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Roberto Cherillo, Luca Aquino – “Soffice”

Roberto Cherillo, Luca Aquino – “Soffice”

Roberto Cherillo, Luca Aquino – “Soffice” – Picanto Records PIC025
Credo che tra i musicisti delle ultime generazioni Luca Aquino sia tra quelli che sono maggiormente maturati e sono riusciti, perciò, a trovare una propria cifra espressiva assolutamente originale. In effetti in qualunque contesto lo si collochi, il trombettista beneventano risponde alla grande, apportando sempre un contributo assai notevole alla riuscita dell'impresa, sia essa un concerto o una realizzazione discografica. Questo CD ne è l'ennesima conferma. Luca è stato chiamato dal pianista e vocalist Roberto Cherillo (già membro del trio Omparty) ad affiancarlo nel difficile compito di realizzare in duo un album dedicato a Chet Baker, artista che ha sicuramente influenzato moltissimi musicisti, in special modo trombettisti e vocalist. Bene, diciamo subito che, ad onta delle difficoltà, l'album soddisfa appieno anche il più esigente degli ascolti. I due si muovono con straordinaria intesa, pronti a considerare il proprio compito l'uno di supporto dell'altro. Così, ad esempio, Cherillo si è ritagliato il ruolo, tutt'altro che facile, di completare armonicamente gli splendidi assolo di Aquino rinunciando così a molti interventi solistici mentre la voce disegna delicate volute in tutto e per tutto coerenti con le atmosfere bakeriane. E a questo proposito consentitemi di esprimere tutta la mia ammirazione per questo vocalist: era davvero da molto tempo che non ascoltavo un cantante (uomo) di jazz che dicesse qualcosa di originale! Dal canto suo il trombettista esprime ancora una volta quel sound così chiaroscurato e quel fraseggio finemente elaborato, ma senza esagerazioni, senza note superflue, pienamente convinto – a ben ragione – di non dover dimostrare alcunché dal punto di vista tecnico; se a tutto ciò si aggiunge un uso sapiente dell'elettronica si capirà ancor meglio la valenza dell'artista. Il repertorio affrontato dai due consta di cinque originals su dieci e alterna brani di marca più prettamente jazzistica a riletture di brani famosi quali “From the Morning” di Nick Drake, “The Other Woman” di Nina Simone, “All apologies” di Kurt Kobain, “Enjoy the Silence” dei Depeche Mode, e “Real Life” di Joan as Police Woman tutti “trattati” in modo assai originale.

Carmelo Coglitore – "With String Trio and Museum Workshop"

Carmelo Coglitore – "With String Trio and Museum Workshop"

Carmelo Coglitore – “With String Trio and Museum Workshop” – Città del Sole
La ricerca è un po' il sale del progresso, dell'avanzamento di qualsivoglia linguaggio e quindi anche di quello musicale. Sempre che – ben inteso – la sperimentazione non appaia fine a sé stessa e perciò sterile. A questo pericolo sfugge questo bell'album del sassofonista e clarinettista siciliano Carmelo Coglitore che si presenta all'attenzione del pubblico e della critica con un quartetto del tutto inusuale completato da una violinista ,Sandra Mrozowska, e una violoncellista ,Weronika Jablonska, (ambedue polacche) e da una violista lituana Monika Andriekute. L'incontro tra questi musicisti è avvenuto – come ci racconta lo stesso Coglitore – a Reggio Calabra ed il CD costituisce, per l'appunto, il risultato dell'esperienza del seminario tenuto al Museo dello Strumento Musicale di Reggio.
Come si può intuire dall'organico, il sound del gruppo è inusuale con l'ancia che duetta magnificamente con gli strumenti ad arco che, a loro volta, disegnano una rete armonica-ritmica non disdegnando di misurarsi anche con suadenti linee melodiche. E l'empatia dei quattro si avverte chiara per tutta la durata dell'album in cui scrittura e improvvisazione si alternano con raro equilibrio ad illustrare un repertorio costituito in massima parte da originals dello stesso leader affiancati dalla preziosa “Ave Maria” di Schubert eseguita con grazie e sincera partecipazione, dallo standard “When I fall in Love” di Heyman-Young porto con rispetto ed originalità e da “Raffish” di Ralph Towner che unitamente al brano di chiusura “Conduction” è stato registrato live nel già citato Museo dello Strumento Musicale di Reggio Calabria. Proprio la bontà del repertorio costituisce, poi, un'altra carta vincente dell'album e del suo principale responsabile, Carmelo Coglitore, che oltre a dimostrare una eccellente preparazione tecnica sia al sax soprano sia al clarinetto bassa, evidenzia una facilità di scrittura che fa ben sperare per il futuro.

