Il Jazz per l’Ucraina in Italia e nel mondo

La musica non è un’arma spuntata. Ma non è “inoffensiva” nel senso che può diventare veicolo di messaggi forti – pensiamo a brani come “Imagine” di John Lennon o “Russians” di Sting –  in grado di influenzare le coscienze di intere fasce di popolazioni.
E non è semplice psicologismo (di massa) tant’è che anche in ambito militare si riconosce quanto sia importante il “morale della truppa”.
Può essere inno pacifista come il famoso “Mettete dei fiori nei vostri cannoni” dei Giganti e i tanti brani dell’epopea hippie ma può tramutarsi anche in un aiuto concreto. Ed è quanto di fatto sta avvenendo in un Occidente dove lo stesso jazz ha iniziato a mobilitarsi. Con qualche distinguo, però, non del tutto secondario che si sta manifestando nel nostro Paese. In effetti consentitemi di nutrire qualche ragionevole dubbio sulla perfetta coincidenza tra l’indire manifestazioni di sostegno e condividere appieno le sofferenze del popolo ucraino. Dubbio determinato da quanto leggo in questi giorni da varie fonti: invece di condannare senza se e senza ma le azioni di Putin, si comincia il discorso con i soliti “sì, ma, allora gli USA, il Libano, la Libia, l’Afghanistan, l’Iraq… e chi più ne ha più ne metta”. Il tutto non tanto e non solo per capire le cause dell’attuale guerra (cosa che si potrebbe benissimo fare ad ostilità concluse) quanto per giustificare se non per appoggiare pienamente Putin nel nome di vecchi slogan che sognavamo sepolti dalla storia e che invece riaffiorano sulla scorta di un “anti-atlantismo” più vivo che mai. Ma tant’è!
Per sgombrare il campo da ogni possibile equivoco, aggiungo che la redazione intera di “A Proposito di Jazz” ritiene di dover attestare la propria vicinanza alle vittime di questa guerra ripugnante, per riprendere le parole di Papa Francesco. Lo facciamo scrivendo. Computer e strumento musicale non saranno armi, d’accordo. Ma possono arrivare a trasmettere parole, suoni, emozioni, sentimenti. Là dove le armi non arriveranno mai.
Ma torniamo alle tante iniziative di cui in apertura. Fra le tante significative storie da segnalare quella di Tetyana Haraschuk, batterista jazz che vive a Winnipeg in Canada, dove si è trasferita qualche anno fa coi suoi genitori. Lei è nata a Kiev, e in Ucraina ha ancora tanti parenti minacciati dalla guerra. Alcuni di loro sono riusciti a passare il confine e rifugiarsi in Polonia, ma la situazione non è semplice nemmeno lì. Così lei è partita per incontrarli e condurli definitivamente in salvo.

Dal canto suo Tamara Usatova, cantante jazz e soul da oltre 15mila visualizzazioni su Youtube, nata in Ucraina da padre russo e madre ucraina, ha raccontato la lacerazione che sta vivendo in questi giorni. Perché anche lei, come molte persone russe, ha l’impressione di essere nel mezzo di una guerra civile. Per questo ha organizzato dei concerti a Milano con un doppio obiettivo: raccogliere fondi a sostegno del popolo ucraino e creare un ponte che avvicini i due Paesi in ostilità.
Ancora: in Gran Bretagna si è svolto il Concert for Ukraine grazie alla arpista di origine ucraina Alina Bzhezhinska, la quale nell’occasione ha dichiarato che “l’Ucraina è sempre stata un Paese europeo; ha persone straordinarie che vogliono vivere in pace e armonia con il resto del mondo”. Centrando, con tali affermazioni, il perché della reazione dell’Europa al conflitto, concorde ed unitaria come mai era stata in precedenza in situazioni più o meno assimilabili avvenute in territorio europeo. Le ha fatto eco Dave Wybrow, direttore del Cockpit, struttura teatrale sempre aperta alle battaglie ideali e antitotalitarie.

Giungono notizie sul sostegno all’Ucraina anche dagli U.S.A. In particolare il 18 marzo si è svolto a NYC “10,000 Tones for Peace”, un concerto cui hanno partecipato artisti del calibro di Oliver Lake, William Parker, Matthew Shipp, Frank London, Joe Morris, Marty Ehrlich, Melvin Gibbs… e altri. Notevole anche il contributo della Utah Jazz Foundation che ha stanziato fondi per l’accoglienza dei profughi ucraini.

E in Italia? Da noi lo scorso 13 marzo, la Midj, associazione musicisti italiani di jazz ha promosso “Italian Jazz 4 Peace”, una giornata di concerti on line e dal vivo per raccogliere fondi in favore delle popolazioni colpite dal conflitto. L’evento solidale, organizzato in collaborazione con Unchr Italia, l’Agenzia Onu per i rifugiati, è basato sul presupposto che “la musica unisce popoli, culture, persone. Da sempre il jazz è incontro e scambio, estemporanea espressione artistica che riflette la realtà del momento”. Ai vari coordinamenti regionali è stato assegnato il compito delle iniziative in loco per il cui riscontro rinviamo alle varie cronache di spettacoli.
Giovedì 17 marzo 2022 il Conservatorio di Milano ha ospitato presso la Sala Verdi il concerto dell’Orchestra Nazionale Jazz dei Conservatori italiani: gli studenti dei Conservatori si sono esibiti insieme per la pace in Ucraina nel concerto Kings of Pop in Jazz a sostegno del progetto Emergenza Ucraina #HelpUkraine della Fondazione Avis, guidati da Pino Jodice (nella doppia veste di direttore e arrangiatore) e con la voce di Cinzia Tedesco.
Buone nuove anche da Bergamo: la Fondazione Teatro Donizetti e Bergamo Jazz hanno aderito alla raccolta fondi promossa da Fondazione Cesvi con l’iniziativa “Emergenza Ucraina”: in occasione dei concerti, il pubblico ha così potuto effettuare donazioni destinate alla popolazione colpita dal conflitto.
Tra le iniziative locali da segnalare , infine, quella svoltasi a Palermo dove il 26 marzo scorso, al Real Teatro Santa Cecilia, l’Orchestra Jazz Siciliana – Fondazione The Brass Group, sposando l’appello dell’assessore regionale turismo, sport e spettacolo, Manlio Messina, ha dato vita allo spettacolo BRASS and FRIENDS for UKRAINE. Sono stati raccolti 6.000 euro, devoluti alla raccolta fondi promossa dalla Croce Rossa Italiana per il popolo ucraino, Oltre all’Orchestra, sono saliti sul palco molti artisti tra cui Flora Faja e Diego Spitaleri.

Gerlando Gatto

My Favorite Things, le cose che preferisco: Jazz in Friuli Venezia Giulia – part 2

Flaviano Bosco – My Favorite Things, le cose che preferisco: Jazz in Friuli Venezia Giulia – part 2 Udin&Jazz Winter 2

L’Associazione culturale Euritmica, che da tre decenni e oltre organizza la manifestazione jazzistica udinese, si è sempre distinta per il proprio impegno sociale e politico. In tutti questi anni di successi, che l’hanno vista estendere le proprie programmazioni e rassegne a tutto il circuito regionale e ben oltre, non ha mai dimenticato le proprie origini militanti. Fare musica, soprattutto jazz, non può e non deve essere solo puro intrattenimento.
Quella musica è nata per dare voce agli ultimi della terra e deve continuare a farlo, porta con se un’energia, una voglia di giustizia e di riscatto che sono insopprimibili, far finta di non sentire le voci e le grida di dolore che si porta dietro anche nelle melodie più delicate significa impedirsi di capirne l’importanza e le prospettive. Se dopo più di cento anni di evoluzioni e di stili possiamo ancora goderne, è perché il Jazz ha saputo farsi portavoce di tutte le diversità culturali e sociali del mondo, la sua forma malleabile, flessibile e ora anche liquida, la sua anti-convenzionalità ne hanno fatto lo strumento ideale per esprimere e trasmettere le sofferenze e la gioia di chi non ha altro modo per farsi sentire; ancor di più attraverso il jazz si è potuto trovare un linguaggio musicale universale in grado di parlare contemporaneamente a tutti i cuori e a tutti i cervelli contemporaneamente in tutto il mondo.
Proprio dalla profonda consapevolezza di questa dimensione globale e militante della musica d’ispirazione afro-americana vengono modulate le proposte di Euritmica, che certo non trascurano la parte di divertimento e di svago che la musica porta con se ma non fine a se stessa. Nell’edizione invernale di Udin&Jazz, tenutasi dal 6 all’8 dicembre 2021 al teatro Palamostre di Udine, il focus è stato centrato sulle rotte dei migranti, sia quella balcanica che ha la regione FVG come punto d’arrivo sia quelle Mediterranee che, più in generale, toccano le coste del nostro paese tutto intero.

