Enrico Rava: lo scrittore friulano Valerio Marchi intervista il grande trombettista

Lo scorso 23 giugno, alla rassegna “Borghi Swing” by Udin&Jazz, organizzata da Euritmica e Comune di Marano Lagunare, in provincia di Udine, Enrico Rava avrebbe dovuto esibirsi con la sua tromba e il suo flicorno assieme a Francesco Diodati (chitarra), Gabriele Evangelista (contrabbasso) ed Enrico Morello (batteria). Purtroppo, per cause di forza maggiore (un’indisposizione dell’artista), il concerto è stato annullato. Crediamo comunque di far cosa gradita pubblicando l’intervista che Rava ci ha concesso qualche giorno prima, augurandoci di cuore di poterlo rivedere presto in Friuli Venezia Giulia. (Valerio Marchi)

-Maestro, che rapporto ha con il Friuli?
«Bellissimo! A parte il fatto che mia moglie ha origini di Sacile, sono amico di musicisti friulani straordinari: da U.T. Gandhi a Francesco Bearzatti, ma anche Mirko Cisilino – che reputo il trombettista italiano più interessante, e che fra l’altro non è solo trombettista – e poi Giovanni Maier… Non solo, ma in Friuli nacque uno dei gruppi che più ho amato e che è durato di più: gli Electric Five, di cui fecero parte anche Gandhi, che ne era la colonna portante, e Maier. Poi ho altri cari amici, ad esempio Checco Altan ad Aquileia, e mi piacciono infinitamente la natura e il cibo».

Trova florido il panorama jazzistico del nostro territorio?
«Sì, ma sia per questa che per altre regioni italiane che hanno un’attività molto viva, avviene spesso che ciò che si sviluppa da una parte – mi riferisco sempre al jazz – rimane più o meno lì. Anche in Calabria, in Sardegna o in Sicilia, ad esempio, ci sono eventi notevoli e musicisti giovani e fantastici che meriterebbero una fama ben più larga. Si può avere un successo strepitoso a Udine o a Palermo, per capirci, ma poi…»

-E lei come si spiega questo fenomeno?
«Non so, forse abbiamo ancora un retaggio dell’Italia dei Comuni, molte cose fanno molta fatica a varcare i confini. Gli unici luoghi che fanno più notizia a livello nazionale sono Milano e Roma, ma ciononostante nel nostro Paese manca, di fatto, un vero e proprio centro: come, ad esempio, Parigi per la Francia, Londra per l’Inghilterra o New York per gli USA, dove tutto ciò che avviene in quegli Stati in qualche modo si convoglia lì: vai lì e prima o poi conosci tutti».

-La sua fortuna infatti fu proprio quella di vivere a New York da giovane.
«Assolutamente sì. I dieci anni trascorsi a New York, a partire dai miei 24 anni in poi, sono stati fondamentali».

-Il Seminario che lei tiene da tanti anni a Siena sopperisce in qualche misura all’inconveniente tutto italiano di cui abbiamo appena parlato?
«È almeno l’occasione per conoscere musicisti strepitosi che altrimenti, forse, non conoscerei mai, a meno di non fare un continuo “Grand Tour” per l’Italia… e infatti quasi tutti i miei gruppi sono nati dall’esperienza di Siena. Tornando ai musicisti friulani, lo stesso Giovanni Maier lo conobbi lì; fu lui a farmi conoscere U.T. Gandhi e poi nacquero gli Electric Five».

-Il Friuli, e più in generale il Friuli Venezia Giulia e l’Italia, potrebbero avere dunque un maggior numero di celebrità internazionali?
«Abbiamo qualche jazzista italiano “iconico”, fra cui il sottoscritto, ma per tanti altri musicisti, giovani e meno giovani, in Friuli come altrove, è difficilissimo agguantare quello spazio che meriterebbero; così, da un certo punto di vista, essi rimangono sempre “promesse per il futuro” pur essendo realtà ben concrete e di qualità. Per non parlare delle formidabili musiciste!».

-In effetti il largo pubblico, al di là di nomi di primissimo piano come quelli di Rita Marcotulli o Stefania Tallini, non conosce molto del versante femminile.
«Già, ma emergono ragazze – Anaïs Drago, Evita Polidoro, Francesca Remigi, Sophia Tomelleri, solo per citarne alcune – che suonano benissimo, sono davvero eccezionali e ottengono anche riconoscimenti importanti. Ma di loro finalmente si inizia a parlare, e con la novità che portano si smuovono le acque e i media, il che ci aiuta a non cadere nella routine».

-E per lei la routine, a quasi 83 anni, rimane la principale nemica: giusto?
«Certo! La mia fortuna è di non essermi mai adagiato. Ho sempre bisogno di sorprese, da parte chi suona con me e da me stesso: per questo occorre che i componenti del mio gruppo abbiano una visione della musica vicino alla mia e la capacità di ascoltare, di comunicare quasi telepaticamente con una visione comune, con piena fiducia reciproca: quando tutto funziona bene, ognuno dà e riceve ciò di cui c’è bisogno per la creazione musicale. Senza rinunciare al proprio ego, ma senza prevaricare.

-Molte cose impreviste possono accadere, dunque, durante un concerto?
«Sì, la mia musica è molto libera. Io do una cornice, un canovaccio all’interno del quale ognuno è veramente libero, e quando c’è quella piena fiducia reciproca di cui parlavo tutto può svilupparsi al meglio, prendendo anche strade impensate. Non faccio mai una scaletta. Decido un primo pezzo, decido da dove si parte, poi dove vada a finire il concerto non lo so, perché dipende da tanti fattori: il suono, l’amplificazione, l’acustica, il pubblico, come stiamo noi, e così via…».

-Sembra facile… anzi no.
«Infatti non è facile. Ma per me non c’è nulla di peggio che sentire suonare un gruppo, anche di altissimo livello, che si limiti però ad una esibizione in cui ciascuno fa vedere la propria abilità senza costruire veramente assieme, senza quel legame perfetto che nasce dal collegamento diretto fra il nostro universo spirituale e l’equilibrio universale, fra la nostra armonia interiore e quella dell’universo. È una cosa difficile da spiegare, forse può far ridere qualcuno, ma è così. La musica non è matematica, è magia: ed è per questo che, nonostante l’età, continuo a suonare invece che dar da mangiare agli uccellini al parco».