Lara Iacovini – “'S Wonderful”

Lara Iacovini – “'S Wonderful”

Lara Iacovini – “'S Wonderful” – abeat
Lara Iacovini è una delle vocalist più interessanti e preparate che il panorama jazzistico nostrano possa vantare. Nata a Iseo (BS), ha studiato pianoforte classico al Conservatorio S. Cecilia di conseguendo il diploma di compimento inferiore e, nel 1998, anche il Diploma di compimento inferiore di canto lirico al Conservatorio Luca Marenzio di Brescia. Ma non basta… dal momento che ha pensato bene di laurearsi in “Lettere moderne” all'Universita' La Sapienza di Roma, e al triennio sperimentale di jazz del Conservatorio “F. E. Dall'Abaco” di Verona, diretto dal Maestro Roberto Rossi. Forte di un simile bagaglio oramai da qualche anno “frequenta” assiduamente l'ambiente jazzistico lavorando con diverse formazioni tra cui con l'E.S.P. trio di Attilio Zanchi, Roberto Cipelli e Gianni Cazzola. Il primo album, “Everybody's song”, esce nel 2008 per la Splasc(H) cui fa seguito nel 2009 “In the Mood of Chet” evidentemente dedicato a Chet Baker, album che la impone definitivamente all'attenzione dell'ambiente jazzistico. Adesso Lara osa ancora di più andando a toccare due mostri sacri della musica, due veri e propri monumenti quali Stevie Wonder e George Gershwin. Ad accompagnarla in questa difficile impresa Riccardo Fioravanti (contrabbasso), Andrea Dulbecco (vibrafono) e Francesco D'Auria (percussioni), mentre quali ospiti d'onore possiamo ascoltare Alessio Menconi (chitarra), Massimo Colombo (piano, rhodes & synth), Giulio Visibelli (sax soprano, flauto) e DJ Skizo, presente per il remix dance di “I got rhythm”. L'idea, spiega la stessa Iacovini, nasce da una forte passione per due grandi artisti del ‘900, “nasce dal desiderio di immaginare un incontro tra loro, durante il quale essi si scambiano stile, idee, modi di interpretare, mantenendo però quella linea comune, che per noi è stata il trait-d'union del progetto: il gusto jazzistico… così il materiale sonoro è stato rielaborato ma in consonanza con l'idea iniziale, quella di interscambiare gli stili tra i due compositori”.” Obiettivo raggiunto? Direi di sì. I sapidi arrangiamenti di Riccardo Fioravanti danno alla cantante la possibilità di esprimersi al meglio, senza remore, senza paura di precipitare nel vuoto, sempre con perfetta padronanza del mezzo vocale. Laura si conferma così interprete dalla squisita sensibilità e grande musicalità doti, queste, accoppiate alla capacità, non sempre così presente nei cantanti in generale, di interagire prontamente e umilmente con chi sta suonando con te. Quindi la Iacovini e i compagni di viaggio appaiono sempre pronti a padroneggiare la situazione, a guidare con mano sicura la musica laddove si vuole che arrivi E il risultato si nota ascoltando con attenzione l'album: alcuni dei grandi successi di Stevie (dagli “storici” You are the sunshine of my life”, “I wish”, “ Blaster” … fino al recente “Sweetest somebody I know”) trasformati in veri e propri standard jazzistici, mentre alcuni brani di Gershwin (“ It's wonderful”, “I got rhythm”, “Summertime”) vengono confezionati un po' alla maniera di Stevie Wonder quindi con nuances pop, soul e r&b, in un continuo interscambio di sound, di situazioni, di riferimenti che dimostrano ancora una volta come la Buona musica non conosce confini.

