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Un nostro illustre collega, nel solito editoriale di ogni mese, ci ha fornito una lettura dell'attuale situazione del jazz italiano francamente sorprendente. Devo confessare che all'inizio ho avuto il dubbio di non capire bene ciò avevo sotto gli occhi: ho quindi letto e riletto l'articolo in questione e alla fine ho dovuto constatare che la prima era quella buona, vale a dire il nostro amico voleva dire esattamente ciò che avevo compreso.
Ma vediamo di che si tratta. L'articolo parte dalla giusta considerazione che, nel nostro Paese, la meritocrazia non viene rispettata e che si affida la “selezione dei ruoli dirigenti, pubblici e privati, ad appartenenze politiche e lobbystiche, raccomandazioni, familismo, tangenti”. E come non concordare su un'analisi del genere a patto che non si faccia, poi, la solita distinzione tra quelli duri e puri e gli altri tutta una massa di imbroglioni.
Ma andiamo oltre; si dice, ancora giustamente, cheil jazzèinclusivo non potendo prevedere altra discriminante che la qualità della musica. Di qui la tesi secondo cui il mondo del jazz fa eccezione rispetto al quadro descritto in precedenza. Ciò perché: a) il pubblico è competente; b) nel jazz sono più numerosi che altrove i centri decisionali; c)il jazznonattribuisce molta importanza ai grandi media.
Questo tipo di ragionamento mi ha lasciato piuttosto stranito anche perché, forse per colpa di un mio siculo pessimismo, vedo le cose in modo diverso, per non dire diametralmente opposto.
A mio avviso la situazione del jazz italiano vive attualmente una situazione di quasi blocco o se volete di oligopolio. E mi spiego meglio. Oggi il panorama vede un solo artista capace di focalizzare l'attenzione dei media (come se fosse l'unico jazzista valido) e potenzialmente impegnato 365 giorni l'anno; sullo stesso livello, per quanto riguarda i concerti, un altro musicista che però non riceve eguale attenzione mediatica; questi due artisti sono in grado di mobilitare masse consistenti di denaro, forse troppo consistenti vista la crisi che attraversiamo.
Solo mezzo gradino più sotto, un altro artista che, solo volesse, potrebbe anch'egli suonare ogni sera.
Dietro questi tre, una decina di musicisti che continuano ad esibirsi con buona regolarità (spesso più all'estero che nel nostro Paese).
Per il resto una pletora di buoni se non ottimi jazzisti che tirano alla meno peggio dimenticati da organizzatori, gestori di clubs, radio e televisioni.
Per dirla ancora più chiaramente, se pochissimi musicisti consumano quasi tutta la torta di finanziamenti in qualche modo riservati al jazz, è chiaro che per gli altri restano solo le briciole. Mi si potrebbe obiettare: ma i tre cui ci si riferisce sono in assoluto i più bravi del panorama. E qui casca l'asino dal momento che credo nessuno possa fare un'affermazione del genere.
Seconda obiezione: è il mercato che decide! Tesi più che lecita purché la si porti avanti con la dovuta coerenza: non capisco perché per un comparto artistico come la musica debba decidere il mercato, e poi quando si parla di economia il mercato diventa il diavolo, il nemico numero uno… ecco un po' di coerenza in più non guasterebbe.
Ora questi discorsi sono stati da me affrontati con una pletora di musicisti e tutti pensano più o meno la stessa cosa solo che poi non se ne parla in quanto, contrariamente alla precedente affermazione, i centri decisionali sono pochi e in mano sempre alle stesse persone non particolarmente disposte a tollerare sgarbi di qualsivoglia genere.
Quanto alla competenza del pubblico, mi permetto di nutrire qualche dubbio quando vedo che i concerti (sic) di Allevi continuano a registrare il tutto esaurito.
Sacrosanta verità! Ma,quanto giustamente affermato nell'articolo si adatta,pari pari,anche al mondo della Musica da Camera! (P:S:ma perchè,nell'articolo,non fare i nomi,visto che gli addetti ai lavori li conoscono benissimo?).
