Dalla e Battisti: due geni dei nostri giorni

Chiedo scusa ai miei lettori se questa volta esco proprio dal seminato, ma i primi giorni di marzo rappresentano per me un insieme di ricordi indelebili che riguardano tanto la mia vita privata quanto i miei gusti musicali.

Sul primo versante solo pochissime parole: il 2 marzo del 1905 nacque mio padre, il 4 marzo del 2004 è nato mio figlio che come ripeto spesso “è la cosa più bella che ho fatto nel corso della mia vita”.

Veniamo, invece, ai gusti musicali che evidentemente interessano molto di più quanti seguono “A proposito di jazz”.

Il 4 marzo del 1943 a Bologna vedeva la luce Lucio Dalla; il 5 marzo sempre del 1943, quindi a sole dodici ore di distanza, a Poggio Bustone nasceva Lucio Battisti; due fenomeni artistici assolutamente ineguagliabili, ambedue con lo stesso nome, ambedue sotto il segno zodiacale dei pesci.

Solamente un caso? Come diceva Agatha Christie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova»… qua di indizi ce ne sono ben di più per poter concludere che in quei giorni di marzo del ‘43 il Creatore (per chi ci crede) e la natura (per i laici) si son dati particolarmente da fare per regalarci due geni che avrebbero riempito di musica i nostri cuori e le nostre giornate.

Ciò detto, è possibile trovare dei punti di contatto tra i due artisti?

Assolutamente sì. Innanzitutto, come si accennava, ambedue hanno scritto canzoni che sono rimaste nell’immaginario collettivo; basta citare qualche titolo per rendersi conto di cosa si stia parlando: “Il mio canto libero”, “4/3/43”, “La canzone del sole”, “L’anno che verrà”, “Non è Francesca”, “Caruso”, “Emozioni”, “Ma dove vanno i marinai”… e l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo.

E che si tratti di pezzi musicalmente assai validi lo dimostra il fatto che molti musicisti jazz si sono rivolti a questo repertorio, anche se con diverse modalità, declinandolo sì da rendere jazzisticamente attuale la tradizione melodica italiana. Tutto ciò non stupisce più di tanto ove si consideri che il jazz è nato come musica ibrida, come musica, cioè, che si nutre di tutto ciò che la circonda; di qui le riletture di brani celebri che, almeno fino all’avvento del bop, hanno costituito il bacino da cui i jazzisti hanno tratto ispirazione. In particolare nella realtà italiana, negli ultimi decenni sono particolarmente aumentati gli “omaggi a”, divenuti un genere a doppia valenza: per interpretare passioni e sentimenti del popolo italiano, per allargare l’ancora ristretta cerchia degli appassionati di jazz.

Se, come dicevamo, tutto ciò non è una sorpresa, risulta davvero straordinario il fatto che nel 1990, per la ‘Gala’ esce “Ci ritorni in mente” un doppio vinile in cui ben quattordici formazioni diverse, con oltre sessanta artisti, interpretano esclusivamente brani di Battisti. È probabilmente il primo lavoro collettivo dedicato esclusivamente ad un musicista. Ma al cantautore di Poggio Bustone si sono rivolti alcuni dei più grandi jazzisti italiani, da Giorgio Gaslini a Tiziana Ghiglioni, da Ettore Fioravanti a Helga Plankensteiner, da Enrica Bacchia a Enrico Rava, da Enrico Pieranunzi a Rita Marcotulli… a Renato Sellani, tanto per fare qualche nome. E si tratta sempre di produzioni di alto livello artistico; la cosa assume un rilievo ancora maggiore considerando che le riletture dei suoi brani sono tutt’altro che facili sia per la complessità del disegno melodico, sia perché le sue canzoni sono strettamente correlate alla voce e all’interpretazione del testo. Di qui il dilemma che quasi tutti i jazzisti, misuratisi con la musica di Battisti, si sono trovati dinnanzi: procedere ad una difficile rilettura dei brani per coglierne lo spirito e rispettarne il più possibile l’integrità oppure andare dentro il brano, stravolgerlo per farlo rivivere secondo la propria sensibilità. Strade che, in effetti, sono state ambedue percorse. Peccato che tutto questo discorso sia come inficiato da un enorme paradosso: del jazz a Lucio Battisti poco o nulla importava.

