti lavori con il Presidente Obama e le Nazioni Unite.

“PVBLIC è orgogliosa di lavorare con gli incredibili artisti di questo brano, sia per il loro sentito impegno non solo ai fini dell’avanzamento degli SDGs ma anche per l’uso del loro network artistico finalizzato all’aumento della consapevolezza globale su argomenti così importanti e delicati per l’intera umanità”, dice Sergio Fernandez de Cordova, Capo Esecutivo della PVBLIC Foundation.

La PVBLIC Foundation ha supportato con orgoglio gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite, a partire dal loro lancio, aiutando nella loro accelerazione e il loro avanzamento, attraverso varie partnership e programmi, inclusa la creazione del “SDG Media Zone”, una piattaforma finalizzata a connettere persone, idee e risorse. Attraverso “Pause for Humanity” la musica sarà incorporata su questa piattaforma come uno strumento per promuovere lo sviluppo sostenibile.

“La voce affascinante di Mayssa Karaa sulla melodia indimenticabile scritta da Paola Munda, con l’orchestrazione e la produzione di Pedro Osuna sono un ristoro. Il loro messaggio ci richiama alla responsabilità che abbiamo nel superamento delle avversità e ci incoraggia ad usare la nostra forza interiore anche in mezzo al caos. Siamo impazienti di supportare questo brano come uno strumento per guidare verso la consapevolezza dei risvolti sociali ed umanitari collegati con l’agenda di sviluppo sostenibile” afferma Kerry Bannigan, President of the Board of PVBLIC Foundation.

Tutti i proventi saranno utilizzati a sostegno di questa causa e saranno amministrati a tal fine da PVBLIC Foundation.
Per ulteriori informazioni su come sostenere la causa dell’avanzamanto degli SDGs, contattare press@pvblic.org.
Un ringraziamento speciale va a Deepak Chopra, Clint Valladares, Sammy Chand e Sergio Fernandez de Cordova per i loro instancabili sforzi nell’assicurarsi che questo brano raggiunga ogni parte del mondo.
“Pause for Humanity” è Distribuito da Rukus Avenue Music Group.

LINK
YouTube https://youtu.be/kncvBH0xsPw
Spotify https://open.spotify.com/track/4sZRm9muaqqHVwOREKRXd4?si=OBd8hbhnStOyghttUHNFBA
Amazon https://www.amazon.it/gp/product/B08YDB14YL/ref=dm_ws_sp_ps_dp
Deezer https://www.deezer.com/en/album/213298812
Apple Music https://music.apple.com/ca/album/pause-for-humanity-single/1557387446

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Rino Gaetano, i segni del possibile nel Q Disc con New Perigeo e Cocciante

Rai3 ha rimandato in onda a fine agosto, per la serie “Grazie dei fiori”, un programma su Rino Gaetano condotto da Pino Strabioli con Gino Castaldo.
Ancora una volta, quel che rimane addosso, da telespettatore, di fronte a tale figura artistica, è un senso di vuoto che il resoconto TV non è riuscito a colmare.

Rino Gaetano

Il cantautore crotonese è stato affiancato a Fred Buscaglione per originalità ma anche per la fine prematura in un incidente d’auto ed a Jannacci, per canzoni elencative tipo “Quelli che…” Ma è suo il sarcasmo e un gusto per il paradosso (“Mio fratello è figlio unico”) attento al sociale ed all’antipolitica (“Nuntereggae più”) anche nel trattare temi privati.
Rimane in vista, nella poetica di Gaetano – ed è caratterizzante – il suo amore per il Sud e gli emarginati, per realtà minori come il quartiere; nel contempo compaiono l’Ingiustizia, la Storia, che scorrono dietro melodie rese da una voce sporca/graffiante con toni tristi/allegri. E poi i racconti di amore, le figure di donna, come “Aida” che racchiude tante donne italiane, “Berta filava”, “Gianna” che secondo alcuni segnerebbe, con la partecipazione a Sanremo nel 1978, il passaggio più “commerciale” nella sua biografia.
Il programma va avanti, con interventi di Francesco Motta (“Escluso il cane”), Alex Britti e spezzoni di tv d’annata, come sulla fase con Mogol che poteva configurare un Gaetano “battistiano” se non fosse stata poi “Ahi Maria” a restituirne intatta la dimensione di “S/canzone”.