Sono in buona parte d’ accordo con te anche se a me piace
essere chiaro e fare i nomi (è possibile che si può farlo per ciò che concerne
la politica mentre invece nel mondo del jazz si ha terrore di farsi dei
nemici ? ). Quindi, per cominciare ,i tre musicisti sono ,per caso,
Fresu, Bollani, Rava? Nel penultimo numero di Musica Jazz, Mauro Ottolini (uno
che fino a poco tempo fa rientrava nella folta schiera dei
musicisti sottovalutati) , intervistato per la prima volta dalla rivista
, fa un breve accenno allo Star system che, secondo lui, vige nel mondo
del jazz italiano. E’ un ‘affermazione importante che avrebbe meritato maggiore
approfondimento (ma l’ intervistatore non avrebbe dovuto stimolare
proprio questo?). Mi pare che comunque la tesi sia totalmente da condivire . Ci
sono tre , forse quattro star che monopolizzano l ‘attenzione dei media (con i
quali, peraltro sono bravissimi ed abilissimi ad intrecciare fruttuosi
rapporti), pochi altri nomi che hanno una discreta circolazione
ed una marea di musicisti che faticano a tenersi a galla. Si dirà che i media
ed il mercato non fanno altro che seguire i gusti del pubblico , ma è davvero
così quando sui quotidiani , in televisione, alla radio, sulla stampa
specializzata e non i nomi che vengono fatti sono sempre e soltanto gli
stessi? Il pubblico è davvero in grado di decidere se prima non lo si mette in
condizione di conoscere ? Forse è di questo che bisognerebbe parlare , ma
per farlo occorrerebbe che da parte di tutto il nostro mondo (appassionati,
musicisti, organizzatori,critici e giornalisti) ci fosse quella volontà
,coraggio
e buona fede che in tanti casi ,ahimè, mi pare non abbondino.Se si
trovassero i modi e gli spazi (non necessariamente fisici) si potrebbe
discutere su come sia cambiato il mondo del jazz italiano rispetto a
trent’anni fa (allora quando in tv si parlava di jazz il nome d’ obbligo
da sentire era Giorgio Gaslini, oggi invece non più di moda). Certo in
questi anni sono nate diverse scuole , il livello qualitativo medio dei
musicisti nostrani è probabilmente cresciuto, ma parimente si sono
prepotentemente affermate situazioni sulle quali abbiamo spesso dovuto
storcere il naso: iper narcisismo di pochi fortunati musicisti,
commistione di ruoli (ma se parlassimo di economia o di politica il
termine da usare sarebbe conflitto di interessi) , con musicisti che
sono anche organizzatori, ‘patron’ e direttori artistici di uno o più
festival nei cui cartelloni ovviamente essi e la loro cerchia di amici
sono onnipresenti . E che dire di quei giornalisti per i quali tutti gli
artisti ed i concerti sono ‘magici’ e ‘ straordinari’? E’ possibile
che non sia mai loro successo di vedere all’ opera un grande talento in
serata non di grazia? Ed è una malignità ritenere che se le loro spese
per assistere ai festival (aerei,hotel, ristoranti,) fossero sostenute
dai giornali e non dai festival stessi potremmo leggere forse meno
pezzi ma con cronache probabilmente più equilibrate ?
