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Adventures Trio – “Adventures Trio”

Adventures Trio – “Adventures Trio”

Adventures Trio – “Adventures Trio” – abeat ab JZ 085
Ecco un'altra superlativa prova del chitarrista Alessio Menconi che si presenta con un nuovo trio completato da Aldo Romano alla batteria e Luca Mannutza all'Hammond e al Fender Rhodes. Un organico, quindi, non del tutto usuale ma perfetto per evidenziare le qualità dei tre che in effetti sono tutti musicisti di un livello superiore. Aldo Romano – non lo scopriamo certo adesso – oltre ad essere batterista di straordinaria sensibilità è anche artista completo nel senso di saper scrivere partiture che lasciano il segno; qui è il caso di “Song for Elis” che apre l'album proiettandoci immediatamente in quel clima allo stesso tempo intimista e coinvolgente che caratterizzerà l'intero CD. Luca Mannutza, alla sua prima prova discografica all'organo Hammond, dimostra di saperci fare anche con questo particolare strumento. Dal canto suo Menconi si conferma musicista in grado di dire una parola originale nel pur variegato panorama del jazz italiano firmando ben sette delle dieci composizioni presenti nell'album, composizioni, come si accennava, dall'andamento piuttosto differenziato pur nell'assoluta unitarietà e coerenza dell'album. Dal punto di vista strumentale, poi, Menconi evidenzia quello stile che gli è congeniale, caratterizzato da modernità di fraseggio, raffinatezza armonica, eleganza della struttura. Comunque al di là dei singoli è il gruppo che funziona davvero bene con un equilibrio non facile da riscontrare e con un sound frutto dell'abilità dei singoli che si integrano alla perfezione: non c'è alcuno che voglia fare la prima donna e così Menconi può esporre tranquillamente le sue lunghe linee melodiche consapevole che Mannutza e Romano lo seguiranno perfettamente dal punto di vista armonico e ritmico, ma pronti, a loro volta di sostenere l'impianto melodico del brano in un gioco delle parti quanto mai stimolante.

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Alti e Bassi – “Io ho in mente te”

Alti e Bassi – “Io ho in mente te”

Alti & Bassi – “Io ho in mente te” – Preludio PL6309
Sotto l'insegna “Alti & Bassi” si cela un quintetto vocale a cappella oramai attivo da parecchi anni con buon successo. Nel passato il loro repertorio era composto, quasi esclusivamente, da musica americana fino a quando hanno deciso di cambiare strada :
“ alla fine – dichiarano nelle note che accompagnano il CD – ci è venuta una grande nostalgia… quella di un passato in cui in Italia si esibivano artisti di altissimo valore e si ascoltava musica di qualità. Erano gli anni '60, che ci hanno regalato canzoni, testi, orchestrazioni ed interpreti di prim'ordine”. Di qui l'idea di realizzare un album dedicato alle canzoni italiane degli anni '60 e '70. Per raggiungere il loro obiettivo gli ”Alti & Bassi” hanno seguito una duplice strada: da un canto chiamare accanto a loro alcuni musicisti di grosso calibro, dall'altro “meticciare” i brani scelti con altri generi musicali; così si passa, senza forzatura alcuna, dal latinoamericano al funky, dal valzer allo swing, dal R&B al rap…al jazz. E proprio al mondo jazz il gruppo si è rivolto per quelle collaborazioni cui prima si accennava. Così abbiamo il piacere di ascoltare il trombettista Emilio Soana, Lino Patruno al banjo, Franco Cerri alla chitarra, l'indimenticato Bruno De Filippi all'armonica (splendido il suo assolo in “Il cielo in una stanza”, Nando De Luca al pianoforte e Andrea Dulbecco al vibrafono.
Il risultato complessivo è piacevole: intendiamoci, nulla di particolarmente nuovo sotto il sole, ma un tributo sincero che testimonia l'amore di artisti giovani verso una musica che, pur non appartenendo al loro mondo, è tuttavia in grado di trasmettere ancora emozioni e sentimenti.

