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Diego Baiardi – “Moti ondosi”

Diego Baiardi – “Moti ondosi”

Diego Baiardi – “Moti ondosi” – Incipit Records –

Il pianista e compositore Diego Baiardi con questo disco debutta come leader e lo fa alla testa di un quartetto completato da Riccardo Fioravanti al contrabbasso, Andrea Dulbecco al vibrafono e Stefano Bagnoli alla batteria. La presenza di e vibrafono danno già un'idea di quali siano le coordinate su cui si è mosso Baiardi, vale a dire una musica delicata ma non leziosa, armonicamente ricca e ben giocata sulle dinamiche e sul fitto dialogo tra tutti e quattro gli strumenti, con riferimenti che vanno al di là del jazz strettamente inteso. Al riguardo il leader ha saputo ben scegliere i propri compagni di viaggio dal momento che Fioravanti, Dulbecco e Bagnoli, da musicisti maturi e sensibili quali sono, hanno saputo aderire perfettamente al progetto.

In effetti Baiardi può vantare un'esperienza musicale assai vasta che va dal pop al cinema alla , esperienza che evidentemente ha lasciato una traccia nella poetica del musicista che in questo disco ha voluto come rendere testimonianza di tutte queste radici. E c'è riuscito perfettamente sia con le proprie composizioni (ben nove sugli undici brani presentati) sia – soprattutto – con la personale rivisitazione de “La canzone di Marinella” di De André : di questa non facile canzone, Baiardi ha fornito un'interpretazione di grande intensità emotiva nel pieno rispetto di ciò che De André voleva significare.

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Ketil Bjørnstad – “Remembrance”

Ketil Bjørnstad – “Remembrance”

Ketil Bjørnstad – “Remembrance” – ECM 2149

Bjørnstad è una delle punte di diamante del jazz norvegese e più in generale del jazz europeo. La sua poetica si basa su una profonda introspezione e quindi su una accurata ricerca di quella linea melodica che meglio possa esprimere il suo stato d'animo. Di qui una musica che di sicuro non farà felici gli amanti dello swing a tutti i costi ma che, viceversa, risulterà particolarmente gradita a quanti amano atmosfere rarefatte, eseguite a regola d'arte.

Ecco, anche quest'ultimo album risponde appieno alle caratteristiche sopra descritte: dieci brani, composti dal pianista, di una struggente bellezza che si rifanno in maniera decisa ai precedenti album, anche se con un organico particolare. In effetti Ketil si presenta in trio con il sassofonista Tore Brunborg e il batterista Jon Christensen, affidando così la linea di basso alla sua straordinaria mano sinistra. Il risultato è assolutamente sorprendente: ascoltando l'album non si avverte l'assenza di uno strumento pure così importante in un trio pianistico come il contrabbasso, mentre il fraseggio tra pianoforte e sassofono raggiunge vette di non comune lirismo. Comunque, a nostro avviso, le cose migliori sono offerte dallo straordinario interplay tra Bjørnstad e Christensen: i due suonano assieme oramai da circa quarant'anni e l'empatia che si è creata tra i due è talmente forte da impregnare ogni momento di questa ennesima perla di musica norvegese.

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Philip Catherine – “Concert in Capbreton”

Philip Catherine – “Concert in Capbreton”