Sono in buona parte d’ accordo con te anche se a me piace
essere chiaro e fare i nomi (è possibile che si può farlo per ciò che concerne
la politica mentre invece nel mondo del jazz si ha terrore di farsi dei
nemici ? ). Quindi, per cominciare ,i tre musicisti sono ,per caso,
Fresu, Bollani, Rava? Nel penultimo numero di Musica Jazz, Mauro Ottolini (uno
che fino a poco tempo fa rientrava nella folta schiera dei
musicisti sottovalutati) , intervistato per la prima volta dalla rivista
, fa un breve accenno allo Star system che, secondo lui, vige nel mondo
del jazz italiano. E’ un ‘affermazione importante che avrebbe meritato maggiore
approfondimento (ma l’ intervistatore non avrebbe dovuto stimolare
proprio questo?). Mi pare che comunque la tesi sia totalmente da condivire . Ci
sono tre , forse quattro star che monopolizzano l ‘attenzione dei media (con i
quali, peraltro sono bravissimi ed abilissimi ad intrecciare fruttuosi
rapporti), pochi altri nomi che hanno una discreta circolazione
ed una marea di musicisti che faticano a tenersi a galla. Si dirà che i media
ed il mercato non fanno altro che seguire i gusti del pubblico , ma è davvero
così quando sui quotidiani , in televisione, alla radio, sulla stampa
specializzata e non i nomi che vengono fatti sono sempre e soltanto gli
stessi? Il pubblico è davvero in grado di decidere se prima non lo si mette in
condizione di conoscere ? Forse è di questo che bisognerebbe parlare , ma
per farlo occorrerebbe che da parte di tutto il nostro mondo (appassionati,
musicisti, organizzatori,critici e giornalisti) ci fosse quella volontà
,coraggio e buona fede che in tanti casi ,ahimè, mi pare non abbondino.Se si trovassero i modi e gli spazi (non necessariamente fisici) si potrebbe discutere su come sia cambiato il mondo del jazz italiano rispetto a trent’anni fa (allora quando in tv si parlava di jazz il nome d’ obbligo da sentire era Giorgio Gaslini, oggi invece non più di moda). Certo in questi anni sono nate diverse scuole , il livello qualitativo medio dei musicisti nostrani è probabilmente cresciuto, ma parimente si sono prepotentemente affermate situazioni sulle quali abbiamo spesso dovuto storcere il naso: iper narcisismo di pochi fortunati musicisti, commistione di ruoli (ma se parlassimo di economia o di politica il termine da usare sarebbe conflitto di interessi) , con musicisti che sono anche organizzatori, ‘patron’ e direttori artistici di uno o più festival nei cui cartelloni ovviamente essi e la loro cerchia di amici sono onnipresenti . E che dire di quei giornalisti per i quali tutti gli artisti ed i concerti sono ‘magici’ e ‘ straordinari’? E’ possibile che non sia mai loro successo di vedere all’ opera un grande talento in serata non di grazia? Ed è una malignità ritenere che se le loro spese per assistere ai festival (aerei,hotel, ristoranti,) fossero sostenute dai giornali e non dai festival stessi potremmo leggere forse meno pezzi ma con cronache probabilmente più equilibrate ?
Dieci musicisti in Italia lavorano…di quelli si scrive e si discute, da destra a sinistra, anzi solo a sinistra si scrive sempre dei soliti perchè per la destra la musica manco esiste. Spero che qualcuno mi riesca a dimostrare il contrario con prove certe.
possono piacere o no questi dieci, ma quelli sono e basta discussioni.
Certo è che non ci sarebbero solo questi in Italia, ma anche molti altri.
In questo senso nel Jazz come nella politica e nel resto, conta solo chi conta.
Grazie a chi ha il coraggio di scrivere un po’ di verità!
A me pare molto interessante il commento fatto da Lamberto Cesaroni. La realtà è che la logica del pop è entrata bruscamente (soprattutto per una evidente crisi del settore) nel mondo del jazz. Il risultato è chimerico e aberrante: abbiamo trasposto il suono dell’osteria nel patinato marchio DOC del famigerato “jazzitaliano”. Non esiste un mercato del jazz. E’ una favoletta creata ad arte da parte di quegli speculatori che lucrano in questa situazione. E’ il mercato del pop sotto mentite spoglie ad animare il cadavere (ciò-che-ne-rimane-del). Personaggi che indossano il loden e la camicia a quadrettoni, pur essendo magari dei musicisti apprezzabili, non potranno mai “comparire” in una simile logica, se non di rimpallo e per riconoscimenti tardivi e relativi alla carriera di decenni fa. Da qui la snaturazione. Da qui la morte della biodiversità in questo paese. Aggiungiamoci un’assurda normativa fiscale e di tassazione che vessa oltremodo l’artista italiano e la frittata è fatta. Questa patetica corsa al nuovo talento che transita dalla De Filippi di turno segna l’ora fatidica di questa iperbole. Da anni personalmente e come Improvvisatore Involontario, siamo interessati a queste fenomenologie. Lo abbiamo anche “artisticamente” denunciato per tempo, leggasi anni fa…E’ una situazione indecente che fa il paio con tutto il resto. Non oso immaginare cosa accadrà quando Legioni di “Studenti Jazz” fuoriusciranno urlanti e affamate dalla classi in cerca di lavoro. “Antropofagy” potrebbe essere il titolo di un nuovo standards sempre al verde. Saluti
Posso solo dire che fare classifiche riguardo all’arte, alla musica e al jazz, che forse meno di tutte le arti ha un canone estetico rigido sul quale basarsi per giudicare un’artista (regole flessibili per l’armonia, il suono, lo stile e la tecnica), è arbitrario e proprio stupido: una vera e propria perdita di tempo.