-Una magia che il Covid ha alquanto limitato… Lei come ha vissuto il lungo periodo di pandemia?
«Il primo periodo bene: ho letto tantissimo – amo molto leggere – e ho riposato, mi sono esercitato, ho studiato lo strumento… (chi volesse approfondire può cliccare qui per leggere l’intervista di Gerlando Gatto a Rava, contenuta nel libro “Il Jazz Italiano in Epoca Covid” n.d.r.). Poi durante l’estate ho suonato di nuovo parecchio dal vivo, sinché è cominciato il secondo periodo di pandemia che, anche a causa di alcuni acciacchi, ho vissuto molto peggio: come diceva Moravia, il problema dell’età non esiste, il vero problema sono le malattie dell’età… Anche di recente, per un serio problema di salute, ho dovuto rimanere tre mesi senza poter suonare; poi, dopo la convalescenza, mi sono esercitato un paio di settimane e la prima cosa che ho fatto è stata quella di registrare un CD – peraltro venuto benissimo – con il grande pianista americano Fred Hersch».

-E questo CD quando uscirà?
«A settembre».

-Diceva del suo amore per la lettura; ma lo stesso vale anche per l’ascolto della musica, di tutta la musica e non solo il jazz, giusto?
«Certo. Apprezzo moltissimo, ad esempio, i Rolling Stones, oppure i Queen, per non parlare dei Beatles… ma potrei continuare. Tutti geniali, incredibili. E questo vale anche per altri generi di musica e di interpreti».

Ci dispiace un po’ per gli uccellini al parco, ma speriamo proprio che debbano aspettare ancora a lungo…

Valerio Marchi

Kenny Barron: a colloquio con l’enciclopedia del jazz

È con vero piacere che “A proposito di jazz” accoglie tra i suoi collaboratori un giovane musicista appena laureato con 110 e lode al Conservatorio di Latina. Il suo nome: Daniele Mele. Daniele, classe ’97, inizia a studiare pianoforte all’età di 13 anni. Dopo una doverosa formazione classica con il M. Ilaria Liberati intraprende gli studi Jazz presso il Conservatorio “O. Respighi” di Latina sotto la guida del M. Andrea Beneventano, dove, come si diceva si diploma con lode. Approfondisce gli studi con Andrea Rea, Roberto Bottalico, Ignasi Terraza, Kevin Harris, e si forma seguendo masterclass di Jazz e di musica classica in tutta Italia (Berklee, Siena Jazz, Arcevia Jazz, etc.).
L’inizio di questa collaborazione con il nostro blog è di quelli che lasciano il segno: si tratta, infatti, di una approfondita intervista con Kenny Barron, pianista e compositore tra i più importanti ancora sulla scena.
Nato a Filadelfia, il 9 giugno 1943, Kenny si esibisce da quando aveva quindici anni e in tutto questo arco di tempo ha saputo sviluppare uno stile personale che lo colloca tra i grandi della tastiera di tutti i tempi: ancora oggi le sue registrazioni con Stan Getz nulla hanno perso dell’originario fascino così come quelle del gruppo Sphere di cui  nel 1980 fu uno dei fondatori, con Charlie Rouse (sax), Buster Williams (basso) e Ben Riley (batteria).
E, alla grandezza dell’artista, si è sempre accompagnata una statura umana di straordinaria dolcezza: chi scrive queste note ha avuto l’opportunità di intervistarlo oramai parecchi anni fa e ne conserva un ricordo bellissimo dovuto proprio alla gentilezza e alla disponibilità dell’uomo. Gentilezza e disponibilità che dimostra appieno in questa intervista che pubblichiamo qui di seguito. (G.G.)

Ore 9:00 (New York) il giorno 25/04/2021.
-Sono molto emozionato in questo momento e la ringrazio per avermi concesso quest’intervista.
“Oh, è un piacere”.

Prima parlavo con mio padre, gli stavo dicendo che credo ci sia una grande differenza tra musica jazz e musica pop: se voglio parlare con un “nome importante” del Jazz posso avere qualche possibilità di farlo, mentre credo che se volessi parlare con un idolo del pop avrei maggiori difficoltà.
“Sì, lo penso anch’io”. (ride)

-Sì… il jazz è più popolare del pop!

“È vero”.

Mi fa piacere sapere che sta bene. Vorrei chiederle della vaccinazione, perché so che si è vaccinato: è andato tutto bene?
“Oh sì, ho avuto due dosi di Moderna. Due dosi, quindi… ora sono a posto”.

-Benissimo. Questo è un periodo assurdo!
“Sì, lo è”.

-Se non le spiace, parleremo di alcuni punti che mi interessano particolarmente. So che ha suonato in Italia ad Umbria Jazz con numerosi musicisti, e mi piacerebbe sapere quale fu la sua prima volta qui e perché.

“La prima volta in Italia fu… wow… nel 1963? ’63 o ’64, ero con Dizzy Gillespie. Sì, eravamo a Milano”.

-Era una tappa del tour che faceste in giro per il mondo?
“Sì, suonammo in Piazza Duomo e la cattedrale è incredibilmente bella. Quella fu la prima volta”.

-Le piace l’Italia?
“La amo. La gente, il popolo… non si può mangiare male in Italia. È veramente difficile!”.

È vero. E invece cosa mi dice del suo rapporto con la musica italiana? Per esempio, io sono di Napoli, nel Sud Italia. Sono cresciuto ascoltando “O sole mio” e “Tu sì ‘na cosa grande”. Conosce queste canzoni?
“Oh sì, le ho sentite tante volte. Non ho mai saputo i nomi dei compositori, ma le ho sentite tante volte”.

-Ok! Ha qualche aneddoto particolare dell’Italia, o ci sono musicisti di sua conoscenza qui?
“Ah… beh, ovviamente una delle mie persone preferite è Dado (Moroni, NdT). Abbiamo suonato insieme in duo, e numerose volte abbiamo fatto dei tour suonando la musica di Monk, eravamo quattro pianisti. A dire il vero abbiamo un progetto insieme per il prossimo anno, penso a Budapest… ho suonato con lui tante volte, e gli voglio bene. La prima volta che ho incontrato Dado è stata ad un seminario in una città vicino Genova, Nervi.