Rivedendo la puntata abbiamo comunque annotato alcune considerazioni sull’autore di “Ma il cielo è sempre più blu”:
1) la ritmicità latino-caraibica di una parte del repertorio che, senza necessità di “ispanizzarsi”, come avviene in tante hit odierne, ne ha mantenuto integra l’italianità;
2) la doppia lettura, para/metapolitica, talora interstiziale se non criptica dei testi, senza necessariamente vagheggiare complotti dietro la sua morte a soli 31 anni, comunque utile a decifrare la complessità di un artista che lasciava ondeggiare l’ispirazione talora in contesti fra grottesco e absurde e talaltra si atteggiava a mere canta-cronache;
3) l’Innovazione, quella realizzata e quella in nuce.

Cocciante, Gaetano, New Perigeo

E ci sarebbe una quarta sottolineatura da fare. Nel finale di programma viene toccato l’argomento della collaborazione concertistica Gaetano-Cocciante-New Perigeo,  peraltro documentata in album EP live RCA del 1981 poi ristampato su cd dalla BMG.
Maurizio Giammarco – suo lo splendido assolo di sax in “A mano a mano” nel “Q Concert”, ci ha riferito, parlando del Q Disc che contiene il brano, rismaltato rispetto alla versione classico-romantica di Cocciante: «è un dato di fatto che Cocciante sia stato uno degli ultimi autori a sfornare melodie, spesso molto belle, che si portano appresso anche tutta l’eredità mediterranea e anche lirica». Laddove Rino Gaetano, riferisce Giammarco, aveva dal canto suo «corde che cercavano di rimanere nell’area più popolare possibile», fuori dunque dall’avanguardia rock-fusion.

Maurizio Giammarco

Eppure da questa esperienza, fra le sue ultime, il Rino Gaetano interprete sembrava farsi condurre “a mano a mano” in dimensioni sonore inconsuete, che lui, da profeta dello scardinamento, non poteva che recepire in positivo.
Ora una proiezione, per quanto simulata, di cosa sarebbe potuto essere il Gaetano degli anni a venire lasciatecela supporre a partire proprio da “A mano a mano”. Fantamusica? Forse.
Ma piace immaginarlo attore di una musica che nasce da universi distinti come avvenuto a fianco al cantautorato nobile alla Cocciante e al progressive dei New Perigeo.
Poli, questi e forse altri ancora, entro i quali Rino avrebbe potuto trovare nuovi stimoli utili a mettere in gioco il proprio talento ed a rigenerare di continuo, nell’interscambio, il proprio estro creativo.

In “Gianna” lui cantava “Chi vivrà vedrà”. È questo il tassello che è venuto a mancare, quello di un futuro possibile che si può solo provare a immaginare.

Amedeo Furfaro

CORINALDO JAZZ – 22°Edizione

Due eventi di qualità per gli appassionati di musica jazz: Corinaldo Jazz, il tradizionale festival estivo ospitato tra le mura di uno dei borghi più belli d’Italia, è alle porte. Le serate concerto saranno due, il 2 e il 5 agosto, nello splendido scenario di Piazza del Terreno, nel pieno centro di Corinaldo, alle ore 21.45. Il festival, organizzato dall’associazione culturale Round Jazz, è alla ventiduesima edizione e vanta come sempre nomi di spicco del panorama jazzistico italiano e internazionale.

Si parte domenica 2 agosto con Francesco Cafiso che celebrerà Charlie “Bird” Parker nel centenario dalla nascita: concerto, dal titolo “Confirmation”, ispirato al celebre brano di uno dei mostri sacri del sassofono, vedrà esibirsi un quintetto stellare con Francesco Cafiso al sassofono, Alessandro Presti alla tromba, Andrea Pozza al piano, Aldo Zunino al contrabbasso e Luca Caruso alla batteria. Poco da dire su Parker, il più influente jazzista di sempre insieme a Armstrong e Davis, inventore del bebop e maestro di stile e suono per generazioni di musicisti. Nonostante la pandemia, infatti, molti artisti nel mondo stanno celebrando il suo anniversario. Francesco Cafiso, al sax da quando ha 6 anni, ha lavorato ad altissimi livelli fin da piccolo: a 13 anni il trombettista americano Wynton Marsalis lo coinvolge nel suo tour europeo, a 14 è ospite d’onore al festival di Sanremo e questi sono solo gli esordi di un ottimo musicista, eletto “ambasciatore della musica jazz italiana nel mondo” nel 2009. Molto alto il livello anche per gli altri componenti del quintetto, noti all’estero e assai richiesti sulla scena internazionale.

