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Ralph Alessi – “Cognitive dissonance”

Ralph Alessi – “Cognitive dissonance”

Ralph Alessi – “Cognitive dissonance” – CAM Jazz7827-2
Questo è il primo album inciso dal trombettista newyorkese per l’etichetta Cam Jazz e si tratta di un esordio di tutto rispetto. Alessi si presenta alla testa di un gruppo comprendente Jason Moran al piano (sostituito da Andy Milne in due brani), Drew Gress al basso e Nasheet Waits alla batteria, vale a dire alcuni dei migliori jazzisti che oggi illuminano la scena musicale statunitense. L’album ci consente di apprezzare appieno le tante potenzialità del musicista che in effetti si presenta, oltre che come eccellente strumentista, anche come leader di un gruppo ben articolato, come compositore ( sui quindici brani ben undici sono sue composizioni e due scritte in collaborazione con il batterista e il bassista), come arrangiatore.
L’ Alessi trombettista non è certo una sorpresa: lo conoscevamo eccellente solista e come tale ce lo restituisce l’album in oggetto; la tromba di Ralph si staglia decisa, nitida fin dal primo momento e tale si mantiene per tutta la durata dell’album denotando una tecnica assolutamente sopraffina che si sostanzia in un fraseggio articolato, mai banale e soprattutto sempre coerente.
Come compositore e organizzatore di suoni questa è di certo la prova migliore di Alessi: il quartetto appare ben strutturato, equilibrato in ogni momento, perfettamente in grado di seguire le non sempre facili evoluzioni del laeder. Il tutto ancorato ad un solido senso della costruzione che caratterizza ogni brano, ciascuno diverso dall’altro pur nell’omogeneità del progetto.

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Marcella Carboni –“Trame”

Marcella Carboni –“Trame”

Marcella Carboni –“Trame” – Blue Serge 030
E’ possibile suonare jazz con l’arpa ? La risposta istintiva sarebbe no…e sarebbe una risposta sbagliata in quanto esistono pochi ma eccezionali musicisti nel mondo che usano questo strumento per fare dell’ottimo jazz. Intendo riferirmi, tanto per qualche nome a Dorothy Ashby e per venire ai giorni d’oggi a Edmar Castañeda. Anche nel nostro Pese c’è un’ottima arpista che merita grande considerazione: Marcella Carboni. Marcella possiede una robusta preparazione di base: un diploma in arpa al conservatorio di Cagliari e tanti anni di perfezionamento nel repertorio classico passati tra Milano, Siena e Piacenza. E poi, nel 1998 conosce l’arpista newyorkese Park Stickney e si innamora del jazz che diventa il suo principale interesse, documentato, tra l’altro, dall’album registrato per la Splasc(H) con il NAT trio. Adesso firma questo album di eccellente fattura sia per il repertorio scelto sia per le grandi capacità esecutive dell’artista. Quanto al primo punto, Marcella, oltre a firmare quattro degli undici brani, ha scelto brani esclusivamente di jazzisti italiani con un’escursione nella grande tradizione cantautorale (“Mi sono innamorato di te” di Luigi Tenco). Ebbene, sola con la sua arpa elettroacustica, Marcella scava nelle pieghe di ogni singolo brano fornendone un’interpretazione tanto personale quanto convincente: straordinaria l’esecuzione di “Sueños” di Furio Di Castri la cui bellezza melodica è resa alla perfezione.
Certo , se per voi la “buona” musica abbisogna di molto ritmo e molti decibel, allora questo album non fa per voi, se invece preferite una musica che carezzi l’udito allora procuratevi “Trame” e ascoltatelo con attenzione dal primo all’ultimo minuto.

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Terje Rypdal – “Crime scene”

Terje Rypdal – “Crime scene”

Terje Rypdal – “Crime scene” – ECM 2041
Il “vecchio” Terje non si smentisce: ancora una musica dura, tirata, che nulla concede all’ascoltatore se non la consapevolezza di ammirare un musicista che oramai da qualche decennio persegue la sua strada con ammirabile coerenza. Questo lavoro, a tema, è stato commissionato al chitarrista per il Festival di Bergen del 2009 e per eseguire le non facili partiture Rypdal si affida ad un quartetto (con Mikkelborg, Storløkken and Vinaccia rispettivamente a tromba e flicorno, organo Hammond e percussioni) supportato dalla Bergen Big Band di ben diciassette elementi diretti da Olav Dale, noto musicista norvegese già attivo anch’egli da almeno una trentina d’anni. Il risultato è assolutamente straordinario: l’album inizia con un ensemble di fiati che, come hanno sottolineato in molti, richiama chiaramente “Ascension” di John Coltrane dopo di ché il lavoro si sviluppa come una sorta di colonna sonora relativa ad un “giallo” che ovviamente si può solo immaginare. Ecco, anche se sono fermamente convinto che la musica non possa essere semantica, tuttavia molti dei passaggi strutturati da Rypdal portano alla mente immagini filmiche di rara nitidezza a disegnare una storia “aperta” nel suo sviluppo e soprattutto nella conclusione. E devo dire che fa un certo effetto ascoltare un brano come “Parli con me?!” di Paolo Vinaccia in cui alla musica sono intercalati, con grande efficacia, dialoghi tratti da film quali “The Godfather” del ’72 e “Taxi Driver” del ’76: l’effetto è davvero una sorta di minaccia in musica. Ma questo è solo un esempio: è tutto l’album che, ascoltato senza soluzione di continuità, ci porta in una dimensione altra a suggellare il potere evocativo della musica…ovviamente di qualità.

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Wildbirds & Peacedrums – “The snake”

Wildbirds & Peacedrums – “The snake”

Wildbirds & Peacedrums – “The snake” – Caprice 21796
Ecco un organico davvero strano proveniente dalla Svezia: una vocalist di grandi possibilità (Mariam Wallentin) e un percussionista estremamente fantasioso (Andreas Werliin) che aveva esordito qualche anno fa con l’album “Heartcore” anch’esso pubblicato in Svezia.
E’ chiaro che da un duo di siffatto genere non può che scaturire una musica essenziale, scarna fino all’osso…si tratta solo di capire se la musica è di qualità o meno. Ad un primo ascolto devo dire che si rimane piuttosto sconcertati dal momento che le atmosfere disegnate dai due possono apparire confuse e poco delineate e il clima complessivo del disco è più vicino al rock che al jazz. Eccoci dunque al secondo ascolto e le cose cambiano. Ci si accorge che i due sono musicisti di qualità e che la loro performance è studiata e voluta : una linea melodica tracciata dalla voce e Andreas che si produce in un accompagnamento ritmico armonico servendosi di una strumentazione molto varia comprendente, tra l’altro, xilofono, kalimba e steel pan. Di qui la necessità di un repertorio ad hoc che non a caso è scritto interamente dai due ché applicare queste modalità esecutive a musica diversa risulterebbe quanto meno assai arduo. Insomma un disco cha fa discutere e di cui attendiamo con curiosità un seguito.

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