-Stava partecipando ad un seminario su di lei?
“No no, in realtà era il mio interprete!”.

-Ah, bello! (si ride)
“Siamo diventati presto amici, e lì l’ho sentito suonare per la prima volta. In realtà c’era una jam session ogni sera lì al club. Andai per sentirlo suonare e ne rimasi affascinato, è un musicista incredibile… anche con contrabbasso e batteria!

-Oh… non lo sapevo!
”Oh sì, lo assumerei! Per suonare il contrabbasso, e lo assumerei anche per suonare la batteria”.

-Interessante…
“E ho fatto una registrazione con Stefano, Stefano Di Battista, alcuni anni fa. E il contrabbassista, di cui non ricordo il nome ora…”

-Forse Rosciglione? Giorgio o Dario Rosciglione?
“Oh, no. Li conosco, padre e figlio. Era un musicista più giovane. Comunque tutti bravi musicisti”.

-Bene. Adesso mi piacerebbe parlare con lei dei tre album che amo. Il primo è “Canta Brasil”. Lo adoro! Sa, ballo salsa e bachata con la mia fidanzata…
“Ah-ah, wow!”.

Sì, ballavo prima del Covid ovviamente, ora è tutto chiuso. Ma mi piace, perciò quando ascolto questo tipo di ritmi inizio a ballare e a muovermi. Mi è davvero piaciuto quell’album, e sbaglio se affermo che è iniziato tutto con L’uomo, Dizzy Gillespie?
“Oh, più o meno; in realtà non suonavamo così tanti pezzi brasiliani… ma quell’esperienza è stata d’introduzione alla musica brasiliana: suonavamo “Desafinado”, “Samba De Uma Nota So”. Tuttavia, ciò che davvero mi avvicinò alla musica brasiliana fu ascoltare “Brasil ‘65”, sai… nel 1965! Stavo ascoltando la radio a San Francisco, quando passarono proprio quell’album e ne rimasi folgorato. C’erano chitarre eccezionali, poi Wanda De Sah, e il pianista, era il leader, Sergio Mendes… fu il gruppo che mi portò alla musica brasiliana. Da quel momento in poi ho lavorato con Stan Getz, che suonava molto questo tipo di musica, e poi ho fatto ricerche e ascoltato musica Brasiliana più datata, quella della scuola del Samba. Poi ho conosciuto Nilson Matta, Duduka da Fonseca e Romero Lubambo, e iniziammo a suonare e suonare insieme. Mi insegnarono molti ritmi differenti, e da dove provenivano… questi ritmi vengono dal Nord del Brasile, questi altri dal Sud. Iniziai a lavorare con loro. E così fondammo la band, Canta Brasil”.

-Mi scusi ma vorrei sapere qualcosa di più su Gillespie. Com’era al di fuori del mondo musicale? Ho iniziato a studiare il jazz un po’ di tempo fa, e lui è uno di quei grandi nomi che si devono necessariamente studiare, e da cui si deve prendere il più possibile.
“Fuori dal mondo musicale? Era un grande, davvero una persona cortese, anche molto divertente… fuori dal mondo musicale”.

-Non lo era durante la musica?
“Oh sì, era egualmente divertente! Ma molte persone pensavano che fosse solo apparenza, invece lui era così anche fuori dal palco. Era divertente, molto cortese e molto rispettoso”.

– Quindi il vostro tour mondiale si è tenuto tra il ’62 e il ’66. Che cosa mi dice rispetto alle tappe? Mi ha parlato di Milano, nel ’63.
“Sì, in Italia. Ma abbiamo suonato anche in altri posti: Copenaghen, in Svezia, Varsavia in Polonia, che al tempo era ancora comunista”.

-E fuori dall’Europa?
“Non abbiamo suonato fuori dall’Europa. Abbiamo fatto solo un tour europeo, e quella fu la prima volta che andai in Europa. Fu un inizio fantastico per me!”.

-Sì, posso immaginarlo! (si ride) Parliamo del secondo album, si intitola “Two as One”, l’album con Buster Williams.
“Oh Buster!”.

-E questo lavoro è di particolare importanza per gli italiani, perché è stato registrato a Perugia al Teatro Morlacchi.
“Sì”.

– Ricordo “All of You” e “Someday My Prince Will Come”, e l’ostinato di Buster… 40 secondi forse sul fa, e poi tutto il sound che si apre quando suona il Re basso e con tutte quelle frequenze che arricchiscono la musica. Meraviglioso!
“Certo”(ride)

-E Buster Williams? Com’è?
“Io amo suonare con Buster Williams. In effetti ho appena visto un video su di lui… non so se avete Amazon Prime in Italia”.

-Ce l’abbiamo.
“Si intitola “Bass To Infinity”. È tutto sulla sua vita, ci sono alcune interviste con Herbie Hancock, Lenny White… tutti suonavano insieme a Buster. Dura un’ora, è molto interessante. Sai lui è buddista, perciò parla della sua pratica e di molte altre cose. Ci conosciamo dal 1958, quando eravamo entrambi adolescenti a Philadelphia. Lo conosco da molto tempo, abbiamo lavorato molto insieme… è uno dei miei contrabbassisti preferiti in tutto il mondo”.

-Ho letto che ha suonato con… c’è qualcuno con cui non ha suonato? Ha suonato davvero con tutti!
“Sì, tutti. Le cantanti lo amano, ha lavorato con Nancy Wilson per molto tempo, e anche Sarah Vaughan. Questo video racconta anche delle prime volte in cui uscì per esibirsi, appena terminata la scuola superiore, con Gene Ammons e Sonny Stitt, e di quando ha dovuto avere il permesso da sua madre… dagli un’occhiata!”.