Il secondo appuntamento è per mercoledì 5 agosto con Michele Samory e il suo “Jazz Mike Around the World”. Numerosa e ricca la band che accompagna il giovane trombettista, compositore e vocalist marchigiano (precisamente di Corinaldo, ndr) nel suo disco d’esordio, composta da Massimo Morganti al trombone, Riccardo Federici al sax alto e flauto, Filippo Sebastianelli al sax tenore, Marco Postacchini al sax baritono e clarinetto, Diego Donati a chitarra e banjo, Manuele Montanari al contrabbasso, Tommaso Sgammini al piano, Lorenzo Marinelli alla batteria, Marco Roveti alle percussioni e Sabrina Angelini come special guest vocale. Michele Samory, classe 1990, è ormai musicista di professione, collabora con varie big orchestra e gruppi swing negli Stati Uniti. Nel suo disco, che dà il titolo al concerto, si respira proprio il sapore swing dell’America degli anni ’40.

Come ogni anno, da non perdere i dopo concerto ai 9 Tarocchi dove si scatenano esplosive jam session per musicisti e amanti del jazz.

Posto unico per ogni concerto 10€ con prevendita disponibile sulla piattaforma Vivaticket. In caso di maltempo i concerti saranno annullati e i biglietti rimborsati.

I biglietti possono essere acquistati online www.corinaldojazz.com o in una delle rivendite live ticket https://shop.vivaticket.com/ita/ricercapv

Per informazioni www.corinaldojazz.com; 071.7978636 (Ufficio Turismo comune di Corinaldo); 329 4295102; roundjazz@gmail.com e pagine social del festival.

Corinaldo jazz applica le norme contenute nei protocolli di sicurezza come da DPCM del 17 maggio 2020: consultare il sito www.corinaldojazz.com.

Una cervogia tiepida alla tua salute, Ezio…

La prima volta che sentii parlare di Ezio Bosso fu nel 2003. Dopo aver letto il bellissimo romanzo “Io non ho paura” di Niccolò Ammanniti, in cui il tema della solidarietà tra esseri umani è l’essenza, uscì il film omonimo di Gabriele Salvatores.
Mi piacque il film e apprezzai molto la colonna sonora; andai quindi a cercare chi ne fosse l’autore e quali gli esecutori.
Il nome Ezio Bosso non mi disse granché, conoscevo, invece, il Quartetto D’Archi di Torino, che suonò le “14 danze diatoniche per bambini” e le composizioni brevi originali, mentre l“Andante dal concerto in Sib maggiore per violino ed archi” di Vivaldi fu eseguito dall’Orchestra di Madrid (violino solista Giacomo Agazzini del 4etto d’Archi di Torino); entrambi gli ensemble diretti da Bosso.