La musica funziona ed ha sempre funzionato così, ci sono artisti che emergono anche per caso, o per conoscenze, e una volta entrati nel giro acquistano sempre più attenzione mediatica, quando altri incredibilmente bravi restano in penombra o vengono riscoperti molto dopo.
Non c’entra niente la meritocrazia, il governo ladro, l’italia che va a rotoli, e non ci sono più le mezze stagioni. E’ sempre stato così, punto. Se abitavi a new orleans o a chicago sei entrato nei libri di swing, se suonavi da dio ma stavi in alaska probabilmente non ti ha cagato nessuno. Ultima cosa, se volete veramente emergere e pensate sia colpa del paese, abbiate le palle di emigrare invece che minacciarlo sempre (più fatti, meno parole). VI assicuro che il giorno che suonerete meglio di bollani avrete tutta o quasi l’attenzione di bollani, e se così non è forse dovreste umilmente tenere in conto l’ipotesi di non essere così bravi e originali come pensate.
Giampaolo sei sempre un grande,ottima la risposta che hai dato!
Condivido pienamente l’articolo,vada a farlo leggere al sig. Mario Guidi che quando uno gli si presenta per promuovere un CD o dei concerti gli dice: si si,sei bravo ma qui se non mi porti anche un musicista di nome è un problema!!!!!! In che mani siamo!! Il bello è che ha ragione,basti pensare a Roberto Gatto che il padre gli pagava le jam sessions con Chet Baker!! Ad Arezzo si direbbe: coglioni babo!
Cari amici e colleghi,anche quest’anno è arrivata puntualmente la classifica TOP JAZZ 2011 che indica i nomi di quei musicisti che si sono distinti nei vari strumenti.
Come era successo negli anni precedenti i nomi che la fanno da padrone sono sempre i soliti,vale a dire Rava,Bollani,Petrella,Bosso,Guidi,Giuliani,Pietropaoli,Evangelista,Marcotulli, ecc ecc ecc.
Ma la cosa che più di tutte mi ha colpito è che gran parte di questi musicisti appartengono o hanno registrato per le etichette “Parco della Musica”,”Egea” e “Casa del Jazz”. Insomma un bel monopolio “Made in Rome”.
Premesso il rispetto e la professionalità dei musicisti che ho citato qui sopra,giudico questa classifica molto aleatoria e poco credibile poichè si basa su dati incompleti circa le tantissime e validissime produzioni di musica jazz che ogni anno vengono proposte dalle varie etichette presenti sul territotio nazionale.
Il problema infatti sta proprio qui.Questa classifica viene effettuata con il “patrocinio” delle due principali riviste di musica jazz italiane “Musica Jazz” e “Jazz It” le quali pubblicano recensioni sui migliori lavori discografici.
Gran parte delle recensioni che leggo sul jazz italiano,sono sempre riferite ai soliti nomi che circolano ormai da anni e che anche quando queste sono di scarso livello vengono sempre enfatizzate come capolavori dai giornalisti di turno autori delle recensioni.
Se si vanno poi a vedere i CD recensiti di musicisti sconosciuti possiamo notare che moltissimi di loro inseriscono sempre un ospite di riguardo appartenente alla “top ten” senza il quale la loro produzione non verrebbe presa neanche in considerazione e allora ecco che uno come Danilo Rea (per esempio) oltre al Cd del suo trio compare in una miriade di produzioni come ospite e lo stesso fanno i suoi colleghi musicisti.