-Senz’altro. Sa… l’inizio della mia tesi di laurea contiene una frase su Philadelphia, e sul fatto che tutti i grandi musicisti sono di lì. È una specie di magia. (ridono)
“Non tutti, ma molti sono di lì! Io penso che una delle ragioni, prima di tutto, è che è molto vicina a New York, a solo due ore di guida. Perciò Philadelphia era una delle tappe principali per i musicisti che provenivano da New York, e io ricordo di aver visto Kenny Dorham e molte altre persone che semplicemente scendevano per andare a fare un concerto a Philly. E si può arrivare a Philadelphia per una sera, e poi tornare indietro quando il concerto è finito. Ai tempi aveva due Club principali che presentavano musicisti di fama mondiale, uno si chiamava Pep’s e l’altro Showboat. Vedevo ‘Trane, Yusef Lateef e Miles suonare lì, e molti altri. Philly era un luogo dove si lavorava, e penso sia per questa ragione che c’erano molti giovani musicisti, incluso me, che poi migliorarono con tutta quella musica attorno.

-Capisco.
“Philly aveva anche molti posti di lavoro per questi giovani musicisti, ci sono molti club in cui ho lavorato. Ed era una gran cosa, avere posti in cui suonare. Questo mi ha aiutato nella crescita, c’erano altri giovani musicisti con cui ho socializzato che sono ancora in giro! C’erano Sonny Fortune, beh lui è venuto a mancare ora, siamo cresciuti insieme… e Buster come sai. Philly era proprio un gran posto”.

-Il prossimo musicista di cui vorrei parlare è anche lui di Philly, e ora mi riferisco al terzo album, che è anche il mio preferito: sto parlando di “People Time”.
“Oh, Stan!”.

-Sì, questo album è la ragione per cui ho iniziato a studiare la sua musica e il suo modo di suonare il pianoforte. È vero che lui la considerava l’altra metà della mela, in senso musicale?
“Ehm, non lo so… così diceva! (ride) Beh, credo che per dirlo lo pensasse davvero. Musicalmente eravamo… empatici? Avevamo un approccio alla musica simile, la melodia era importante”.

-Sì! Sa Kenny, ho sempre l’impressione che quando Stan smette di suonare lei continui a suonare il sassofono ma usando il piano, e viceversa.
“Ah!” (ride)

– È incredibile! Davvero, mi sembra che siate come connessi.
“Sì, lo credo anch’io. Entrambi amavamo la liricità, e questo è importante. Stan poteva suonare una ballad e farti piangere, con il suo sound e le sue idee e la sua creatività. Quello fu un concerto interessante, specialmente in duo, lui era… beh, sono sicuro che conosci la storia”.

-La conosco.
“Era malato al tempo, quando registrammo in duo. Aveva una sorta di tumore del sangue, perciò sentiva molto dolore. Dovevamo registrare per tre sere, ma andammo avanti soltanto per due, lui non riuscì a finire l’ultima sera. Avemmo solo un altro concerto insieme dopo quell’episodio, a Parigi, e non riusciva a suonare molto. Lui suonava la melodia e io feci la maggior parte dei soli al pianoforte, e quella fu l’ultima volta che lo vidi”.

-Mi dispiace molto.
“Era marzo e io lo chiamai un mese più tardi, per sapere come stesse. Mi disse che stava bene e che avrebbe suonato per il prossimo tour, e poi a giugno… è venuto a mancare. Abbiamo perso una bella persona.

-Sì. Secondo me  Stan Getz e Paul Desmond sono due grandi sassofonisti che rimarranno nella storia del jazz
“Davvero?”.

-Sì, mi piacciono davvero tanto. Sicuramente c’è anche Charlie Parker, e tutti quei sassofonisti formidabili che sono fuori da ogni sorta di classificazione. Ma mi piacciono molto Paul e Stan per il modo che hanno di suonare.
“Quindi tu ami… il loro sound?”.

-Sì.
“Lo apprezzo. Paul aveva un sound molto morbido e snello, tenero. E una delle prime registrazioni che ho ascoltato era di Dave Brubeck e Paul Desmond, era ‘Jazz Goes To College’”.

-Sì, me la ricordo. Forse anni ’60?
“In realtà tardi anni ’50, perché ancora vivevo a Philly. Questo era uno dei miei pezzi preferiti”.

– Solo un’ultima cosa su Stan Getz… in quale occasione iniziò a collaborare con lui, a quanti anni? Ha mai rimpianto di non averlo conosciuto prima?
“Rimpiango sempre di non aver conosciuto prima le persone, ma sono lieto quando le conosco! Ricevetti una chiamata per lavorare con lui, per sostituire Chick Corea. Allora aveva una band con Stanley Clarke, Tony Williams e Chick. Mi chiamò e mi chiese di prendere il suo posto, questa fu la prima volta che lavorai con Stan. Era incredibile, suonavamo tutta la musica di Chick Corea. Penso si chiamasse “Captain Marvel Band” o qualcosa del genere. Era un piccolo tour, suonammo per poche serate soprattutto in Sud Carolina e a Baltimora. Quando partimmo Stan mi disse: “Sei davvero un musicista con esperienza”, e per me quello era un grande complimento. Per un po’ non l’ho più sentito, e poi pochi mesi dopo mi chiamò per un posto alla Stanford University”.

-Ho capito.
“Artist-in-residence. Mi chiamò per chiedermi di andare lì e suonare in alcuni concerti con lui. Da quel momento iniziammo ad andare in Europa durante l’estate perché io insegnavo alla Rutgers University e lui a Stanford, perciò non potevamo provare molto durante l’anno accademico. Ma in estate andammo a tutti i grandi festival d’Europa. Aveva una buona band, con Victor Lewis e Rufus Reid. Facemmo un paio di registrazioni a Montmartre con il quartetto, e un paio in duo. Sempre grande musica, grande scrittura. Registrammo un pezzo elettronico dal titolo “Apasionado”, in California. Mi piaceva, per me era qualcosa di diverso! C’erano gli archi e tutti i tipi di strumenti elettronici. Una grande esperienza che non avevo mai fatto prima”.

-Ok. Dato che lo ha accennato, mi piacerebbe parlare dell’insegnamento. Lei era un insegnante di pianoforte alla Rutgers University, e poi alla Julliard, la vecchia Manhattan School.
“Esatto”.

-Insegna ancora? O ha lasciato?
“No, mi sono congedato”.