Ezio Bosso – Villa Manin – Ud – ph Domenico Mimmo Dragotti

Nel 2016, guardando il Festival di Sanremo, abbinai finalmente quel nome ad una faccia e ad un corpo: un Ezio Bosso, visibilmente emozionato, fece un’apparizione che colpì e commosse l’Italia intera, presentando la sua musica al pianoforte e mettendo a nudo le sue fragilità, la sua malattia, senza paura di mostrarsi.
Ebbene, come poche altre volte nella mia vita, ricordo di aver provato una strana sensazione, non proprio positiva, in controtendenza rispetto all’acclamante pensiero “unico” generale… si trattava di un pregiudizio, sebbene in quel momento non l’avessi catalogato come tale.
Me ne vergogno un po’, ora, avendo in seguito conosciuto personalmente Ezio, però so che la mia mente fu attraversata da un pensiero… “ma questo, non sarà mica un altro che sfrutta la sua malattia per fare audience?”. Lo so, è un pensiero orribile, i pregiudizi lo sono tout court… e infatti è strano, perché io so di non essere “quel” tipo di persona, né di avere “quel” tipo di forma mentis…
Accantonai tutto ma qualche giorno dopo, il direttore artistico di Euritmica, associazione culturale per la quale curo l’ufficio stampa, mi chiese se avessi visto Bosso a Sanremo perché lui, molto prima di quel passaggio televisivo, aveva fissato una data in Teatro a Udine, per il 10 maggio 2016.
Ad Aprile, Bosso venne in Friuli Venezia Giulia, al Teatro Rossetti di Trieste; decisi di andarci; ascoltarlo dal vivo mi sarebbe servito per scrivere un articolo e per il mio lavoro di ufficio stampa per la nostra data.
Entrai nel bellissimo Teatro triestino, dal soffitto di cielo, conscia di essere prevenuta nei confronti del musicista piemontese.
Ne uscii completamente trasformata…
Il concerto iniziò con “Following a Bird”, lo stesso brano che avevo ascoltato a Sanremo e, canzone dopo canzone ma soprattutto parola dopo parola, compresi quanto avessi sbagliato nel mio superficiale giudizio su Ezio.
Mi sono letteralmente persa con lui, in una delle sue stanze, ascoltandolo mentre parlava della sua visione del verbo perdere: «ho smesso di soffrire quando ho cominciato a perdere tempo. Diamo sempre un’accezione negativa al verbo “perdere”, ma non è così: sono da perdere più le cose buone che quelle cattive. Perdete più che potete».

Mi sono persa mentre raccontava, a suo modo, la storia d’amore tra lo “sfigato” e malaticcio Chopin e Georges Sand, scrittrice spregiudicata, amata da diversi uomini di cultura della sua epoca (le donne che scrivono – e che sanno amare – sono pericolose…); persa tra i versi della sua (e anche mia) poetessa preferita, Emily Dickinson, che trascorse la sua vita osservando il mondo da una stanza, i cui poemi Ezio declamava faticosamente ma con un’intensità che mai avevo ascoltato prima… irrimediabilmente perduta nel cogitabondo tributo al maestro John Cage con “In a Landscape” e la celeberrima “4’33”, ricordando il suo incontro reale con il maestro che studiò a lungo la stanza anecoica (dove il silenzio si può ascoltare), avvenuto al Consevatorio, a Torino, quand’era poco più che un bambino. Cage lo difese dalle aggressioni verbali – e non solo – di un insegnante: “A me sembra molto bravo. – disse Cage al docente – “Perché grida?”
Poi arrivò il concerto di Udine, al Teatro Nuovo. Non avemmo neppure il tempo di avviare le prevendite: sold-out in 48 ore!
Il 10 maggio 2016, conobbi Ezio di persona, in una stanza del teatro molto cara agli artisti, il camerino. Era attorniato dalle persone del suo staff più stretto, Annamaria, Nepal (non chiedetemi il perché di quel nome…) molto protettive nei suoi confronti, forse il giusto.

Ezio Bosso – Teatro Nuovo Giovanni da Udine – ph Domenico Mimmo Dragotti

Il Friuli è patria di vini eccellenti ma a Ezio la birra piaceva di più.
A parte la Dickinson, trovammo un altro punto in comune. Mio marito ed io le birre le produciamo artigianalmente in casa! Ricordo che fu molto interessato all’argomento.
Il concerto fu magnifico, al solito. Ezio si arrabbiò con una sua fan, diciamo… esuberante… che nonostante il divieto, scattò delle foto durante l’esibizione… con il flash!
Alla fine si andò tutti a cena ed iniziammo a parlare, scoprendo altri suoi aspetti; dell’uomo, più che del musicista. Era appassionato dei Monty Python, ci fu quasi una gara di citazioni! Credo la vinsero il direttore artistico, Giancarlo, e i suoi figli. Poi, parlando ancora di birre, io citai Asterix e la cervogia… calda, dissi. Lui mi corresse subito, ridendo: “No, Marina, era tiepida!”
Già… aveva ragione. Andammo a dormire alle 4 del mattino.