Tutto questo per dire che,a mio avviso,i giornalisti “esperti del settore” dovrebbero prestare più attenzione alle realtà musicali meno conosciute (ma pur sempre fatte da validissimi musicisti) ascoltandosi magari i CD prodotti da etichette più piccole e ricercando anche lì i talenti che sono sconosciuti al pubblico ma che nulla hanno da invidiare ai nomi più blasonati.
Sinceramente mi viene da mettere in dubbio la reale preparazione di certi giornalisti quando vedo ad esempio Stefano Bollani con 53 punti superare Enrico Pieranunzi con 51! Questo mi lascia quanto mai esterrefatto e sorpreso considerato il fatto che Pieranunzi,come del resto un Franco D’Andrea,ha fatto e continua a fare la storia del jazz italiano ed internazionale e che ora viene superato da Bollani! Non lo dite neanche per scherzo.
Come intendo contestare il sistema di voto on line dove se ne vedono di tutti i colori (tipo musicisti che si votano tre volte da soli) ormai al punto da non essere più credibile.
In Italia ci sono tantissime etichette minori che producono jazz di tutto rispetto e che non vengono minimamente prese in considerazione per il solo fatto di non far parte di certi “canali”. Cito ad esempio la Drycastle Records,piccola etichetta di Arezzo di proprietà di Maurizio Bozzi (musicista di altissimo livello) che vanta dal 2004 decine di produzioni discografiche. Questa etichetta ha avuto riconoscimenti internazionali tra i quali il Los Angeles Music Award con alcuni suoi artisti italiani ed internazionali come la cantante danese Lene Riebau che ha vinto il Nashville Music Award in Tennessee;è conosciuta perfino in Giappone ma non riesce nonostante la tanta buona volontà ad affermarsi qui in Italia. E come questa ce ne sono tante altre.
Fino a quando questi giornalisti non allargheranno le loro conoscenze a tutto questo sottobosco discografico,non si può parlare in modo serio di jazz italiano e tantomeno etichettarlo con tanto di classifiche!!.Lo stesso avviene per i concerti. Ci sono centinaia di musicisti preparatissimi e competenti che vivono nel limbo della musica rimanendo dei perfetti sconosciuti che suonano nei club a 50 euro,mentre tutte queste grandi associazioni musicali oltretutto finanziate con soldi pubblici fanno sempre lavorare i soliti noti.
Questo sistema deve finire,in questo modo non solo non si rende credibile il jazz italiano ma lo si danneggia.
Un’associazione come UMBRIA JAZZ deve cominciare a dare più spazio ai musicisti italiani meno famosi,perchè
è quello che fanno tutti gli altri festivals internazionali. Un impresario come Mario Guidi (quello di Umbria Jazz nel mondo) deve capire che non deve spingere solo quelle produzioni dove compare il “nome” altrimenti i nostri jazzisti non andranno da nessuna parte se tutti facessero come lui. E deve capire anche,il Sig. Mario Guidi,che non da il buon esempio a far bruciare tutte le tappe al figlio Giovanni (pianista che ancora tanta strada deve fare prima di affermarsi ma che in classifica supera Dado Moroni!!!) mandandolo a suonare in mezzo mondo senza che questo abbia fatto la sua doverosa gavetta di apprendistato come abbiamo fatto tutti.Facendo questo,non solo danneggia il figlio,ma fa la figura del classico italiota che dice “io ho il potere in mano,vi faccio vedere dove faccio arrivare questo qui!”. Il jazz italiano ha bisogno di ben altro per essere rilanciato!! Prendiamo esempio dal sistema a campionatura dei Grammy Awards americani. E comunque anche questa è la conferma di come in Italia non si riesce a fare niente di serio e trasparente.
La sopracitata lista non include jazzisti..i signori sopracitati non sono a mio avviso nè jazzisti nè tantomeno artisti ma solo figli di un mondo fatto di apparenza,denaro e soprattutto di pecoroni che si seguono a vicenda senza capirne il motivo.Ecco perchè Allevi registra il tutto esaurito!!!Sveglia gente è ora di spegnere la tv e di pensare col proprio cervello!!!
