Intervista al musicista catanese Dino Rubino

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Dino Rubino e Enrico Rava

Dino Rubino e

Dino Rubino è un astro nascente del nuovo jazz made in Italy. Trentunenne siciliano di Catania, presenta una straordinaria peculiarità, suonare altrettanto bene due strumenti assai diversi come il pianoforte e la tromba. Lo abbiamo intervistato pochissimi giorni dopo l'uscita del suo primo album da leader “Zenzi”.

Dino come spieghi il fatto che in Sicilia, nonostante le condizioni socio-economiche siano tutt'altro che buone, c'è una tale quantità di musicisti jazz particolarmente dotati?
“ Il fatto che, geograficamente, la Sicilia si ritrovi letteralmente staccata dal resto dell'Italia fa sorgere nei ragazzi una sorta di marcia in più, un misto tra desiderio di rivalsa e voglia di arrivare. Ecco: è come se avessimo più voglia di fare le cose. In effetti quanto dici è perfettamente vero; forse mai come in questo momento ci sono stati in Sicilia tanti straordinari musicisti e tutti con una gran voglia di fare”.

Ma, una volta cresciuti, c'è lo spazio per estrinsecare appieno queste potenzialità?
“ Questo è tutto un altro discorso e ti dico subito che no, lo spazio non c'è soprattutto per i giovani: e questo vale non solo per la Sicilia ma per tutto il Paese. In effetti oggi valgono solo parole del tipo “potenza contrattuale”, “immagine”, “business”, “marketing” per cui chi organizza i festival chiama soltanto i musicisti in grado di riempire gli spazi; a nessuno importa di rischiare pur di valorizzare qualche nuovo talento; a nessuno importa di scoprire qualcosa di nuovo. Si va sul sicuro: è più facile e non ci sono rischi. Comunque spero che le cose cambino e che i giovani riescano a trovare più spazi, che riescano ad incontrare qualcuno che creda in loro ed investa su di loro… altrimenti tutto andrà a rotoli.”.

Però tu ce l'hai fatta; qual è stata la chiave del tuo successo?
“ Credo che tre siano gli elementi importanti: innanzitutto la fortuna (almeno un pizzico di fortuna ci vuole sempre altrimenti non vai da nessuna parte) poi la tenacia e la pazienza. Tre ingredienti che, per fortuna, sono stati ben presenti nella mia storia musicale. La fortuna perché ho incontrato le persone giuste al momento giusto: per esempio quando avevo quindici anni ho conosciuto Enrico Rava il quale ha sempre creduto in me e mi ha offerto delle grandi possibilità musicali e non. Ho avuto la pazienza di aspettare che i tempi fossero maturi nonostante a sedici anni avessi vinto il premio Massimo Urbani e quindi avessi avuto la possibilità di suonare spesso; insomma non ho mai inseguito il successo fine a sé stesso. La tenacia perché ho sempre creduto, con passione, in ciò che facevo”.

Come mai ti sei avvicinato al jazz?
“ Mio padre era un jazzista – batterista – per cui mi sono ritrovato in una casa in cui già all'età di nove anni ascoltavo dischi dei grandi quali Louis Armstrong e Duke Ellington e mio padre mi portava ad ascoltare – lo ricordo ancora oggi – i concerti di Cedar Walton, di George Coleman e da lì, in maniera affatto naturale, è nata la mia passione per questa musica”.

Hai compiuto studi accademici o sei un autodidatta?
“ A tre anni ho iniziato a suonare il pianoforte in maniera molto istintiva; a undici anni la scelta di entrare al conservatorio ove ho studiato il pianoforte dagli undici ai quattordici anni finché un giorno, nei nostri tanti viaggi musicali, mio padre mi portò a Perugia a sentire Tom Harrell. Quando sentii Harrell capii che volevo suonare la tromba e che volevo suonare il jazz. Così dissi a mio padre che non volevo più studiare il pianoforte classico per passare alla tromba. Mio padre me ne comprò una ed io iniziai a suonarla da solo, da autodidatta; suonai così per quattro cinque anni finché un bel giorno mi venne la bella idea: perché non studiare la tromba classica? Così cercai un insegnante a Catania il quale, dopo avermi ascoltato, mi disse: sì, suoni bene, ma dobbiamo egualmente cambiare impostazione e iniziare tutto da zero. Così a diciannove anni mi ritrovai a studiare uno strumento ricominciando tutto daccapo finché, dopo circa un altro paio d'anni, non ne volli più sapere della tromba perché non riuscivo a suonare. Ripresi a studiare il pianoforte, mi sono riscritto al Conservatorio Vincenzo Bellini di Catania dove ho studiato con il maestro Mario Spinnicchia, ho preso il diploma in pianoforte e la laurea in jazz fino a quando un bel giorno, nel 2007, potei togliere l'apparecchio ai denti che avevo portato per qualche anno. A quel punto decisi di riprendere in mano la tromba ma questa volta senza alcun insegnamento, in maniera del tutto istintiva. Il fatto che oggi suoni questi due strumenti – piano e tromba – non è stato cercato, è venuto come logica conseguenza degli eventi che ti ho illustrato”.