E qui le analogie con Lucio Dalla si fermano ché viceversa l’artista di Bologna ha sempre amato il jazz tanto da suonare con eccellente tecnica il clarinetto. Come strumentista Dalla si affermò negli anni tra i’50 e i ‘60 quando Bologna era considerata una sorta di capitale del jazz italiano. Così a soli 15, 16 anni Lucio suonava in jam session con Chet Baker… poi le imprese con  Jimmy Villotti; un disco con Marco di Marco ( “Lucio Dalla/Marco di Marco” uscito per la prima volta nel 1985 su etichetta Fonit Cetra con Lucio Dalla clarinetto e voce, Marco Di Marco pianoforte, Jacky Samson basso e Charles Saudrais percussioni); la collaborazione con Mario Schiano (nell’album ‘Progetto per un inno’ del 1976 Dalla al clarinetto assieme a De Gregori voce e Antonello Venditti pianoforte propongono una straniante versione dell’ “Internazionale”); la tournée con Stefano Di Battista del 2004; le straordinarie performance con Michel Petrucciani tra cui quelle del 1998 e del 2002 e il prestigioso invito a Juan Les Pins per suonare con  Charles Mingus, Bud Powell e Eric Dolphy. Ma, al di là delle prestazioni jazzistiche di Dalla, vale la pena sottolineare un aspetto più costitutivo del suo rapporto con la musica afro americana, quella capacità di adoperare lo scat, quel suo amore per il ritmo, per i cambi di atmosfera, per quelle soluzioni armoniche così ardite sicuramente riconducibili al jazz.

Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Lucio, di ascoltarlo in diversi concerti e di condurre un programma su RadioUno cui partecipava anche il cantautore bolognese. Ed è stata un’esperienza bellissima in quanto Lucio era una persona gentilissima, dolcissima, divertente, che amava considerare e rispettare qualsivoglia persona con cui si trovasse ad interloquire e che, soprattutto, aveva le idee ben precise sulla musica che voleva fare.

Una musica che, contrariamente a quanto accaduto per Battisti, non è entrata spesso nel repertorio dei jazzisti; così a livello nazionale si sono cimentati con i pezzi di Dalla tra gli altri, Silvia Barba e Pippo Matino, Renzo Ruggieri, i 14 musicisti che hanno inciso “Dalla in jazz”, Enrica Bacchia, Paolo Fresu con Uri Caine, mentre a livello internazionale Richard Galliano e Aldo Romano ci hanno regalato delle toccanti interpretazioni di “Caruso”. Devo confessare che ogniqualvolta ascolto questo pezzo, non posso fare a meno di commuovermi. Una commozione che mi pervade anche in questo momento, quando sto scrivendo del mio cantautore preferito, un artista che avevo cominciato ad apprezzare, ad amare nel 1967 quando alla radio ascoltai “Il Cielo”, con cui Lucio partecipò al Festival delle Rose, vincendo, per la seconda volta, il premio della critica.

A questo punto forse taluni si staranno chiedendo: ma i due, Battisti e Dalla, si sono mai incontrati, hanno avuto modo di collaborare? Sì, i due in vita ebbero modo di conoscersi e apprezzarsi ma non hanno avuto la possibilità di collaborare artisticamente; Dalla aveva lanciato la proposta di una tournée e di un disco in comune ma Battisti rifiutò in quanto era già entrato nella logica di appartarsi dalle scene.

Peccato! Sono sicuro che ne sarebbe scaturito qualcosa di eccezionale!

Gerlando Gatto

Omaggio del sestetto di Roberto Gatto a Nino Manfredi

 

Roberto Gatto, batteria
Silvia Manco, pianoforte e voce
Luciano Biondini, fisarmonica
Francesco Lento, tromba e flicorno
Luca Velotti, sassofoni e clarinetto
Luca Bulgarelli, contrabbasso

 

E’ davvero difficile non fare centro quando un progetto è basato su musiche da film di maestri quali Fiorenzo Carpi, o Armando Trovaioli, tanto per citarne due. Se poi la performance è rivisitare i brani in chiave jazzistica ma ferma restando una  affettuosa, rispettosa e palpitante fedeltà, il risultato è di sicuro effetto. Se infine i musicisti sono musicisti come Roberto Gatto (batteria, ideatore del progetto dedicato all’ indimenticabile Nino Manfredi e fraterno amico della moglie Erminia), Silvia Manco (pianoforte e voce), Francesco Lento (tromba),  Luciano Biondini (fisarmonica) Luca Velotti (sassofoni e clarinetto) e Luca Bulgarelli (contrabbasso) allora potete stare sicuri che il concerto che ne scaturisce sarà allegro, commovente, divertente, trascinante.