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Guido Di Leone – “Standards on guitar”

Guido Di Leone – “Standards on guitar”

Guido Di Leone – “Standards on guitar” – fo(u)r CO 406
Il chitarrista barese Guido Di Leone torna all'attenzione del mondo jazzistico con il suo trio completato da Renato Chicco all'organo e Andy Watson alla batteria: si tratta, in buona sostanza, dello stesso tipo di organico del precedente album dell'”Adventures Trio” solo che l'approccio è completamente diverso. Qui il repertorio – come è detto chiaramente nel titolo dell'album – è composto prevalentemente da standards (ben otto con l'aggiunta del solo “Four brothers in Sofia” di Di Leone) che vengono affrontati con grande partecipazione dal trio. Così l'atmosfera è quella di un jazz swingante, con molta scrittura che lascia, però, ampio spazio alle improvvisazioni. I nove brani vengono eseguiti secondo un collaudato schema: esposizione del tema e assolo del chitarrista e dell'organista che sanno, poi, accompagnarsi vicendevolmente con perizia e musicalità, mentre il drumming offerto da Andy Watson è superlativo sia quando scandisce e sostiene il tempo sia quando si lancia in assolo (pochi) sempre misurati e pertinenti (non a caso si dimostra un maestro specie nell'uso delle spazzole). I brani sono tutti molto belli ma con una menzione particolare per “Nuages” che , per il sottoscritto, mantiene intatta tutta la sua carica emozionale a distanza di tantissimi anni… se poi ad eseguirla è un maestro della chitarra come Di Leone allora la “pelle d'oca” è assicurata.

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Paolo Di Sabatino – “Luna del Sud”

Paolo Di Sabatino – “Luna del Sud”

Paolo Di Sabatino – “Luna del Sud” – Atelier Sawano AS 106
Anche l'Abruzzo si sta rivelando terra feconda per il jazz; oltre a Max Ionata, su cui ci si sofferma più in là, ecco ancora alla ribalta il pianista di Teramo Paolo Di Sabatino, ben conosciuto agli appassionati di jazz sia per la sua oramai ventennale attività concertistica sia per le numerose incisioni tra cui ricordiamo “Dialogo a due” con Fabrizio Bosso nel '96, “Threeo” del '99 con una ritmica d'eccezione (John Patitucci basso e Horacio “El Negro” Hernandez batteria e percussioni), i due album di sapore carioca “Cartolina dal Brasile” del ‘99 a capo di una formazione più vasta in cui spiccavano i nomi del chitarrista Irio De Paula e Fabrizio Bosso e “Bebedeira de ritmo” del 2004. Questa volta, per l'etichetta Atelier Sawano, Di Sabatino si ripresenta con un sestetto completato da Glauco Di Sabatino alla batteria, Marco Siniscalco al contrabbasso, Javier Girotto al sax soprano e baritono, Andrea Sabatino tromba e flicorno e Gianni Di Benedetto sax tenore. Il repertorio alterna piacevolmente composizioni dello stesso Di Sabatino a standards quali “Night and day”, “The nearness of you”, “Giant steps”, “Wendy” e “Pick yourself up”, tutti egregiamente arrangiati dal leader (con una nota di merito particolare per “Giant steps”). Comunque, sia nelle composizioni originali sia negli standards, il sestetto evidenzia sempre la sua cifra stilistica che possiamo inserire in un ampiamente collaudato “mainstream” moderno; dal punto di vista individuale, oltre al leader che sfoggia come al solito un pianismo corredato da eccellente tecnica, tocco elegante, fraseggio originale, da segnalare Javier Girotto sempre più graffiante specie al soprano.

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Barbara Errico – “Endrigo in Jazz”

Barbara Errico – “Endrigo in Jazz”