Esprimere e sottolineare con la musica quell’esodo non è solo un dovere ma un imperativo morale inderogabile. Solo chi chiude occhi, orecchie e cuore può ritenerla una fastidiosa questione di ordine pubblico. Al contrario, quei fatti atroci che ogni giorno avvengono a pochi passi delle nostre case chiedono la nostra attenzione, invocano il nostro aiuto in qualunque modo. La musica, come potentissimo mezzo di comunicazione, deve servire da megafono per denunciare ogni insipienza e ogni indifferenza.
La seconda edizione di Udin&Jazz Winter segue in realtà di pochi mesi la prima, che fu spostata in avanti fino alla primavera per i ben noti problemi con l’epidemia. Tre intense giornate di grande musica hanno confermato sia il gradimento del pubblico per l’estemporanea collocazione della rassegna, sia la grande versatilità degli organizzatori in grado di costruire cartelloni sempre interessanti e perfino insoliti, in tempi che definire complicati è un eufemismo, potendo contare su una lunga teoria di collaborazioni e contatti con i musicisti più importanti della scena nazionale e oltre.
Particolare attenzione come sempre è stata rivolta verso le produzioni regionali che sanno distinguersi sempre per la qualità altissima delle proposte validate anche dall’interesse delle più blasonate riviste di settore e dei mezzi d’informazione. Il jazz friulano conferma da almeno 50 anni la sua presenza significativa nel nostro paese e Udin&Jazz ne è sempre stato un ottimo testimone coniugando tradizione e innovazione senza mai smentirsi, anzi rilanciando continuamente il proprio impegno in questo senso con un’attenzione alle produzioni artistiche locali di grande respiro d’orizzonte.
“Jazz Noir – Indagine sulla misteriosa morte del leggendario Chet” (My Foolish Heart) di Rolf van Ejik (2018): la rassegna si è aperta con un omaggio a Chet Baker attraverso la proiezione di un film biografico che però non rende giustizia allo sfortunato trombettista. Il lungometraggio gioca sui soliti stereotipi dell’artista maledetto per raccontare una storia del tutto inconsistente a sfondo vagamente psicoanalitico. È vero che il trombettista alla fine della propria vita era ridotto davvero male, il ritratto che se ne ha da parte di conoscenti e amici è davvero squallido; è vero anche che dal punto di vista strettamente tecnico e creativo la consistenza è sempre stata poca se lo paragoniamo ai suoi coetanei (ad es. Miles Davis) ma da qui a farne un mascherone senza arte né parte ce ne corre. Il film di Rolf van Ejik, al suo esordio, costruito come un noir investigativo, si rivela davvero fiacco soprattutto quando cerca di parlare di musica. Non una sola nota della colonna sonora è di Chet in una reinterpretazione che con il suo stile ha davvero poco a che fare.
Tony Momrelle “Best is yet to come”: quello del cantante degli Incognito è stato di certo uno dei concerti più sorprendenti dell’intera rassegna. Lo spettatore medio si aspettava acid-jazz, suadente, ballabile e facile-facile, si è invece trovato davanti ad un raffinatissimo soul contemporaneo cantato con voce morbida e setosa piena di romanticismo, intima e dolce. In alcuni momenti il pensiero andava alle composizioni più riuscite di Stevie Wonder ed è tutto dire. Momrelle tiene insieme la tradizione del soul più classico con le visioni di un futuro che la sua musica è capace di farci immaginare, gioioso e felice. Non è poco di questi tempi.
Angelo Comisso Trio “Numen”: Angelo Comisso, pianoforte; Alessandro Turchet, Contrabbasso; Luca Colussi, Batteria. A proposito di “risorse locali” o di “jazz a chilometri zero” questo trio tutto friulano è una splendida realtà di livello internazionale. Sono davvero talenti brillanti e preclari con una lunga serie di collaborazioni attive in varie formazioni. Il progetto musicale presentato, frutto della creatività dell’ottimo pianista Comisso, ha visto la luce del laser in un’incisione a cura di Artesuono di Stefano Amerio, altra gloria locale conosciuta ovunque per la sua infinita qualità. Il termine “Numen” per gli antichi significava la potenza e la presenza della manifestazione divina, la sua epifania nel mondo fisico; è proprio questa presenza, che in modo del tutto laico, s’avverte durante l’esibizione del Trio. È la musica che si manifesta nel virtuosismo misurato e intimo degli interpreti e nel loro suono per immagini, quasi cinematografiche, che evocano paesaggi e strutture aeree nell’aria calda di un pomeriggio assolato.

Art Trio: Andrea Centazzo, Percussioni; Roberto Ottaviano, sax soprano; Franco Feruglio, Contrabbasso. Questa formazione rappresenta l’antica sorgente del nuovo jazz regionale, anzi udinese, in un certo senso sono quelli che hanno permesso al trio di Comisso di cui parlavamo più sopra di esistere. Il suo leader è, infatti, uno dei decani della musica sperimentale italiana tra i più innovatori, creativi e ancora attivi. Centazzo, che ormai è cittadino di Los Angeles, non dimentica le sue origini friulane. In modo molto ironico, presentandosi, ha voluto ricordare i molti concerti tenuti sul medesimo palcoscenico del Palamostre dal 1972, dimostrando di essere non solo memoria viva ma un musicista in grado di attraversare le epoche e gli stili in un continuo rinnovamento e progettualità. Non sono stati da meno i suoi compagni di viaggio, vecchi amici che lo accompagnano da quasi cinquant’anni. Nessuna nostalgia nel ricordare l’amico Steve Lacy.
Nicoletta Taricani “In un mare di voci” con Fabrizio Gatti. Un progetto davvero ambizioso, dallo slancio sociale e ideologico encomiabile per la sua esortazione alla fratellanza e alla riflessione sui temi della solidarietà e sulla tragedia dei migranti. Purtroppo il risultato non è stato calibrato allo sforzo e all’eticità del progetto. Quello che è mancato, soprattutto, è un senso registico del coordinamento drammaturgico tra la parte recitata e letta dallo stesso Gatti e la parte musicale che prevedeva un doppio quartetto jazz e d’archi, alcune vocalist e un’ulteriore lettrice. L’effetto finale è stato caotico e tutto è sembrato sovradimensionato, sopra le righe, ridondante, in una parola, eccessivo.

Andrea Motis Trio: Andrea Motis, Tromba, sax soprano, voce; Josep Traver Llado, chitarra; Giuseppe Campisi,  Contrabbasso. Una voce d’angelo con un’eleganza innata che ricorda la migliore Audrey Hepburn di “Colazione da Tiffany”, Andrea Motis è un miracolo, un’apparizione da lasciare senza parole. Il suo repertorio spazia dai brani originali, agli standard più classici, un po’ di  saudade brasileira, fino al pop catalano contemporaneo e tanta anima latina. Tutto filtrato dalla  grazia straordinaria di un canto sussurrato da incantatrice di serpenti anche quando soffia dentro la sua tromba o nel sax sopranino.

Muudpodcast@ud&jazz winter. Novità di questa seconda edizione invernale della rassegna gli incontri a tarda sera, dopo gli spettacoli, nella “cripta” del Teatro Palamostre di Udine. Esattamente sotto il palcoscenico principale, intitolato a “Pier Paolo Pasolini” è stata ricavata una piccola ma accogliente sala sotterranea che, giustamente, è stata dedicata a Carmelo Bene suprema “macchina attoriale”. Il format è stato quello attualissimo del podcast di un piccolo spettacolo dal vivo tra talk show con gli artisti che si erano appena esibiti, tante chiacchiere e piccole, interessanti, preziose jam session con il meglio dei musicisti regionali. Il tutto, naturalmente, in diretta live sui principali social e piattaforme on line, dove le serate sono ancora disponibili a futura memoria.
Tanta è stata la musica che si è potuta ascoltare in Friuli Venezia Giulia in questo “beato anno del castigo” epidemico, ma siamo sicuri che “tutto il meglio deve ancora venire” come ha cantato Momrelle.

Flaviano Bosco

My Favourite Things… le cose che preferisco: Jazz in Friuli Venezia Giulia 2021

My Favourite Things… le cose che preferisco: Jazz in Friuli Venezia Giulia 2021, part 1 – di Flaviano Bosco