Questo è accaduto alla Casa del Jazz, alla presenza di Erminia Manfredi,  per un piccolo ma intenso live ad inviti che seguiva un Live Recording destinato alla prossima pubblicazione di un cd e (si spera) ad una serie di concerti. Concerti che avranno il merito di “rimettere in circolo” musiche bellissime con tutta l’ energia del “qui e ora” che il buon Jazz sa imprimere per la sua stessa natura.
Non serve essere rivoluzionari per produrre buona musica: in questo caso serve, come accennavo, una (oramai si può dire) tradizione musicale che è un vero proprio fiore all’ occhiello per l’ Italia, passione, bravura e voglia di divertirsi.
E così questo sestetto comincia da “E nasce all’ improvviso una canzone”, cantata da Silvia Manco con una voce potente, espressiva e perfettamente in linea con l’ atmosfera del brano che riporta alla mente quel Manfredi un po’ scanzonato, un po’ spensierato, un po’ sornione che tutti ricordiamo. Il Jazz emerge elegante negli assoli di Lento, sempre più bravo, negli accordi congrui, equilibrati tra rivisitazione e attenzione al clima originale di Silvia Manco,  nel fondamentale apporto timbrico dei sassofoni e del clarinetto di Velotti, nel contrabbasso swingante di Bulgarelli e naturalmente nella esplosiva ma raffinata e giocosa batteria di Gatto. E Biondini è jazz si, ma anche melodia pura,  ritmo, lirismi a volte quasi dolenti.
Dunque con queste solide premesse si dipana poi uno spettacolo (si,  perché stiamo parlando di musica-spettacolo) convincente,  attraverso brani quali il tema principale del film “C’eravamo tanto amati” , incentrato sul contrasto tra unisono secco di fisarmonica e pianoforte nel presentare il tema, e la pienezza del suono del sestetto con la stessa fisarmonica che affresca quasi un intenso tango.  E se in Angola Adeus, di Trovajoli, dal bellissimo film “Riusciranno i nostri eroi a ritrovare il loro amico misteriosamente scomparso in Africa” tutto il sestetto dà prova tangibile di coesione e di quanto il ritmo possa essere fortemente legato ad un tema melodico geniale, con la medley del film Pinocchio, la fisarmonica e la tromba emozionano riproponendo i temi melodici di Fiorenzo Carpi, oramai nell’immaginario collettivo indissolubilmente legati alla fiaba di Collodi, e ridisegnati  dalla batteria di Gatto, così efficace nel ricostruire le atmosfere ad un tempo giocose e malinconiche di un film indimenticabile della nostra televisione.  Quanto sarebbe stato bello vedere in contemporanea le immagini dei film su uno schermo, come accaduto in precedenza all’ Auditorium della Conciliazione a Roma (vedi foto galleria), data la forte valenza evocativa di questa musica.   Ma probabilmente questo accadrà nei concerti futuri che andranno in scena in versione “integrale”.

Elettrika versus Batterika: due eventi in uno per infinita musica

 