Philip Catherine – “Concert in Capbreton” – Dreyfus 46050

Il chitarrista belga Philip Catherine è stato uno dei primi musicisti europei ad aver conquistato una solida reputazione anche negli States, frutto di una solida preparazione di base e soprattutto di uno stile chitarristico che gli consente di non sfigurare di fronte ai grandi specialisti dello strumento. Non a caso Roberto G. Colombo, nel suo pregevole libro “Il chitarrista di jazz – Charlie Christian e dintorni” che vi presenterò quanto prima, afferma che Catherine è tra i pochi ad aver “saputo conservare alla chitarra il sapore del jazz, anche e soprattutto in un'epoca in cui si era persa la ragion d'essere di un jazz a sei corde”. La Dreyfus ce lo ripropone in un live registrato a Capbreton il 18 agosto del 2007 alla testa di un quartetto di “tutte stelle” completato da Enrico Pieranunzi al pianoforte, Hein Van de Geyn al contrabbasso e Joe LaBarbera alla batteria. Il gruppo si misura con alcuni celebri standards quali “My funny Valentine” , “My foolish heart” e soprattutto “Speak low” la cui interpretazione si fa particolarmente gustare … ma, brani a porte, è l'atmosfera che promana dall'album ad affascinare l'ascoltatore. Si avverte, infatti, un grande amore per la musica e la gioia di trovarsi lì, in quel momento, a suonare assieme per loro stessi e per  il pubblico che li acclama.

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Food – “Quiet inlet”

Food – “Quiet inlet”

Food – “Quiet inlet” – ECM 2163

Album assolutamente atipico questo di “Food”, ovvero il duo formato dal norvegese Thomas Strønen (batteria ed elettronica) e dall'inglese Iain Ballamy (sax tenore e soprano) che collaborano oramai da molti anni, occupando un posto di assoluto rilievo nell'ambito della musica sperimentale. In effetti, costituito come quartetto nel 1998, il gruppo si è sempre basato sui due leaders, accogliendo di volta in volta altri partners a seconda dei diversi progetti. Per questa ulteriore fatica discografica, i due hanno chiamato a collaborare uno degli esponenti di punta del nu-jazz norvegese, il trombettista Nils Petter Molvær e il chitarrista austriaco Christian Fennesz. Il risultato è assolutamente sorprendente anche perché si stacca dalle precedenti registrazioni del duo. Qui siamo sempre nel campo della sperimentazione, ma la musica è lontana da qualsivoglia durezza espressiva muovendosi piuttosto su trame caratterizzate dall'alternanza tra suoni e silenzi. In un contesto del genere ogni musicista trova il modo di esprimersi al meglio e così Molvær ha modo di estrinsecare ancora una volta tutta la sua poetica che magnificamente si adatta al contesto disegnato dai due leaders mentre Fennesz aggiunge un elemento di complessità che impreziosisce viepiù il tutto.

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Alice Ricciardi – “Comes love”

Alice Ricciardi – “Comes love”

Alice Ricciardi – “Comes love” – Blue Note

Ecco al disco d'esordio questa interprete milanese che ben impressiona per almeno due ordini di motivi: la giustezza dell'impostazione vocale, la scelta del repertorio. Per quanto concerne il primo punto, la vocalist si presenta davvero con le carte in regola avendo studiato dapprima violino e pianoforte e quindi canto con maestre del calibro di Francesca Oliveri, Laura Conti, Roberta Gambarini, Tiziana Ghiglioni e Rachel Gould. Di qui una buona padronanza di fondo ed un'eccellente predisposizione ad affrontare un repertorio tutt'altro che facile. In effetti molti musicisti al disco d'esordio preferiscono puntare piuttosto su originals mentre a mio avviso misurarsi con pezzi che possono in qualche modo favorire un raffronto è sempre opportuno: per chi ascolta si ha così l'opportunità di meglio valutare le chances del musicista. Ecco, Alice passa da Gershwin (“I Was Doing Allright”, “Who Cares”), a Brubeck (“Summer Song”) per concludere con  “Le tue mani” uno splendido brano di Spotti/Montano già inciso da Mina e nel campo più prettamente jazzistico da Enrico Rava, Giorgio Gaslini, Nicola Arigliano, Enrico Pieranunzi e Ada Montellanico, Roberto Gatto. In tutte le occasioni la Ricciardi se la cava molto bene anche se ovviamente avrà modo di esprimere tutte le proprie potenzialità nelle successive – e le auguro – prossime uscite discografiche.

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