Barbara Errico – “Endrigo in Jazz” – koinè kne010
Anche questo album si inserisce nel filone di omaggi porti dal mondo del jazz alla grande musica cantautorale italiana. Di esempi, al riguardo, ce ne sono stati tanti: ricordiamo brevemente gli album dedicati a Lucio Battisti, a Domenico Modugno, a Luigi Tenco, a Gino Paoli… Da questo punto di vista l'album della Errico viene a colmare un vuoto dal momento che Endrigo è stato uno dei più intelligenti e originali cantautori italiani la cui musica meritava una rivisitazione anche in chiave jazzistica. La vocalist affronta, però, un compito difficile dal momento che le composizioni di Endrigo, all'apparenza di facile decifrazione, sono viceversa piuttosto complesse da reinterpretare anche perché fortemente caratterizzate sia dalla statura dell'autore sia dai personaggi che con lo stesso hanno collaborato: Vinicius de Moraes, Toquinho e Luis Bacalov, tanto per fare qualche esempio, sono alcuni dei grandi nomi che hanno cantato brani quali “Io che amo solo te”, “Era d'estate”, “Adesso sì”, “La rosa bianca”, “Dimmi la verità”. Per affrontare in chiave jazzistica tale repertorio la Errico si è innanzitutto circondata di partners assai affidabili quali Luca Grizzo alle percussioni, Bruno Cesselli al piano, Ares Tavolazzi al basso, Walter Paoli alla batteria, Massimo Di Mattia al flauto, Mirko Cisilino al flicorno e Roberto Rossetti al clarinetto basso, con l'aggiunta in due brani di Salvatore Russo alla chitarra acustica. Un organico di tutto rispetto che fornisce alla cantante il necessario tappeto strumentale su cui innestare il suo vocalismo sicuramente di classe, che trova i necessari punti di riferimento in alcune grandi interpreti del passato. Insomma, eccellente la vocalist, ottimo il gruppo… eppure l'album non convince appieno. Questo perché, come si accennava prima, immergersi nelle atmosfere immaginate da Endrigo per riviverle sotto un motivo ispiratore diverso è impresa molto, molto difficile per cui la Errico appare più a suo agio soprattutto nei brani in cui rispetta maggiormente l'originale come, ad esempio, nella splendida esecuzione dell'indimenticabile “Io che amo solo te”, degna chiusura di un album con molte luci … e qualche ombra.

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Roberto Gatto – “Remembering Shelly Manne”

Roberto Gatto – “Remembering Shelly Manne”

Roberto Gatto – “Remembering Shelly Manne” – Albòre 007
Roberto Gatto si è sempre dichiarato musicista più che batterista… nel senso che la sua concezione del drumming prescinde da una visione strettamente legata allo strumento. Di qui la predilezione per vari generi musicali, di qui i vari aspetti che compongono la sua poliedrica personalità. Senonché, con questo album, Gatto ritorna al primo amore, alla batteria, e precisamente ad un vero e proprio gigante di piatti e tamburi, Shelly Manne, che di sé informò tanta parte della storia del jazz negli anni '40 e '50. Per tributare il suo sentito omaggio al batterista e band leader statunitense, Gatto ha chiamato accanto a sé artisti giovani ma di sicuro livello come Marco Tamburini alla tromba, Max Ionata al sax tenore, Luca Mannutza al piano e Giuseppe Bassi al contrabbasso. Il repertorio riproduce il repertorio del quintetto Shelly Manne ad His Men at Black Hawk (un repertorio – sottolinea Gatto – mai suonato da nessun altro musicista e di cui non esiste nessuno spartito) cui il batterista romano ha voluto aggiungere una sua , “Cand G”. Insomma una sfida temeraria, visto il punto di riferimento,…ma brillantemente superata. In effetti, nonostante la difficoltà dei brani e degli arrangiamenti (Manne era altresì eccellente compositore e arrangiatore) il quintetto si muove con estrema rilassatezza fornendo una musica fresca, attuale in cui gli assolo (tutti di straordinaria potenza e precisione) si integrano alla perfezione con le parti corali. Dal canto suo Roberto, con la sua innata concezione del tempo, dimostra ancora una volta di essere oggi tra i migliori batteristi al mondo.

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Max Ionata – “Dieci”

Max Ionata – “Dieci”