-Perché, se posso chiedere?
“Beh, sto invecchiando! (ride) A un certo punto senti che hai bisogno di imparare qualcosa, ed io avevo bisogno di imparare altro. Avevo bisogno di ascoltare altre persone suonare, in un certo senso di “istruirmi”. Gli studenti erano bravi, intendo bravi davvero… che cosa avevo da dare loro? A Manhattan c’erano Gerald Clayton, Aaron Parks, era uno dei miei studenti, e molti altri… alla Julliard avevo Jonathan Batiste, alla Rutgers Terence Blanchard, Harry Allen. E tutti loro suonavano benissimo il pianoforte!”.

-Com’era un sua lezione tipo? Cosa faceva durante l’ora?
“Sostanzialmente suonavamo insieme. Ho sempre avuto due pianoforti nella mia aula. Suonavamo insieme perché questo mi permetteva di capire cosa effettivamente sapessero o non sapessero suonare. Insomma, erano al punto in cui io non avevo bisogno di dire loro “questo è un accordo di Do”, non avevano bisogno di questo da me: sapevano già come come suonare. Eravamo interessati a sottigliezze e rifiniture, e idee su tocco, frasi, cose del genere”.

-Quindi le sue lezioni erano come delle performance dal vivo, ma guidate?
“Sì, una cosa di questo tipo! Suonavamo e poi ci fermavamo, e dicevo “Ok, qui stiamo suonando una ballad, non dovete suonare così rigidamente, non c’è bisogno di suonare così tante note in questa ballad… lasciate spazio, anche il silenzio è parte della musica”, cose così. E penso che la prendessero molto seriamente”.

-Quindi… ha dei suggerimenti per diventare un buon insegnante? C’è un ingrediente speciale?
“No, non penso. Certo dipende, le persone hanno diversi modi di insegnare. Il mio modo di insegnare era quello di ascoltare i musicisti e sentire costa potevano fare, e sfidarli. Prendevamo una canzone e la suonavamo per 30 minuti, e poi facevamo un botta e risposta, per fare esercizio. E poi provavamo a sfidarci l’un l’altro, ed è un bene quando gli studenti provano a sfidare anche te. (si ride) Ho imparato molto anch’io”.

-Ok.
“Non è tipo “sono il tuo insegnante e tu fai quello che dico”, a quel livello non è così. È più uno scambio di idee. Imparo da loro, loro imparano da me”.

-Certo, grazie mille. Parliamo adesso di composizione. Lei ha composto molto: adoro “Until Then e Sunshower”, in particolare. Quanto pensa sia importante scrivere pezzi originali, che abbiano la propria firma?
“Penso sia importante, e che si debba scrivere il più possibile. Quello che cerco nella scrittura, quello che cerco di raggiungere nella composizione è… la semplicità. Non scrivo cose in 11/8, 9… non scrivo cose in tempi strani. Non sento la musica in quel modo! Alcuni musicisti lo fanno comodamente e mi piace ascoltarli, ma il mio approccio è più che altro fatto di melodie semplici, armonie che forse qualche volta sono ingannevoli… o forse non qualche volta! Per me funziona la semplicità”.

-Sì. Stavo pensando… lei reputa questo un passaggio fondamentale? Un passaggio che un musicista deve fare per sentirsi completo? O pensa che si possa saltare?
“Intendi saltare la scrittura?”.

-Sì.
“Beh, non tutti i musicisti sono compositori, alcuni di loro non scrivono. Ma, come dice qualcuno, l’improvvisazione è composizione, solo che non è scritta”.

-Infatti.
“Un musicista Jazz compone tutto il tempo… quando inizia a scrivere, quella è una composizione! (si ride) Ma molti musicisti semplicemente non sono per la scrittura, e li capisco. Io penso che sia un altro aspetto di te che dovresti esplorare”.

-Ok. Guardi, una volta ho frequentato una masterclass di Billy Childs. Secondo me è un grande compositore.

“Sì, lo è.”

-E ha detto qualcosa che io ritengo incredibile. Ha detto: “Il segreto del comporre è creare qualcosa di sorprendente, e allo stesso tempo inevitabile”.
“Sì, ok”.

-Mi suona come qualcosa del tipo: “Devi creare musica che ha dei legami con il passato, in modo che ascoltandola tu sappia dove sta andando, ma che abbia anche qualcosa di sorprendente che ne cambia la direzione”, no?
“Sì, sì, sì”.

-È d’accordo?
“Sono d’accordo. E ho ascoltato abbastanza musica di Billy Childs, è un compositore brillante”.

-Lei ricorda un buon consiglio che qualcuno le ha dato recentemente o nel passato, o un evento particolare che ha cambiato il suo modo di comporre e suonare?
“Ehm… sì! Qualcuno una volta mi diede un’idea che io poi ho provato ad applicare: prova a suonare il tuo solo nello spazio di una quinta perfetta. Tutte le tue parti di improvvisazione. Ovviamente non puoi farlo chorus dopo chorus dopo chorus, ma fai una prova. Quanto puoi suonare solo in quel piccolo spazio di una quinta perfetta?”.

-Non ho capito bene, Mr. Barron…
“Sul pianoforte, una quinta perfetta, da Do a Sol. E stai suonando una canzone, qualunque essa sia, prova a suonare tutto all’interno di quella quinta perfetta, cromaticamente”.

-Ok!
“E vedi come va. È qualcosa che puoi provare… potresti restare sorpreso. Perché qualsiasi nota tu metta insieme funzionerà contro qualsiasi accordo suonerai. Deve essere risolto, ma funziona. Questo è un consiglio che qualcuno mi diede e che ho provato. È qualcosa da ricordare”.

-Ok, ora… l’ultima parte. Oltre la musica, sono curioso rispetto alla giornata tipica di Kenny Barron. Ci sono delle cose particolari che ama fare nel tempo libero, se non suona?
“Mi piace leggere molto. Mi piace leggere romanzi”.

-Che tipo di romanzi?
“Mi piace James Patterson, romanzi gialli e cose di questo tipo”.

-Sì! Le piace Zafon? Carlos Ruiz Zafon?
“Oh, non lo conosco”.

-No? È bravo! E Dan Brown?… quello de “Il Codice Da Vinci”.

-“Oh sì sì l’ho letto! (ridono di gran gusto) L’ho letto. In realtà ho anche visto il film”.

-Sì… mi scusi, l’ho interrotta.
“No, non fa niente. Stavo dicendo che durante il Covid non c’è molto altro da fare, perché altrimenti andrei da qualche parte, ascolto musica o cose di questo tipo. Perciò questo è ciò che faccio, leggo e provo anche a cucinare!”.