In barba alle più catastrofiche previsioni che volevano il mondo dello spettacolo in ginocchio per le restrizioni dovute all’epidemia, le proposte musicali in Friuli Venezia Giulia negli ultimi 12 mesi sono andate moltiplicandosi a dismisura. Per quanto riguarda soprattutto il jazz non si era mai visto un tale fermento, i circuiti tradizionali di sale da concerti e locali si possono considerare paradossalmente saturi tanta è l’offerta. La risposta del pubblico, tenuto conto del momento, è sempre stata assolutamente straordinaria dimostrando tutta un’autentica passione per un genere musicale generalmente considerato “difficile”.
Il successo delle varie rassegne che prenderemo in considerazione è dovuto anche alla tenacia di associazioni e di organizzatori che da decenni operano sul territorio e che hanno “educato” e cresciuto un proprio pubblico con proposte sempre di alto livello, regalando la possibilità anche a chi risiede alla “periferia dell’impero” ma in diretta connessione con le realtà centroeuropee, di gustare le star internazionali e la musica più raffinata sulla scena mondiale.
Basta mettere insieme i vari cartelloni che si susseguono ininterrottamente durante l’anno in regione per capire quanto sia apprezzata la musica dal vivo. Certo non è possibile contare su centinaia di migliaia di potenziali spettatori come succede nelle metropoli, ma gli appassionati friulani, giuliani e gli amici d’oltre confine, austriaci e sloveni, garantiscono un seguito attento e fidelizzato.
Certo permangono delle problematiche e zone d’ombra particolarmente evidenti come quelle causate dalla cecità di alcune amministrazioni comunali che, per motivi biecamente strumentali e ideologici, cercano inutilmente in ogni modo di boicottare alcune manifestazioni; si è fatta più evidente la carenza di spazi adeguati per l’ascolto e per le esibizioni, i luoghi ci sono ma, inspiegabilmente, qualcuno preferisce tenerli chiusi o riservati ai pochi eletti; manca quel coordinamento a livello regionale tra i vari enti e associazione che potrebbe rendere omogenea e competitiva una proposta unitaria per quanto riguarda la musica e, in generale, il mondo dello spettacolo. Se esistesse una qualche forma di coordinamento le proposte e le risorse che il Friuli Venezia Giulia è già in grado di mettere in campo anche dal punto dell’attrattiva turistica non avrebbero uguali e nemmeno rivali almeno a livello nazionale. Un’amministrazione lungimirante della cultura, in questo senso, potrebbe essere un vero volano anche per l’economia locale di straordinaria forza trainante anche per gli altri settori. Qualcuno comincia ad accorgersene ma non si è ancora fatto abbastanza.
Senza fare troppe polemiche comunque è il caso di spendere qualche parola almeno sulle tre rassegne più blasonate, le prime due (Udin&Jazz e Il Volo del Jazz) ormai radicate, vincenti e per così dire storiche, che da anni si ripetono stagione dopo stagione con grande capacità di rinnovamento e di crescita; l’ultima nata (Estensioni), invece, è stata la più bella sorpresa dimostrando che con impegno, costanza e passione è sempre possibile trovare nuove suggestioni per la musica jazz nel senso più largo possibile della definizione.
Suddivideremo questa recensione in tre articoli, partendo di seguito con la rassegna Estensioni Jazz Club Diffuso 2021.

Estensioni Jazz club Diffuso 2021 è una rassegna di concerti che ha voluto riportare l’atmosfera di creatività e socialità di un jazz club, al di fuori di contesti metropolitani, andandosi a collocare in luoghi inusuali, lontani dalle solite rotte. Dagli spazi industriali di Schio passando per le architetture militari di Forte Col Badin, ai confini con l’Austria e Slovenia, per approdare nella pianura friulana che si unisce con l’Adriatico per proseguire verso il Po, alla ricerca dell’essenza del suono e della contaminazione tra linguaggi. 7 mesi di programmazione artistica, Concerti, Mostre, Workshop, 4 regioni italiane, 70 artisti”.
Così recitava la locandina della rassegna concepita dalla luciferina creatività di Luca A. d’Agostino e così è stata la lunga avventura di “Estensioni” un’esperienza musicale con pochi precedenti in regione o forse nessuno. Nuove traiettorie e una nuova concezione del fare musica e dell’ascoltarla. Naturalmente non è possibile, almeno in questa sede fare una disamina puntuale di ogni concerto o esibizione, abbiamo scelto di concentrarci su due degli artisti più significativi tra i tanti, trascurando gioco-forza le autentiche epifanie musicali di Alfio Antico, Arti & Mestieri, Patrizio Fariselli Area Open Project, Ginevra di Marco, Francesco Magnelli, Giovanni Maier, Andrea Massaria, Maistha Aphrica e tutti gli altri fino alla chiusura con il Bluegrass del “bisteccone” Joe Bastianich, non ce ne voglia nessuno ma non possiamo fare altrimenti.
Marco Colonna: artista di grandissima intensità, il sassofonista romano è stata una delle stelle più luminose di questa rassegna. Amico del Friuli ha già partecipato ad altre manifestazioni regionali. In questa occasione ha suonato al Impro festival di Schio (Vi) gemellato con “Estensioni” e dedicato a John Coltrane e poi ad Aiello del Friuli con il mago delle tastiere Giorgio Pacorig.
Per non sembrare troppo apologetici e pedissequi descrivendo le sue due ottime esibizioni della rassegna, si ritiene che valga la pena soffermarsi su un’incisione live che ne è stata il preludio e l’antefatto. Sempre durante una rassegna estiva friulana (Musica in Villa di Gabriella Cecotti) Colonna aveva dedicato alla musica di Coltrane alcune sue meditazioni per clarinetto basso e sax sopranino che oggi si possono ascoltare in: “Offering, Playing the music of John Coltrane”.
Il funerale di Trane fu alla St.Peter’s Lutheran Church. Suonarono il gruppo di Albert Ayler e quello di Ornette. Ayler fece Truth is Marching on, ma non era vero con Trane se ne andava una buona parte di verità. Tutto suonò più falso, dopo. La morte del griot ebbe conseguenze terribili. Perdemmo l’equilibrio, sbandammo, ci perdemmo nei vicoli, nelle nicchie, nell’inconseguenza. Non eravamo l’avanguardia di niente e di nessuno. Quando i cacciatori di teste si scatenarono in lungo e in largo per il Paese, noi ci affidammo a sogni d’oppio, divinità vendute al supermarket, canti di sirene che ditoglievano dalla lotta. I fortunati trovarono una vita in Europa, alcuni scelsero l’Africa, come Stokely Carmichael. C’è chi tornò da dove era venuto, di qualunque posto si trattasse. (WuMing 1, New Thing, Einaudi, pag 190)

Accostarsi alla musica di Coltrane è di per se un’esperienza spirituale. Non si tratta minimamente di un semplice ascolto musicale. È in tutto e per tutto un’ascesa, un tortuoso itinerario in una dimensione ineffabile nella quale l’ascoltatore è guidato come in una pubblica preghiera dalle note, verso un’introspezione interiore, una vera e propria meditazione che non esclude a priori il dolore e la solitudine. E’ necessaria una radicale rinuncia alla propria protervia, ragionevolezza e volontà di comprendere sempre tutto a tutti i costi. Sembra paradossale ma la musica di Coltrane non ha bisogno di essere “capita” , ma vuole solo essere accettata e metabolizzata, assimilata, fagocitata.
È materia complessa che dobbiamo imparare a rispettare e ascoltare
L’approccio di Marco Colonna è programmaticamente del tutto meditato e rispettoso, proprio come deve essere. In questo concerto non mancano di certo i momenti in cui i suoi sax esprimono un afflato mistico e spirituale ma l’interpretazione è del tutto laica e perfino materialistica, predilige l’astrazione ma non è per niente confessionale.
La vera mistica elevazione è quella che contempla l’assoluto vuoto, disanimato, minerale e sidereo. Potrebbe essere proprio questa la chiave per capire la sua interpretazione che volutamente tralascia i momenti più lirici della produzione coltraniana più nota (non ci sono brani da A Love Supreme) concentrandosi sui luoghi più desolati della riflessione del grande sassofonista.
Nessun sotto testo liturgico, nessuna giaculatoria, ma tutta immaginazione creativa ed estatica rielaborazione, in una ritualità della musica che diventa materia sottile che si sottrae ad ogni tentativo di definizione o al contrario, di astrazione. “Manifesta la sua presenza” e questo ci deve bastare.
Colonna ha dichiarato in una recente intervista riferendosi all’opera di Coltrane:
“La cosa che mi affascina da sempre, è il suo rigore, la sua continua ricerca di esprimere attraverso l’eccellenza una visione più alta della musica” (da kulturunderground.org)
Riservandosi la libertà e la personale identità nell’interpretare quei testi sacri della letteratura sassofonistica, Colonna ne rispetta profondamente l’intenzione. La grande differenza sta nel fatto che Coltrane aveva una vera e propria ossessione per il controllo di ogni singola nota attraverso la quale il suo spirito si manifestava. Colonna è, al contrario, un improvvisatore nato che sa osare mantenendosi sempre è assolutamente libero e non ha paura di perdersi e di sbagliare. Coltrane non se lo poteva permettere, lui era l’avanguardia , l’esploratore di territori incogniti e della loro vastità. Grazie a lui e agli altri pionieri dell’avant garde siamo relativamente liberi di vagare in quegli spazi e in quei luoghi del nostro cuore.
Si permetta un accostamento iperbolico ma “Offering” per associazione di idee fa venire in mente La Musicalisches Opfer, l’Offerta musicale di Johann Sebastian Bach. Il re Federico II di Prussia, grande appassionato di musica e discreto flautista egli stesso, nel lontano 1747, invitò a corte il grande compositore per onorarlo. Gli fornì un tema musicale e Bach si offrì di improvvisare delle variazioni.
È proprio questo che Marco Colonna ha offerto anche nelle sue esibizioni per Estensioni Jazz club diffuso: meravigliose variazioni e interpretazioni sulle musiche dell’imperatore del sassofono.
Quella che si è officiata nella chiesetta di Santa Maria delle Grazie di Castions che il live documenta in presa diretta su CD, è un genere di celebrazione non meno spirituale ed elevata di quella tenutasi alla chiesa luterana di San Pietro a New York in quel triste mattino del 1969.
Certo è stata meno luttuosa e ferale ma la carica emotiva è stata in ogni caso enorme. Come documentato dal video, facilmente reperibile on line e anche da qualche puntuale recensione, il concerto si è svolto in una location particolarmente raccolta, un a piccola luogo di culto con una discreta comunità che da sempre gli si stringe attorno “in fondo alla campagna” friulana.
La Glesie Viere di Castions è uno di quei luoghi che da secoli sono vocati alla spiritualità più angelica e ingenua quella dei figli di una terra contadina, “bambine bionde con quegli anellini alle orecchie, tutte spose che partoriranno uomini grossi come alberi e se cercherai di convincerli allora lo vedi che sono proprio di legno” così come dice l’avvocato di Asti in una famosa canzone, andando avanti nella metafora probabilmente quello è legno di risonanza, proprio lo stesso che amplificava la voce del violino di Paganini o della spinetta di Mozart, certo anche i friulani d’oggi, in un certo senso, possono essere definiti uomini e donne di legno ma proprio per questo sensibili alla musica.
Proprio quest’anno abbiamo salutato mestamente uno dei decani della musica friulana l’organaro Gustavo Zanin artigiano dei sogni e di meraviglie musicali che ben rappresentava questa rustica raffinatissima sensibilità. Proprio lui ha testimoniato per decenni l’antica vocazione alla spiritualità in musica degli abitanti di queste terre tra le sorgenti e il cielo.
Tra i muri della chiesetta fatti di sassi di fiume e impastati di sudore, vibrano e risuonano da centinaia di anni le preghiere, mormorazioni, giaculatorie, richieste di grazia e perfino bestemmie di quelle stesse anime che li costruirono pietra dopo pietra. E’ proprio una questione di risonanza che ha reso il concerto di Marco Colonna così intenso e straordinario. La chiesetta con il ristretto pubblico seduto composto sugli scomodi banchi di legno, ha un’acustica particolarissima del tutto liturgica che fa risaltare i toni gravi del clarinetto basso rendendoli strazianti e trasforma la voce del sax sopranino nel belato di un agnello.
Naturalmente, la registrazione per quanto accurata e tecnicamente raffinatissima non ha potuto cogliere anche quella speciale magia che solo l’esibizione dal vivo in presenza sa regalare.
In questi anni di insopportabili concerti e spettacoli in streaming, videoconferenze, meeting sulle piattaforme, didattica a distanza, smart-working abbiamo davvero capito almeno una cosa, da tutte le informazioni digitali che ci è toccato sorbirci dai nostri device: la presenza umana è insostituibile.
La parola così come la musica, costretta nei bites dei nostri devices, muore.
È proprio per questo che, forte anche di queste precedenti esperienze, la rassegna “Estensioni Jazz club diffuso” ha rifiutato lo streaming preferendo disseminarsi e disperdersi in location insolite e perfino imprevedibili ma sempre cariche di umanità autentica come quella chiesetta di sassi. L’arte e la musica in particolare non sopportano più la musealizzazione cui la pseudo-cultura della visione televisiva o digitale l’hanno costretta, hanno bisogno di ritornare a dissolversi nel paesaggio, ridiventare figura tra le figure, materia viva che diventa mondo nel proprio divenire.
In questo senso, è possibile comprendere la bizzarra ma intelligente istallazione artistica “Jazz a perdere” di Luca A. d’Agostino che ha fatto da sfondo, è il caso di dirlo, ad alcuni concerti sul Forte di Col Badin presso Chiusaforte (UD). Lungo la salita verso il forte stampate su carta biologica le suggestive immagini del fotografo se ne stavano appese agli alberi come preghiere tibetane nel vento fino a che gli agenti atmosferici e il tempo se le sono riprese riassorbendole nell’ambiente circostante. Un’idea davvero poetica dall’effetto garantito.