Quest’ anno il direttore artistico Lucrezio De Seta, e con lui Mirella Murri e Augusto Cherubini, ha voluto unire due rassegne creando un vero e proprio festival della batteria e delle chitarre e del  basso elettrico, e non solo: gia’ sintetizzando cosi’ semplicemente “Elettrika versus Batterika” sono consapevole di aver minimizzato un evento che e’ diventato francamente imperdibile, non solo per chitarristi, bassisti e batteristi, ma per i musicisti e gli appassionati in generale, oltre che naturalmente per gli operatori del settore.
L’ SGM center diventa infatti un vero e proprio punto importante di aggregazione, una fucina pulsante di incontri, idee, occasioni, che si svolgono davanti a palchi in cui si ascolta buona musica, workshop di musicisti importanti, stand espositivi delle migliore aziende e dei migliori artigiani su piazza, insomma un vero e proprio parco divertimenti per chi la musica ama farla, ascoltarla, e viverla.
Impossibile elencare qui tutti gli eventi svoltisi in due giorni: io sono passata per due pomeriggi e ho visto dimostrazioni, incontri, ho parlato con espositori vari, con i direttori di riviste prestigiose quali ad esempio “Drumset Magazine”, ho comprato un bellissimo Cajon parlando a lungo con l’ artigiano che lo ha costruito, ho visto strumenti a percussione, decine di tipi di piatti e di batterie, ascoltato il suono di bassi e chitarre elettriche percependone finalmente le differenze con la consapevolezza nuova che deriva dalla spiegazione di un esperto, che sia un liutaio, un costruttore o un musicista.
In poche ore ho ascoltato il concerto di Bassvoice Project di Silvia Barba e Pippo Matino, sempre piu’ affiatati  nell’ interpretare in maniera originale e personalissima brani molto amati quali quelli di Lucio Dalla, o Ivano Fossati, o Cindy Lauper, ma anche accattivanti pezzi originali, come “Manchi”, in cui vince la continua ricerca timbrica nell’intreccio tra una voce potente  e un basso riconosciuto tra in migliori non solo in Italia: un duo minimale nell’ organico ma di certo non nella resa piena, “rotonda”, completa, sia armonicamente che ritmicamente.
Ho ascoltato anche il quartetto swingante della vocalist Sara Della Porta, accompagnata da un trio d’eccezione: Daniele Cordisco alla chitarra, Gregory Hutchinson alla batteria, Andrea Romanazzo al contrabbasso, puro Jazz nello spazio della scuola di musica “Ottava”.
E ancora il Mamo Trio, ovvero Egidio Marchitelli alla chitarra elettrica, Massimo Moriconi al basso elettrico e Pasquale Angelini alla batteria, un concerto elettrizzante, e non e’ un gioco di parole: groove, pulsazioni, energia, standard come Night in Tunisia, o Bye Bye  Blackbird, o Caravan resi con fantasia improvvisativa, trovate espressive infinite, dinamiche raffinate, resa ritmica eccellente, contrasti dinamici, perfetto bilanciamento del trio, assoli interessanti. Un bel viaggio tra rock, jazz e funky .
E poi un workshop lluminante,del batterista Leonardo De Lorenzo, che attraverso i suoi assoli ha spiegato quale studio, quale progetto, ci sia dietro la costruzione di un solo, destrutturandolo in cellule ritmiche che improvvisamente diventano intellegibili in tutta la loro complessita’: e svela come dietro ad ogni progressione ritmica ci possa essere addirittura la riproduzione tematica di un tema quale Oleo, o di come si possa ripartire un 7/8 tra i vari elementi della batteria in modo che esso risulti all’ ascolto “morbidamente” asimmetrico. E di quanto sia importante l’ accordatura in uno strumento potenzialmente deflagrante come la batteria, e dell’ importanza della scelta giusta delle bacchette.
Il programma e’ stato ben piu’ vasto di quanto io vi abbia descritto: tantissimi i concerti, tantissimi i workshop.
Il consiglio e’ quello di non perdervi la prossima edizione: ne vale veramente la pena.

BASSVOICE PROJECT CON SILVIA BARBA E PIPPO MATINO FEAT. PAOLO RECCHIA

Un basso elettrico che costruisce, nota dopo nota, le melodie di celebri brani italiani e internazionali con una voce potente e intensa che gioca con i suoni e le emozioni. Questi gli ingredienti della serata di giovedì 20 marzo all’Alexanderplatz di Roma (Via Ostia 9, info 06/39721867) che vedrà protagonista il BassVoice Project di Pippo Matino – uno dei più importanti bassisti d’Europa – e di Silvia Barba, cantante romana cresciuta artisticamente tra la capitale e Parigi. Da cinque anni, con due album all’attivo, portano avanti un percorso che si snoda lungo la canzone d’autore rivisitata in chiave jazz e brani originali scritti da entrambi. Per presentare il loro ultimo lavoro discografico, “Love and Groove”, sul palco del tempio del jazz romano, saranno accompagnati da uno dei più talentuosi sassofonisti italiani, Paolo Recchia, esponente della nuova leva jazzistica nazionale.