Max Ionata – “Dieci” – Via Veneto Jazz VVJ 070
E' possibile fare un ottimo disco di jazz senza ricorrere ai cosiddetti “progetti” o a dediche altisonanti? La risposta, per fortuna positiva, arriva anche da questo album “Dieci” con cui l'oramai grande sassofonista Max Ionata intende semplicemente celebrare i suoi dieci anni di carriera, una carriera che in questi ultimissimi tempi sta conoscendo una velocissima accelerazione tanto da portarlo all'attenzione di pubblico e critica internazionali (vedi gli articoli a lui dedicati da “Swing Journal” e “Jazz Life”). Per questa sua ultima fatica discografica, Max ha voluto vicini gli amici di sempre, vale a dire Luca Mannutza al piano, Nicola Muresu al contrabbasso e Nicola Angelucci alla batteria, con l'aggiunta, in qualità di ospite d'onore di Fabrizio Bosso tromba e flicorno. Il risultato è semplicemente superbo: il sassofonista abruzzese suona con grande coerenza e lucidità, con un sound quanto mai riconoscibile caratterizzato tra l'altro dalla quasi totale assenza di vibrato ( eccezion fatta per “Attila (Lease)” in cui ricorda il migliore Gato Barbieri ), mentre Bosso sfodera il solito impeccabile lirismo coniugato ad una tecnica superlativa.. il tutto completato da una sezione ritmica leggera ma in grado di ben coadiuvare i due sul piano armonico e ritmico. Insomma è tutto il gruppo che funziona bene: un jazz canonico ma senza alcunché di scontato, grande l'affiatamento tra i cinque messo a dura prova da arrangiamenti non certo facili, incisivi gli assolo che impreziosiscono ogni brano, perfetto l'equilibrio tra scrittura e improvvisazione, curata la dinamica e la coerenza del tutto. Così ogni brano (sette originals con in più “Who can I turn to” di Bicusse-Newley) rappresenta una sorta di tavolozza variopinta in cui ciascun musicista ha modo di esporre il proprio talento (si ascolti Mannutza nel brano d'apertura “Astoboard” e in “Turn around”, Fabrizio Bosso in “Coltrane meets Evans”, Muresu e Angelucci in “Lode a 4 Joe”) a comporre un più vasto quadro di grande suggestione.

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Gaetano Partipilo & Urban Society – “Upgrading”

Gaetano Partipilo & Urban Society – “Upgrading”

Gaetano Partipilo & Urban Society – “Upgrading” – JE 8014
Splendido album del sassofonista e del suo gruppo registrato dal vivo durante un concerto al Max Teatro di Arezzo il 28 febbraio del 2008. Il CD si fa ascoltare non solo per la bravura strumentale dei componenti il quintetto, ma soprattutto per la bellezza dei temi composti in massima parte dallo stesso Partipilo. In effetti se si esclude il brano di apertura “The death march” composta negli anni '60 da Gary MacFarland, “Pent-up house” di John Coltrane e il celebre “Tu vo' fa' l'americano” di “Renato Carosone” il sassofonista firma da solo o in compagnia del gruppo tutti gli altri brani. Ne scaturisce una prova di maturità compositiva davvero ragguardevole in cui Partipilo dimostra non solo di conoscere a fondo la letteratura jazzistica con particolare riferimento alla tecnica modale ma anche di sapersi aprire ad influenze “altre” che vengono recepite e rielaborate all'interno di un linguaggio fresco, originale, dove la maestria dei singoli si armonizza in un unicum di grande efficacia. Si ascolti al riguardo il brano di apertura e l'efficace rilettura del pezzo coltraniano di cui viene conservato appieno lo spirito originario. Così notevole è il dialogo spesso intessuto dal sax di Partipilo, sempre rilassato e preciso nel gioco delle dinamiche, e dall'ottimo Pasquale Bardaro che dimostra di essere uno dei migliori specialisti del vibrafono attualmente in attività nel Vecchio Continente, mentre la sezione ritmica (Mirko Signorile piano, Giorgio Vendola contrabbasso e Vincenzo Bardaro batteria) è protagonista essa stessa nel disegnare quel tappeto ritmico-armonico indispensabile alla buona riuscita del tutto.

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Scomparcini-Malaguti-Zemolin – “Corde e vocali”

Scomparcini-Malaguti-Zemolin – “Corde e vocali”