Autostoppisti del magico sentiero: l’ensemble, agglutinato attorno alla magia del poeta Franco Polentarutti e ai “chilometri” del chitarrista Fabrizio Citossi, ha una formazione del tutto variabile che nelle sporadiche, preziose esibizioni riesce a creare una particolarissima alchimia, così è stato nell’ambito di “Estensioni” in cui hanno riproposto alcune atmosfere dei loro due lavori discografici sui quali ci permettiamo di dilungarci un po’.
Poche chiacchiere! Le ultime due incisioni de Gli Autostoppisti del Magico Sentiero sono quanto di meglio la musica sperimentale Avant Garde abbia prodotto nell’ultimo decennio nel nostro paese, se ancora esiste una cosa che si può chiamare così.
Quello che si ascolta in quei dischi è difficilmente catalogabile, non esiste qualcosa di paragonabile. I due lavori pubblicati a breve distanza quasi l’uno di seguito all’altro rappresentano riflessioni in musica e parole sulla contemporaneità.
Il primo, “Sovrapposizione di Antropologia e Zootecnia” s’interroga sul tema del significato del viaggio nel mondo contemporaneo massificato, nel quale sembra che non ci sia più niente da scoprire, esplorare, conquistare. È vero il contrario; Gli smartphone, la geolocalizzazione e le immagini satellitari modificano e confondono le nostre percezioni, quindi noi vediamo solo cosa l’algoritmo ritiene necessario farci vedere, gran parte della realtà dalla quale siamo abitati è per noi buio fitto molto più di prima; a volte non conosciamo nemmeno il nostro quartiere e se passeggiamo per la nostra città senza la “vocina” della nostra mappa virtuale ci sentiamo perduti. Le nostre abitazioni ordinate, chiuse dalle tangenziali come barriere esterne dei nostri agglomerati sono in realtà allevamenti intensivi di zootecnia umana, tecnologici ovili che preludono ad altrettanto meccanizzati mattatoi “for your eyes only”.

Il secondo lavoro “Pasolini e la peste” è ibrido, caotico, magmatico, pulsante, sporco, blasfemo, in una parola meraviglioso e davvero stimolante. È una delle opere ispirate al poeta di Casarsa, più creative e diagonali degli ultimi anni. Davvero poche reggono il confronto, vengono in mente, in questo senso, solo la messa in scena teatrale di “Una giovinezza enormemente giovane” di Gianni Borgna per la regia di Antonio Calenda con la magistrale, spettrale interpretazione del poeta da parte di Roberto Herlitzka (2015) e anche le Graphic Novels a tema pasoliniano dell’Allegro Ragazzo Morto Davide Toffolo.
Negli ultimi anni, appropriarsi del corpo morto del poeta (His mortal remains) è diventata una prassi senza alcuna remora o criterio; ognuno di tanto in tanto, ne sbrana un pezzettino, per poi masticarselo in tutta calma in interpretazioni e male letture. Quei brandelli di carne coriacea e indigeribile finiscono poi sputati in qualche angolo quando la loro amara sostanza fecale si è rivelata disgustosa per quei palati e quegli stomaci borghesi.
Nel corso degli anni se ne sono sentite di tutti i colori: dal Pasolini ultra-cattolico integralista a quello cripto-fascista; dal maniaco sessuale, pedofilo e onanista, al santo laico con la mano sul cuore; dal bandito rapinatore con la rivoltella d’oro in pugno fino all’eretico anarco-comunista con la bandiera nera, le spighe tra i capelli e molto altro.
Per fortuna, la sua figura e le sue opere sono talmente indecifrabili, eretiche, liminali, trasversali, non allineate, eccentriche che nessuno, proprio nessuno, può davvero appropriarsene.
Il Pasolini romantico, nostalgico e radical chic ricordato da Nanni Moretti nel suo detestabile “Aprile”, si contrappone ai tanti “Mortacci” assassinati nei vari film pseudo biografici, alcuni anche piuttosto ben confezionati, dedicati al caso del “Delitto Pasolini”. Gli “Autostoppisti” fanno un passo al di la di tutto il ciarpame pseudo pasoliniano e scelgono di bestemmiare e dissacrare il poeta con lo sberleffo dell’ironia e del sarcasmo, proprio come sarebbe piaciuto a Pasolini.
Bastano questi due esempi luminosi per comprendere che “Estensioni Jazz Club Diffuso” dopo questa prima edizione saprà farsi valere nel prossimo futuro continuando ancora con le sue scelte creative e fuori dai sentieri battuti in uno splendido nomadismo musicale e culturale sempre in viaggio verso il cuore della musica.

Flaviano Bosco

Pasolini: jazz e non solo…

Pasolini 1922-2022. 100 anni ben portati, anche in campo musicale. Basti vedere le cronache degli eventi festivalieri per rendersi conto di quanto questo Autore sia tuttora “cool”. Pensiamo alla classica, agli amati archi, come il violino di Pina Kalc che fu sua maestra di musica. Il “loro” sublime Bach è stato ripreso da Mario Brunello, il cui violoncello si è accompagnato alla voce di Neri Marcorè nello spettacolo allestito per il quarantennale a Bologna nell’ambito di Vorrei essere scrittore di musica della Fondazione Musica Insieme. Così dicasi del recente omaggio “world” dei Linguamadre reso al poeta di Casarsa nell’ambito della rassegna Ethnos di San Giorgio a Cremano. Per il jazz da segnalare quantomeno le recenti performances del Roberto Gatto Perfect Trio alla Casa del Jazz, in “Accattone”, a cura della Fondazione Musica per Roma, con Valerio Mastandrea nonché il pianista Glauco Venier con Alba Nacinovich in “Suite per Pierpaolo” a Jazz Area Metropolitana.