Pippo Matino e Silvia Barba, con il BassVoice Project si sono esibiti nelle principali città italiane e all’estero, da Roma a Parigi, da Torino a Catania, partecipando ai festival più prestigiosi. Il progetto musicale esalta l’idea personale della vocalità nuda, del groove, delle contaminazioni e delle sonorità mediterranee in un omaggio al pop ma anche al jazz moderno, di tradizione melodica e accostamenti insoliti. Il duo ha coinvolto nelle varie occasioni live altri strumenti come batteria, tastiere, sax e trombone collaborando con artisti tra i più interessanti del panorama nazionale. All’Alexanderplatz il BassVoice Project si esibirà con il giovane sassofonista laziale, Paolo Recchia. Classe ‘80 vanta importanti collaborazioni artistiche trasversali, dal pop al jazz. La sua intensa attività live lo porta costantemente in tour lungo tutto il territorio nazionale con il trio a suo nome. Esordisce a livello discografico nel 2008 con  “Introducing Paolo Recchia featuring Dado Moroni”; nel 2011pubblica il suo secondo cd “Ari’s Desire” con ospite il noto trombettista Alex Sipiagin, entrambi per la Via Veneto Jazz e distribuiti EMI Music. “Three for Getz” è il suo terzo album, prodotto in Giappone (già alla seconda ristampa) che omaggia la musica di Stan Getz e con il quale sta ottenendo importanti risultati e riconoscimenti di pubblico e di critica.

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Al via da Roma il tour di Paolo Recchia Trio con “Three for Getz” and much more

Paolo Recchia trio Three for Getz

La musica di Stan Getz, gigante del jazz di tutti i tempi, e la musica brasiliana, saranno protagonisti a marzo di una serie di concerti del Paolo Recchia Trio con un’ospite d’eccezione, la cantante originaria di Rio de Janeiro, Val Coutinho.

Il giovane sassofonista italiano Paolo Recchia in trio con Enrico Bracco alla chitarra e Nicola Borrelli al contrabbasso presenta il suo nuovo album “Three for Getz” (prodotto dalla etichetta giapponese Albóre Jazz) composto da brani celebri tratti dai dischi più significativi della carriera di Getz, come Indian Summer dal disco “Quartets “del 1949 a soli 22 anni, Three little words da “Stan Getz and the Oscar Peterson Trio”, Grandfather’s Walts dall’album “Stan Getz & Bill Evans”, fino a O Grande Amor dell’album “Getz/Gilberto” featuring Antonio Carlos Jobim e First Song dell’album “People Time” del ’92. La presenza della cantate brasiliana Val Coutinho, arricchirà ancora di più il repertorio, estendendolo alle composizioni del periodo di collaborazione tra Stan Getz con Joao Gilberto e Tom Jobim, autori delle più famose melodie della musica brasiliana.

Paolo Recchia continua a ripercorrere, quindi, la strada già solcata da Stan Getz, grande artista, precursore delle contaminazioni tra i generi, ma prima di tutto uomo curioso che aveva scelto di vivere in Brasile e di interpretarne il patrimonio musicale, facendolo proprio e rendendolo famoso attraverso il nuovo stile la “Bossa Nova” che per primo importò in America. Le rivisitazioni di Recchia vanno però oltre: il giovane sassofonista nato nel 1980, ha saputo fondere la sua tecnica, le sue conoscenze assimilate nel corso degli anni attraverso lo studio in un linguaggio ed in un suono personale fatto di melodia, padronanza armonica, suono rotondo, sensibilità e swing.

Il primo appuntamento del mese di marzo, vedrà il trio impegnato giovedì 6 all’Alexanderplatz Jazz Club di Roma (ore 21.30 – Via Ostia, 9 – Prenotazioni 06/39721867). La settimana successiva, Paolo Recchia Trio feat. Val Coutinho, si esibirà martedì 11 e mercoledì 12 sempre a Roma, sul Tram Jazz, un tram storico, restaurato e risistemato come ristorante e sala da concerto viaggiante (www.tramjazz.com). Venerdì 14, la stessa formazione si esibirà al Green Buddha di Roma (wine bar, live music, cucina vietnamita, Via Cassia 927). Mentre sabato 15 marzo, Paolo Recchia trio, sempre in compagnia di Val Coutinho, saranno protagonisti al Fictio Club di Chieti, per poi concludere la loro serie di concerti, domenica 16, all’Alhambra di Castellonorato di Formia.
Il sassofonista Paolo Recchia sarà inoltre protagonista di altri due appuntamenti, giovedì 20 marzo, all’Alexanderplatz di Roma, ospite di Pippo Matino Silvia Barba Bassvoice Project; e Venerdì 28, a Perugia al Ricomincio da Tre, dove si esibirà con Luca Mannutza Quintet che presenterà il suo nuovo album distribuito in USA.