Vabbeh, il povero Allevi mi pare citato a sproposito: che piaccia o meno non lo definirei propriamente “jazz”, né per la musica che scrive né per tutto il resto (pubblico, contesto ecc), anche se ha suonato al Blue Note di NY. Detto questo, la prospettiva degli organizzatori in generale – che siano festival, tour, concerti, televisione – è e resta di mercato: se l’artista “tira” (porta pubblico) allora entra in cartellone, purtroppo è inutile organizzare una serata di cui non si riescono a pagare le spese. Al momento, anche al di fuori del jazz, stanno lavorando solo i soliti “superbig” : ho vissuto per 10 anni nella produzione di tour (pop) ma da un paio di anni le tournée di artisti che non siano Vasco Rossi, Ligabue o Laura Pausini quasi non esistono più. Questo è il mercato: la gente non ha più i soldi nemmeno per bersi un cocktail, Milano è stata sapientemente e drammaticamente “svuotata” di musica dal vivo e non ci sono quasi più nemmeno le serate da qualche decina di euro (nemmeno per le coverband degli U2, figuriamoci per cose con un pubblico verticale come il jazz).
La conseguenza di tutto ciò è la cristallizzazione del mercato musicale, ancora più nel jazz dove tutto sommato si inventa poco e quindi – parlando con un pubblico esperto ma “ristretto” – tutti i temi esposti fin qui divengono una conseguenza logica.
Non so quale potrebbe essere la soluzione, certamente oggi ci si deve dare da fare come matti per raccogliere qualche risultato, ancora più di qualche anno fa: essere dei grandi musicisti non vuol dire automaticamente essere dei grandi artisti, e quello che è peggio è che anche essere dei grandi artisti non vuol dire essere anche dei grandi manager. La musica per me è arte, ma per il “mercato” è anche idee, comunicazione, e altre alchimie che creano i paradossi di cui tutti soffriamo. Con il rischio di essere subissato di critiche posso dire che un aspetto spesso sottovalutato è che il pregio dell’era attuale è che i recording cost sono crollati (gli studi sono vuoti e in ogni caso con un pc e i microfoni ci si registra anche da soli), e gli spazi di visibilità sulla rete sono enormemente aumentati. Credo che l’unica chance sia produrre, creare, comunicare, altrimenti la conseguenza è l’ovvio correre delle pecore ad ascoltare “All the things you are” suonata dai soliti (è una provocazione, io adoro tutti quei big di cui sopra – cui mi pare manchino drammaticamente almeno Franco D’Andrea e un altro paio di artisti). Scusate, non sono un jazzista ma non ho resistito all’invito a commentare. Buona musica a tutti, L
Caro Gerlando, condivido ma mi piacerebbe inserire un paio di elementi di riflessione: il pubblico e i musicisti. Siamo realmente convinti che la gran parte del pubblico – oggi più di quella amata nicchia di un tempo – comprenda realmente il valore del jazz? Ed ancora, quanta responsabilità hanno certi musicisti – pure arcinoti – nel deviare e alterare il pubblico? Mi spiego: secondo gli appassionati di jazz c’è o non c’è differenza se taluno trombettista o pianista o sassofonista suona con il gruppo con il quale ha registrato, per esempio, un disco piuttiosto che con una ritmica (anche buona) trovata in un club? Per me assolutamente sì. Ma questo, al pubblico – molto più ampio di quella nicchia – questo non importa. Cosicché è il nome del solista e non più la sua musica (che ovviamente cambia) ad attirare il pubblico. Che il solista sia importante, non vi è dubbio alcuno, ma quanta curiosità di ascoltare i contenuti (e di fatto scoprire nuovi solisti) c’è da parte del pubblico? Nessuno. Sempre una risicata nicchia – che non fa mercato -. Perché il teatro dovrebbe far suonare tale musicista (ad un prezzo) se due sere prima ha fatto una jam nel locale della stessa città (ad un altro prezzo)? Chi sarà disposto ad ascoltarlo in teatro? Chi si è perso la jam, chi capisce di jazz, o chi ha ascoltato anche la jam? Questi ultimi, la maggior parte, non credo proprio. Allora, nel jazz e solo nel jazz, sarà sempre come un cane che si morde la coda….e forse è meglio che sia così. Un abbraccio
caro Gerlando, condivido in toto. E’ ora che si inizi a parlare di queste cose. La situazione é diventata insostenibile.