La relazione fra Pasolini e il jazz ha il baricentro nel film documentario “Appunti per un’Orestiade Africana”, del 1970, reportage sul sopralluogo effettuato fra 1968 e 1969, propedeutico ad un film mai girato. Non si tratta propriamente di una pellicola sul jazz, tant’è che non viene citato nella quindicina di titoli del 1970 riportate da Jean-Roland Hippenmeyer in “Jazz sur Films” (Editions de la Thiele, 1971). Ciò forse anche per i ritardi dei circuiti distributivi e poi il lavoro è di “studio” preliminare, un diario di viaggio di taglio mitico-antropologico in Tanzania e Uganda nel quadro di un Poema del Terzo Mondo, sui cinque continenti con aree in via di sviluppo (Africa, India, Paesi arabi, America del Sud e del Nord), progetto peraltro destinato a rimanere incompiuto.
Sono Appunti con cambiamenti e correzioni, come nella scrittura, senza attori professionisti, con interviste a studenti africani dell’Università di Roma, quindi sagome, volti e ambienti in loco, con lo scopo di “musicare”, trasposta, l’omonima tragedia greca di Eschilo: “far cantare anziché far recitare l’Orestiade. Farla cantare per la precisione nello stile del jazz e, in altre parole, scegliere dunque dei cantanti-attori nero-americani”. Le note iniziali sono comunque del bianco Gato Barbieri, eseguite su una base modale, già sulle prime immagini. Il sax di “Gato”, qui anche nelle vesti di compositore, ha un tono dolente ma composto nel sovrastare la ritmica formata dal contrabbassista Marcello Melis e dal batterista Famoudou Don Moye mentre accompagna liberamente le voci di Archie Savage e Yvonne Murray in una sala del Folkstudio di Roma. L’averle inserite nella scena di “Cassandra” è “una scelta importantissima che conferma la ricerca pasoliniana di quel nuovo orizzonte espressivo asemantico che solo la musica poteva realizzare (Roberto Calabretto, “Pasolini e la musica”, “Cinemazero”, Pordenone, 1999). Sono anni in cui la musica afroamericana è sinonimo di rivolta, liberazione, avanguardia, pur non dismettendo il proprio background radicato nelle tradizioni culturali del canto e del suono nero. “Gato” vivrà, di lì a poco, un momento di straordinaria popolarità legata al tema del film “Ultimo Tango a Parigi”, di Bernardo Bertolucci, amico di Pasolini. La jam session in pellicola è qualcosa di più che un cameo, non è già incisa in disco come il blues di Blind Willie Johnson in “Il Vangelo secondo Matteo”, è “musica effettivamente convivente” per citare un’espressione che Raffaele Gervasio coniò in La musica nel documentario (in “La Musica nel film, Bianco e Nero” Ed., Roma, 1950). Per altro verso il film ha una valenza etnologica – si pensi alle danze wa-go-go riprese dalla m.d.p. – e storica che oggi una visione “a distanza” di decenni rende ancor più palpabile in quanto documento di un mondo ormai sommerso.

La seguente Discografia post mortem, essendo riferita al jazz, per impronta del lavoro od anche per la presenza di jazzisti quant’anche in situazioni “di frontiera” o/e multimediali, prescinde dai soundtrack che vanno dal Morricone di La musica nel cinema di Pasolini (General Music, 1983), Teorema edito da Carosello nel 1968 o lo stesso Piero Piccioni della colonna sonora di Una vita violenta (Cam Sugar / Decca, 1962). L’intento della Cronologia rimane essenzialmente quello di dimostrare come l’interesse della musica, in primis del jazz, verso il mondo pasoliniano sia rimasto costante, per non dire crescente, e diffuso, basti pensare alla venerazione nutrita da musicisti come il sassofonista Sherman Irby verso il poeta di Casarsa (oltre che per l’Inferno di Dante). O all’attenzione del flautista James Newton che ha trascritto in musica “Il Vangelo secondo Matteo” per la produzione “Passione secondo Matteo” al Torino Jazz Festival. Fra i dischi ne è stata a seguire individuata una selezione in cui il jazz, lato sensu, compare a fianco alla figura di Pasolini, sia in lavori monografici sia in spicchi di produzioni non mirate. In dettaglio:
1982, Michel Petrucciani Trio feat. Furio Di Castri (cb) e Aldo Romano (dr.), il brano è Pasolini, nel l.p. Estate, della Riviera Records, prodotto fra gli altri da Amedeo Sorrentino. La ballad, su ritmo latino, è stata scritta dallo stesso batterista. A riprova del culto francese per Pasolini si ricordano, fra le varie esecuzioni, oltre a quella pianistica di Jean-Pierre Mas col contrabbassista Cesarius Alvim in Rue de Lourmel (l.p. Owl, 1977) anche quella per grande orchestra diretta da Lionel Belmondo. Per la cronaca il cantante Claude Nougaro ne ha scritto il testo reintitolandola Visiteurs. Aldo Romano ha avuto diverse occasioni di frequentazione con Pasolini a casa di Elsa Morante, a Roma, in compagnia di Bernardo Bertolucci, al tempo in cui in Italia soleva recarsi e presenziare alla Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.
1989, Andrea Centazzo (dir.), Omaggio a Pier Paolo Pasolini. Concerto per piccola orchestra (Mitteleuropa Orchestra) con Gabriella Ravazzi (soprano), Marco Puntin (voce recitante), Index Records. Su etichetta Ictus è inciso il Secondo Concerto per Orchestra. Omaggio a Pier Paolo Pasolini.
1993, Massimo De Mattia (fl.), con Glauco Venier (pf), Poésie pour Pasolini, Splasc(h). L’album contiene fra l’altro anche omaggi ad altri registi come Bunuel, Kurosawa, Truffaut, Kubrick, Wenders, Tarkovskij.
1997, Johann Kresnik (cor.) Kurt Schwertsik (comp.), Pasolini. Gastmahl Der Liebe, VolksbÜrne Recordings. Il disco è censito su www.discogs.com come genere electronic/jazz accanto a lavori poetici (Meditazione Orale, RCA, 1995; Pasolini rilegge Pasolini, Archinto, 2005) e altri con contenuti musicali (Giovanna Marini, Le ceneri di Gramsci, Block Nota – I dischi di Angelica, 2006; Luigi Maieron, I Turcs Tal Friul, Block Nota, 2009). Segnalato infine per le “Edizioni Letterarie” RCA, Pier Paolo Pasolini, La Guinea detta dall’autore, del 1962 (due tracce per le due distinte parti di La Guinea 1962).

2005, Antonio Faraò (pf) Miroslav Vitous (cb), Daniel Humair (dr.), Takes On Pasolini, CamJazz , lavoro pregevole sulla figura pasoliniana. In scaletta, fra gli altri brani, Medea, Teorema, Stornello (Mamma Roma).
2006, Stefano Bollani (pf), 5et con Mirko Guerrini (sax) , Nico Gori (cl.) , Ferruccio Spinetti (cn), Cristiano Calcagnile (dr.) feat. Mark Feldman (v.) Paolo Fresu (tr.9, Petra Magoni (v.), I visionari, Label Bleu, 2006. Il doppio disco contiene, fra le “Visioni” il brano Cosa sono le nuvole? unitamente ad altri brani jazz e della tradizione italiana. La citazione dell’album viene fatta per la statura artistica degli artisti pur non essendo incentrato sulla figura di PPP. Cosa sono le nuvole?, musica di Modugno, testo di Pasolini, ha avuto le versioni più varie nel tempo quali quella della Piccola Orchestra Avion Travel del 1992 fino alla più recente del giovane cantautore Lorenzo Fragola (2014) vincitore di X Factor, per non parlare delle assonanze riscontrate al riguardo in una famosa pellicola Disney-Pixar (G. Cercone, Toy Story 3: quando Walt Disney cita Pasolini, libertiamo.it, 31.7.2010).
2007, Roberto Bonati (b.) Quintet, con Riccardo Luppi (sax), Alberto Tacchini (pf) Antony Moreno (dr.) e Claudio Guain (narr,), Un sospeso silenzio. Appunti a Pier Paolo Pasolini, MM Records/JazzPrint. Particolarmente sensibile al rapporto poesia-musica (e danza – arti visive) Bonati trova nella Torto il giusto contraltare vocale su cui modellare il proprio arcaico ritorno al binomio voce-citara e negli altri musicisti i corifei di uno spettacolo registrato dal vivo durante l’edizione 2005 di ParmaJazz Frontiere.
2007, Stefano Battaglia (pf.). Re : Pasolini, E.C.M., feat. Michael Gassmann (tr.), Mirco Mariottini (cl.), Aya Shimura (cello), Salvatore Maiore (cb), Roberto Dani (dr.), Dominique Pifarély (v.), Vincent Courtois (cello), Bruno Chevillon (cb), Michele Rabbia (perc.). Il doppio album, il secondo per la E.C.M., annovera 23 proprie composizioni oltre a Cosa sono le nuvole? . Per la cronaca Totò e Ninetto sono state inserite nel 2016 da “Rockìt” fra le 10 canzoni italiane dedicate a Pier Paolo Pasolini con Irata (CSI), Una storia sbagliata (De Andrè), A Pà (De Gregori), Pasolini un incontro (Tre Allegri Ragazzi Morti), L’alba dei tram (Anzovino – Giovanardi), La Giulia Bianca (Giurato), Pasolini (Hengeller), Piazza dei Cinquecento (Ianva), Lamento per la morte di Pasolini (di Giovanna Marini, della quale è da menzionare il fondamentale disco Pour Pier Paolo edito da Le Chant du Monde nel 1984).
2007, Aisha Cerami (v.), Nuccio Siano (v.) e Roberto Marino (pf), Le canzoni di Pasolini, Block Nota. L’album, che registra la partecipazione del pianista salernitano già apprezzato in Trasparenze (Dodicilune, 2010), è una valida compilation di testi pasoliniani con 15 brani musicati da diversi autori, Morricone, Hadjidakis, Modigno, Umiliani, Fusco, De Carolis, Piccioni, Endrigo, lo stesso Marino. Il trio comprende Salvatore Zambataro alla fisarmonica e Andrea Colocci al contrabbasso. Ne sono produttori Graziella Chiarcossi, cugina di Pier Paolo, e Walter Colle.
2008, Guido Mazzon, La tromba a cilindri. La musica, io e Pasolini, cd allegato al volume edito da Ibis che il compositore, cugino di Pasolini, ha presentato in forma di concerto-performance con interventi in diretta della tromba e i movimenti coreutici di Piera Principe con gesto suono e parola che si intersecano liberamente.
2008, Norma Winstone (v.), Glauco Venier (pf), Klaus Gesing (s. Cl.), Distances, ECM. Il cd contiene un tributo a Pasolini nel brano Cjant, testo di Pasolini su musica di Eric Satie, la Petite Ouverture a Danser, traduzione in inglese di Francesca Valente e Lawrence Ferlinghetti. Il pianista ha in preparazione in studio un album registrato in studio interamente dedicato a Pasolini, la Suite per Pier Paolo.