Three Lower Colours – “First Take”

Three Lower Colours – “First Take”

Three Lower Colours – “First Take” – Caligola 2142
Three Lower Colours è un ottimo trio composto dal trombettista Marco Tamburini, dal pianista e tastierista Stefano Onorati e dal batterista Stefano Paolini. Nonostante sia attivo oramai da circa tre anni, il gruppo è entrato in sala di incisione per la prima volta solo il 22 aprile del 2010. Poco prima Ermitage, nell'ambito di una serie di Dvd intitolata “Sounds for silence” e realizzata per conto di un settimanale, commissionava a Marco Tamburini la colonna sonora del film “Sangue e arena” un capolavoro del cinema muto del ‘22 interpretato da Rodolfo Valentino. Le musiche, registrate per l'occasione, hanno talmente colpito anche Onorati e Paolini da convincerli a farne il materiale per il loro primo album; “Fisrt Take” trae il titolo dal fatto che , come spiega Tamburini, “è stato emozionante godersi questa suggestiva pellicola e sottolinearne le immagini in bianco e nero con melodie capaci di nascere una dopo l'altra, con sorprendente fluidità, e perciò registrate quasi sempre con un'unica traccia, “first take”, appunto”.
In effetti l'album sorprende per la squisita capacità evocativa della musica accompagnando l'ascoltatore in una sorta di viaggio attraverso situazioni sonore che ben evocano i sentimenti dell'amore e dell'odio. Di qui atmosfere ora fresche e suadenti, ora cupe e quasi minacciose, sempre ben rese dai tre artisti che evidenziano una non comune intelligenza musicale nel dosare timbrica, dinamica, colori grazie anche ad un sapiente uso dell'elettronica. Il tutto con un raffinato senso dell'equilibrio reso possibile dal continuo eloquio tra pianoforte e batteria lasciando così Tamburini libero di esplorare gli ampi territori dell'immaginazione.

Kenny Wheeler – “One of many”

Kenny Wheeler – “One of many”

Kenny Wheeler – “One of many” – CamJazz 7835-2
Ancora un album “prezioso” – è davvero il caso di usare questo aggettivo – di Kenny Wheeler alla guida un trio di lusso con Iohn Taylor al piano e Steve Swallow al basso elettrico. Nonostante abbia superato gli ottanta, il trombettista canadese è ancora magnificamente sulla cresta dell'onda e non è un'esagerazione affermare che ogni suo disco è una nuova perla che si aggiunge ad un già lunga e preziosa collana. Registrato nel luglio del 2006 a Ludwigsburg, l'album presenta dieci composizioni tutte firmate dal leader che dimostra così di non aver smarrito alcunché delle sue straordinarie capacità compositive. I tre si muovono lungo direttrici comuni che si possono riassumere nell'amore per la melodia pur sapendo esprimersi anche con brio, nel gusto armonico raffinato ed inusuale, nelle straordinarie capacità improvvisative che si esplicano appieno anche quando la scrittura lascia campo libero a tutti. Così il fraseggio dei tre scorre fluido ed efficace evidenziando al meglio le capacità dei singoli. John Taylor si dimostra ancora una volta pianista dal tocco particolare e dal linguaggio originale che mai usa una nota in più del necessario; Steve Swallow è da tempo immemore il miglior bassista elettrico in attività nel mondo del jazz ed ancora una volta dimostra come il suo apporto sia fondamentale sia come sostegno ritmico sia come voce melodica; dal canto suo Kenny Wheeler, pur suonando strumenti “difficili” come tromba e flicorno, non sembra minimamente risentire dell'usura del tempo: il sound è pieno e particolare come sempre, il fraseggio è complesso e coerente, sorretto da un'ancora stupefacente tecnica di base, da un lirismo e da un senso poetico che, presenti nelle sue composizioni, ritroviamo intatti nel modo di interpretarle.

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