-Cosa cucina?
“Schnitzel… bistecca! Cose del genere”.

-Le piace la pizza?
“La amo. E a Napoli ho mangiato la migliore pizza della mia vita.”

-Wow! Si ricorda il posto?
“No, ma era così fina… con l’aglio…non ricordo perché mi ci hanno portato. Quella fu la migliore pizza che io abbia mai mangiato. E amo anche mangiare! (si ride) Che è un male!

-No. Non è un male! Sa, quest’anno mi ha fatto realizzare appieno che ci sono anche altre cose oltre alla musica. E se si usano queste cose per nutrire il proprio “appetito musicale”, ci si sentirà più rilassati nel suonare e meglio in generale.
“Lo penso anch’io. Bisogna essere una persona a tutto tondo, il che significa fare tutto nella vita, non solo musica. Ci sono persone ossessionate dalla musica, è tutto ciò che fanno: 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Ascoltano e praticano musica, scrivono musica 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Vorrei essere una di queste persone, ma non lo sono. Ci sono altre cose che catturano la mia attenzione, come la politica o quanto accade nel mondo. Ora c’è il processo di Minneapolis (per la morte di George Floyd, NdT) che mi interessa”.

-Sì, anche a me.
“Succedono anche altre cose. Possono ispirare la tua musica, in un certo qual modo”.

-Sono d’accordo. Quali sono i suoi piani per il futuro? Ci sono nuovi album in cantiere, nuovi progetti?
“Non al momento. C’è un sassofonista, Greg Abate. Ha fatto delle registrazioni di… circa 15 miei pezzi, con il trio. Suona il sassofono contralto, e ha sovrainciso il sassofono e scritto una sorta di sezione di sax in alcuni dei pezzi. È abbastanza interessante! Ma penso che l’unica cosa che vorrei fare prossimamente è un solo, e poi forse un duo, con batteria o percussioni o… un violoncello! Sì qualcosa del genere. Ed è economico da produrre perché non devo pagare me stesso. (ride)”.

Kenny Barron, Udine, Teatro Palamostre, 10.04.2018 Note Nuove

-Verrà in Italia?
“Ci sono dei piani, non so se verranno cancellati o no a questo punto. Penso che a Perugia o Pescara ci potrò essere”.

-Lo spero!
“Lo spero anch’io! E ci sono altre cose… ce n’è una in una città chiamata… Merano? Non Milano, Merano”.

-Sì, nel nord Italia.
“Sì, non sono sicuro che accadrà. Ma penso che per luglio o agosto le cose miglioreranno almeno un po’, lo spero”.

-Sì, ed io sarò lì ad aspettarla! Vaccinato ovviamente, spero di poterla conoscere e abbracciarla nella vita reale.
“Ok! Grazie molte”.

Le sono molto grato, grazie mille.
“È stato un piacere!”.

Ci vediamo presto allora.
“Ok, ciao!”.

-Grazie, arrivederci!

Daniele Mele

TrentinoInJazz 2021: la decima edizione

Arriva al decennale il TrentinoInJazz, una delle più apprezzate e articolate rassegne jazz italiane, che dopo un difficile 2020 torna con una significativa decima edizione, ancora una volta all’insegna del network che unisce rassegne preesistenti sul territorio trentino. Vera e propria rete di spettacoli, TrentinoInJazz è una delle più lunghe iniziative musicali del panorama nostrano ed europeo: preceduto da un’anteprima partita a giugno, il festival termina in inverno, copre tre stagioni grazie al networking tra enti locali e organizzatori, è aperto a varie declinazioni del jazz e generi affini, coinvolge centinaia di musicisti, addetti ai lavori e promoter, mette in connessione attività artistiche, comuni, accoglienza e turismo in alcuni dei luoghi più affascinanti d’Italia e d’Europa. A questo va aggiunto l’ingresso gratuito per la maggior parte delle serate. Trentino Jazz è la APS presieduta da Chiara Biondani che ha ideato e coordina il TrentinoInJazz, dal 2011 un cartellone di manifestazioni “federate” sull’intero territorio della provincia di Trento. TrentinoInJazz 2021 punta sulle diverse espressioni del jazz contemporaneo e si snoda tra sei rassegne diverse: Ai Confini ed Oltre (dall’11 giugno); Valli del Noce Jazz (dal 16 luglio); Jazz&Wine (dal 9 settembre); Katharsis Giudijazz, Panorama Music, Lagarina Jazz e Valsugana Jazz Tour (queste con date da annunciare), ognuna con la propria identità artistica e connotazione territoriale.

Con un pensiero alla trasversalità di Franco Battiato, venerdì 16 luglio parte la sezione Valli del Noce Jazz, come sempre dal respiro internazionale, incentrata su esperienze, generazioni, culture, mondi e tradizioni diverse, come l’inedito incontro tra Giappone e Argentina dei Gaia Cuatro (Cles – 16.07), Francesco Zampini Quintet (Malé – 20.07) o il Tommaso Perazzo Trio (Ville d’Anaunia – 17.07), progetti nati da incontri musicali cosmopoliti, o il quartetto “glocal” che sotto la guida esperta del contrabbassista emiliano Gianmarco Scaglia e dello storico batterista americano Paul Wertico (noto soprattutto per aver fatto parte dal 1983 al 2001 del Pat Metheny Group, con il quale vinse ben 7 Grammy Award) vede partecipare il chitarrista umbro Simone Gubbiotti e il vibrafonista trentino Mirko Pedrotti (Denno – 27.07). Gli altri eventi sono: Stef Giordi & Connected (Predaia – 21.07), Stefano Colpi Open Atrio (Mezzolombardo – 23.07), Usai/Gurrisi/Paglieri in omaggio a Franco Cerri (San Romedio – 24.07), il seminario sull’improvvisazione e la musica d’insieme a cura di Carlo Cattano (Cles – 22.07).