2014, Rita Marcotulli – Luciano Biondini Duo Art, La strada invisibile, Act. Il disco della label tedesca contiene 12 pezzi per piano e fisa nove dei quali originali. Una delle cover è Cosa sono le nuvole di Modugno, tratta dall’omonimo episodio di Pasolini del film Capriccio all’italiana, del 1968.
2019, Elsa Martin-Stefano Battaglia, Sfueâi, Artesuono. Il disco è un’antologia di versi di autori rappresentativi del novecento friulano, fra cui Pasolini, messi in voce dalla Martin, gravitante anche in area folk-progressiva in quanto componente della band Linguamadre (col Duo Bottasso e Davide Ambrogio) che ha esordito di recente con l’album Il Canzoniere di Pasolini.
2021, Mauro Gargano (cb), 4et con Matteo Pastorino (cl.), Giovanni Ceccarelli (pf.), Patrick Goraguer (dr.), Che cosa sono le nuvole? e Pasolini nel cd Nuages, Diggin Music. Molto singolare il Modugno di Pasolini che sposa le nuages di Django Reinhardt!
2021, Autostoppisti del Magico Sentiero, Pasolini e la Peste, New Model Label. Si tratta di un album composito nel quale al gruppo di Fabrizio Citossi con Federico Sbaiz, Martin O’Loughlin, Marco Tomasin, Franco Polentarutti si aggiungono, fra gli altri ospiti, jazzisti come Francesco Bearzatti, Massimo De Mattia, Giorgio Pacorig… Il brano-manifesto è quello di chiusura, il Blues dell’Idroscalo.
2021, Antonio Ciacca (pf) Selah Quartet, String Quartet n. 1 Pasolini, String Quartet n.2 Whitman, Twins Music. Si tratta di sette brani del pianista naturalizzato statunitense, già partner con il suo 5et di Steve Grosssman (oltre che di Farmer, Golson, Konitz, Griffin, W. Marsalis ), con i primi quattro movimenti – Allegro, Minuetto, Blues, Largo – intitolati a Pasolini. La formazione comprende Laurence Schaufele (viola), Douglas Kwoon e Sarah Kim (violino), Junkin Park (cello).

Il ventaglio del rapporto musica-Pasolini potrebbe estendersi ad altri ambiti a iniziare dalla musica contemporanea, con Sylvano Bussotti che in Memoria con voci e orchestre intona il testo di Alla bandiera rossa, dalla raccolta La religione del mio tempo (1961) in un incontro fra testo poetico e musica il cui livello linguistico-espressivo è stato approfondito da Claudia Calabrese in Pasolini e la musica. (La musica e Pasolini, Correspondances, Diastema., 2019).
Sempre in ambito musica di ricerca e sperimentazione, l’elencazione includerebbe una partitura del compositore e direttore d’orchestra Enrico Marocchini, Le azioni della vita, all’interno di Pier Paolo Pasolini poeta di opposizione (1995) nonché, a firma di Giovanni Guaccero, l’oratorio Salmo Metropolitano (v. cd “Domani Musica” con note di Valentino Sani, 1998). Al riguardo Enzo Siciliano, altra figura del microcosmo pasoliniano, sul Il Venerdì di “La Repubblica” del 30/7/1999, aveva riscontrato nel compositore influenze di Petrassi, Maderna e Coltrane; dal canto suo Girolamo De Simone, già su “Konsequenz” nel 2005 ne aveva apprezzato “alcune modalità improvvisative”.
Guardando al “vintage” d’autore si ritrova la psichedelia di Chetro & Co., band di fine anni ’60 (De Carolis, Coletta, Ripani e Gegè Munari) che inserì in Danze della sera 12 versi da L’usignolo della Chiesa Cattolica, su autorizzazione di Pasolini in persona.

Ed eccoci arrivare oggidì ad hip hop e rap. Jay Z, marito di Beyoncè, dal “compagno” PPP si lascia ispirare da “I racconti di Canterbury” e “Le 120 giornate di Sodoma”. Ai rapper Selton (Pasolini) e Paolito (Pasolini FreeStyle) andrebbe quantomeno aggiunto il gruppo censito da Filippo Motti su “Billboard” e cioè Fedez (Parli di rap), Fabri Fibra (Dagli sbagli si impara), Caparezza (Giotto Beat), J Ax (Limonare al Multisala), Bassi Maestro (Sushi Bar), ancora Fabri Fibra (Questo è il nuovo singolo), Ghemon (64 Bars). E il fatto che i ravennati Kut associno Tenco e Pasolini e i Baustelle lo ricordino in Baudelaire non fa che rafforzare l’evidenza della popolarità di questo intellettuale come una delle figure autoriali più ricorrenti oggi anche nel new sound. E’ un brulicare di idee progetti spettacoli dischi che ruota attorno allo strenuo difensore della diversità propria delle culture eccentriche opposta alla onnivora cultura del centro, quella che propugna la omologazione e, diremmo oggi, la generalizzata globalizzazione. Da questa posizione di difesa-attacco scaturiscono effetti che ancora deflagrano attorno alla figura del “poeta dei suoni” geniale e sregolato, colui che celebrò gli idiomi locali, i relitti culturali, i margini, le borgate, le periferie.
A Scampia, all’uscita della stazione metro, il volto di Angela Davis campeggia con quello di Pasolini su due murales di Jorit. Nuove banlieue recano a volte i segni rugosi del passaggio nel mondo attraversato dal suo messaggio profetico. Perché Pasolini riusciva a guardare oltre. Come talvolta capita al jazz.

Amedeo Furfaro

ANCHE IL JAZZ TIENE FAMIGLIA

Guardando, fra le recenti novità discografiche, agli album dei fratelli Tonolo (“Our Family Affair”, Caligola), di Adalberto e Andrea Ferrari, con Trovesi, (“NRG Bridges, Intertwined Roots”, Parco della Musica) e di Jasmine e Giovanni Tommaso (“As Time Goes By”, PDM) è sorta spontanea la domanda di quanto nel jazz possa incidere la relazione affettiva e l’appartenenza familiare dei musicisti.