Ezio, Rita ed io – Udine, 10 maggio 2016

Ci furono altri concerti da noi organizzati, si era creata un’amicizia, non sempre accade con gli artisti, anzi quasi mai… c’era una grande sintonia e lui in Friuli ci veniva volentieri.
A giugno dello stesso anno, il 2016, chiuse il Festival Internazionale Udin&Jazz, sempre curato da noi, in uno scenografico Castello di Udine, davanti a migliaia di persone che vidi uscire commosse… lui riusciva a portarti in altre dimensioni…
Altra cena… finita a notte fonda.

Ezio Bosso e Giancarlo Velliscig – Udin&Jazz 2016 – ph Alice BL Durigatto Phocus Agency

Poi, a febbraio del 2017, al Verdi di Pordenone: ci abbracciò ad uno ad uno al suo arrivo…
Un altro tutto esaurito… un’altra delle sue magie, anzi maghezzi, come li chiamo io in forma dialettale! Sul mio profilo Instagram pubblicai una sua foto mentre, seduto di fronte a me, alla Vecia Osteria del Moro, sempre con quel suo dolcissimo sorriso sulle labbra, mangiava con grande appetito, bevendo… birra… ça va sans dire!
Scrissi nel post: “S” di Sanremo. Voi. Noi a Pordenone con Ezio Bosso e le sue “S”: Suonare, Steinway and Sons (il suo fratellone!), Standingovation, Sony, Sorridere, Sfamarsi, Sorseggiare, SauvignonCabernet (noi!), Sbadigliare, Sbaciucchiarsi, Salutare #comesenoncifosseundomani #davidromano #reljalukic #grazie #fvglive #fvg #musica #notenuove #euritmica.

Ezio – Pordenone

Il concerto pordenonese “Music For Weather Elements” non era un piano solo ma un trio, con David Romano, al violino e Relja Lukic, al violoncello, una rivisitazione per pianoforte e archi dei suoi brani, riscritti per questa formazione in occasione della firma di un contratto pluriennale in esclusiva con Sony Classical.
L’ultima volta fu sempre nel 2017, a fine luglio, l’unico recital piano solo che Ezio tenne quell’anno, nella meravigliosa Villa Manin, dimora dogale, di Passariano di Codroipo, c’era Annamaria ed anche i suoi cani, basset hound, mi pare.
“Ti trovo davvero molto bene, migliorato rispetto a Pordenone – gli dissi – “come se la tua malattia ti stesse concedendo una tregua”. Mi abbracciò. I suoi abbracci erano avvolgenti e coinvolgenti…

Ezio Bosso – Villa Manin – Codroipo (UD) – ph Domenico Mimmo Dragotti

Ennesima “nottolata”, sotto una delle barchesse della Villa, dove è ospitato il ristorante.
Ci salutammo quasi all’alba, con la promessa di rivederci per altri concerti.
La mattina dopo, il 1 agosto, lui scrisse e pubblicò sulla sua pagina Facebook queste parole:
“Udine-Codroipo… Ancora una volta, attraversammo ancora stanze, attraverso la stanchezza e il dolore di una tristezza. Attraversati dall’affetto che vibra di dolcezza, affetto sonante, affetto risuonante, in un suono che si allarga e attraversa il tempo. E resta indelebile, come la nostalgia della stanza incontrata, di sorrisi, di gentilezza a cui (ormai) appartieni. Riempi per un attimo ogni pezzo mancante e come ogni attimo… lascialo infinito. Grazie Udine”
Poco dopo lui divenne direttore artistico del Teatro Verdi di Trieste… pian pianino smise di suonare, continuando a comporre e soprattutto a dirigere.

Il “fratellone” Steinway & Sons Gran Coda di Ezio a Villa Manin

Il mio direttore artistico l’aveva sentito qualche settimana fa, voleva portarlo nuovamente in Friuli Venezia Giulia, quest’estate, con la sua Europe Philharmonic Orchestra, qualora le misure di contenimento del virus Covid-19 avessero funzionato e permesso lo svolgimento di concerti…
Ero felice per questo… speravo tanto si potesse.
Invece… “A volte le parole non bastano, ma resta il sorriso, quel respirare insieme, quel sogno ininterrotto in ogni respiro, in un riposo cercato e uno forzato. Quel sogno in ogni nota, quel sogno di vivere ancora perché resta ogni afflato, e ogni affetto trovato. Perché le cose che restano sono quelle che trovi… quelle che cerchi…”
Una cervogia tiepida alla tua salute, maestro…

Marina Tuni