Scomparcini-Malaguti-Zemolin – “Corde e vocali” – Splasc (H) CDH1534
Prima di entrare nel merito di questo album, devo delle pubbliche scuse all'amico Lanfranco Malaguti. Quando il master era pronto, Lanfranco me lo mandò chiedendomi se mi andava di scrivere le note di copertina; dopo aver ascoltato le registrazioni, risposi di sì… salvo poi non riuscire a trovare il tempo per scriverle davvero. Pazienza; comunque, come si dice, non tutti i mali vengono per nuocere: se avessi redatto quella presentazione, non avrei potuto successivamente presentarvi l'album così come sto facendo, per un evidente anche se innocuo conflitto di interessi. Quindi, senza problema alcuno, posso invitarvi ad ascoltare “Corde e vocali” che vi riserverà non poche e gradevoli sorprese a partire dall' organico assolutamente inedito con due chitarristi – Lanfranco Malaguti e Massimo Zemolin – e una cantante, Maria Laura Scomparcini. La vocalist pordenonese trae la sua forza anche dalla profonda preparazione di base; la cantante conosce fin nei meandri le possibilità della voce umana avendo , tra l'altro, approfondito le relazioni fra studio musicale e ricerca nell'ambito del Servizio di Neuropsichiatria Infantile dove lavora come fisioterapista e avendo insegnato per diversi anni tecnica vocale, teoria e armonia jazz, improvvisazione vocale e musica d'insieme all'Istituto Musicale “A. Corelli” dell'Associazione Amici della Musica di Vittorio Veneto. Dal canto suo Massimo Zemolin , appassionato cultore della chitarra acustica, ha tra l'altro progettato e costruito con il liutaio Michele Della Giustina, la chitarra a 7 corde che dal 1994 caratterizza la sua musica e la sua immagine. Di Malaguti bastano pochissime parole: è uno dei migliori chitarristi jazz e non solo a livello italiano. Mettete assieme musicisti di tal fatto e il più delle volte il risultato è assicurato. In effetti, come si accennava, l'album è ben riuscito; la Scomparcini interpreta brani provenienti da contesti diversi (Spagna, Portogallo, Brasile) cui si affiancano pezzi più prettamente jazzistici come “God bless the child”, “Softly as in a morning sunrise”: ebbene in ogni occasione la vocalist si esprime con grazia, competenza e sincera partecipazione senza tuttavia strafare, senza alcuna voglia di stupire mantenendosi all'interno di quel registro medio che valorizza appieno la sue capacità interpretative. Dal canto loro i due chitarristi, perfettamente distinguibili sui due canali stereo, disegnano un elegante e raffinato tappeto armonico ritmico che da solo varrebbe l'acquisto dell'album.

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Spirale – “Live inside”

Spirale – “Live inside”

Spirale – “Live inside” – Lake 09/10
E' con immenso piacere che vi presento questo album. Protagonista un gruppo storico del jazz romano e italiano, “Spirale”, che negli anni '70 rappresentò una delle punte di diamante del folk-jazz unitamente a “Perigeo”, “Area”, “Folk Magic Band” e “Canzoniere del Lazio”. Nonostante l'oggettiva importanza, il gruppo incise un solo album oggi praticamente introvabile. Allora la formazione era composta da Corrado Nofri (tastiere), Gaetano Delfini (tromba, voce), Giancarlo Maurino (sax, flauto)
Peppe Caporello (basso, chitarra), Giampaolo Ascolese (batteria). Adesso Spirale torna alla ribalta sostanzialmente con la stessa formazione di allora eccezion fatta per Corrado Nofri che ci ha lasciati nel 2007 sostituito da Michele Ascolese. Di solito queste operazioni che nascono sotto il segno della nostalgia nascondono trappole micidiali… nel senso che raramente si raggiungono i livelli precedenti. Viceversa questa volta il gruppo si dimostra degno erede del passato: grazie ad un repertorio fatto tutto di originals, i cinque si muovono su un terreno meticciato che sembra fatto apposta per evidenziare le qualità dei singoli e del gruppo. Così la musica sfugge a qualsivoglia definizione praticando territori di confine in cui si avvertono, ben presenti, echi di jazz, di musica africana, arabeggiante, latina, popolare italiana, rock… in un caleidoscopio di colori e immagini tanto suggestivo quanto trascinante. I singoli, poi, sono tutti artisti nell'accezione più completa del termine: i due fiati, Maurino e Delfini fanno letteralmente danzare i loro strumenti perfetti sia negli assolo sia nelle parti in cui si esprimono all'unisono, la chitarra di Michele Ascolese è un gioiellino di tecnica ed interpretazione, il basso di Caporello non smette di assecondare i compagni con un sostegno ritmico – armonico di eccellenza mentre Giampaolo Ascolese si conferma batterista e percussionista di assoluto livello, sempre presente con un drumming elastico e pulsante nonché superlativo in assolo.