In generale, secondo William McDougall, la mentalità di gruppo, a partire dal nucleo base della famiglia, dà qualcosa in più rispetto alla risultante della somma degli individui. La qual cosa, se riferita al mondo del jazz, trova riscontro in communities e/o organizzazioni associate (la A.A.C.M. a Chicago, la J.C.O.A. di Mantler e della Bley, la Instant Composers Pool di Breuker e soci etc.) dove aggregazione e condivisione sono elementi fondanti.
Ma il grado di coesione che trasmette il legame fraterno o filiale, l’influenza reciproca, l’empatia parentelare, la stessa frequentazione domestica in un ambiente familiare musicalmente orientato e dotato, possono forse ancor meglio dar luogo a quel qualcosa in più di cui alla menzionata tesi psicosociale.
La storia del jazz ridonda dei nomi dei Mills Brothers, The Dorsey Brothers, The Hampton Sisters, The Boswell Sisters, gruppi acclamati e chissà se “sorellanza” e “fratellanza” non abbiano aggiunto un richiamo spettacolistico o quantomeno di curiosità alla “family band”.
Da precisare, intanto, che brilla per affinità elettiva e creatività, fra gli autori, la stella perenne dei fratelli George e Ira Gershwin.
Fra le “famiglie jazz” spiccano i fratelli Joe e Marty Marsala, gli Heath (Jimmy, Percy e Albert), i Jones (Thad, Hank ed Elvin), i “Jazz Brothers” Chuck e Gap Mangione, i LaBarbera (Joe, Path e John), i McLean, i Brecker Brothers al secolo Michael e Randy, la Dinastia Marsalis (Winton, Brandford, DelFeayo, Jason…) il cui patriarca Ellis è scomparso nel 2020, per non parlare di ascendenze tipo Natalie Cole figlia di Nat, Denardo Coleman, figlio di Ornette, Joshua Redman il cui padre era Dewey, Eric Mingus (genitore, ovviamente, Charles), Neneh Cherry, figlia adottiva del trombettista Don, in area hip hop, come dire che non sempre vale il detto “qualis pater talis filius”.
L’influsso paterno del contrabbassista-compositore Bill Lee ha influenzato il regista Spike mentre, sempre a livello trasversale, la passione per il jazz di Clint Eastwood si è riverberata nel figlio, il contrabbassista Kyle. Per contro Kailand Morris, figlio ventenne di Stevie Wonder, pur essendo musicista, ha sfondato come influencer e designer nel campo della moda prevalendo in lui, evidentemente, l’imprinting di Kai Milla, la madre stilista.
Musicisti sono Philippe e Louis Petrucciani, fratelli di Michel, il cui papà, Antoine, era un chitarrista jazz, francesi come Katia Labèque sorella di Marielle anch’essa pianista di base classica. Mago della sei corde, per la cronaca, è Stochelo (dei fratelli) Rosenberg, rappresentante del jazz manouche.
Se si guarda alle coppie celebri si incrociano i dna artistici di John e Alice Coltrane, Lester Bowie e Fontella Bass (sorella di David Peaston), Paul e Carla Bley,
In Italia, alla radice dell’albero genealogico, si ritrova il sincopato canterino del Trio Lescano e, ben più avanti, il jazz moderno di maestri come Dino e Franco Piana, a seguire i Minafra (il bandleader e trombettista Pino, la moglie Margherita Porfido clavicembalista e il figlio Livio, pianista), i jazzisti siciliani dell’Amato Jazz Trio, i Deidda, gli Iodice, i Bollani (per l’esattezza Manuela sorella di Stefano padre di Frida la cui genitrice è Petra Magoni), Danilo e Oona Rea…
Il gioco potrebbe continuare a lungo, saltellando di biografia in biografia, da una famiglia più o meno “allargata” ad una diadica, magari di fatto, alla ricerca di addentellati validi a documentare come il guscio familiare possa incidere nel definire un’identità musicale, nello specifico jazzistica.
L’interazione, il sostegno, il comune linguaggio, la solidarietà, la comprensione sono importanti elementi di coagulo anche nella formazione dei singoli che si confrontano con i parenti più o meno stretti. Nel jazz comunque rimarrà il Talento, per i figli d’arte e non solo, l’ingrediente primario per un musicista che si rispetti, assieme ad abilità e preparazione. Se poi questi tiene famiglia, in senso artistico, tanto meglio!

Amedeo Furfaro

I nostri libri

Pochi giorni fa mi sono soffermato sulla necessità di scrivere in maniera chiara sì che tutti possano capire; chiarito questo concetto per me fondamentale, vi presento la nostra rubrica dedicata ai libri, sei volumi che sicuramente non “lo fanno strano”.
Buona lettura.

Serena Berneschi – “La pittrice di suoni – Vita e musica di Carmen McRae” – Pgg.362 – € 15,00

Atto d’amore verso una grande interprete: credo che questa definizione si attagli benissimo al volume in oggetto, rielaborazione della tesi di laurea in Canto jazz, conseguita dalla Berneschi nel 2018, che esamina la vita e la carriera di una delle più grandi vocalist del jazz, troppo spesso sottovalutata. L’autrice è anch’essa una musicista: cantante, compositrice, arrangiatrice, autrice di testi e attrice di musical e teatro, oltre che insegnante di musica e canto, vanta già una buona esperienza professionale. Insomma ha tutte le carte in regola per scrivere un lavoro che cattura l’attenzione del lettore, non necessariamente appassionato di jazz.
In effetti la Berneschi traccia un quadro esaustivo della personalità di Carmen McRae (Harlem, 8 aprile 1920 – Beverly Hills, 10 novembre 1994), vista non solo come musicista ma anche come donna. Di qui tutta una serie di suggestioni che inquadrano perfettamente la figura dell’artista e ci fanno capire perché sia a ben ragione considerata una delle figure fondamentali della musica jazz, capace di lasciare un’impronta indelebile nella storia della musica americana…e non solo.
Il volume è suddiviso in quattro parti: La vita – La musica – Woman Talk – La discografia, tutte molto ben curate. In particolare la biografia è dettagliata, e la vita artistica della McRae ricostruita in modo tale da far risaltare le capacità dell’artista particolarmente rilevanti nell’interpretazione dei testi, suo vero e proprio cavallo di battaglia. Nella seconda parte la Berneschi si addentra in un’analisi dello stile interpretativo della McRae che prendendo le mosse dalla grande Billie Holiday se ne distaccò per esprimersi secondo stilemi assolutamente personali. La terza sezione del libro, contiene estratti di varie interviste, cui fa seguito, nella quarta sezione una discografia, suddivisa per decenni, dagli anni Cinquanta ai Novanta. Il volume è corredato da un glossario dei termini musicali e jazzistici più ricorrenti e dei brevi cenni sulla storia del jazz. Ecco francamente di questi “brevi cenni” non si sentiva assolutamente la necessità dato che sono troppo brevi per risultare interessanti a chi nulla sa di jazz, e di converso assolutamente inutili per chi questa musica segue e apprezza.

Flavio Caprera – “Franco D’Andrea un ritratto” – EDT – Pgg. 209 – € 20,00

Franco D’Andrea si è oramai ritagliato un posto tutto suo nella storia del jazz, non solo italiano. Artista poliedrico, sempre alla ricerca di qualcosa che potesse meglio esprimere il proprio io, D’Andrea coniuga la sua straordinaria arte musicale con una personalità umana davvero straordinaria. Lo conosco oramai da tanti anni e non c’è stata una sola volta, e sottolineo una sola volta, in cui D’Andrea non abbia risposto alle mie sollecitazioni, di persona o per telefono, con la massima cortesia e disponibilità, mai dando per certezze le sue opinioni, aprendosi così ad un confronto serrato ma costruttivo,
E’ quindi con gioia che vi segnalo questo volume scritto da Flavio Caprera per i tipi della EDT, una casa editrice che si va sempre più caratterizzando per la produzione di volumi interessanti.
Devo confessare che quando leggo una biografia così accurata, in cui le varie tappe artistiche vengono seguite con precisione come se l’autore fosse stato sempre accanto al musicista, avverto un po’ d’invidia. Questo perché sono oramai tre anni che cerco di scrivere una biografia di Gonzalo Rubalcaba e non ci riesco perché sono troppi i tasselli che mancano alla costruzione del disegno complessivo.
Ma torniamo al volume di Caprera che, come avrete capito, è in grado di seguire passo dopo passo la vita artistica di D’Andrea da quando giovane si innamora di Louis Armstrong e degli strumenti a fiato, fino al 2019 quando incide “New Things”.
Sorretto da un periodare semplice ma non banale, l’autore ci accompagna quindi alla scoperta di una carriera davvero formidabile mettendo sempre in primo piano le motivazioni artistiche che hanno portato D’Andrea a scegliere alcune strade piuttosto che altre. E lo fa ricorrendo sovente a dichiarazioni dello stesso musicista, riportate in virgolettato; il tutto corredato da valutazioni sui dischi più significativi della carriera artistica del pianista. Il volume è corredato da una preziosa prefazione di Enrico Rava, da una discografia ragionata, da un’accurata bibliografia e da un sempre utilissimo indice dei nomi.
Insomma un volume che si raccomanda alla lettura di quanti ascoltano la buona musica. Personalmente, pur avendo apprezzato in toto il libro (come si evince facilmente da quanto sin qui scritto), mi sarebbe piaciuto avere qualche notizia in più sull’uomo D’Andrea, sulle sue sensazioni, emozioni anche al di fuori della musica.