A settembre torna il progetto curato da Emilio Galante tra vino e suoni: si chiama Jazz & Wine, una serie di concerti promossi nel circuito nazionale Italia Jazz & Wine in collaborazione con il Circolo Controtempo di Cormòns (GO). Italia Jazz & Wine è nato per valorizzare il jazz, i nuovi talenti e l’innovazione del linguaggio musicale, introducendo un elemento di novità nel rapporto con il territorio ed in particolare la produzione vitivinicola che costituisce una eccellenza italiana. Una rete nazionale che coinvolge vari soggetti, tra cui TrentinoInJazz, con concerti tra Trento, Rovereto e Isera. Il calendario dal 5 settembre è avvincente: Stefano Colpi Open Atrio (Isera – 05.09), Gorgan Trio con Gorgazzini, Cramerotti e Abeni (Trento – 07.09), tre progetti a cura dei Sonata Islands (TSQ a S. Michele all’Adige – 09.09; Songs from the Alps a Isera – 12.09; QBB Quasar Burning Bright a Rovereto – 16.09), Swing Machine con Sandro Gibellini, Martino De Franceschi e Francesco Casale (Trento 14-09), Social Fusion Collective (Isera – 19.09), Quip Quartet con Pietro Tonolo (S. Michele all’Adige – 23.09), infine As Madalenas, ossia Cristina Renzetti e Tati Valle (Isera – 08.10).

Il terzo volto del TrentinoInJazz è quello più legato alle avanguardie, alla ricerca, alle connessioni. E’ questo il senso di Ai Confini e Oltre, partito con un’anteprima a giugno e rilanciato a settembre. Ai Confini ed oltre cerca di mettere a fuoco il territorio a cavallo fra generi o linguaggi diversi. Tutto ciò che sta ai confini ha per antonomasia carattere di sperimentazione perché si rivolge all’inconsueto, ricerca ciò che sta oltre, fuori. Ci sarà anche il recupero alcuni concerti che la pandemia non ha consentito di metter in scena la scorsa stagione. Matteo Bortone Trio (Trento – 30.09), Francesco Cusa and the Assasins (Trento – 07.10), Small Choices (Trento – 14.10), Piero Gaddi Quartet (Trento – 28.10), ESCO – Brasil! (Rovereto – 17.10; Trento – 04.11), Marc Perrenoud Trio (Trento – 09.11), Tango Tres (Rovereto – 19.12).

Il ciclo primaverile di masterclass online di Celano Jazz Convention si completa con il sassofonista Tino Tracanna

Sabato 29 maggio 2021, dalle ore 16 alle 19, Celano Jazz Convention presenta “Semplicità e Complessità nell’improvvisazione”, masterclass online condotta da Tino Tracanna.

Musicista di grande spessore e improvvisatore rigoroso, Tino Tracanna ha collaborato negli anni con i più importanti musicisti del jazz italiano e ha dato vita a sodalizi duraturi nel tempo come quelli con Franco D’Andrea e Paolo Fresu. Nella sua visione musicale si intrecciano, con grande equilibrio, l’approccio razionale e l’abilità melodica per creare uno stile del tutto personale ed immediatamente riconoscibile.

La masterclass si svolgerà sulla piattaforma Zoom: la partecipazione costa 20€ e per iscriversi occorre prenotarsi con una mail all’indirizzo conferenze@celanojazzconvention.com con oggetto, obbligatorio, ”Prenotazione Seminario” e utilizzando un indirizzo mail al quale poi sarà inviato il link di partecipazione al seminario.

Dopo le prime esperienze con Gianluigi Trovesi e i gruppi del territorio bergamasco, Tino Tracanna ha inciso il suo primo album come leader per la Red Records.

Nei primi anni ’80 comincia la sua collaborazione con Franco D’Andrea che lo porta all’attenzione nazionale. Sempre nei primi anni ’80, incontra Paolo Fresu col quale inizia una collaborazione che continua tutt’ora. Con il quintetto guidato dal trombettista incide molti album e ottiene un felicissimo riscontro di critica e pubblico, raggiungendo premi importanti come il TOP Jazz di Musica Jazz o il premio francese Django. Nel corso degli anni, Tino Tracanna ha collaborato con numerosi musicisti italiani e stranieri incidendo molti album in qualità di ospite solista.

Dalla metà degli anni ottanta, il sassofonista è leader di proprie formazioni con le quali realizza diversi album ottimamente accolti dalla critica e dal pubblico partecipando a numerosi festival e rassegne. Tra questi ricordiamo “Quartetto”, “La Forma delle Cose” e “Live” (con Massimo Colombo, Marco Micheli, Francesco Petreni), “Gesualdo” (elaborazione dei madrigali di Gesualdo da Venosa con la partecipazione di Mariapia De Vito), “Punctus” in duo con Pierre Favre, “Affinità Elettive” (partitura per quartetto Jazz ed archi).

Nel 2011 nasce “Acrobats” (insieme a Mauro Ottolini, Roberto Cecchetto, Paolino Dalla Porta e Antonio Fusco) col quale incide l’omonimo primo album e il recentissimo “Red Basics” (2016) per il Parco della Musica. Nel 2012 in collaborazione con Bonnot e Roberto Cecchetto, nasce “Drops”, sperimentazione per strumenti acustici ed elettronica. Recentissima, infine, la nascita di “Double Cut” un quartetto pianoless con un insolito organico formato da due sax, contrabbasso, batteria.

Dal 1995 è docente presso diversi conservatori italiani e dal 2000 docente di ruolo e coordinatore dei Corsi Jazz presso il Conservatorio Verdi di Milano.

Il ciclo primaverile di incontri online proposto da Celano Jazz Convention, tracciato dal direttore artistico della rassegna Franco Finucci, ha avuto come protagonisti alcuni tra i musicisti più importanti del panorama jazzistico italiano. Dopo gli appuntamenti dedicati alla storia del jazz, tenuti da Marco Di Battista, l’attenzione si è rivolta ai singoli strumenti del jazz: la voce (con l’incontro condotto da Ada Montellanico, sabato 24 aprile), la batteria (Roberto Gatto, sabato 8 maggio), il pianoforte (Claudio Filippini, sabato 15 maggio), la chitarra (Umberto Fiorentino, sabato 22 maggio) e il sassofono (Tino Tracanna, appunto, sabato 29 maggio).