Carissimo Gerlando , anzitutto ti ringrazio di cuore per aver fatto quest’articolo veramente veritiero nei confronti della situazione del Jazz italiano.
Ora , i miei amicio colleghi jazzisti diranno : ” vedi… Ascolese è risentito perchè non lavora” e quindi bando subito alle ciance dicendo che io lavoro per quello che merito e mi basta così perchè ho fatto delle cose stupende , ne faccio e ne farò( spero..) .
Questo articolo è importante per la grandissima massa di giovani e non che sono iscritti nei Conservatori di musica a studiare questo benedetto , maledetto , amatissimo e difficilissimo Jazz , e che poi non risescono a trovare alcun sbocco lavorativo se non il solito gestore che chiede loro ” ma .. mi mandi un video , un film , una radiografia , una ortopanoramica.. , di quello che fate ?” in pratica vogliono già il concerto ancora pria di decidere se sono degni.
Questa è la cosa assurda e se poi ci fosse anche più visibilità per tutti noi che , come me sono più di 40 anni che fanno questa musica , beh , allora sarebbe carino.
Ti ringrazio tanto per l’articolo , un grande Buon Natale (sono le 7 del 25 Dicembnre , sono andato a fare una passeggiata e non c’è in giro nessuno!) e ci sentiamo per gli auguri del primo del 2012 , un grazie di cuore anche a tutti i tuoi collaboratori anche da parte di Marie Reine ,
Giampaolo Ascolese
Articolo azzeccatissimo. Il mondo del jazz ricalca la situazione del nostro paese dove la meritocrazia ha ben poco posto diversamente dagli altri paesi europei. La considerazione finale su Allevi è la chicca finale. Il pubblico, abbiamo il coraggio di dirlo, capisce poco e si fa tremendamente influenzare dalle mode e dai media, che spesso capiscono ancora meno.
Enrico De Carli
Ottimo articolo, complimenti !
Davvero un bell’articolo che descrive il panorama jazzistico italiano.
Purtroppo il problema molte volte dipende sia dagli organizzatori che dal pubblico, oltre che dalle prime donne che contribuiscono a limitare la scena musicale. La mia domanda infatti è: perchè oltrealpe e oltreoceano i cartelloni di festival, eventi, club etc etc vedono un mix di artisti famosi ed emergenti, esteri e non, che rende una programmazione interessante e versatile a mio avviso, mentre qui troviamo programmazioni che vedomo sempre i “baroni” italiani accoppiati solo a grossi nomi “esteri”? E gli emergenti, le nuove leve? Stranamente quest’ultime infatti hanno più possibilità all’estero, chissà perché.. mah!?!?
il problema è la scarsa ricerca e voglia di rischiare dei gestori dei club e dei vari assessori alla cultura…
per non parlare dell’egocentrismo e della competizione da bottegai dei jazzisti nostrani… e dell’incompetenza di chi insegna jazz nei conservatori e scuole di jazz
Complimenti, lucidissima descrizione del panorama jazz italiano…del resto molto simile alla nostra situazione politica…coincidenza?
Grazie Gerlando!
Caro Gerlando,
abbiamo parlato molte volte della questione…se analizziamo il problema a fondo si sollevano questioni ed elementi che vanno ben al di la della musica jazz. Allora si inizierebbe a parlare di apporccio alla cultura, di politiche di condivisione di essa, di investire il denaro nel “piccolo” festival e non nel grande evento o nella puntata Rai dal milioni di euro…nella normalità e non nella eccezionalità di fare il musicista o l’artista di professione…insomma di un sacco di cose.Si tende sempre ad ascendere il termini di potere e cosi abbiamo i soliti baroni e “il resto”, nella politica come nella cultura, come nel jazz…siamo noi, italiani.
Ciao un abbraccio, Luigi