Amedeo Furfaro – “Il giro del jazz in 80 dischi (‘20)” – Pgg.121 €10,00

Dopo i primi volumi su cui ci siamo già soffermati, eccoci alla quinta tappa della serie “Il giro del jazz in 80 dischi” con sottotitolo “’20” riferita cioè al ventennio appena chiuso e delimitato dall’ assalto alle Torri Gemelle e dalla pandemia. Per il jazz italiano, il ciclo, nonostante le gravi evenienze che hanno interessato il globo nella sua interezza, è stato comunque prodigo di novità discografiche da cui l’Autore ha potuto decifrare lo stato di salute di questo genere di musica nel nostro paese. Stato di salute che tutto sommato potremmo definire buono, frutto di contaminazioni ma comunque ricco di contrasti come nell’arte e nella moda contemporanee che vivono per altro verso una fase di assenza di idee forti ed indicazioni dominanti.
Anche in questo lavoro gli album rappresentano la traccia seguita per individuare come solisti e gruppi, label e operatori del mondo jazz, abbiano continuato anche in pieno lockdown a muoversi in un ambito, in particolare quello dello spettacolo dal vivo, che è stato fra i più penalizzati dalle recenti restrizioni. Nello specifico Furfaro ha recensito nuove proposte e maestri acclarati e riconosciuti dando luogo ad una sorta di inchiesta in cinque puntate, di cui questa rappresenta l’ultima, in cui ha analizzato spesso con vis critica quello che i nostri jazzisti sono andati esprimendo in questo inizio millennio.
Ecco, quindi, comparire accanto a musicisti celebrati quali Stefano Bollani, Stefano Battaglia, Ermanno Maria Signorelli, Maurizio Brunod, Dino Piana, Maurizio Giammarco (tanto per fare qualche esempio), i nomi di artisti che devono ancora farsi conoscere come Emanuele Primavera, Bruno Aloise, Valentina Nicoletta…e molti, molti altri.
Il libro si chiude con l’indicazione di 10 dischi da incorniciare (particolarmente condivisibile la scelta di “Ciak” firmato da Renzo Ruggieri e Mauro De Federicis), l’indice dei musicisti, quello delle label e gli indici di tutti gli album citati nelle quattro precedenti “puntate” di questo “giro del jazzz”
In buona sostanza, quindi, non un repertorio o un dizionario in 5 tomi bensì una fotografia per molti versi indicativa e realistica di cosa va succedendo in Italia a livello jazzistico attraverso la messa a confronto di tutta una serie di dischi. La risultante è un panorama di indubbia vitalità ed effervescenza in cui il ricambio generazionale funziona a pieno ritmo.
Un motivo in più per rafforzare ed incoraggiare questo “giacimento artistico” di cui l’Italia può andare ben fiera.

Valerio Marchi – “John Coltrane – Un amore supremo – Musica fra terra e cielo” – Kappa Vu – Pgg.80 – € 11,00

Un volumetto snello, agile, solo ottanta pagine, ma quanta devozione, quanto amore trasudano da questo scritto verso uno dei musicisti in assoluto più, importante del secolo scorso. L’autore è personaggio ben noto specie in Friuli: storico, scrittore e giornalista, ha pubblicato una decina di libri e numerosi saggi e articoli di argomento storico, collabora con le pagine culturali del Messaggero Veneto e da qualche anno scrive testi teatrali e organizza spettacoli, salendo anche sul palco. Ultimamente ha curato due racconti sceneggiati per Radio Rai del Fvg. In effetti la storia di Coltrane, così come sintetizzata da Marchi, ha costituito l’ossatura di uno spettacolo andato in onda di recente al Teatro Pasolini di Cervignano, nel cartellone della stagione musicale del Teatro, a cura di Euritmica e in replica a Udine, al Teatro Palamostre, nel programma di Udin&Jazz Winter. La drammaturgia è firmata, quindi, da Valerio Marchi e lo spettacolo ha preso forma grazie alla volontà di Euritmica e all’apporto di jazzisti straordinari quali il sassofonista Francesco Bearzatti, il batterista Luca Colussi e il pianista Gianpaolo Rinaldi. Le voci recitanti sono state quelle dello stesso Marchi e dell’attrice Nicoletta Oscuro. Marchi e Oscuro, accompagnati dalla musica del Bearzatti-Colussi-Rinaldi Trio, hanno messo in scena una performance multimediale per narrare la complessa parabola umana ed artistica del grande sassofonista del North Carolina, che giunto alla fine dei suoi giorni, è forse riuscito a trovare quel ponte ideale che lega la musica a Dio, un cammino ancora non del tutto esplorato e su cui Coltrane ha praticamente speso tutta la sua vita di ricerca. Questo particolare aspetto della poetica di Coltrane traspare chiaramente dal libro in oggetto non solo nella parte biografica ma soprattutto nella seconda parte in cui l’autore immagina di intervistare Coltrane traendo le sue riposte da interviste e dichiarazioni effettivamente rilasciate dal sassofonista. Il libro è completato da una serie di interessanti suggerimenti bibliografici.

Massarutto, Squaz – “Mingus” – Coconino Press Fandango – Pgg.154 – € 20,00

Bella accoppiata, questa, tra il giornalista Flavio Massarutto e il disegnatore Squaz. Argomento della loro indagine la vita e la musica di Charles Mingus; contrabbassista e pianista, compositore e band leader, Charles Mingus è a ben ragione considerato uno dei più grandi musicisti della storia del jazz, un talento naturale straordinario in un uomo dal carattere ribelle che spese la sua vita in una instancabile lotta contro la società americana così fortemente caratterizzata da un razzismo ancora oggi ben presente. Mingus nacque il 22 aprile del 1922 e quindi in vista del centenario della sua nascita, Massarutto e Squaz presentano una biografia a fumetti che tratta la vita dell’artista. Come sottolinea, però, lo stesso Massarutto nella postfazione “un fumetto non è un saggio. Un fumetto è un’opera narrativa Questo libro perciò non è il racconto illustrato della vita di Mingus. Qui ci sono frammenti di una esistenza raccontati pescando da sue interviste e scritti, da testimonianze, da fatti storici. E rielaborati in forma visionaria”.
La strada scelta è infatti quella di procedere per episodi impaginati come una successione di brani che vanno a formare una suite musicale: dagli esordi nella Los Angeles degli anni Quaranta fino alla scomparsa in Messico. Si parte così con “Eclipse” registrato da Mingus al Plaza Sound Studios, NYC, il 25 maggio 1960 e si chiude con “Sophisticated Lady” con esplicito riferimento all’episodio avvenuto a Yale nell’ottobre del 1972; era stato organizzato un concerto in onore di Duke Ellington e al concerto che faceva parte del programma Mingus era sul palco quando nel bel mezzo della musica un capitano della polizia arrivò nel retropalco per avvisare che era stata annunciata la presenza di una bomba. Tutti uscirono dalla sala a parte Mingus che continuò a suonare il suo contrabbasso da solo sul palco. Quando la polizia cercò di convincerlo a uscire come tutti gli altri lui rispose: «Io resto qui! Un giorno o l’altro devo morire, e non c’è un momento migliore di questo. Il razzismo ha messo la bomba, ma i razzisti non sono abbastanza forti da uccidere questa musica. Se devo morire sono pronto, ma me ne andrò suonando “Sophisticated Lady””. E così continuò a suonare da solo per venti minuti finché non fu annunciato il cessato allarme e il concerto riprese.
Insomma un libro che farà felice non solo quanti amano il jazz e i fumetti.

Marco Restucci – “Temporale Jazz” – arcana – Pgg.213 – € 16,50

Può un filosofo scrivere adeguatamente di jazz? E, viceversa, può un musicista jazz essere contemporaneamente un filosofo? La risposta ce la fornisce proprio Marco Restucci; laureato in filosofia, pubblicista e musicista si è occupato per anni di critica musicale,  mentre in ambito filosofico si occupa soprattutto di estetica, in particolare della dimensione sonora del pensiero. In questo libro affronta uno dei temi più affascinanti e controversi che da sempre animano il dibattitto sulla musica jazz: l’improvvisazione. Cos’è l’improvvisazione, come nasce, come si sviluppa, attraverso quali passaggi? Sono questi gli interrogativi, certo non semplici, cui Restucci fornisce risposte. Esaurienti? Onestamente credo proprio di sì in quanto l’Autore non si perde dietro inutili e fumose congetture, ma traccia un preciso percorso al cui interno possiamo davvero seguire nota dopo nota, passo dopo passo come il musicista improvvisa, come si rapporta con l’ascoltatore, come riesce a smuovere in chi ascolta sentimenti profondi, vivi, spesso in netto contrasto tra loro. Come si nota è materia davvero affascinante cui credo ognuno di noi avrà cercato, almeno una volta, di rivolgere la propria attenzione alla ricerca di risposte agli interrogativi di cui sopra. Per svelare l’arcano, l’Autore insiste prevalentemente sul concetto di “tempo”, con tutte le sue sfumature, quale componente essenziale della musica e della vita: il “tempo” viene declinato in esempi concreti, calato nella quotidianità: “percezione e tempo sono, infatti, i luoghi dell’improvvisazione – dimensioni estetiche in cui si muovono contemporaneamente musicista e spettatore – ma sono anche dimensioni dell’essere, forme di ciò che siamo, modi del nostro stare al mondo”. In effetti, scrive Restucci, “L’avventura sonora nel jazz deve sempre ancora accadere. Nessun jazzista verrà mai a raccontarci qualcosa di cui conosce già l’esistenza, qualcosa che esiste prima di esistere. E noi saremo lì, in quel tempo misterioso mentre accadrà, ne saremo parte, e qualora i suoni non dovessero riuscire completamente nel compito a loro più congeniale, quello di suonare risuonando dentro di noi, qualora non dovessimo sentirci protagonisti al pari dei musicisti, vivremmo l’avventura quantomeno da testimoni reali, presenti sulla scena del tempo, durante, mentre si spalanca davanti ai nostri occhi, mentre si forma dentro i nostri timpani”. Ecco questo è solo un piccolo assaggio di ciò che si può trovare all’interno di un libro che va letto, assaporato pagina dopo pagina anche da chi non si intende particolarmente di jazz. Anzi forse questi ultimi cominceranno ad apprezzare questa musica proprio per i contenuti veicolati da Restucci.