Come riesci a mantenere un equilibrio fra questi due strumenti così diversi da ogni punto di vista?
“ Non lo so perfettamente..anche perché ti confesso che la cosa mi ha dato più di un problema, soprattutto mentale. Però mi capita spessissimo di suonare il pianoforte con l'idea della tromba e viceversa. Quindi è una specie di stimolo continuo che mi aiuta a crescere. Credo anche che sia una delle mie peculiarità”.

Ma se scavi a fondo nel tuo animo trovi una qualche preferenza per uno dei due strumenti?
“ Fino a pochi anni fa ti avrei risposto che non lo sapevo; oggi, invece sono più cosciente e ti dico che non ho alcuna preferenza per l'uno o l'altro dei due strumenti: non riuscirei ad immaginare la mia vita artistica senza il pianoforte o senza la tromba”.

Tu poco fa accennavi all'importanza che ha avuto Tom Harrell nella tua vita? Lo consideri ancora un tuo preciso punto di riferimento?
“ Con il tempo mi sono allontanato da qualsiasi riferimento stilistico; credo che per me sia stata una fortuna il voler ricercare una strada tutta mia, una mia poetica espressiva; ho sempre cercato di imparare dagli altri per cui moltissimi artisti mi hanno lasciato qualcosa, italiani, stranieri, Rava, Fresu, Pieranunzi, D'Andrea…Chet Baker, Oscar Peterson, Keith Jarrett, Erroll Garner… ho ascoltato veramente di tutto, anche nella musica classica. Però fortunatamente, circa un anno fa, ho sentito dentro di me questa fortissima esigenza di cercare e trovare una mia personale dimensione, e anche ciò è accaduto in maniera naturale senza alcuna forzatura. E ovviamente ne sono molto felice”.

Cosa ti piace ascoltare in questo periodo?
“ Paradossalmente devo dirti che in questo periodo ascolto pochissimo jazz in quanto ho le mie idee e non voglio essere influenzato da qualcun altro. Invece sento moltissima musica classica, molto rock”.

Qual è il musicista classico che preferisci? E quello pop?
“ Nel campo della musica pop un artista che ho scoperto poco tempo fa: Nick Drake; per me lui è un artista, un poeta al pari di Keith Jarrett…per me non ci sono distinzioni di genere quando si è artista. Nel campo della musica classica un artista che sento molto affine a me, alla mia musica è Debussy per questo modo di galleggiare nello spazio, queste armonie molto ariose”.

Tu sei arrivato adesso al primo disco da leader? Come è nata l'idea?
“ Anche in questo campo ho avuto pazienza, non ho avuto fretta di bruciare i tempi; quindi ecco questo “Zenzi” che, comunque, essendo stato registrato circa un anno e mezzo fa non mi rappresenta compiutamente in quanto si è trattato di un periodo particolarmente importante”.

Hai altri progetti?
“ Attualmente ho il trio con Paolino Dalla Porta e Stefano Bagnoli e il piano-solo. Il prossimo progetto vorrei incentrarlo sulla tromba”.

Quali sono i musicisti che ricordi con particolare affetto?
“ Sicuramente un musicista che mi ha lasciato molto è stato Gianni Basso. Ho avuto la fortuna di suonare molto con lui e mi ha insegnato molto sia quando eravamo sul palco sia fuori dal palco, quando lo sentivo parlare, quando mi raccontava gli aneddoti, quando mi diceva che un musicista bravo si vede quando suona una ballade. Un altro musicista cui devo molto è Enrico Rava che mi ha insegnato molte cose”.

Hai notato delle differenze nei vari pubblici che hai incontrato?
“ Si, ma per fortuna è un problema che non mi tocca più di tanto nel senso che io devo entrare in contatto con la musica: se ci riesco va bene così e sono felice, se non ci riesco beh vuol dire che è stata una serata storta, ma in tutto questo il pubblico c'entra ben poco”.

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