Paolo Recchia, che si sta imponendo sulla scena nazionale, esordisce a livello discografico nel 2008 con  “Introducing Paolo Recchia featuring Dado Moroni”; nel 2011pubblica il suo secondo cd “Ari’s Desire” con ospite il noto trombettista Alex Sipiagin, entrambi per la Via Veneto Jazz e distribuiti EMI Music. “Three for Getz” è il suo terzo album che vanta le note di copertina di uno dei più prestigiosi musicisti della storia del jazz italiano, Dino Piana: «Mentre ascoltavo  mi sembrava di sentire Lee Konitz, Bud Shank ed altri musicisti con cui io ho avuto anche la fortuna di suonare. Allo stesso tempo però ho ascoltato emergere la personalità di Paolo (Recchia ndr) proprio nella particolare sensibilità di fraseggio che in un ragazzo giovane, abituato ad altri tipi di linguaggio, non è facile da trovare».

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I nostri CD. Il groove di Pippo Matino

I NOSTRI CDSilvia Barba, Pippo Matino BassVoiceProject – “Love and groove” – wide
Davvero un bell’album, fresco, coinvolgente, questo firmato dalla vocalist Silvia Barba e dal bassista Pippo Matino. Matino si è oramai affermato come un virtuoso del basso elettrico non solo a livello nazionale, e sta sempre più rafforzando questa sua “posizione” grazie ad alcuni validi progetti che lo vedono impegnato su più fronti. Tra questi il “BassVoice project” con la cantante romana Silvia Barba che è per l’appunto il “responsabile” dell’album che vi presentiamo. Tanto per mettere subito le carte in tavola, occorre sottolineare come la formazione sia completata da Fabrizio Bosso tromba e flicorno, Javier Girotto sax soprano, Jorge Bezerra percussioni, Roberto Schiano trombone, Claudio Romano batteria e Nicola Angelucci presente alla batteria in “Viva lei” e nella seconda parte di “Come together”.

E questi titoli introducono alla particolarità del repertorio in cui accanto a composizioni originali di Pippo Matino (due) e Fabrizio Bosso figurano brani tratti dal repertorio classico del jazz nonché dalla musica brasiliana e dalla musica d’autore non solo italiana. Così ascoltiamo, ad esempio, il celeberrimo “Je ne regrette rien” immediatamente collegabile alla splendida voce di Edith Piaf  e poi il non meno celebre “Summetime”, seguito da “Mas que nada” e quindi dal primo pezzo cantautoriale, lo splendido “Anna e Marco” dell’indimenticabile e indimenticato Lucio Dalla. A questo punto il lettore potrebbe pensare che si tratti di uno dei soliti guazzabugli studiati per catturare l’attenzione ma carenti di unità di fondo.

E invece il nostro lettore si sbaglierebbe e di grosso dal momento che l’album possiede una sua ben individuabile identità grazie alla grande personalità dei musicisti impegnati, che d’altro canto tutti conosciamo benissimo. Matino è in grado di affrontare qualsivoglia partitura grazie alla perfetta padronanza dello strumento e la stessa cosa può ovviamente dirsi di Bosso e Girotto oramai ai vertici del jazz nazionale. Il contributo di questi due “fiati” è risultato particolarmente importante soprattutto nella riproposizione dei brani tratti dal repertorio “leggero” specie quando appariva necessario riportare il discorso su binari più prettamente jazzistici. Ascoltate il superbo intervento di Girotto in “Je ne regrette rien” e il sentito assolo di Bosso in “Il mio regno”. Dal canto suo la vocalist Silvia Barba mostra una bella maturità interpretando con efficacia e pertinenza brani così distanti tra di loro, anche se, proprio per questo, non in tutti i pezzi raggiunge la stessa efficacia.

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