Umberto Fiorentino presenta la masterclass online “Linee melodiche nell’improvvisazione” nell’ambito di Celano Jazz Convention

Sabato 22 maggio 2021, dalle ore 16 alle 19, Celano Jazz Convention presenta “Linee melodiche nell’improvvisazione”, masterclass online condotta da Umberto Fiorentino.

La masterclass si svolgerà sulla piattaforma Zoom: la partecipazione costa 20€ e per iscriversi occorre prenotarsi con una mail all’indirizzo conferenze@celanojazzconvention.com con oggetto, obbligatorio, ”Prenotazione Seminario” e utilizzando un indirizzo mail al quale poi sarà inviato il link di partecipazione al seminario.

Umberto Fiorentino, chitarrista e compositore, ha esordito negli anni settanta al fianco dei suoi coetanei dell’area romana come Roberto Gatto e Danilo Rea. Negli anni ottanta ha partecipato, soprattutto con la formazione Lingomania, a una innumerevole quantità di concerti, rassegne internazionali ed esibizioni radiofoniche e televisive italiane ed estere, riscuotendo grandi riscontri di pubblico e critica.

In veste di leader e side man, ha avuto collaborazioni con grandi nomi quali: Paolo Fresu, Enrico Rava, Mike Stern, Manu Roche, Rita Marcotulli e moltissimi altri. Ha avuto modo di partecipare ad alcune importanti produzioni nell’ambito della musica pop e, in particolare, nei lavori di Mina.

Umberto Fiorentino è unanimemente riconosciuto come uno dei più importanti docenti italiani per quanto riguarda la chitarra jazz. Ha pubblicato diversi libri, video e metodi di didattica musicale, ha collaborato alla rivista “Chitarre” pubblicando più di80 articoli di carattere didattico e insegna da molti anni presso le più prestigiose scuole di musica italiane.

Il percorso didattico online di Celano Jazz Convention, tracciato dal direttore artistico della rassegna Franco Finucci, prosegue nelle prossime settimane con i seminari condotti da alcuni tra i musicisti più importanti del panorama jazzistico italiano. Dopo gli appuntamenti dedicati alla voce (condotto da Ada Montellanico, sabato 24 aprile), alla batteria (tenuto da Roberto Gatto, sabato 8 maggio), al pianoforte (affidato la scorsa settimana, sabato 15 maggio, a Claudio Filippini) e alla chitarra (il seminario di Umberto Fiorentino, in programma sabato 22 maggio) e si concluderà con il sassofonista Tino Tracanna (sabato 29 maggio).

Claudio Filippini presenta la masterclass online “Il pianoforte come un’orchestra” nell’ambito di Celano Jazz Convention

Sabato 15 maggio 2021, dalle ore 16 alle 19, Celano Jazz Convention presenta “Il pianoforte come un’orchestra”, una masterclass online condotta da Claudio Filippini.

La masterclass si svolgerà sulla piattaforma Zoom: la partecipazione costa 20€ e per iscriversi occorre prenotarsi con una mail all’indirizzo conferenze@celanojazzconvention.com con oggetto, obbligatorio, ”Prenotazione Seminario” e utilizzando un indirizzo mail valido, al quale poi sarà inviato il link di partecipazione al seminario.

Attraverso collaborazioni importanti, una discografia ricca e sfaccettata, una visione musicale capace di unire rispetto per la tradizione del jazz e dimensione acustica ed orchestrale del pianoforte con le sonorità elettriche e con l’attenzione ad altri linguaggi musicali, Claudio Filippini ha sviluppato, nel corso degli anni, un percorso musicale personale, ormai maturo e sempre capace di sorprendere l’ascoltatore con connessioni trasversali e con un’estrema capacità di sintesi.

Nato nel 1982, Claudio Filippini coltiva la passione per la musica sin da bambino quando all’età di 7 anni intraprende lo studio del pianoforte. A soli 11 anni si iscrive al corso di pianoforte jazz dell’Accademia Musicale Pescarese dove ha l’occasione di studiare prima con Angelo Canelli e in seguito con Marco Di Battista, terminando il suo corso quinquennale di studi diplomandosi con il massimo dei voti e la lode.

Dal 1997 segue corsi di perfezionamento sotto la guida di Kenny Barron, George Cables, Jimmy Owens, Cameron Brown, Steve LaSpina, Garrison Fewell, Giulio Capiozzo, Bobby Durham, Pete Bernstein, Keter Betts, Shown Monteiro, Enrico Pieranunzi, Stefano Battaglia, Franco D’Andrea, Otmaro Ruiz e Stefano Bollani. Nel 2004 consegue brillantemente il diploma di pianoforte presso il conservatorio “G.B. Pergolesi” di Fermo.

Sono numerosissimi i premi e le borse di studio vinte da Filippini, a partire dal primo premio assoluto al concorso Kamerton di Pescara per due anni consecutivi. Vince, poi, il terzo premio al “Baronissi Jazz” nel 2001, aggiudicandosi il primo posto l’anno successivo. È vincitore di diverse borse di studio al “Pescara Jazz”, a Siena e a Roma.

Sia con i progetti a suo nome che con prestigiose collaborazioni, ha suonato nei festival e nei club più importanti del panorama italiano ed internazionale. Ha condiviso il palco ed ha registrato con musicisti come, tra gli altri, Luca Bulgarelli, Marcello Di Leonardo, Max Ionata, Fabrizio Bosso, Palle Danielsson, Olavi Louhivuori, Maria Pia De Vito, Fulvio Sigurtà, Giovanni Guidi, Mirko Signorile, Stefano Di Battista, Roberto Gatto, Ares Tavolazzi, Rosario Giuliani, Aldo Romano e Mario Biondi.

Il percorso didattico online di Celano Jazz Convention, tracciato dal direttore artistico della rassegna Franco Finucci, prosegue nelle prossime settimane con i seminari condotti da alcuni tra i musicisti più importanti del panorama jazzistico italiano. Dopo gli appuntamenti dedicati alla voce (condotto da Ada Montellanico, sabato 24 aprile), alla batteria (tenuto da Roberto Gatto, sabato 8 maggio) e al pianoforte (questo con Claudio Filippini, in programma sabato 15 maggio), i prossimi incontri saranno tenuti dal chitarrista Umberto Fiorentino (sabato 22 maggio) e dal sassofonista Tino Tracanna (sabato 29 maggio).