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Norberto Tamburrino - "Thanks For The Riff"

Norberto Tamburrino - "Thanks For The Riff"

Norberto Tamburrino – “Thanks For The Riff” – Art Notes Records AN 104
Ancora una prova superlativa del pianista Norberto Tamburrino che attraverso undici brani evidenzia tutta la maestria di un pianismo basato su una solida preparazione di base e su una profonda conoscenza della letteratura pianistica. In nove pezzi il musicista suona in splendida solitudine mentre in due è accompagnato dal bassista Francesco Mariella già con lui in precedenti fatiche discografiche quali “Deco”, Splasc(H), “Reflection(s) on Monk”, Philology, “Revelations from the Sky”, Art Notes. Come nei precedenti album, il grosso del repertorio (8 brani) è costituito da originals di Norberto con l'aggiunta di “Estate” di Bruno Martino, “Body & soul” e “Nutty” di Thelonious Monk. Tamburrino affronta, quindi, ogni brano con lo giusto spirito: così in “Estate” e in “Body & Soul” dà prova allo stesso tempo di grande lirismo e di originalità mentre il pezzo di Monk è l'ennesima testimonianza dell'amore che Tamburrino nutre verso questo grande maestro. Ma a conferma che il pianista conosce , come si diceva, assai bene tutta la storia del piano jazz, nei due brani che assieme a “Body & Soul” chiudono l'album, vale a dire “2010 Itinerary” e “Free Impro” scopriamo un Tamburrino quasi inedito lanciarsi in improvvisazioni di chiaro sapore free, ma un free consapevole, maturo, in cui si sa perfettamente cosa si sta facendo in ogni attimo dell'esecuzione… insomma un free che ben si inserisce nella personalità di Norberto a comporre un puzzle prezioso ed unico.

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Trio di Salerno – “Luna nuova “

Trio di Salerno – “Luna nuova “

Trio di Salerno – “Luna nuova “ – itinera ITN 015
Sandro Deidda al sax tenore e soprano, Guglielmo Gugliemi al pianoforte e Aldo Vigorito al contrabbasso sono i componenti del “Trio di Salerno” cui, per l'occasione, si aggiunge il “Solis String Quartet” che conferisce al tutto una nota “cameristica” del tutto appropriata. “Luna nuova” è la seconda fatica discografica del gruppo, dopo il fortunato “Cantabile”, e si basa su un repertorio variegato composto da temi originali, due omaggi alla musica da film degli anni '70 ( “Deborah's Theme” da “C'era una volta in America” e “Metti una sera a cena” ambedue di Ennio Morricone) e da splendidi standard ben riarrangiati come “Joy Spring” di Clifford Brown, “Crystal Love” del pianista giapponese Makoto Ozone e la “Passione” di Valente-Tagliaferri. Fanno quasi storia a se “Faber”, composta da Deidda, (omaggio a Fabrizio de André) , e “Per Mario Silla”, tema dell'indimenticato pianista salernitano Angelo Cermola che i tre hanno voluto riprendere proprio per omaggiare un artista assai importante per il jazz salernitano. Tracciata la carta d'identità del CD, due parole sulla qualità della musica. Ebbene i tre evidenziano innanzitutto un interplay straordinario, frutto di tanti anni di assidua collaborazione, che consente loro di muoversi con grande disinvoltura su qualsivoglia territorio decidano di affrontare. “Noi tre abbiamo praticamente iniziato a suonare insieme da ragazzi – racconta Guglielmo Guglielmi – e di affinità ne abbiamo tante, ma abbiamo anche avuto, nel corso degli anni, esperienze diverse, che sono confluite nel nostro Trio: senso comune della melodia e, umanamente, una grande amicizia”. “L'incontro musicale in trio è nato in modo casuale – spiega Vigorito – ma ci è piaciuto subito il tipo di sound che eravamo riusciti a creare, e così ci siamo ripromessi di continuare”. Così è indubbio che partendo dalla comune radice jazzistica, i tre abbiano voluto, nell'occasione, cimentarsi con una espressione musicale più “propria” vale a dire più prossima alle radici nazionali: di qui una musica che trova nella melodia il suo punto di forza come testimoniano le splendide riletture di “Metti una sera a cena” e dello stesso “Joy Spring”, senza comunque trascurare l'aspetto armonico e ritmico curato con passione e competenza.

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